9/11/2015
Andava sempre così. Gennaro si innamorava, si sentiva parte di qualcosa di infinitamente coinvolgente e veniva scartato.
Aspettava.
Forse stava aspettando l'ennesima ragazza che l'aveva lasciato da solo, oppure aspettava che Alessio si presentasse da lui con in mano un contratto discografico - è poco soddisfacente sognare -, aspettava la chiamata di sua madre che gli chiedeva se gli andava di mangiare da lei a cena, aspettava una folata di aria fresca che gli avrebbe inondato il viso.
Aspettava.
Cosa aspettasse con precisione in quel momento, poco importava. Voleva provare qualcosa di nuovo che non fosse la stanchezza di quella giornata che gli aveva portato solo scontentezza e sconforto.
Era appollaiato su uno scoglio, sulla prima spiaggia isolata che aveva avuto l'opportunità di vedere mentre compiva il tragitto per tornare.
Non amava particolarmente il mare. Anzi, non gli piaceva proprio per niente. In fondo il mare è solo tanta acqua, condita altamente male e piena di presenze mute, con occhi a palla e al quanto noiose. Come diavolo fanno tutti gli scrittori e i poeti ad infilare il mare ovunque e a descriverlo come posto romantico e tranquillo?
Perché, seriamente, non è neanche un posto tranquillo. Tralasciando che in un posto come Napoli ogni spiaggia è sempre piena di bambini urlanti, coppiette felici e persone che parlano con un volume della voce elevato alla massima potenza; però, anche prendendo una spiaggia vuota, Genn non riesce a trovare il rumore delle onde che si scontrano sulla spiaggia, un rumore piacevole e rilassante.
Sarà che lui è fatto un po' strano, che riesce a rilassarsi con le canzoni dei Nirvana a tutto volume e ad irritarsi con il rumore del mare, ma tanto questo è il bello. Riuscire ad avere le proprio particolarità.