Fanfic su artisti musicali > The GazettE
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Autore: _rei_chan_11_    24/02/2016    1 recensioni
Si avvicinò lentamente allo spicchio di luce che entrava dalla finestra. Rimase nell'ombra, si pulì la mano con il lembo della camicia e la allungò cautamente. Non appena il sole la sfiorò essa prese a fumare e lui si contrasse in una smorfia di puro dolore. Stava bruciando! La sua mano cominciò a creare delle piccole scintille, e di lì a poco avrebbe probabilmente preso fuoco!
-No, basta! Smettila di farti del male!- mi lanciai contro di lui e cercai di spostarlo ma lui non si mosse di un millimetro. Lo graffiai, lo presi a pugni, ma niente, non lo scalfii nemmeno. Stava rapidamente diventando cenere davanti ai miei occhi; si torturava in solitudine tutti i giorni? Mi arrampicai sulla sua schiena e gli buttai le braccia al collo scoppiando a piangere. Akira fece un passo indietro e mi prese in braccio come un bambino togliendomi dalle sue spalle, cullandomi lentamente. La mia pelle a contatto con le sue mani bruciava, ardeva come se avessi mille cubetti di ghiaccio poggiati sul corpo.
-Tu, che cosa sei ?- sussurrai asciugandomi con il dorso della mano le ultime lacrime che mi bagnavano le guance.
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Reita, Ruki, Un po' tutti, Uruha
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
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Una mano bianca emerse dall'oscurità e fece per afferrarmi il polso quando...mi svegliai gridando. Avevo la fronte imperlata di sudore e i capelli appiccicati alle guance. Tastai il materasso e toccai qualcosa di freddo e duro. I miei occhiali. Li inforcai e guardai la sveglia, erano le 07:45 ed io ero in ritardo, come al solito. Saltai giù dal letto, afferrai la divisa, che avevo lasciato sulla sedia la sera prima( una camicia bianca, un maglioncino beige ed un paio di pantaloni neri), e mi vestii scendendo le scale. Non feci colazione e mi diressi direttamente in bagno. Presi la spazzola e mi pettinai in fretta i fini capelli neri che tanto odiavo. Ah, quanto avrei voluto tingermeli...magari di un biondo platino o di un caldo color caramello.
Infilai gli anfibi al posto delle scarpe di vernice regolamentari (quel giorno pioveva a dirotto) e presi al volo lo zaino uscendo dalla porta. Accesi il motore della macchina e viaggiai a velocità sostenuta per tutto il tragitto, fino a scuola. I corridoi erano deserti e i miei passi riecheggiavano solitari. Entrai con un inchino in classe scusandomi:
-Mi scusi per il ritardo prof.-
La prof di matematica mi guardó male e disse: 
-Bene, ora che ci siamo tutti possiamo cominciare. Prendere il libro di teoria e andate a pagina 56.-
Feci per prendere il libro ma la mia mano rovistó a vuoto per un bel po'. Eppure ero sicuro di averlo infilato nello zaino prima di uscire! Alzai la mano: 
-Prof ho dimenticato il libro a casa...-
La classe si mise a ridere e la prof cominciò a diventare rossa: 
-Signorino Matsumoto, si permette di arrivare in ritardo tutte le mattine e ora comincia anche con le dimenticanze? Sono stufa del suo comportamento , vada fuori e rifletta!-
Mi alzai di malavoglia e, senza protestare troppo, uscii. Mi girai soltanto per un secondo ma bastò : vidi Tsuzuku ridacchiare con i suoi amici Koichi e Meto mentre tiravano fuori dallo zaino di Tsuzuku il mio libro ! Erano stati loro ! Mi sedetti sulla panchina vicino agli armadietti.
"All'ora di pranzo gliela farò vedere a quegli antipatici!" mi promisi con la consapevolezza che non avrei mai avuto il coraggio di fare una cosa del genere. Rimasi immobile in quella posizione per una mezz'ora quando vidi la direttrice, accompagnata da un ragazzo, camminare per i corridoi. 
"Il solito ragazzetto combinaguai scortato in direzione!"
