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Autore: johnlockhell    26/02/2016    5 recensioni
La scoperta del segreto di Mary è l'ennesimo trauma che la vita non ha risparmiato a John Watson. Anche dopo il ritorno a Baker Street, si trascina depresso nella routine quotidiana sotto il peso della consapevolezza che tutto quello in cui spera si distruggerà. Sherlock non può più sopportare di vedere l'amico, la luce dei suoi occhi, in questo stato afflitto. Nonostante le emozioni e interazioni umane non siano il suo forte, per farlo reagire e rimettere le cose a posto è pronto a ricorrere a qualsiasi espediente. Ma Londra non lascia mai un attimo di respiro, e c'è sempre un crimine da risolvere dietro l'angolo. [Pairing: Johnlock, accenno di Warstan]
Dal Capitolo 6: “Quello che intendo dire, è che sei tu a farmi questo effetto. Sei sempre e solo tu, John.”
Dal Capitolo 8: Aveva fatto un sogno assurdo quella notte, e il vago ricordo del sogno, la sua immagine sfocata, non si cancellava dalla sua testa. Aveva sognato di baciare Sherlock.
Genere: Drammatico, Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 2 – Tension
 

“Cristo, Sherlock!” gridò John alla vista del cadavere, scattando in piedi.

Sherlock si era già alzato e chinato sul cadavere, per controllarne lo stato. Il foro nelle nuca le squarciava il collo da parte a parte, lacerando vertebre, faringe e carotide, e rilasciando il mare di sangue che stava impregnando il pavimento del vagone del treno.

“Cosa diavolo è successo, non c'era nessun altro nel vagone!” urlava John, sconvolto dall'accaduto.

“John, ho bisogno del tuo parere medico, controlla le sue condizioni!” lo intimò Sherlock, immediatamente preso dal caso. Estraendo la sua lente di ingrandimento portatile, iniziò a ispezionare la giacca scura e le vesti eleganti della donna alla ricerca di ogni minimo dettaglio utile alle sue deduzioni.

“È morta!” esclamò John senza avvicinarsi al corpo, ancora scosso per l'accaduto, stropicciandosi gli occhi per cancellare gli ultimi segni delle lacrime e schiarire le nubi del torpore dato dall'alcol.

“Grazie, Capitan Ovvio!” lo ammonì Sherlock, “controlla la ferita, descrivimi tutto quello che vedi, cosa può averla provocata, chi può averla inflitta, con quale intensità, tutto!”

Con la lente, si stava spostando ad analizzare la suola delle scarpe della donna, nere, con mezzo tacco e aperte sul davanti, perfette per un ambiente di lavoro distinto e professionale. Infatti, non trovò particolari tracce di terra o fango su di esse; la loro pulizia e precisione non denotavano soltanto la cura e attenzione della loro padrona, ma probabilmente anche che erano indossate unicamente in interni, sul posto di lavoro, sulla metro e lungo il breve tratto di strada pubblica che li collegava.

“Muoviti, John, svegliati!”

Riscuotendosi, John si riprese dallo shock della vista dell'omicidio, e si inginocchiò ad analizzare la ferita con l'occhio esperto di medico.

“È una lacerazione netta, pulita,” iniziò a spiegare John al collega, sbattendo ripetutamente le palpebre per risvegliare la lucidità offuscata dagli alcolici, “è stata fatta con un oggetto appuntito, una punta affilata e di lunghe dimensioni, il colpo è stato accompagnato fino all'uscita nella laringe.”

Terminata l'ispezione sulle scarpe, Sherlock ripercorse la lunghezza del corpo della donna e si avvicinò a John per tornare a osservare il capo della vittima riverso a terra, in cerca di segni fra i capelli, spille, forcine, orecchini, collane. La vista del crimine aveva spazzato via dalla sua mente tutti i pensieri di qualche minuto prima. Adesso il sipario si era alzato e il gioco era iniziato, l'adrenalina scorreva nelle vene e tutta la sua concentrazione era rivolta a risolvere il nuovo mistero, non c'era più tempo per riflessioni e banalità umane.

“Intendi che è stata colpita con una lama?” chiese delucidazioni al compagno, “un coltello?”

