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Autore: Nykyo    24/02/2016    2 recensioni
Derek conserva da una vita una copertina per bambini, un piccolo plaid rosso a scacchi gialli che è uno dei cimeli più preziosi della sua infanzia, fortunosamente scampato perfino all’incendio di casa Hale. Stiles conosce bene quel vecchio plaid: gli è capitato di tenerlo tra le mani durante una delle avventure più incredibili della sua vita.
Il plaid rosso e giallo ha resistito agli anni e alle avversità, conservando a lungo il profumo di una promessa formulata in un lontano passato da un viaggiatore venuto dal futuro. Ed è la promessa di un amore che non verrà mai spezzata.
Partecipa alla seconda edizione del Teen Wolf Big Bang Italia.
Racconto di nykyo e illustrazioni di piratesyebewarned.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Talia Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'odore della luna.'
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Seguito di Come la marea (L’odore della luna), che ha partecipato a questo Big Bang nella passata edizione. Questo racconto non è granché comprensibile per chi non ha letto l’altro. Come sempre un primo ringraziamento va alla mia beta, Lori. Sei la editor migliore del mondo.
La ringrazio di cuore anche per il bellissimo fanmix. Ogni volta che lavori su questo verse la musica che scegli è così perfetta che mi chiedo se mi leggi nella mente. Un grazie enorme anche a Sanny a cui dedico il racconto e che lo ha illustrato in un modo così poetico che ogni volta che vedo una delle fanart che ha realizzato mi commuovo.

 

«Derek, ti prego…»

Nonostante la sua natura di Licantropo le concedesse forze superiori a quelle di una comune mamma umana, ormai Talia iniziava a sentirsi sfinita e decisamente scoraggiata. Provò a bilanciare meglio Derek tra le proprie braccia, per poterlo cullare più efficacemente e, intanto, continuò a camminare avanti e indietro, lungo la riva del fiume. Derek agitò i piccoli pugni e lanciò uno strillo acuto e desolato. Aveva il visino rigato di lacrime e chiazze rosse sulle guance paffute. Congestionato e urlante, sembrava sul punto di soffocare nelle sue stesse lacrime.

Il solo guardarlo stringeva il cuore di Talia in una morsa dolorosa. Nei pochi mesi trascorsi dal giorno della sua nascita, avvenuta nemmeno un anno prima, Talia non l’aveva mai visto così disperato. Derek era il classico neonato capace di rabbuiarsi di colpo se non riusciva a raggiungere un oggetto che aveva deciso di mordicchiare, o per qualunque altro di quei contrattempi che facevano sorridere gli adulti con indulgenza e genuino divertimento e che invece, per un bimbo, rappresentavano una sfida o un’impasse. Tutti i bambini piccoli piangevano in certe situazioni e Derek non faceva eccezione. Semmai, a volte, i suoi bronci erano un po’ comici. Le sue espressioni erano quelle che Talia chiamava “da ometto già cresciuto”, del tutto incongrue sul visetto di un pupo di nemmeno otto mesi e quindi involontariamente buffissime.

Non c’era proprio nulla di divertente nei lamenti che gli stavano uscendo di bocca in quel momento. Per Talia era una pena ascoltarli, sia come mamma che come Alpha.

«È tardissimo e sei così stanco, amore mio, fai la nanna, shhh. Dormi, ti prego, chiudi gli occhi.»

Non che pensasse davvero che Derek l’avrebbe ascoltata. A quell’età era troppo piccolo per capire che lo stavano praticamente supplicando di cedere al sonno e di dare finalmente tregua non solo a se stesso ma anche a lei. Ciononostante Talia non voleva darsi per vinta. Non poteva. Nessuna mamma avrebbe accettato di arrendersi. Non che Derek stesse provando dolore fisico o correndo un qualunque rischio, però anche una statua si sarebbe commossa per il suo sfoggio di dispiacere, figurarsi la sua stessa madre. Il problema era che Talia stava affrontando una lotta, magari non all’ultimo sangue, ma di sicuro lunga ed estenuante e, anziché calmarsi, più il tempo passava più Derek diventava agitato. Un bambino umano a quel punto forse sarebbe crollato, sfiancato dal troppo piangere. Certe volte la resistenza dei Lupi Mannari era un problema tanto quanto poteva essere un vantaggio.