Improvvisamente cambiarono direzione e si diressero verso di me. La direttrice mi guardò e sospirò :
-Cosa hai combinato stavolta ? Dai, torna in classe Takanori, devo comunicarvi qualcosa.-
Balzai in piedi senza farmelo ripetere due volte. Entrammo insieme in classe e io andai al mio posto. Tutti salutarono la direttrice e lei rispose con un cenno cordiale, poi annunciò: 
-Ragazzi, voglio presentarvi il vostro nuovo compagno. Si chiama Akira Suzuki , mi raccomando , siate gentili con lui!- poi indicò il posto vicino a me e gli si rivolse:
-Vai a sederti li.-
Lui si accomodò e la lezione poté continuare. Ascoltai distrattamente, avevo la sensazione di essere osservato, o meglio, di essere " scannerizzato". Dopo un po', ormai spazientito, mi voltai di scatto verso il nuovo ragazzo e lo apostrofai:
-Vuoi una foto? Ti assicuro che dura di più.-
Presi il tipo alla sprovvista e lo colsi in flagrante. Sorrise e mi disse con fare fin troppo galante:
-Tu quando vedi una cosa bella non la guardi?-
Arrossii violentemente (avevo questa imbarazzante abitudine) e balbettai confuso:
-Ah...g-grazie allora...-
Lui scoppiò in una risata cristallina, soffocata da una mascolina mano dalle unghie curate. 
 
La campanella suonò e io mi alzai di scatto. Presi lo zaino e uscii quasi a corsa dalla classe, prima di tutti gli altri.
Quel tizio...mi ha forse appena fatto un complimento? N-non...non è possibile. Devo essermelo immaginato...spesso questa stupida mente da sognatore mi fa parecchi scherzi. Perso nei miei pensieri, sentii qualcuno chiamare il mio nome in lontananza. Mi girai e vidi il ragazzo nuovo correre verso di me. Cosa voleva ancora? Non gli bastava destabilizzarmi anche solo con la sua presenza? Mi raggiunse e mi chiese, ormai senza fiato :
-Ehi scusa questo è tuo?- 
Sulla sua grande mano posava un quadratino di pelle nera. Il mio borsellino! 
-Oh! Sì, è mio...deve essermi caduto dalla tasca. Grazie mille!- lo ringraziai con un timido sorriso. 
-Io sono Akira Suzuki. Penso che tu lo sappia già...- si presentò ridacchiando e porgendomi la mano.
-Io mi chiamo Takanori Matsumoto...puoi chiamarmi anche solo Taka.- risposi allo stesso modo. 
-Ok, Taka....dove stai andando?- mi chiese guardandosi in giro un po' a disagio.
-In mensa, come tutti.- 
-Potrei venire con te? Non conosco nessuno...e sinceramente a malapena mi ricordo come diavolo si esca da questa scuola.- mugugnò tentando un maldestro occhiolino.
-V-va bene...- balbettai incerto. 
Ci incamminammo verso la mensa in silenzio. Lo guardai di sottecchi. Indossava una camicia nera lunga (al posto della divisa) che ne evidenziava la muscolatura e dei jeans a vita bassa. Arrivammo in mensa e ci sedemmo in un posto in po' nascosto,in un angolo. Lui non prese niente da mangiare e io non avevo fame perciò presi solo un the verde. Decisi di cominciare a parlare, anche perché eravamo seduti in silenzio da almeno 20 minuti. 
-Allora....dove abitavi prima che ti trasferissi?- chiesi con un poco di imbarazzo a sporcarmi la voce.
-Abitavo a Sagamihara, prefettura di Kanagawa.-
-Oh! Perché ti sei trasferito a Kyoto?- continuo sempre più incuriosito.
-I miei genitori hanno scelto di lavorare qui.- rispose quasi annoiato.
-Che lavoro fanno i tuoi genitori ?-
-Mia madre è la direttrice di un ristorante in centro e mio padre fa il professore di scienze all'università.- 
-Bello...-
-E i tuoi che lavoro fanno ?- mi domandò chinandosi leggermente verso di me.
