underwater
And if you have to leave
I wish that you would just leave
’Cause your presence still lingers here
And it won't leave me alone
These wounds won’t seem to heal
This pain is just too real
There’s just too much that time cannot erase
My Immortal ~ Evanescence
La pioggia scrosciava sulle foglie degli alberi, inzuppando interamente la foresta, l’erba, le zolle di terreno marrone, i fiori piegati dalle gocce gravide, i suoi vestiti sporchi e la sua pelle. La sua pelle che non era un’armatura, ma qualcosa di friabile, simile a carta velina dove si infiltrava ogni piccola particella d’acqua, scendendo dentro di lui.
Stilla dopo stilla.
Riusciva a percepire ogni singolo tocco di quella pioggia, annullandosi nella danza delle gocce: lui era un oggetto immobile sotto di loro, sotto le loro carezze e i loro schiaffi, sotto quella vita che scivolava via.
Teneva gli occhi sbarrati più tempo possibile, cercando di pensare a qualcosa che non fossero le sue parole – però erano lì, non acqua flebile e smorta ma pietra dura e inamovibile, conficcata nel suo cuore.
Erano lì, rimbombanti di ira e di disperazione, e il suono del suo cuore – il suono del disgregarsi in pezzi mutilati, dove la parte mancante era anche la più importante, ormai persa e gettata via sotto la tempesta – lo poteva percepire, troppo debole in confronto alla pioggia silenziosa.
«Me lo avresti dovuto dire. Me lo avresti dovuto dire, Merlin!»
«Per cosa, per quale motivo?»
«Perché io volevo la verità, da te. La pretendevo.»
«Ma... ma cosa sarebbe cambiato? Mi avresti scacciato proprio come fai ora.» E Merlin, nonostante tutto, ammetteva a sé che sarebbe dovuto allontanarsi da lui. Questo era inimmaginabile.
«Avrei trovato qualcosa per...»
«Per?»
Ma Arthur non continuò la sua frase, si morse il labbro, fece qualche passo stizzito, si grattò la testa con furia e fissò Merlin per un istante. «Devi andartene, mago, o sarò costretto ad ucciderti.»
Merlin sbatté le palpebre, fissandolo con dolore. «Arthur, sire. Siete fin troppo gentile.»
«Non fare sarcasmo con me, vattene via e non farti più vedere.» sbottò Arthur. Gli dava una possibilità irripetibile: poter continuare a vivere, invece di finire su una forca in piazza.
«V-va bene.» mormorò Merlin, facendo un passo indietro, verso la foresta e una nuova vita. Si voltò qualche istante dopo, senza guardare negli occhi del suo signore, e scappò via, con la grazia del principe appesa al collo e un dolore che si espandeva piano piano, dalla gola verso il basso.
Arthur, rimasto a vederlo andare via, percepì l’orgoglio ferito, la delusione collimare nel suo corpo, la presenza asfissiante della verità sulla testa e... e il desiderio di inseguire Merlin, di non lasciarlo fuggire via, di fermarlo fra le sue braccia.
Eppure era giusto così. Più della vita e della promessa di non incontrarlo mai più, non poteva dare altro. Non pretendeva nulla, da un giocattolo nelle sue mani.
Anche se, al di là del desiderio, della lussuria, del sarcasmo, sentiva quel dolore soffocante che si provava nel perdere ciò che si ama.
La pioggia si era infiltrata sotto i vestiti, sotto la pelle, sotto i muscoli e le ossa, fino al suo cuore mutilato. Merlin non avrebbe potuto guarirlo nemmeno con la magia e non era certo di volerlo fare.
Coricato sull’erba, sentiva la tempesta scemare, sentiva il dolore pulsante, l’acqua dentro di sé e al di fuori, il fantasma di Merlin lì accanto.
Il suo profumo, i suoi cazzotti, i suoi sguardi e la sua lingua lunga, le sue mani grandi, le sue imprecazioni, la caccia, le frecce, le stoccate, la lotta. Qualunque cosa.
Alla fine era così che doveva andare: lui era un mago e la magia era bandita dal regno. Era maligna.
Arthur era il principe. Era normale, era normale salvarlo, era normale mandarlo via e non ucciderlo, era normale...
Sotto l’acqua, nella foresta, Merlin pensava che – dopotutto – poteva ancora sperare di guarire quella ferita sanguinante, mentre il ricordo viveva in lui. Nemmeno un po’ sbiadito, Arthur lo stava insultando per non avergli pulito a dovere i calzoni, e adesso gli dava uno schiaffetto sul collo, e adesso con le sue labbra gli baciava la guancia, e adesso gli carezzava la bocca.
Non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo, e Merlin era pieno di Arthur – e di pioggia, di pioggia nella sua pelle.
~
N/A:
One shot, 674 parole.
"Non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo" è una citazione del libro Paula di Isabelle Allende. Se i personaggi sono OOC non lo so: ho solo provato a vedere il dolore di un addio non pronunciato fra i due. In più non ho mai seguito il telefilm, perciò sono andata un poco a caso.
La <<con la grazia del principe appesa al collo>> è riferita alla grazia di Arthur a Merlin, cioè quando si da la grazia a un carcerato, scontandogli la pena. Qui è riferito al fatto che lo fa fuggire via, invece di farlo uccidere (e come potrebbe? <3).
Il titolo l'ho preso da LJcommunity 2x5obsession, probabilmente ha un senso o forse no, però ci stava ed è ispirante... perciò it's good, it's good.
Ho finito, la fic non ha molto senso e fa un po' schifo, però va bene. xD
Kò
Edit:
Ehhh sì ♥! *__*