Talia si chiese per quanto ancora suo figlio sarebbe andato avanti in quel modo prima di cedere a sonno e stanchezza. «Comunque troppo» era la sola risposta che le veniva in mente, e la faceva sentire inutile e frustrata.

Circa un’ora prima Talia aveva dovuto afferrare al volo la borsa in cui teneva l’occorrente per il cambio, prendere il suo ultimogenito in braccio e uscire alla svelta, diretta verso il folto del bosco. L’aveva fatto perché si era arresa all’evidenza: se lei e Derek fossero rimasti in casa nessuno sarebbe mai riuscito a dormire. Poco male per gli adulti, quando c’era di mezzo un neonato una notte in bianco poteva capitare. Anzi, lo spirito e l’istinto del branco spesso spingevano gli altri familiari a dare una mano.

A Talia, se si trattava di far addormentare Laura o Derek, non mancava quasi mai un aiuto. Non solo da parte di suo marito, perfino da parte di suo fratello Peter, che di norma si defilava davanti a parecchie incombenze familiari di altro tipo. «Specie quelle noiose e maleodoranti», come diceva lui. Peter non avrebbe mai cambiato un pannolino in vita sua, però era dispostissimo a cullare i due nipoti o a raccontare loro una favola. Che lo facesse soprattutto per poter tornare a letto il prima possibile non aveva importanza, in ogni caso anche lui, nonostante fosse ancora un ragazzino, a volte dava una mano. Addirittura lo faceva con tutti i crismi. Talia l’aveva spesso ascoltato impostare la voce e modularla in maniera diversa a seconda del personaggio che stava interpretando. Peter sciorinava fiabe come se stesse recitando a teatro, curando la mimica e le espressioni e dando l’impressione di divertitisi un mondo. Certe volte era buffissimo, altre affascinante oppure un filo spaventoso, specie quando fingeva di essere un qualche cattivo. Era facile scordarsi del suo aspetto e prenderlo sul serio. Del resto Peter era sempre stato così, fin da piccolo: estroverso e capace di attirare l’attenzione di tutti, e nello stesso tempo più sveglio della sua età e in grado di picchi di furbizia inaspettati. I bambini lo adoravano, come avrebbero fatto con un fratello maggiore. Non solo Laura, che era in grado di comprendere i suoi racconti. Anche Derek, nel suo beato stupore di neonato, pendeva dalle sue labbra.

Quella notte, però, complici anche il clima mite e il caldo primaverile, Talia aveva preferito evitare di coinvolgere il resto della famiglia, specialmente Peter che era fin troppo acuto e di sicuro le avrebbe rivolto un sacco di domande. Per non dover dare risposte a nessuno e per preservare la pace del resto del branco, Talia aveva optato per quella soluzione e si era avviata dicendo di voler portare Derek a prendere una boccata d’aria. Dubitava che una favola avrebbe risolto il problema e, in generale, le era parsa una buona idea. Un po’ nella speranza di calmare il suo cucciolo più facilmente e un po’ perché il musetto stranito e spaventato di Laura l’aveva convinta in via definitiva che fosse meglio così.

Quando la bambina era spuntata, scalza e spettinata, sulla porta della cameretta del fratellino, Talia si era subito accorta di quanto era intimorita. Ce ne voleva per turbare Laura al punto di farle conficcare i piccoli artigli acuminati nella pelliccia del suo peluche preferito, con un fare in parte protettivo e in parte guardingo. Laura non era il tipo di bambina che si spaventava facilmente. Talia però aveva compreso al volo il motivo dell’ansia di sua figlia. Laura era stata in pensiero per il fratellino. Anche se era solo una bambina, il suo istinto e i suoi sensi avevano percepito qualcosa di diverso dal solito, e di allarmante, nel pianto di Derek.