-Mia madre è andata a lavorare a Tokyo e mio padre fa il dottore.- 
La campanella suonò e noi tornammo subito in classe.
Il pomeriggio passò lentamente, senza altri scherzi e senza rossori improvvisi
 
-Papá! Sono tornato!- gridai appena entrato in casa. Nessuna risposta.
"Forse non è ancora al lavoro...” pensai.
Scaricai la borsa sulla prima sedia che vidi e presi un succo di ribes nero dal frigo. Era una delle poche cose che mi calmava quando ero nervoso. Mi stesi sul letto e accesi la musica a tutto volume. Partì un disco degli Luna Sea che avevo comprato l'anno scorso, e mentre Ryuichi Kawamura intonava le prime note di “Desire”, io cercavo di capire il perchè mi sentivo così irrequieto. Tutto era cominciato quando quel ragazzo era entrato in classe. Quel brivido gelido che mi aveva percorso la schiena nel momento in cui i suoi occhi si erano posati su di me. I suoi occhi...erano qualcosa di incredibile! Scurissimi, quasi neri con una sfumatura leggerissima tendente al mogano, stretti ed affilati come lame. Peccato che facciano a pugni con le occhiaie profonde e violacee, che gli cerchiano gli occhi, molto evidenti a causa della sua carnagione color gesso. Ha moltissimi capelli lisci, biondi, pettinati in modo particolare. È alto, ma non troppo, magro e abbastanza muscoloso. Sembra perfetto, a vederlo. Decisi di chiamare Yuu (un mio vecchio amico, l'unico a dire il vero, che abitava a Sapporo) per chiedergli consiglio. Afferrai il cellulare e composi il numero con foga.
-Heilà! Chi è?- rispose con la sua solita voce calma e profonda.
-Ciao Yuu, sono Takanori.-
-Taka! Ciao piccoletto, è un sacco di tempo che non ci sentiamo!-
-Veramente ti ho chiamato due giorni fa..- gli ricordai ridendo.
-Ah davvero? Ops! Come passa lentamente il tempo senza il mio migliore amico!-
-Lo so, lo so...comunque, ti avevo chiamato per chiederti una cosa...-
-Certo, raccontami tutto!- lo sentii buttarsi sul letto, come faceva ogni volta che c'era aria di gossip. 
Gli raccontai per filo e per segno tutto quello che era sucesso e lui mi rispose con naturalezza:
-Ovvio...ti sei innamorato! E sembra che il tuo lui ricambi alla grande!-
-Cosa!? È impossibile! Voglio dire...- esclamai quasi strillando
-Lo trovi carino, no ?- mi interruppe.
-Si, è praticamente perfetto, ma...-
-Ti pare simpatico, gentile e dolce?- continuò senza ascoltarmi.
-Si, ma ti ripeto che...-
-Allora lui ti piace,semplice.- concluse con fare da comare. 
-Ma non è vero!- esclamai nuovamente-
-Ah! Visto? Ti sei indispettito e hai negato tutto! Allora sei proprio perso, cotto, insomma...ti piace da morire!- canticchiò
Io sbuffai pesantemente, in modo che mi sentisse anche al di là della cornetta.
-Ehi, guarda che è una cosa stupenda! Dovresti essere contento! Si siederà vicino a te tutti i giorni, ti ha già riempito di gentilezze e domani lo rivedrai...ci sono ragazze, e ragazzi, che pagherebbero per avere tutto questo!-
-Forse hai ragione...anche se io continuo a pensare che sia impossibile.-
-Si chiama colpo di fulmine! Dai, ci sentiamo domani...bye bye!-
-Si, ciao Yuu.- mugolai ancora preso dai miei pensieri.
Scossi la testa sorridendo. Yuu era uno di quei ragazzi che si innamorano molto spesso e cambiano fidanzato ogni settimana, sempre che il ragazzo ci stia e non sia perdutamente etero.
Sentii la serratura scattare mi tuffai sullo stereo a spegnere la musica. Mio padre odiava il rock, diceva che un giorno o l'altro mi sarei ritrovato il cervello fritto a furia di ascoltarlo.
