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Autore: hidemi    26/02/2016    1 recensioni
Ognuno in sé stesso ha la chiave per andare avanti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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C'era una volta una ragazza che era nata con delle gambe molto fragili, cosa che le aveva causato non pochi problemi, poiché il peso dell'aria gravava su di lei in modo insopportabile. 
Si ricordava che, alla scuola elementare, quando i suoi compagni saltavano la corda, era solita rimanere in un angolo del cortile. Li osservava fare a gara e ridere, cosa che avrebbe voluto fare anche lei. Ma non poteva, e ogni volta che provava cadeva rovinosamente a terra, sbucciandosi mani e ginocchia. E come sopportare poi i piccoli sussurri maligni delle persone? Gli altri parlavano animatamente, ibernati in una superiorità conquistata, offuscati e cechi. Ma la ragazza, dal posto in basso che si era a stento guadagnata, riusciva a vedere e capire le cose molto meglio di loro. Ma lei non lo sapeva. Presto quindi iniziò a chiedersi come fosse la visuale per le altre persone, che potevano sempre innalzarsi qualche centimetro in più di lei, semplicemente facendo un salto. Ma capiva anche che tale curiosità non poteva essere in nessun modo soddisfatta, cosa che le procurò un altro po' di dolore, accumulato goccia per goccia durante gli anni. Le cose peggiorarono quando si scoprì che aveva una malattia dal nome frizzante che presto le avrebbe bloccato le gambe. Lei aveva 16 anni. Dicevano che era una cosa che si trasmetteva in famiglia. Presto, quindi, iniziò a non andarle più bene la sua piccola e infima estensione spaziale, che la comprimeva orribilmente. Il battito del suo cuore rimbombava nelle sue viscere facendola quasi scoppiare. Lei voleva tendersi verso l'alto, liberarsi del suo dolore, non sentirlo, ma invece riusciva solo a camminare con la schiena curva e con i piedi striscianti. Cercava con tutte le sue forze di non cadere, ma falliva miseramente. 
Quindi, un bel giorno, decise di stare ferma, in attesa che non avesse più potuto fare altrimenti: leggeva libri, vedeva film, mangiava, dormiva e andava in bagno. E quando sua madre la andava ad avvisare che fuori c'era una bella giornata, lei ascoltava. 
Una volta sua madre le disse che in cielo non c'era neanche una nuvola, e lei pensò che fosse l'occasione giusta per scappare. Disse che voleva andare a fare un giro. Un piccolo movimento dopo l'altro, una stampella dopo l'altra, era arrivata alla fermata ad aspettare l'autobus. Lo prese e scese nel punto più alto, dove il mare si confondeva con il cielo, che sembrava raggiungibile con un dito. Aveva sempre avuto l'impressione che tanto più si trovava più in alto del mare, tanto meno il peso sulle spalle si faceva sentire. Forse è una questione di fisica, si diceva, anche se lei non sapeva molto di fisica. E adesso si era seduta a guardare il cielo limpido che pareva di vetro. Avrebbe voluto romperlo in mille pezzi con la sua forza. Chiuse gli occhi e immaginò di oltrepassare l'atmosfera e l'estremo limite, lasciando alle sue spalle solo schegge. Fu un attimo, che aprì gli occhi e ritornò la vertigine. Si sentì gelare il sangue quando si rese conto di non riuscire ad alzarsi da terra. Iniziò ad arrabbiarsi e a schiaffeggiarsi le gambe, supplicando con voce tremante. Si chiese se il suo destino non fosse rimanere inchiodata in quel posto a vita, tormentata dal cielo così vicino ma ancora così lontano. 
Rimase in silenzio per trattenere le lacrime, e in quel silenzio sentì qualcuno correre e poi rallentare accanto a lei. Aspettò, poi si voltò. 
Un ragazzo con il fiatone da corsa la stava osservando con la fronte aggrottata. Apparteneva al gruppo di corridori che ogni mattina passava di lì. Quasi spaventata, gli chiese se si conoscevano. 
-Credo di no- disse con un tono semplice, naturale, quasi scherzoso. 
-Io non ti ho mai visto- rispose lei sperando che il ragazzo si allontanasse, ma lui rispose prontamente. 
-Probabile. Mi sono trasferito qui ieri- 
-Non c'è molto da fare in questo posto- disse più a se stessa che a lui, con un sorriso amaro. 
-Invece sembra che tu riesca a gestire bene la noia- 
-E' meglio correre che fissare il cielo, non credi?- 
-Sinceramente, non saprei- 
-Ok, basta. Cosa vuoi?- chiese, ogni secondo più sorpresa da quello strano ragazzo. 
Il corridore però non rispose, e iniziò a cercare qualcosa nelle tasche: estrasse una piccola monetina da un centesimo, e si sedette accanto a lei. Gliela porse e lei lo guardò male. 
-Una moneta per i tuoi pensieri- disse, come se fosse ovvio. La ragazzza tese la mano e lui posò la piccola monetina sul suo palmo. Fu un attimo che lei la scagliò con un gesto fluido oltre lo strapiombo, dritta verso il mare. Ma successe qualcosa di inaspettato: nel punto in aria in cui la monetina avrebbe dovuto iniziare la sua caduta verso la distesa d'acqua, si innalzò, volando a massima velocità verso il cielo e perdendosi tra le nuvole. Si portarono entrambi le mani alla bocca. Poi il corridore la aiutò ad alzarsi e corse con lei verso casa. 
 