«Lo so, lo so, tesoro» le aveva detto Talia, senza spiegare a cosa si riferiva, perché lei e Laura si erano capite comunque, senza bisogno di altre parole. «Non devi aver paura, sai? Derek sta bene. Non è nulla di grave. Stai tranquilla, ora la mamma ti rimette a letto e papà ti verrà a rimboccare le coperte e resterà un po’ con te, se vuoi. Derek sta bene, adesso mamma lo porta a fare una passeggiata e vedrai che si addormenterà presto e domani starà benissimo.»

Laura non le era parsa del tutto convinta e Talia non aveva potuto biasimarla. Il punto era che, fin da quel pomeriggio, Derek era stato triste, nervoso, di pessimo umore e tutti l’avevano notato. Il piccolino di casa aveva fatto storie per rientrare dopo aver trascorso diverse ore fuori con lei e poi si era dimostrato poco interessato alle coccole consolatorie e perfino a mangiare la pappa o a bere il suo latte. Un paio di pupazzi erano finiti quasi sventrati, e né la dolcezza né il tono severo degli adulti erano serviti a renderlo meno bizzoso e incline al pianto.

Al momento di andare a dormire la situazione era addirittura peggiorata. Talia le aveva provate tutte; invano. Derek sembrava non trovare pace. Aveva continuato ad agitarsi, prima nel suo lettino e poi anche tra le braccia della mamma e del papà. Lei l’aveva cullato, aveva provato a sussurrargli parole rassicuranti, a cantargli qualche ninna nanna, a distrarlo, a mettere in atto uno dei mille trucchetti che ogni madre al mondo – umana o meno che fosse – imparava dopo un certo numero di notti insonni. Alla fine, visto che nulla pareva funzionare, Talia aveva perfino tentato di far leva sugli istinti di lupo del suo bambino e, accostando il viso a quello di Derek, occhi negli occhi, aveva lasciato lampeggiare di rosso le iridi e aveva emesso un suono basso, gutturale e tipico non tanto del suo ruolo di madre, quanto di quello di Alpha. Derek si era zittito per qualche minuto, pur senza mai smettere di singhiozzare tanto da sobbalzare tra le sue braccia, e poi il giallo che aveva illuminato i suoi occhi si era spento e lui aveva ripreso a uggiolare in modo ancora più acuto e straziante.

Era stato a quel punto che Laura si era svegliata allarmata, e Talia si era ritrovata a fronteggiare le occhiate interrogative del marito e di tutti gli altri: quello di Derek non era il normale pianto di un neonato insonne, era un lamento costante e addolorato che non ricordava nemmeno da lontano un gemito umano e che non assomigliava per nulla al tipo di strilli o di mugolii affranti che si associavano ai normali capricci. Nel modo in cui Derek non aveva smesso neppure per un attimo di dare fiato al suo disagio c’era, anche in quel momento, un che di sconsolato e di quasi luttuoso. Derek non stava facendo le bizze, stava piangendo una perdita e Talia, quando l’aveva compreso, si era sentita così disarmata da dover confessare, almeno a se stessa, che non sapeva proprio cosa fare.

Non le era parso affatto strano che, d’istinto, Laura avesse reagito preoccupandosi più di quanto non fosse nella sua natura coraggiosa o che l’intero branco si fosse avvicinato, presto o tardi, a lei e a Derek, per controllare che stessero bene e che fossero tutti interi. Nessuno le aveva fatto domande, non ce n’era stato bisogno. Talia le aveva lette comunque negli occhi di tutti, specie in quelli irrequieti del marito e in quelli curiosi e sfuggenti del fratello. Appunto per quel motivo, e per non far spaventare ulteriormente Laura, aveva deciso che fosse meglio uscire.

Nel bosco non faceva freddo e c’erano punti riparati e sicuri tanto quanto la grande casa degli Hale. C’era il fiume, con il suo gorgogliare costante e rassicurante, e il vento che soffiava lieve tra le foglie, producendo un fruscio musicale dolce e assai piacevole per le orecchie di un Licantropo. Soprattutto, nel cuore della Riserva non c’era nessuno pronto a formulare a voce alta quesiti a cui Talia non poteva rispondere. Perché in effetti lei sapeva come mai Derek si stava comportando come un cucciolo disperato per aver perso un membro del branco. L’aveva capito subito, ed era la sola che aveva avuto modo di arrivarci, perché era la sola a sapere cosa, con esattezza, era successo quel pomeriggio, mentre lei e Derek giocavano sotto le fronde del Nemeton.