-Taka! Dove sei? Sono tornato!-
-Ciao papà, sono in camera, scendo subito!-
Mia spogliai e indossai la mia tuta da casa. Raccolsi i capelli più lunghi in un codino che nascosi nel cappuccio della felpa e scesi di sotto. Detestava il fatto che io portassi i capelli abbastanza lunghi, diceva che era poco "da uomo". 
-Ehi Taka, come è andata oggi a scuola?- mi chiese togliendosi la giacca.
-Bene, oggi è arrivato un nuovo compagno di classe.-
-Oh bene.-
-Come è andata oggi al lavoro?- domandai a mia volta.
-Bene, oggi una ragazza è svenuta mentre le facevamo il prelievo del sangue.-
-Poverina, la capisco.-
Classica conversazione tipo tra me e mio padre. Non parliamo mai troppo, solo quel giusto, tanto per cortesia. Andai in cucina a preparare la cena. Servii un semplice piazzo di curry e riso. Mio padre mangiò di gusto e poi si leccò i baffi. Io approfittai di quel momento di suo assopimento e gli dissi con cautela:
-Allora...io salirei in camera, se non è un problema.-
-Tranquillo Taka. vai pure-
Salii le scale quasi correndo e mi diressi in camera mia. Mi accomodai sulla vecchia poltroncina di velluto verde, un po' sbiadito e macchiato, vicino alla finestra che attraverso le tendine azzurre lasciava filtrare gli ultimi raggi delicati del sole. Presi il romanzo horror che stavo leggendo da una settimana. Mi concentrai sulla trama del libro per distrarre i miei pensieri, o almeno ci provai. Ma sfortunatamente non ci riuscii. Continuavo a pensare a Akira, ai suoi strani occhi, al suo fisico statuario, ai suoi meravigliosi capelli...
“Takanori! Non puoi invaghirti del primo ragazzo che vedi! Questo non sei tu, non devi diventare come Yuu!” mi dissi, cercando di convincermene, senza risultati apprezzabili purtroppo. Mi guardai allo specchio a figura intera dell'armadio. Mi restituì l'immagine di un ragazzo stanco e ormai spettinato. Mi alzai in piedi, mi spogliai e mi misi in piedi davanti allo specchio. Non mi ero mai lamentato del mio fisico, ma non si può dire che fosse “virile” benchè io ce la mettessi tutta per metter su muscoli. Avevo la pancia piatta, con un filo di addominali praticamente inesistenti e le gambe fini e ma con i polpacci ben allenati. Spostai lo sguardo verso l'alto e mi soffermai sul viso. La mia faccia era pallida e abbastanza tondeggiante, dalle guanciotte piene che avevano la brutta abitudine di arrossire troppo spesso. Avevo grandi ("grandi", per la media giapponese) occhi color caramello e il naso a patatina, tipicamente asiatico, che mi contribuiva soltanto a darmi ancor di più l'aria di un bambino. L'unica cosa che mi piaceva del mio viso erano le labbra: carnose quanto basta, di una forma niente male e di un bel color rosa cipria. 
Fuori cominciava a imbrunire, l'orologio segnava già le 21:00. Decisi di andare a dormire subito dopo aver fatto i compiti. Scrissi in fretta il tema di inglese, che non mi impegnò più di tanto. Impiegai invece più tempo a risolvere i problemi di matematica. Circa alle 22:30 chiusi i quaderni e mi ficcai sotto le coperte assonnato.
 
Sentii un rumore fuori dalla finestra. Spalancai gli occhi spaventato e mi volsi verso essa. Senza occhiali vedevo poco o niente ma riuscii a scorgere una ombra nera tra la pioggia. Mi alzai di scatto e aprii le ante della finestra. Vidi una figura slanciata dileguarsi nel boschetto poco lontano. Andai a sciaquarmi la faccia in bagno con dell'acqua fredda. Non era possibile, nessuno sarebbe mai andato nel bosco a quell'ora! Scossi la testa, mi convinsi che era stato tutto frutto della mia immaginazione e tornai a dormire.
