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Autore: The Custodian ofthe Doors    24/02/2016    1 recensioni
Come si definisce l'importanza di un eroe? Le sue sole imprese possono dirci quanto esso sia stato grande?
Dalle azioni di un uomo si delinea il suo successo ed il ricordo che il mondo terrà di lui, le folli gesta di chi è stato designato come eroe ed è destinato all'immortalità.
Loro non sono altro che mezzi eroi invece, nessuno li ricorderà mai, non saranno i protagonisti di leggende fantastiche e racconti mozzafiato, nessuna canzone verrà composta e cantata alla vivace fiamma di un falò nelle notti stellate, nessun bambino desidererà mai esser come loro, ripercorrere i passi di chi ha lottato, ha sofferto ed è morto come semplice soldato senza poi ricevere la corona d'alloro.
Perché loro erano lì, ma questo non conta.
Loro erano solo Mezzi Eroi e sempre tali sarebbero rimasti.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Half Heroes


3. Katie Gardner- Leggi Fondamentali.


Si era sempre impegnata a fare tutto al meglio, suo padre glielo aveva insegnato sin da bambina, quando sorprendendola a fissare il compito in classe, a fissare quella “C” che non le piaceva per niente, le aveva detto con con un mezzo sorriso in volto << “più ti impegni, più le cose riescono bene.”>>.
Non lo aveva capito subito, anzi, si era anche arrabbiata: lei si impegnava sempre, anche per quello stupido compito, non era certo colpa sua se la maestra le aveva messo una “C”, era evidente che il problema fosse della materia stessa, Katie non era sicuramente portata per la matematica.
Spostò delle vecchie agende per far posto sulla scrivania impolverata, da quanto tempo non tornava a casa? Alla sua vera casa? Probabilmente mesi, dalla battaglia del Labirinto come minimo, il che faceva esattamente tre mesi e ventidue giorni.
Si, Katie era diventata brava con la matematica alla fine e il ritrovarsi quel vecchio compito sotto al naso le fece affiorare un sorriso tanto simile a quello con cui suo padre aveva cercato di consolarla allora. Aveva imparato anche ad essere paziente, col tempo, ad aspettare con la stessa calma zen che non aveva quando gli Stoll combinavano guai al campo o alla sua cabina. Perché se voleva vedere i risultati migliori, allora doveva attendere. Ma l'attesa non le avrebbe fatto trovare due figli di Ermes a caso più tranquilli al suo rientro, né le avrebbe concesso sogni privi d'incubi o voci terrorizzate e volti sfregiati dal dolore, quello no.
Strinse il vecchio foglio a quadri tra le mani e si sedette sulla sedia girevole, cominciando a dondolarsi mollemente, senza gioia, mentre un cipiglio pensieroso le curvava le sopracciglia e scuriva lo sguardo.
C'era qualcosa di stramaledettamente sbagliato in quel luogo, nella sua cameretta, nella sua casa, qualcosa che non andava nelle scale silenziose e nel leggero rumoreggiare che veniva dal giardino, dove suo padre stava lavorando per farle una qualche sorpresa. La sua testa non riusciva a capire cosa fosse però, cos'era cambiato dall'ultima volta che era stata tra quelle mura, rimettendo in ordine per la millesima volta una scrivania che si riprometteva sempre di lasciar pulita; neanche impegnandosi ci riusciva e, di conseguenza, si arrabbiava.
Storse il naso e lasciò che il foglio scivolasse a terra, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia e chiudendo gli occhi.
Cos'era cambiato?
Un suono secco la fece scattare in piedi come una molla, la mano che correva a stringere l'elsa della spada che non aveva attaccata alla cinta. Nulla, la pezza bagnata che aveva portato per pulire il banco era scivolata a terra. Era solo la pezza, nient'altro, non c'erano mostri, non c'erano armi e non c'erano morti.
Non era la casa ad essere cambiata, era lei.
Se ne accorse come ci si accorge di non aver spento la luce in una stanza, e rabbrividì.
Era tutto sbagliato, tutto quanto quello che era successo e soprattutto a chi era successo. Non ebbe neanche la forza di riavvicinare la sedia, si accasciò a terra come aveva fatto prima quello straccio, ripiegandosi su se stessa, ma zuppa di dolore, paura e inopportuno sollievo, anzi ché d'acqua.
Lo chiamano rimorso del sopravvissuto, ma lei non sapeva se sarebbe riuscita a convivere con quell'orribile e veritiera frase che le era balenata nella mente quando, alla fine di tutto, aveva fissato i corpi esanimi dei suoi compagni ed era stata felice, perché “almeno io sono ancora viva, meglio loro che me”. Oh, l'orrore di quel momento era stato agghiacciante, come...come...come nulla, nulla in tutta la sua vita.