Perdere l'uso delle gambe non era fu poi così drammatico. Il corridore infatti la portava in giro sulle spalle ogni giorno. Le piaceva, quando saltava e correva: sentiva il vento sfiorarle frettolosamente le guance e la vista era bellissima, quasi quanto il corridore. Con lui era felice di quella felicità che ti solletica gli occhi. Un giorno però, lei, attanagliata da un dubbio, parlò: 
-Prima o poi ti stancherai di me- disse carezzando la schiena del corridore, sdraiato accanto a lei. Lui la guardò stranito. 
-Perché pensi una cosa simile?- 
-Tu mi dai tutto e io non posso darti nulla- 
-Una cosa me la puoi dare-. Lei rise dandogli un buffetto sulla fronte. -Ma cosa vai a pensare! parlavo del tuo cuore, del tuo bellissimo cuore-. La ragazza tacque sorpresa. 
-Dovrei darti il mio cuore?- soffiò. 
-Devi decidere tu-. 
Lei rimase in silenzio ad ascoltare il suo battito accelerato. Mai aveva pensato di avere la possibilità di vivere senza questo terribile peso. Ora che lo scoprì possibile, a stento resistette all'impulso di strapparselo via da sola. 
-Prendilo, prendilo subito- disse infine, con voce tremante. Il corridore annuì e si avvicinò alle sue labbra. 
-Lo custodirò con cura, te lo giuro, amore mio- 
-E ti basterà?- 
-Sì. Pulsa sangue più di ogni altro cuore e fa un rumore bellissimo. E' cosi vivo e reale, così calmo. E' il tuo cuore che mi ha portato da te. Ne ho sentito il battito da lontano e sono corso da te-. 
La separazione fu indolore. Poi avevano fatto di nuovo l'Amore. Lui la schiacciava con il suo peso e lei chiudeva gli occhi. In quel modo riusciva a vedere un infinito infiammato. Lui glieli baciava. Il corridore era diventato la sua unica e meravigliosa fonte di vita. 
 
Togliersi il cuore era stato come liberarsi da un peso: dopo averlo posto nelle mani del corridore, aveva subito riacquisito l'uso delle gambe. Ora si sentiva più leggera, fluttuava in quella dolce aria che invade il mondo. E il corridore non le aveva mentito: non si stancò mai di lei. Il loro Amore era cresciuto giorno dopo giorno, anno dopo anno. Insieme avevano superato tutti i periodi bui che gli si erano presentati, e il corridore aveva alleviato il dolore di lei prendendosi cura del suo cuore. Decisero di comprare il terreno in cima alla montagna, dove si erano conosciuti da ragazzi. Lì costruirono una casa bianca con le vetrate colorate dalle quali osservavano il cielo e il mare. Li lì era felice e dipingeva cose belle. 
Ma presto quest'assenza di dolore iniziò a farle anche più male del dolore stesso. Infatti senza di esso, il suo cuore, diceva il corridore, batteva più debolmente. 
-E' strano. Forse dovremmo tornare in città- le disse un giorno, mentre stavano seduti sul bordo dello strapiombo. 
-No! io voglio stare qui- aveva detto lei guardando il cielo. 
-Devi ascoltarmi: qui non va bene. Fidati, conosco i cuori delle persone. Senza stimoli si indeboliscono- 
-Ma c'è il nostro Amore- 
-Il nostro Amore è troppo facile- disse debolmente il corridore. 
-E quindi?- chiese lei leggermente spaventata da quell'affermazione. 
-Quindi il nostro Amore ti inibisce. Forse dovrei ridarti il cuore. Forse gestendolo tu da sola, ritornerebbe ardente come prima-. 
Fu un attimo che la ragazza si ritrovò fra le mani il suo cuore pulsante, mentre nervosamente spargeva sangue dappertutto. 
Il corridore se ne stava andando. 
Era disgustata alla vista di quel pezzo di carne rosso vivo che si contraeva nelle sue mani, non lo voleva nel suo petto, non lo voleva, e nella disperazione getto il suo cuore in mare. Ma questo, come quella monetina di tanti anni fa, era volato via. Il corridore, una volta accortosi di ciò che era appena successo, corse indietro e la prese per le spalle gridando cosa avesse fatto. Pianse abbracciato a lei, ma lei non rispondeva 
Da quel momento in poi, lei respirava ma il suo sguardo non vibrava del suo ardore. Piegava le labbra non sorrideva. Piangeva ma le sue lacrime erano asciutte. Dipingeva ma i suoi dipinti erano bianchi. Faceva l'amore ma non chiudeva gli occhi. Sfioriva ogni giorno, e presto sarebbe appassita. E il corridore appassiva con lei, sentendo la mancanza del suo cuore e del suo ardore perduto. 
 