 
Passarono i giorni e mi dimenticai dell'accaduto...
 
Qualche mattina dopo riuscii miracolosamente a svegliarmi presto e mi preparai, inconsciamente, con molta cura. Persi parecchio tempo nella piega dei capelli e mi misi addirittura a stirare la camicia prima di indossarla. 
Arrivai a scuola in anticipo ma, invece di scendere dalla macchina e indirizzarmi verso l'atrio come tutti, rimasi dentro ad ascoltare un po' musica, guardando discretamente fuori incuriosito. Sentii bussare sul finestrino e sobbalzai. Fuori dalla macchina c'era Akira che tamburellava con le dita sul vetro. Tolsi il blocco alle porte e gli feci segno di entrare. 
“Ok! Allora, innanzitutto calmati e respira. Ricordati che lo conosci solo da poche settimane e devi sempre rammentarti che lui non ti interessa!” pensai in preda al panico piu assoluto, pentendomi all'istante di ciò che avevo appena fatto.
Akira si sedette accanto a me e si strofinò le mani cercando di scaldarle.
-Ehilà! Come va? Freddino oggi, vero?-
-Ehm...già oggi fa davvero freddo..- balbettai con voce tremante. 
-Va tutto bene? Sembra quasi che tu abbia la febbre...sei così pallido!- chiese con fare sinceramente preoccupato.
-M-ma certo! Sto benissimo...non ti preoccupare per me.- 
Mi sorrise rincuorato e guardò l'orologio Burberry che aveva al polso.
-Sta per suonare. Andiamo in classe?-
Annuii con un sorrisino ebete, sentendomi quasi sciogliere.
Scese dalla macchina e venne ad aprirmi la porta. Ovviamente avvampai, anche se non credo si fosse visto dato che avevo il viso quasi completamente coperto dalla sciarpa. Ah, che galantuomo!
-Con chi sei di banco?- mi chiese un po' impacciato una volta sulla porta.
-Nessuno, sono da solo a quasi tutte le lezioni.- risposi imbarazzato.
-Davvero? Oh, magnifico! Cioe...voglio dire, mi dispiace tanto, se vuoi mi metto io con te.-
-Sarebbe stupendo!- esclamo con gli occhi che brillavano peggio di due diamanti in pieno sole pomeridiano.
Ci sedemmo in fondo all'aula e chiacchierammo fino a quando il prof non ci beccò e ci sgridò.
-Signorini Suzuki e Matsumoto! Potreste prestare piu attenzione alla lezione? Sono triste di constatare che l'inglese non è la vostra materia preferita.-
Io sprofondai nella piu abbissale amarezza e mi zittii di colpo. Akira invece si alzò in piedi e con la sua solita calma, gli rispose cordialissimo:
-Prof, se posso permettermi, vorrei precisare che Takanori non centra niente, ero io che gli parlavo distrendola e egli stava solo cercando di zittirmi. Quindi credo che non sia un suo diritto accusarlo ingiustamente.- 
-Ah, è così? Bene allora non le dispiacerà passare in direzione subito dopo l'ultima campanella.-
Akira annuì impassibile e si risedette. Io mi chinai verso di lui e sussurrai:
-Grazie...-
-No problem, farei di tutto per non metterti nei guai piu di quanto tu non ci sia già-
Quest'ultima affermazione non la capii, ma ci passai sopra preso dall'infatuazione. Dopotutto mi aveva appena difeso davanti a tutta la classe, beccandosi pure un richiamo in direzione senza batter ciglio...
Alla fine della lezioni il prof mi fermò alla cattedra per chiedermi se ciò che aveva detto Akira era la verità. Io risposi con un grugnito difficilmente comprensibile e mi dileguai in fretta. Appoggiato al muro accanto alla porta mi stava aspettando Akira che, al contrario dalla sfrontata posizione che aveva assunto, si guardava in giro a disagio. Quando mi vide si illuminò e mi si avvicinò.