Come si poteva continuare a vivere così? La guerra era finita, certo, ma se non c'erano più ferite visibili, fisiche, da curare nell'anima tutti ne avevano fin troppe e per Karie era impossibile che un essere, un “sistema”, continuasse la sua esistenza con quelle premesse, con quei vuoti riempiti dal sangue di chi hai imparato ad amare e non avresti mai conosciuto se non fosse stato per quel destino fragile e infame a cui ogni divin genitore aveva costretto la propria progenie.
Afferrò il compito di matematica e tirò sul col naso: alla fine l'aveva recuperata quella “C”, era diventata brava, aveva finito le elementari con una rossa “A+” che la riempiva ancora d'orgoglio, si era impegnata al massimo e tutto era riuscito al maglio, ma sapeva che questa volta non sarebbe bastato impegnarsi, questa volta non aveva speranze di recuperare ciò che aveva perso con la guerra.
Era tutto andato, distrutto.
Poteva solo mettere da parte ogni cosa, sperando egoisticamente di riuscire a dimenticare tutti quei corpi, tutti quei drappi, quelli verdi che lei stessa e i suoi fratelli avevano deciso di ricamare d'oro per quelli di loro che non ce l'avevano fatta, -erano così tanti,- divorati dalle fiamme assieme ai corpi così giovani, distrutti, nella materia e nella vita che avrebbero potuto vivere.
E allora i suoi fratelli si alzavano dalla pira, scostando il drappo e implorandola di salvarlo, di salvare quel pezzo di stoffa, le chiedevano perché, perché avesse dovuto usare il loro filo, quello che le parche avevano tessuto anni addietro. Così Katie si rendeva conto che lo spago dorato che aveva tagliato per ricamare i drappi era il filo della vita dei suoi fratelli, che era stata lei, con la sua debolezza e la sua stupidità ad ucciderli tutti, che era lei la capo cabina e non aveva fatto nulla per salvarli, che era solo un inutile figlia di Demetra, che sua madre non le aveva mai dato un potere degno di tale nome e che, ancora una volta, tutto si stava distruggendo davanti ai suoi occhi.
Scosse con vigore la testa, poggiando poi la fronte contro il pavimento freddo, nella speranza che tutti quei pensieri, quei sogni che ormai non riusciva più a distinguere dalla realtà, fluissero via.
Ma solo la distruzione regnava nella sua testa, coperta dalla spessa protezione dell'osso frontale e da quella fina e pallida della sua pelle, ora segnata da più cicatrici di quante non ne avesse mai avute.
Era consapevole che tutto quello fosse ridicolo, - inutile piangere- il tempo non si sarebbe riavvolto a nastro per ridarle il sonno e tutte quelle anime perdute. Sarebbe servito tempo, tutto il tempo che Crono aveva rubato loro e anche più, per far si che la distruzione e la desolazione lasciassero il posto alla creazione e alla vita, dopo tutto, una quercia non diventa tale in un battito di ciglia, doveva attraversare tanti passaggi, subire tanti mutamenti.
Mutamenti?
Si alzò con fatica da terra, facendo leva con le braccia e sedendosi in ginocchio. Lo sguardo abbracciò tutta la camera e si soffermò sulla libreria che conteneva tutti i libri di Katie Gardner la studentessa, non la semidea. Lì, tra tutti, individuò al primo colpo un grosso tomo grigio e blu e nonostante tutto il dolore, la vergogna e lo sconforto che provava da tre mesi e ventidue giorni a questa parte si costrinse ad un piccolo mezzo sorriso, supportato dal suo “istinto da giardiniera”, come lo chiamava Travis, che le diedero la forza di alzarsi e far qualche passo tremante verso la finestra che dava sul piccolo giardino.
Come ogni brava giardiniera, Katie sapeva che nulla era perso, che una foglia, un fiore o un frutto caduto, non sono sprecati, che torneranno ad unirsi alla terre e a nutrirla, che faranno ancora parte di questo mondo. Così come sapeva -sperava con tutto il suo cuore- che il sacrificio dei suoi compagni non fosse stato vano, che grazie a loro il mondo sarebbe stato più sicuro, che dall'Ade avrebbero osservato orgogliosi la pace propagarsi per ogni dove, sapendo che era merito loro.
Sapeva che tutta quella distruzione non era tale, che era solo apparente, che era solo dentro ogni sopravvissuto che ancora non era riuscito a vedere la luce. Sapeva che non c'era nulla da ricreare.
Perché glielo aveva suggerito proprio il suo vecchio libro di fisica: Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto muta. E così come quel principio anche loro sarebbero mutati, il dolore si sarebbe trasformato in forza e in dolce ricordo, ricordo di coloro che non c'erano più.
Ogni cosa sarebbe tornata al proprio posto, lentamente, ma sarebbe successo.
Doveva essere così, era una delle leggi fondamentali del mondo.
Doveva essere così per forza.

Pregò.


   
 
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