“No...” fece John continuando ad osservare la ferita, un po' di insicurezza nella sua voce, “non ci sono i segni di lacerazione interna che lascerebbe la lama sfilettata di un coltello...” Un attimo di esitazione, poi continuò, “solo la punta di ingresso dell'arma era affilata, e questa ha poi penetrato tutto il collo. Come una freccia, non so, o una lancia.”

“Una lancia?” ripeté Sherlock pensoso, alzandosi dal cadavere di cui ormai aveva analizzato ogni minimo particolare e partendo con l'analisi del vagone, iniziando con l'assicurarsi che tutti i finestrini sopra le sedute per i passeggeri fossero chiusi e illesi.

“Sì, lo so che sembra assurdo,” confermò John, tornando a stropicciarsi gli occhi per schiarirsi le idee. Anche la sua attenzione si stava spostando dal corpo all'ambiente circostante, e il suo sguardo si posò sugli accessori che la donna stringeva fra le mani prima di essere uccisa, e che nella caduta erano finiti a qualche passo da lei. “O anche come una penna,” continuò a ipotizzare, avvicinandosi al tablet e alla penna della donna caduti a terra, “tipo questa.”

L'ispezione di Sherlock si era spostata sotto ai sedili verso il condotto dell'aria condizionata, in cerca di qualche apertura o rottura anomala nelle grate. “Una penna?” gli fece di nuovo eco, perplesso.

“Stava tenendo in mano questa penna,” iniziò a proporre John, cauto, “prima che si spegnessero le luci... magari un sobbalzo del treno, ha perso l'equilibrio, è caduta e... e la penna le si è infilzata in gola!”

“La penna le si è infilzata in gola? John, ma sei ubriaco?!” lo canzonò Sherlock, muovendosi verso lo sportello dei cavi e controlli elettrici del vagone e verificando che fosse serrato, privo di fori, congegni o meccanismi come doveva essere. “Per quanto pungente potesse essere nella scrittura dei suoi proclami politici, una penna non sarebbe mai stata abbastanza affilata per fare una ferita del genere.”

“Proclami politici?” adesso era John ad essere perplesso e a fare il pappagallo.

“Era ovviamente una parlamentare,” spiegò Sherlock senza farsi desiderare, “guarda il modo distinto in cui è vestita, la sua acconciatura, le sue scarpe sono perfette e questa linea ha un cambio comodo con Westminster.”

Camminò verso il fondo del vagone, nel punto in cui si trovava la donna quando vi erano entrati, e iniziò a perlustrare la porta di intercomunicazione fra carrozze su cui si era appoggiata la donna prima del decesso. La porta era chiusa a chiave, e anche il finestrino era chiuso, ma non bloccato.

“Inoltre,” completò il ragionamento, “prima che si spegnesse ho notato sullo schermo del suo tablet il logo del parlamento in cima a una pagina web.”

“Il solito occhio brillante,” lo complimentò John, sorpreso come sempre da quanti elementi riuscisse a catturare ed elaborare l'amico con la sua vista aquilina.

Il vagone raggiunse la sua fermata, iniziò a rallentare nei pressi del binario, per arrivare a fermarsi completamente. Il tipico richiamo acuto avvertì dell'apertura delle porte.

“Blocca la porta!” ordinò Sherlock all'amico così che il treno non ripartisse, e con un balzo si gettò immediatamente fuori sul binario, correndo verso la sicurezza della metropolitana che, appostata sulla banchina, vigilava il transito.

“Fermate il treno!” urlò ai due uomini della sicurezza, mentre i pochi passeggeri usciti dai vagoni antecedenti al suo si fermavano per voltarsi a guardarlo confusi. “Fermate il treno, c'è stato un omicidio!”

Gli uomini del servizio di sicurezza metropolitana notarono l'aria genuinamente preoccupata di Sherlock e di John rimasto a fare il palo, e prendendo sul serio il grido d'allarme accorsero subito verso il penultimo vagone del treno per accertarsi di cosa stesse succedendo. Avvicinandosi, già dai finestrini poterono scorgere la vasta macchia di sangue che copriva il fondo di gran parte del vagone, e la schiena della vittima. Si affacciarono appena dentro al vagone, e uno dei due prese immediatamente la radio di servizio per lanciare un comunicato sul fermo del treno, l'altro fece poco dopo lo stesso per chiamare la squadra di polizia interna alla metro sulla scena del delitto.