-Andiamo in mensa?- mi chiese eccitato come un bambino di sei anni a cui era stato appena dato il gelato. Sicuramente la mensa doveva essere una novità per lui, altrimenti non sarebbe così contento. Tutti odiavano la mensa, il cibo era orribile e le cuoche antipatiche. Quando attraversavi le porte vienvi investito da un'ondata di caldo rovente e da una folata di odori unti e appiccicosi. Le scarpe stridevano sul linoleum ricoperto di rifiuti, i tavoli pieni di scritte lunghi, stretti, rossi e bianchi, le scomodissime sedie di plastica dura. No, decisamente Akira non doveva aver mai visto una mensa.
Ci sedemmo al nostro solito tavolo, nascosto nell'angolo più buio della sala, lontani dalle finestre, lontani dal sole, lontani da tutti. Lui come al solito non prese niente e si sedette con un bicchiere di acqua. 
-N-non mangi niente?- chiesi tremando dal freddo. Avevo dimenticato la giacca nell'armadietto. Akira mi guardò sollevando un sopracciglio divertito, senza rispondermi. Mi alzai per andare a vedere cosa offriva il buffet delle insalate, e anche per muovermi un poco e cercare di riscaldarmi, ma quando tornai con il piatto mi accorsi che Peter non c'era. Non feci nemmeno in tempo a guardarmi in giro che mi sentii qualcosa di caldo e morbido sulle spalle. Mi guardai le spalle e riconobbi la sua giacca blu scura. 
-Sei così dolce Taka.- rise. Arrossii e lo guardai con un sorriso inebetito. Mi sfiorò una guancia infiammata con un dito. Aveva le mani congelate, sussultai. Lui si tirò indietro.
“No, ti prego continua!” pensai. 
-Scusa, mi dispiace...- mi disse allontanandosi in tutta fretta. Rimasi al centro della mensa con il piatto di insalata che cominciava ad appassire lentamente e la sua giacca sulle spalle. La prima campanella suonò, avevo ancora un'ora di pausa prima di ricominciare. Buttai il mio pranzo mai iniziato, mi tolsi la giacca e lasciai la borsa nell'armadietto, poi andai a cercare Akira. Non capivo piu nulla, non capivo queste sue retromarcie improvvise. Ogni volta che riusciva a smollarsi e si avvicinava un po' troppo si ritirava all'improvviso, un po' come un tartaruga, nel suo guscio. Salii al primo piano e lo cercai nelle aule di musica dato che era la sua materia preferita. Lo cercai in biblioteca, in palestra, in aula magna e infine corsi al terzo piano, ai laboratori di chimica. Attraversai i corridoi silenziosi e mal illuminati, data la poca frequenza da parte di noi studenti di quell'area, e mi tornarono in mente tutte le dicerie su quel piano. I ragazzi piu grandi per spaventare i novellini raccontavano a tutti i nuovi arrivati la leggenda del professor Takahashi. Si dice che in una di queste aule il professore sia morto in seguito ad un esperimento mal riuscito e che nessuno lo abbia mai ritrovato. Al secondo piano c'erano alcune camere in cui dormivano i ragazzi dell'ultimo anno, durante il periodo degli esami, che dicevano di aver sentito dei passi strisciati al piano di sopra dicendo a tutti che sicuramente era lo spirito o il cadavere del prof morto anni fa. Non sapevo se ci fosse mai stato davvero un professor Takahashi, e non ci tenevo più di tanto a saperlo. In quel momento ero nel posto piu sinistro della scuola, non mi sentivo certo al sicuro, ed era l'ultimo dei miei pensieri in tutta sincerità. 
Guardai in tutte le aule, ma non lo trovai. Percorsi tutto il corridoio e stavo quasi per rassegnarmi quando vidi una porta di legno in fondo al corridoio che non avevo mai notato. Mi avvicinai e vidi che era stata scardinata, le assi di legno che la sprangavano erano state strappate con furia. Feci un respiro profondo e scivolai all'interno. Era tutto buio, l'unica fonte di luce era un finestrone rotondo intarsiato in fondo alla stanza. Era una specie di solaio, un po' mansardato, pieno di scatole, bauli e scartoffie sparse dappertutto. Ne sollevai silenziosamente un paio che erano scivolate fino a me. Erano disegni, dei ritratti fatti a matita. Mi guardai in giro meravigliata e solo dopo una manciata di secondi notai una figura seduta su di un baule dandomi le spalle. Mi avvicinai senza far rumore e sgattaiolai dietro una pila di scatoloni. Mi sporsi e guardai il viso della persona. Era Akira! 
