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Autore: Tersicore29    23/02/2016    1 recensioni
Anna e Max hanno la stessa età, frequentano la stessa università, ma hanno due caratteri completamente diversi. Tuttavia sono destinati a ritrovarsi sempre, ad amarsi, ad odiarsi.. con la consapevolezza che un giorno potrebbero prendere davvero strade diverse...
Buona lettura, spero che questi due giovani protagonisti vi facciano sorridere!!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Ore 17.53

La Bologna sotto febbraio piangeva di una pioggia fastidiosa di quelle che tu, Anna, odiavi. Quel picchiettare di gocce sulla strada e sul davanzale della finestra della tua camera ti aveva impedito anche di andare a lezione. Era il tuo alibi preferito per mascherare la noia di cui ti vestivi ogni volta che ti sedevi in quell'aula, “multimediale,” dal momento che la lezione ti inculcava un interesse pari, più o meno, a quello che nutrivi verso le partite di calcio della domenica.

La pioggia però ti teneva compagnia, sicuramente più di quelle dispense che non avevi intenzione di aprire neppure oggi. L'esame era ancora lontano dal sentiero che stavi percorrendo o almeno cercavi di convincerti che fosse così. Se la tua mente fosse poi offuscata da altri pensieri non lo sapevi neppure tu.

Il suono fastidioso del campanello ti distrae da quelle riflessioni oniriche e nella tua mente balena, subito, il desiderio che dietro quella porta ci sia Lui, magari con un bel mazzo di fiori e un biglietto per scusarsi del ritardo di un san Valentino già trascorso.

 

Arrivo!! Ca..

 

Il mignolo del piede sbattuto contro lo spigolo del letto era la prassi nel correre per raggiungere la porta; la stessa che apri affannata con un ciuffo di capelli che ti copre il viso, quel maglione cinque taglie più grande, un pantalone della tuta degno della più disperata delle casalinghe e quelle ciabatte a dir poco improponibili.

 

Buongiorno signorina, ecco la sua pizza!

 

La guardi scettica per un attimo, osservando il braccio teso del giovane; non ti ricordavi neppure di averla ordinata. Ti porti una mano tra i capelli:

 

Ah, beh..si un attimo

 

Corri con poca eleganza e,recuperato il portafoglio, ti affretti a pagare quell'ordine prima che il tizio sulla porta ti auguri qualcosa di non troppo bello.

 

Eccoti:

 

solita vita bolognese, divano, copertina, computer e pizza, rigorosamente con funghi, che sembravano farla apposta a finire in ogni angolo del divano e tra un tasto e l'altro della tastiera. Ti guardi allo specchio della fotocamera interna del cellulare, per assicurarti che la pizza non ti avesse lasciato della salsa rossa su mezza faccia e ti concentri a guardare i tuoi occhi: ogni giorno più grandi e profondi, ma sempre così vuoti. Eri a conoscenza del fatto che ti mancasse qualcosa ma non sapevi neppure tu di che cosa si trattasse, o meglio, lo sapevi benissimo ma ti eri rassegnata all'idea di essere una di quelle povere donne sfigate il cui destino migliore fosse far fuori una valanga di gelato davanti alla scena più sexy di un Derek che aveva appena finito di discutere con Meredith.

Ti sorge spontaneo un sorriso sul volto, accompagnato da una risatina al solo pensiero che se lui ti avesse vista in quelle condizioni avrebbe riso per giorni e ti avrebbe detto che guardare Grey's Anatomy era da milf depresse: sciocco.

Eri abituata alla considerazione che lui aveva di te e ormai iniziava a piacerti, tanto che non avresti sopportato un complimento da parte sua, troppo abituata a rispondere a tono alle sue critiche consapevole, tuttavia, di quanto fossero infondate.

Ti sentivi come una ragazzina alle prese con il primo amore, peccato che fossi un po' in ritardo: a ventuno anni la gente riceve un invito a cena la sera e invece guardati: sei lì ad addentare l'ultimo spicchio di pizza cercando di non pensarci più.

 

Quel maledetto suono dei messaggi ti fa sussultare e pulendoti le mani “intrise” della tua cena, ti affretti a rispondere con un messaggio vocale.

Quante volte avevi sperato che quel suono fosse accompagnato dal suo nome, illuminato sullo schermo, che ti chiedeva come stessi o semplicemente ti dicesse quanto fossi stupida a credere ancora in qualcosa che non esisteva più da mesi. Qualche volta ti capitava addirittura di sognarlo e allora ti rendevi conto di quanto anche nel sogno fossi patetica, aggrappata alle braccia di qualcuno che avrebbe solo voluto liberarsi dalla tua presa.

 

Era inutile andare a lezione, pioveva, ed egli non seguiva quel corso; ti eri persuasa che andare a scaldare la sedia di un'aula universitaria, quando non avevi nessuno che scaldasse le tue mani, non avesse alcun senso. E per di più quella casa appariva,sempre, troppo grande e troppo vuota. Avresti potuto scrivere una poesia..

 

“un'altra?”

 

..magari che parlasse di lui..

 

“anche questa?”

 

Mancava solo un Venditti di sottofondo e poi saresti stata davvero da ricoverare.

Meglio, dunque, affogare nell'ennesima puntata di un telefilm.

 

Dove ero rimasta? Ah, sì: “Non posso respirare se mi guardi in quel modo...” 

 

appunto.  

   
 
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