“Cosa sta succedendo?!”

“Omicidio?!”

L'esiguo gruppo di passeggeri appena scesi dal treno, e di quelli che si accingevano a salirci, incominciò a farsi molto sonoro con domande e stupore, e la sicurezza fu costretta a occuparsi di farli restare calmi e lontani dalla scena del delitto, cercando di tenere d'occhio tutto in attesa dei rinforzi.

“Ma com'è possibile, c'eravamo solo noi sul vagone,” chiedeva perplesso John avvicinandosi a Sherlock e lasciando la sua posizione di fermaporta ormai superflua, ora che la corsa del treno era stata interrotta dalle autorità. Quella punta di eccitazione e curiosità che lo portava a cacciarsi sempre in situazione pericolose lo aveva risvegliato dalla nebbia alcolica. “Era tutto chiuso, e il treno era in corsa, non è che potesse entrare qualcuno!” aggiunse.

Sherlock aveva un mezzo sogghigno di sfida e concentrazione nel volto. Riconoscendo quella espressione, John sapeva che l'amico stava già calcolando tutte le possibilità e mettendo insieme i pezzi del puzzle. Se prima avevano notato l'aria preoccupata della coppia di detective, adesso che i due si erano riavvicinati e stavano parlando in modo concitato, gli uomini della sicurezza iniziarono a chiedersi chi fossero questi due, cosa stessero confabulando, e perché avessero quell'espressione elettrizzata di eccitazione nello sguardo.

“State calmi, la situazione è sotto controllo,” intimava la sicurezza ai viaggiatori, mentre continuavano a scambiarsi comunicazioni con gli altri agenti via radio.

Fra la calca formatasi, una giovane donna, vestita di tutto punto, con in mano una borsa portadocumenti scura altrettanto professionale, cercava di farsi largo per allontanarsi dal binario, apparentemente non interessata al tragico evento che stava trattenendo tutti gli altri. Sherlock la notò subito. Nell'altra mano, il dettaglio che più di tutti gli altri lo colpì: un cellulare con attaccato un gancio a morsetto per treppiede.

In pochi minuti, una squadra di polizia composta da una manciata di agenti raggiunse il binario. Vedendo che la donna che lo aveva insospettito si stava allontanando, Sherlock cercò di intervenire.

“Fermate quella donna!” tuonò con uno slancio.

“Ehi, ehi, stattene buono,” lo bloccò immediatamente uno dei poliziotti, spingendogli una mano contro il petto per tenerlo indietro, “chi saresti?”

“È il signore che ci ha comunicato del cadavere, era nel vagone,” precisò uno degli addetti alla sicurezza.

“Eravamo nel treno con la vittima, è saltata la corrente, l'abbiamo trovata morta per terra, siamo venuti a comunicarvelo, e adesso voi vi state facendo scappare una possibile colpevole!” rispose Sherlock, accalorato e infastidito dal contatto forzato.

“Ah quindi eravate con la vittima prima del decesso,” fece con aria insinuante un altro dei poliziotti.

“Decesso? Quale decesso?” intervenne John a supporto, “è stata chiaramente uccisa! Ha un buco nel collo!”

“Uccisa,” continuò con una sfumatura sarcastica il primo poliziotto, che dall'atteggiamento strafottente sembrava essere a capo della squadra, “dentro al treno in corsa in cui vi trovavate anche voi.”

L'elegante donna sospetta era ormai fuori dal campo visivo di Sherlock, probabilmente si era già defilata approfittando dell'occasione. Altri agenti di polizia si stavano introducendo dentro il vagone e stavano iniziando a perlustrare la scena del delitto.

“Poi l'abbiamo trovata morta per terra, siamo venuti a comunicarvelo, vi siete fatti scappare una possibile colpevole, e adesso state contaminando la scena del crimine!” riprese Sherlock, sempre più indignato. “Un ottimo lavoro come sempre, siete al livello di Scotland Yard.”

“Moderi subito questo atteggiamento, signore.”