Il corridore era rimasto con lei a prendersi cura delle sue macerie, nella speranza di trovare una soluzione. Un giorno, prese la grande decisione: mentre lei dormiva, lui si gettò nello strapiombo pronto ad andare a recuperare il suo cuore. Il vento invernale lo sollevò in alto e presto l'insopportabile senso di vertigine passò, quando colpì il limite dell'atmosfera rompendo il cielo in mille pezzi.Si ritrovò sopra le nuvole e sopra il mondo nell'oblio oscuro. Dovette concentrarsi per non perdere di vista il suo scopo e lasciarsi andare. Intravide una piccola macchia rosa pallido in quell'oceano di tenebra, e lo riconobbe, era il suo cuore. Lo raggiunse e prendendolo in mano si accorse che era freddo. Lo strinse a per riscaldarlo e lo cullò dolcemente. Prestò iniziò a pompare sangue. 
Decise che era il momento giusto per tornare, e il corridore corse, come suo solito, verso la ragazza, sfidando i limiti del mondo e dell'Universo. Precipitò verso la Terra e verso la loro casa bianca nella punta della montagna: lì imperversava una tempesta, la più violenta che avesse mai visto, e in mezzo alla pioggia il corridore scorse lei, che agitava disperatamente le braccia per farsi vedere. 
Dal suo cuore schizzava il sangue copiosamente. Quando la raggiunse lei gli si gettò al collo e pianse dicendo che aveva avuto paura di perderlo per sempre. 
-Lo sai che torno sempre da te- le aveva risposto lui asciugandole le lacrime e baciandole i capelli. Quando si staccarono, lei osservò il suo cuore con circospezione. 
-Devi tenerlo tu, lo sai- le disse il corridore, sovrastando il rumore del vento e della pioggia. 
-No, ti prego! non lo voglio. E poi tu cosa farai senza il mio cuore, te ne andrai?- 
-Come potrei? Io voglio te. E voglio la tua felicità, il tuo ardore! Voglio che tu sia piena di vita. Voglio che tu brilli e voglio starti accanto mentre lo fai. E per farlo, questo lo devi tenere tu-. La supplicò gridando per farsi sentire, e porgendole il suo cuore. Lei lo guardò, e infine annuì. Lentamente, il corridore, lo collocò al centro del suo petto, tra i polmoni. In quel momento le crollarono le gambe e lui la prese al volo. 
-Non riesco... non riesco a brillare... perdonami...- annaspò ei, aggrappandosi alle sue braccia. 
-E invece non ti ho mai vista così splendente. Sentilo, il tuo dolore, imprimilo bene nel tuo cuore. E' questa la chiave, amore mio-. 
La ragazza iniziò a piangere, e entrambi si accasciarono a terra spinti dal peso dell'aria e della tempesta. Lei si disperava, vomitava lacrime represse durante tutti quegli anni. Lacrime che non erano mai uscite e che erano state rattoppate con spesso cotone. E quando toccò il fondo, le lacrime si esaurirono. Ma quelle lacrime versate non l'avevano svuotata, no, perchè la loro traccia era rimasta impressa nel suo cuore, intatto fino a poco prima. E quel senso di pienezza mai provato prima le fece comprendere che ogni istante della sua esistenza era servito per raggiungerlo; ogni pena, ogni dolore, ogni caduta, era servita affinché lei in quel momento si potesse finalmente alzare in piedi. 
Proprio per questo, lei brillò per il resto della sua vita, insieme al corridore. 

   
 
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