-Ti ho visto, tanto vale che tu esca!- mi disse senza spostare lo sguardo.
Uscii da dietro il mio nascondiglio imbarazzato. Come diamine aveva fatto a notarmi? Mi fece segno di sedermi accanto a lui.
-...ti ho riportato la giacca.- dissi per rompere il ghiaccio.
-Ogni volta che ne ho il tempo mi nascondo qui. È l'unico luogo in cui posso vedere la luce del sole colpire direttamente vicino a me e stare vicino al pericolo, tipo una tortura masochista.- disse assorto, lasciandomi interdetta. Ma cosa stava blaterando?
Mi guardò sorridendo malinconico e mi disse:
-Mi considererai un mostro se ti spiegherò tutto, mi considererai un pazzo se non lo faccio...pazzo, mostro, pazzo, mostro...non so cosa sia meglio.-
-Ma io....cosa?- balbettai confuso.
Sospirò.
-Guarda...-
Si avvicinò lentamente allo spicchio di luce che entrava dalla finestra. Rimase nell'ombra, si pulì la mano con il lembo della camicia e la allungò cautamente. Non appena il sole la sfiorò essa prese a fumare e lui si contrasse in una smorfia di puro dolore. Stava bruciando! La sua mano cominciò a creare delle piccole scintille, e di lì a poco avrebbe probabilmente preso fuoco!
-No, basta! Smettila di farti del male!- mi lanciai contro di lui e cercai di spostarlo ma lui non si mosse di un millimetro. Lo graffiai, lo presi a pugni, ma niente, non lo scalfii nemmeno. Stava rapidamente diventando cenere davanti ai miei occhi; si torturava in solitudine tutti i giorni? Mi arrampicai sulla sua schiena e gli buttai le braccia al collo scoppiando a piangere. Akira fece un passo indietro e mi prese in braccio come un bambino togliendomi dalle sue spalle, cullandomi lentamente. La mia pelle a contatto con le sue mani bruciava, ardeva come se avessi mille cubetti di ghiaccio poggiati sul corpo. 
-Tu, che cosa sei ?- sussurrai asciugandomi con il dorso della mano le ultime lacrime che mi bagnavano le guance. 
-Qualcosa che potrebbe farti del male.-
- Continuo a non capire...-
-Non c'è bisogno che tu capisca, l'importante è che tu sappia che sei in pericolo.-
-Non sono in pericolo se sto accanto a te.- mormoroai coraggiosamente. 
Lui mi guardò soffocando i singhiozzi.
-No, io sono l'unica cosa da cui devi stare lontano.-
-Tu sei l'unica cosa a cui voglio stare vicino.- risposi, soprendendomi di me stesso. 
-Anche io lo vorrei Taka. Vorrei, ma non posso...-
Il nostro momento magico venne interrotto dal suono insistente della campanella.
-Dovremmo andare...- mi disse posandomi a terra.
Io sbuffai e mi guardai in giro un'ultima volta prima di uscire. Mentre camminavamo presi la mano di Akira tra le mie e seguii con il dito le bruciature che cominciavano a guarire a vista d'occhio. Ormai nulla mi sorprendeva più. Lui non era normale, di questo ne ero certo, ora si trattava solo di scoprire cosa fosse.
-Bisognerebbe metterci una benda...- dissi preoccupato.
-Nah, tra dieci minuti non avrò piu nulla.- 
Aveva le mani fredde e dure, sembravano due pietre perfettamente intagliate, anche se al tatto rimanevano vellutate e liscie. Quasi le mani di una statua di marmo. Scendemmo le scale e andammo verso l'aula di scienze. Mi lasciò davanti alla porta e si voltò per andarsene.
-Ma... dove stai andando?- mi lamentai sconcertato.