Ignorando il rimprovero del poliziotto, con uno colpo forzoso del braccio Sherlock cercò di scollarsi di dosso la mano che lo stava tenendo a freno per spingersi verso la folla e seguire la donna misteriosa, ma il poliziotto lo blocco immediatamente, tornando a spingerlo indietro.

“Dove pensa di andare?!” gli urlò, “sta cercando di scappare!?”

“Non sono io che sto scappan-”

“Bloccate le uscite al binario!” intimò il poliziotto ai suoi colleghi, che subito raggiunsero la posizione per impedire l'uscita o ingresso di altre persone attraverso i varchi del sottopassaggio.

“Ormai è troppo tardi, stupido idiota, se n'è già andata!”

Dimenandosi più forte, con un nuovo scatto del braccio Sherlock si liberò dalla presa del poliziotto e cercò di muovere qualche passo, ma quest'ultimo gli fu di nuovo subito addosso. Il poliziotto afferrò Sherlock per il braccio con cui aveva cercato di liberarsi, glielo girò prepotentemente dietro la schiena facendolo girare, e con violenza lo spinse contro l'esterno del treno. Il torso di Sherlock colpì forte il fianco del treno con un tonfo sordo, sbattendo quasi la faccia contro al finestrine, e rimase incollato lì senza potersi spostare, sotto la continua pressione del poliziotto che adesso gli stava addosso per immobilizzarlo completamente.

“Come si permette!” tuonò John, acceso di rabbia dall'atto di inutile violenza contro Sherlock.

Istintivamente, anche lui si portò avanti contro i poliziotti per fronteggiarli e andare in aiuto all'amico.

“Non avete alcuna idea di chi io sia, brutti incompetenti?!” stava già inveendo Sherlock, tentando invano di scrollarsi il poliziotto di dosso. “Sono Sherlock Holmes, il detective più brillante di Londra!”

“Sì, e io ho le ruote!” lo canzonava il poliziotto, continuando a premerlo contro l'esterno del vagone.

“Lo lasci andare immediatamente!” imprecò duro John buttandosi contro i poliziotti, che facendo scudo umano contro il collega impegnato con Sherlock lo tenevano indietro. “Lo lasci andare!”

Sempre più alterato, complice il suo caratteraccio e il fuoco dell'alcol che ancora scorreva forte nelle sue vene, John iniziò a lanciare colpi contro le forze dell'ordine per farsi spazio fra loro, e preso finì anche lui circondato e immobilizzato dai un paio di poliziotti. Le guardie lo agguantavano in tutti i modi per braccia, torso, spalle per cercare di tenerlo a freno, ma non c'era verso di tener buono John, che quando vedeva Sherlock in pericolo non ci vedeva più.

“Mi lascia andare, sono Sherlock Holmes!” urlava uno.

“Lo lasci andare, è Sherlock Holmes!” gridava l'altro.

Facevano più trambusto della misera folla ferma lungo il binario, che li guardava con occhi di timore e condanna già pronta a designarli come i colpevoli del crimine. Presto, la situazione superò il limite, e il capo della squadra di polizia si trovò costretto a prendere provvedimenti per riprendere il controllo.

“Arrestate questi due!”

Con un tonfo metallico, in men che non si dica Sherlock e John si ritrovarono sbattuti in gattabuia.

“Perché va a finire sempre così quando ti do retta, Sherlock!” disse John dando un colpo alla parete, fra lo sconforto e l'irritazione ma ancora con l'adrenalina addosso.

Sherlock si stava ambientando nella cella, definendone lo spazio a piccoli passi, e andando a raggiungere il letto posto nel lato più estremo, a cui si appoggiò puntellandolo con un piede.

“Mi sembra che tu abbai fatto tutto di testa tua, sinceramente,” rispose il collega, beffardo anche in questa situazione compromettente.

“È sempre colpa mia, sempre,” ribatté John, sconfortato ma ribollente di eccitazione nella voce per l'accaduto in stazione.

“Almeno potresti ammettere che ti diverte,” lo punzecchiò Sherlock, fuori luogo.