Talia odiava il fatto di non poter tranquillizzare almeno il marito. Con lui di norma non aveva segreti. Avrebbe voluto spiegargli cosa stava succedendo e, anche a prescindere dalla situazione contingente e dal dispiacere del loro piccino, le sarebbe piaciuto condividere con lui quella che era stata di sicuro l’avventura più pazzesca della sua vita. Sarebbe stato divertente raccontargli ogni cosa, e rassicurante parlargli dei dubbi che ancora le aleggiavano per la mente ma, a parte il fatto che le sue spiegazioni sarebbero suonate assurde e incredibili, non poteva proprio parlargliene. Per quanto si sentisse in colpa, aveva giurato di tacere. L’aveva promesso a se stessa, giusto per non correre rischi, e soprattutto l’aveva giurato a un’altra persona: la persona per la cui mancanza Derek era così sconvolto. Miguel. Che pseudonimo comico per uno che di spagnolo o anche solo di latino non aveva proprio niente di niente. Eppure, ridicolo ma vero, lui si era fatto chiamare così. Miguel, il viaggiatore del tempo.

A Talia tornò in mente ogni dettaglio del loro incontro. Che tipino assurdo! Eppure le era piaciuto, aveva saputo conquistare subito la sua fiducia, un po’ per via del fatto che Derek l’aveva riconosciuto come il compagno del se stesso a venire, un po’ perché le era sembrato coraggioso, determinato e ferocemente protettivo nei confronti di coloro che amava. Tutte doti che Talia apprezzava come umana e, ancora di più, come Licantropo. Se poi quell’amore, quella lealtà e quello spirito protettivo erano riversati su suo figlio, lei non poteva che essere ancora più impressionata e toccata nel profondo.

Miguel l’aveva costretta a porsi mille domande nel giro di pochissimo tempo. Non tutti i quesiti erano stati di natura positiva; ciononostante, pur avendo provato una forte malinconia e preoccupazione, per se stessa e per il branco, Talia alla fine si era sentita rassicurata, proprio grazie a Miguel. La luce nei suoi occhi mentre teneva in braccio Derek, le poche cose che, per quanto non avesse voluto spiare, gli aveva sentito sussurrare all’orecchio del suo cucciolo, in aggiunta alle frasi che aveva scambiato con lei, l’avevano convinta che, qualunque fosse il futuro a cui stava andando incontro, Derek sarebbe stato amato e avrebbe avuto chi gli stava accanto e vegliava su di lui. E viceversa. Era una bella cosa anche sapere che Derek, a sua volta, avrebbe tenuto a qualcuno e che si sarebbe prodigato per renderlo felice. Non che Miguel le avesse confessato che Derek era il perfetto fidanzato romantico, ma non ce n’era stato bisogno, era stato evidente, una di quelle cose che si leggevano facilmente sul viso.

A Talia, in effetti, sarebbe piaciuto moltissimo poter conoscere meglio quel curioso umano emulo di Marty McFly che, nel futuro da cui proveniva, era per Derek parte integrante del branco e anche molto, molto di più. Avrebbe voluto scoprire il suo vero nome, sapere come lui e Derek si sarebbero conosciuti e farsi raccontare un sacco di cose. Purtroppo Miguel, che era arrivato quel pomeriggio, comparendo dal nulla senza preavviso, era stato costretto quasi subito a ripartire, diretto verso un’altra epoca e verso un Derek ormai cresciuto. Talia aveva provato dispiacere nel vederlo andar via, ma per Derek, a quanto pareva, il distacco era stato addirittura uno shock.