-Non ho molta voglia di seguire questa lezione... non credo che agli altri farebbe piacere.- mi rispose con una faccia schifata. Naturalmente, non capii nuovamente le sue constatazioni fittizie. Entrai in classe e cominciai a tremare. Sulla cattedra (che in quest'aula era sostituita con un banco da lavoro) del professore erano posati vari bisturi, coltellini, aghi, fili e molti altri strumenti. 
“ Aiuto!” pensai in panico. Non ebbi il tempo di pensare a come scappare da quel luogo che entrò in classe il prof.
-Buongiorno a tutti ragazzi, la lezione di oggi, come avrete già capito, concernerà la vivisezione.-
Ecco, l'aveva detto. Aveva pronuciato quell'orribile parola: vivisezione. A quel tempo non concepivo la ragione di torturare dei poveri animali senza colpe per scopi futili come una semplice lezione scolastica. 
La vista mi si offuscò e la stanza cominciò a girare.
-Takanori, ti senti bene? - il prof mi guardò preoccupato. No, non mi sentivo affatto bene. 
-P-potrei uscire un secondo, per favore?- dissi con voce fiebile. Il professore acconsentì, io uscii e mi diressi verso i bagni. Avevo bisogno di rinfrescarmi. Entrato nella stanza dal familiare olezzo di disinfettante, fissai il mio riflesso più pallido del solito. Mi bagnai il viso per riprendermi dal mio mezzo-svenimento. Mi guardai un'ultima volta allo specchio e tornai in corridoio. All'improvviso le gambe diventarono di gelatina e la testa mi sembrò che stesse per scoppiare. Sentì solo il legno duro della porta contro la mia schiena dolorante e poi diventò tutto buio.
 
“ Un prato verde smeraldo si stendeva a vista d'occhio, l'erba mi accarezzava i piedi nudi. Dei petali di ciliegio si posavano tra i miei capelli, danzavamo nell'aria. Mi sentivo come loro, libero, leggero, delicato e bellissimo. Smisi di correre, vidi un ragazzo di spalle a pochi passi da me. Gli corsi incontro, mi sembrava di conoscerlo da una vita, quando lo raggiunsi lui si girò e mi baciò entrambe le guance. Il suo volto era così familiare, non mi sentivo affatto infastidito dalla sua invadenza. Uno scintillio attirò la mia attenzione, mi voltai e dietro di me c'era... Akira! Lo salutai e i rumori si affievolirono fino a sparire. Lui non ricambiò, guardava un punto un po' più lontano da me, guardava il ragazzo misterioso! Con lo sguardo truce si avvicinava lentamente passo dopo passo, cercai di fermarlo ma mi superò senza calcolarmi. Si avvicinò al ragazzo che lo guardava con un sorriso beffardo, lo prese per il collo e lo alzò senza sforzo per poi buttarlo a terra. Il ragazzo non ebbe nemmeno il tempo di voltare la testa che Akira gli era già addosso. Lo bloccava a terra con le gambe e le braccia e cominciò a...a morderlo! Gli dava dei morsi sulle braccia e sul torace, tanto piccoli quanto dolorosi, qualche volta portandosi dietro un po' di pelle. Il ragazzo a terra continuava a sorridergli e poi gli disse:
-Tutto qui? -
Akira si innervosì, i suoi occhi lampeggiarono infuocati. Con una mano gli prese la testa, gliela piegò di lato con forza , producendo uno spiacevolissimo rumore di ossa rotte, e la paura velò gli occhi del ragazzo. Akira avvicinò lentamente la bocca al collo esangue del ragazzo piegò la testa. Si avventò con violenza su di lui, prese a mordergli il collo. Il viso agonizzante del ragazzo mi fissava, mi sorrise un'ultima volta e poi si spense. Akira finì per bene il suo lavoro, poi si girò a guardarmi. Si asciugò la bocca sporca con la manica della camicia e mi sorrise avanzando verso di me. Due zanne affilate spuntavano ai lati della sua bocca. Un urlo acuto squarciò il silenzio. Il mio.”
 
  
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