Con uno scatto fulmineo, John gli si gettò addosso e lo afferrò per il bavero della camicia con entrambe le mani, come se stesse per dargli un pugno sul naso. Il suo corpo era contratto come se stesse caricando nelle braccia tutta la rabbia e dolore che aveva covato negli ultimi mesi e che la disavventura alcolica aveva fatto venire a galla. Le mani serrate in pugni stringevano così forte il colletto di Sherlock quasi da poterlo strappare, come se tutte le confuse emozioni del dottore si stessero concentrando nelle sue mani. La sua faccia, rigida in un'espressione torva, con le sopracciglia aggrottate che gettavano sugli occhi un'ombra minacciosa, si trovava a pochi centimetri da quella di Sherlock; gli occhi truci di John, con un'impassibile espressione raggelante che il detective aveva visto nella faccia dell'amico solo poche altre volte, perforavano i suoi. E nonostante il visibile stato emotivo alterato del compagno, Sherlock non poteva trattenersi dall'ironizzare.

“Non ci sarà bisogno di pregarti di darmi un pugno questa volta, eh?” sogghignò.

“Senti la musica nella tua testa quando dici queste stronzate?” gli soffiò in faccia John, carico di troppe emozioni.

Le sue mani strette come morse non volevano lasciare la presa, il suo sguardo fiammeggiante non voleva accennare a spostarsi dagli occhi di ghiaccio di Sherlock. La molla interiore di John sembrava ad un passo dallo scattare mentre la tensione fra i due montava a un livello insostenibile. Una tensione accumulata e covata per molto tempo, e che andava ben oltre gli eventi accaduti quella sera, o la rivelazione sull'identità di Mary. Una tensione tale che se ne potevano vedere le scintille ad occhio nudo, così pesante e così radicata nel loro rapporto ma che nessuno dei due uomini aveva mai avuto il coraggio di riconoscere o esternare, eppure sempre così costantemente presente. Una tensione che stava fremendo e strepitando e scalpitando.

Sotto la stretta del compagno, oppresso dalla presenza incalzante sul suo corpo e dal fuoco nei suoi occhi che sembravano volerlo distruggere col pensiero, Sherlock dovette distogliere lo sguardo, e farlo scendere su qualcosa di più sostenibile. Abbassando gli occhi sulla bocca di John, Sherlock poteva vedere vicina come non mai la linea della mascella del dottore, e la barbetta corta che la marcava. Poteva immaginare la sensazione ispida che avrebbe avuto al tatto. Riusciva quasi a sentire la sensazione pungente che avrebbe avuto al contatto con la sua pelle. Voleva provare quella sensazione di frizione contro la sua carne. Il respiro concitato di John soffiava nella faccia di Sherlock l'odore pesante del suo alito alcolico in una maniera terribilmente inebriante. Rilassando impercettibilmente la fronte e allentando lo sguardo, anche gli occhi di John stavano inesorabilmente calando fino a posarsi sulle labbra di Sherlock, scorrendo sull'onda definita del suo labbro superiore.

“Mi odio proprio allora,” sussurrò Sherlock. Tutti i dubbi e i pensieri sui torti che aveva commesso contro l'amico, sul dolore che gli aveva provocato, e sul rancore che l'altro doveva ancora provare contro di lui, tornarono a ronzare nella sua testa.

Di colpo, l'aggressività e frenesia di John fu spenta e cancellata di lampo. La morsa con cui imprigionava l'amico si sciolse, abbassò le mani ai fianchi, girò lo sguardo a terra, e voltandosi mosse qualche passo per allontanarsi verso la parete. Anche Sherlock riprese a respirare.

“Non ti odio,” disse John, dopo qualche infinito secondo di silenzio, “non potrei mai odiarti.”

Sherlock iniziò a ricomporsi, sistemando il suo colletto sgualcito e rimettendosi per bene in equilibrio sui piedi, mentre il compagno che adesso gli voltava le spalle continuava a parlare.

“A volte ho davvero creduto di odiarti per settimane,” aggiunse, “ma non potrei mai odiarti.”

“John...” accennò Sherlock, ma dire 'mi dispiace' era una delle cose più difficili per lui.

“Anzi,” esalò John con pesantezza, le parole che uscivano con difficoltà anche dalla sua bocca disavvezza dal parlare di questioni emotive e personali, “adesso, senza Mary, sei una delle poche cose che mi tiene in vita.”