Talia era adulta e comprendeva che non c’era motivo di piangere e di soffrire in quel modo. Miguel non era morto, stava sicuramente bene. O almeno lei ne era certa al novantanove per cento, e se lo augurava di tutto cuore. Il suo futuro genero era tornato a casa, al sicuro. Anzi, ironia della sorte e colmo del paradosso, era molto probabile che, in quel preciso momento, Miguel stesse dormendo accoccolato proprio accanto a Derek stesso. A quel pensiero, in un frangente diverso, a Talia sarebbe venuto da ridacchiare e poi sarebbe arrossita. Invece provava solo dispiacere e scoramento perché il suo cucciolo stava soffrendo come per un vero e proprio lutto – il primo della sua giovane vita – e non riusciva a tranquillizzarsi neppure nel suo abbraccio materno.

A differenza di quanto aveva sperato, il fatto di essere all’aperto non aveva sortito il minimo effetto; nulla pareva funzionare. Derek era così piccolo che il ragionamento non lo assisteva e l’istinto gli diceva solo che Miguel era un membro del branco, che erano molto legati, che Miguel era “suo”. E ora Miguel era andato via, non c’era più e, per quel che poteva saperne Derek, non pareva destinato a tornare.

Talia era stanca e scoraggiata. Si sentiva abbattuta e incapace sia come madre che come Alpha. Doveva esserci un modo per consolare il suo piccino. Sentirlo piangere senza sosta e in quella maniera tanto accorata le feriva più il cuore che le orecchie e la spingeva a mettersi in discussione. Cosa sarebbe successo se uno dei membri del branco fosse morto davvero? Lei era l’Alpha, era suo compito far sì che ognuno si sentisse al sicuro e protetto e che i suoi figli, prima di chiunque altro, trovassero la forza per andare avanti anche nel dolore e nelle avversità. Se non riusciva a rassicurare Derek in quel preciso momento, cosa sarebbe successo se un domani lui e Laura, o addirittura il branco intero, si fossero trovati a fronteggiare una vera perdita?

Talia non riusciva più a escogitare niente di nuovo, ma i dubbi e l’insicurezza che stava sperimentando la spingevano a non arrendersi, per quanto poco potesse sperare di essere capita dal figlio.

«Ti prego, Derek. Ascoltami, la mamma è qui. Non vado via, non vado da nessuna parte. Possiamo tornare a casa, da papà e dagli altri, se preferisci, però devi calmarti, devi dormire. Sei così stanco, amore mio… non piangere. Lo so che lui ti manca, ma non gli è successo niente di brutto, io lo so, prima o poi tornerà da te. Farebbe di tutto per tornare, solo che ora non può. Non piangere, se ti vedesse piangere il tuo Miguel ci rimarrebbe male.»

Come temeva le sue parole, per quanto mormorate con dolcezza, tra una carezza e un bacio, non sortirono alcun risultato. A tratti Derek si zittiva, solo per tirare il fiato, e la fissava con due enormi occhioni sgomenti, gonfi e assonnati, che si riempivano di nuovo di lacrime solo un attimo dopo. Ognuno di quegli sguardi annodava lo stomaco di Talia un po’ più stretto. Alla fine sospirò sconfitta, anche se sapeva che mostrare il proprio dispiacere e il proprio scoramento in maniera troppo palese equivaleva ad alimentare quelli di Derek.

«Mi dispiace» confessò, sedendosi a gambe incrociate sull’erba umida e guardando di nuovo il suo bambino dritto negli occhi. «Credimi, manca anche a me, era… penso di essermici già affezionata e non sono nemmeno sicura che mi capiterà mai di rivederlo. Mi dispiace sul serio, ma non ho modo di farlo tornare qui adesso. Non posso fare nulla, Derek, a volte nemmeno la mamma può fare niente per rendere le cose più facili. Scusami.» Strinse Derek al petto, e sospirò di nuovo. «Avrei dovuto chiedergli di lasciarci qualcosa di suo… forse se ci fosse rimasto un oggetto… qualcosa con il suo odore, lui ti mancherebbe un po’ meno. Quando gli ho dato le rune avrei dovuto pensarci.»