Quelle parole presero Sherlock alla sprovvista. Erano troppo piene di significato per riuscire a incassarle, e lui non sapeva mai come gestire un segno di affetto. Ogni sentimento era così troppo forte per lui che lo lasciava semplicemente annientato.

La tensione fra i due si era tramutata in una ancora più opprimente, incolmabile e intoccabile. Meglio cambiare discorso.

Fu quello che fece John, staccando gli occhi dalla parete che stava fissando, per tornare a voltarsi nella direzione di Sherlock.

“Quindi? Come pensi di tirarci fuori da qui?” gli chiese. Alla fine, faceva sempre affidamento sul fatto che il compagno avesse una soluzione.

“Oh, non sarà un problema,” rispose Sherlock rincuorato, con un mezzo sorriso.

Coprendo la lunghezza della stanza con un paio di lunghe falcate, raggiunse la porta metallica e diede un paio di colpi decisi per richiamare l'attenzione della guardia appostata di sentinella nel corridoio antistante.

“Guardia! Guardia!” prese a chiamare, finché non vide dalla finestrella sbarrata della porta che questa si era avvicinata, “chiami Scotland Yard, Ispettore Greg Lestrade, così che possa chiarire questo malinteso!”

“Sono già qui,” di lontano, la voce di Lestrade gli fece eco. “Quindi,” aggiunse, raggiungendo la porta della cella di John e Sherlock e guardando quest'ultimo in facci attraverso le sbarre, “ti ricordi anche il mio nome quando ti fa comodo.”

“Salve Ispettore,” gli rispose Sherlock, simulando freddezza.

“Tirate fuori questi due fessi,” fece Lestrade alla guardia, che si affrettò subito a estrarre le chiavi, e aprire la porta della cella.

“Grazie, Greg,” lo accolse John.

“Dobbiamo smetterla di incontrarci così,” li salutò Greg, mentre Sherlock e John si apprestavano ad abbandonare dalla cella, e lo seguivano lungo il corridoio verso l'uscita, “e sarà meglio che nessuno di voi due abbia commesso un omicidio o ne andrà della mia reputazione, visto che vi ho liberato sulla parola.”

“E per sdebitarmi catturerò il colpevole, come sempre,” ribatté Sherlock.

“Hai già qualche idea?” gli chiese Greg, curioso.

“Ho già risolto il caso e so già chi è il colpevole,” replicò Sherlock come se niente fosse, mentre lasciavano l'edificio e si affacciavano nella rumorosa e trafficata strada londinese di fronte.

“Non guardatemi con quella faccia,” aggiunse in risposta alle espressioni equamente stupite di John e Greg, “è un caso così ovvio e banale che riusciresti a risolverlo anche tu, Scotland Yard.”

Con questo, prese ad incamminarsi verso sinistra, i due amici al seguito.

“Sono sicuro che stia esagerando,” scherzò John verso Greg, sarcastico.

“Mi serve solo che tu faccia il lavoro burocratico, Lestrade,” continuò Sherlock, camminando, “e che chiami l'assassina in commissariato.”

“Dovrai darmi qualche elemento prima di procedere ad un fermo, però,” lo ammonì Lestrade, trottando al suo seguito.

“Ho tutti gli elementi e le prove che vuoi,” lo rassicurò Sherlock, “mi serve soltanto una cosa.”

“Cosa?” gli chiese perplesso John, tenendogli il passo.

“Voglio sapere perché.”

***

Nel prossimo capitolo: La risoluzione del caso? … e la risoluzione della tensione fra Sherlock e John???

***

Nota dell'autore: Grazie a tutti quelli che hanno letto la storia, in particolare a chi è stato così gentile da decidere di seguirla e metterla fra i preferiti. Un ringraziamento speciale a dalia97 e Hotaru_Tomoe per le loro gentili recensioni, mi hanno fatto molto piacere. Spero che anche questo capitolo abbia colpito la vostra curiosità e sia stato di vostro gradimento, se vorrete lasciarmi dei commenti e considerazioni nelle recensioni sono davvero molto apprezzati. Grazie ancora per la lettura, ci vediamo la prossima settimana con il prossimo capitolo!

  
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