L’illuminazione la colse come un lampo improvviso e le fece raddrizzare la schiena come se davvero avesse avvertito una piccola scossa. Con una mano sola, per non smettere di abbracciare il figlio, Talia si allungò fino alla borsa in cui teneva l’occorrente per il cambio dei pannolini. Ci mise un attimo a venire a capo della cerniera lampo, poi però le sue dita andarono a colpo sicuro, scartando qualunque altra cosa finché non raggiunsero la lana del piccolo plaid che stava cercando. Talia lo tirò fuori a strattoni e pazienza se così facendo parte del contenuto della borsa si stava spargendo sul prato.

Il plaid era della misura adatta a un lettino e Talia lo usava sempre quando portava Derek a giocare all’aperto. Era comodo se rinfrescava o da stendere sull’erba. Talia l’aveva avuto con sé anche quel pomeriggio e così era rimasto in fondo al borsone. Se ne era perfino scordata, almeno fino a un attimo prima.

Non appena lo ebbe tra le mani Talia se lo portò al viso, inspirò svelta e poi annuì trionfante. La sua idea poteva funzionare!

Quando Miguel le si era materializzato davanti, ormai parecchie ore prima, era stato bagnato come un pulcino. Talia non aveva idea del perché e nemmeno le importava più di tanto di saperlo, anche se era una donna curiosa. La sola cosa che le interessava era che la copertina aveva conservato l’odore del ragazzo. Lei gliel’aveva prestata perché si asciugasse, non avendo con sé nient’altro di adatto, e ora, se il naso non la ingannava, riusciva a percepire perfettamente il sentore di Miguel mischiato a quello della lana e ad altri meno rilevanti. Se Talia riusciva a sentirlo, di sicuro l’avrebbe colto anche Derek.

«Ecco, amore, vieni qui.» Sfoderò il suo tono più dolce mentre avvolgeva Derek nella piccola coperta, come non le capitava più di fare da tempo; proprio nel modo tipico in cui avrebbe creato un bozzolo caldo e soffice per un bambino appena nato. «Lo senti? È un buon odore, vero? Sa del tuo Miguel.»

Derek si agitò ancora per un istante e poi parve calmarsi all’improvviso. Si fece serio, concentratissimo. Il visino – l’unica cosa che spuntava fuori dalle pieghe del plaid rosso a scacchi gialli – era quasi corrucciato. La sua espressione era tanto intensa che le sopracciglia parevano sul punto di toccarsi.

Poi Derek prese a guardarsi intorno e ad agitare le braccia e le gambe come se volesse disfarsi del nodo stretto del plaid e gattonare via. Stava cercando Miguel, era evidente. Il suo fiuto lo percepiva e così i suoi occhi avrebbero voluto trovarlo. Talia sperò con tutto il cuore che alla fine Derek si accontentasse del fatto che poteva annusare Miguel, anche se non poteva né vederlo né toccarlo.

Il suo desiderio venne esaudito. Derek tirò su con il naso, inspirò più volte, in modo addirittura rumoroso, e poi parve trattenere il fiato. Quando lo rilasciò le sue labbra si aprirono in un sorriso roseo e sdentato.

Talia trasse un sospiro di sollievo. «Certo che lo senti. Chiudi gli occhi, adesso, su, amore. La mamma è qui e anche Miguel, in un certo senso. Devi solo aspettare e lui tornerà, te lo prometto. Ora fa’ la nanna, tesoro, fa’ la nanna.»

Derek riuscì a liberare entrambe le manine e con una strinse forte la stoffa, strofinandosela sulla bocca e sul nasino. Con l’altra, invece, afferrò una ciocca dei lunghi capelli neri di Talia e cominciò a giocherellarci. Tutto il dolore che l’aveva stravolto era scomparso di punto in bianco, lasciando come unica traccia la scia umida delle lacrime sulle guance arrossate.

Derek si guardò di nuovo intorno, agitandosi appena. Di sicuro stava ancora cercando Miguel anche con lo sguardo, ma alla fine annusò di nuovo la coperta e si rilassò definitivamente. Talia pensò che forse era troppo stanco per partire in quarta e mettersi alla ricerca della persona di cui sentiva così tanto la mancanza. Sì, Derek doveva essere sfinito al punto di accontentarsi della rassicurazione che gli veniva dall’odore.

Non aveva importanza, bastava che riuscisse ad addormentarsi. Per un po’ la coperta avrebbe conservato il sentore familiare che lo calmava, poi la traccia olfattiva sarebbe svanita, ma nel frattempo Derek si sarebbe abituato al fatto che Miguel non era più lì e avrebbe perfino dimenticato che fosse mai esistito. Almeno fino al giorno in cui l’avrebbe incontrato di nuovo e avrebbe potuto stringerlo finalmente a sé, anziché accontentarsi dell’abbraccio di una copertina di lana dai colori sgargianti. Beh, e di quello della mamma, che era comunque caldo e avvolgente. Talia lo rese anche più comodo, cercando di bilanciare Derek perché si sentisse cullato, e poi prese a canticchiare a voce bassa. «It is only a canvas sky, hanging over a muslin tree, but it wouldn't be make believe if you believed in me.»

Mentre intonava la sua speciale ninnananna le tornò in mente il trucchetto che Miguel le aveva insegnato quel pomeriggio. Si trattava di un massaggio sulla nuca che Derek gradiva particolarmente, tanto che ogni volta che glielo facevano finiva per addormentarsi.

Era una cosa buffa. A Talia veniva da ridere al solo pensarci. Il futuro fidanzato di suo figlio le aveva spiegato come farlo addormentare più in fretta e, siccome il metodo funzionava – Talia lo stava constatando anche in quel preciso momento – lei avrebbe continuato a usarlo sempre. Per Derek con il tempo sarebbe diventato un’abitudine e la sua mente l’avrebbe associato al sonno e al relax. Curiosamente era per quello che funzionava così bene. Un domani Miguel l’avrebbe scoperto per caso, solo per poi insegnarle come fare durante il loro incontro sotto il Nemeton. Solo che per Talia quell’incontro era avvenuto appena poche ore prima, mentre per Miguel sarebbe accaduto nel futuro.

C’era di che farsi venire il capogiro, ma era anche incredibile e, come avrebbe detto Miguel, molto figo. Come in un libro di fantascienza.

Talia adorava la fantascienza e i paradossi. E quella faccenda dei massaggi sul collo di Derek era un paradosso bello e buono. Però era utile, e forse era quella la cosa più importante di tutte. Di sicuro lo era nell’immediato.

Derek, che fino a pochi minuti prima era stato inconsolabile e disperato, stava già dormendo, finalmente sereno e abbandonato tra le sue braccia. Talia lo guardò con il tipo di affetto e di orgoglio che si potevano scorgere solo negli occhi di una madre, e poi gli sorrise.

«Dormi, tesoro, dormi tranquillo. Dormi e sogna solo cose belle. Dormi e ricordati che ci saranno sempre persone che ti ameranno come faccio io.»

Come se l’avesse sentita e avesse potuto comprendere, Derek si accoccolò ancora meglio nella sua stretta, il plaid che gli copriva il naso, ed emise un gorgoglio di contentezza.

 

 

Talia non si mosse, non provò nemmeno ad alzarsi per tornare a casa. L’aria era davvero tiepida e all’aperto si stava bene. La pace della notte era ormai rotta solo da suoni naturali; le stelle e la luna erano perfette e belle al punto da sembrare dipinte su un fondale, proprio come nella canzone che lei aveva canticchiato per il suo bambino. C’era tempo prima di rientrare. Talia avrebbe aspettato che il sonno di Derek si facesse troppo profondo per essere disturbato e, nel frattempo, si sarebbe concessa un momento per pensare al significato di tutto quello che le era successo poche ore prima.

Un viaggiatore del tempo, la certezza che il suo bambino sarebbe stato amato, i dubbi su se stessa, ma anche la dimostrazione che Derek l’avrebbe sempre vista come una fonte di consiglio e di aiuto. Non le mancavano le cose a cui pensare e poi Talia era anche una lupa e nel bosco, con il suo cucciolo stretto al petto, si sentiva libera e perfettamente a suo agio.

 

   
 
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