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Autore: Mikaeru    02/03/2016    4 recensioni
[post 3.13] “Avrei scommesso su una tempistica più lunga. Continui a stupirmi, Will, e dev’essere questa l’origine dei miei sentimenti per te.”
Sentimenti. Gli ha confessato un omicidio e lui parla dei suoi sentimenti. Sa che non si sarebbe potuto aspettare altro, lo sa perfettamente, eppure lo manda in bestia. Estingue la distanza tra loro due con la rapidità di un predatore, lo spinge – no, lo sbatte contro il muro. Pestano i cocci dell’orologio.
“È colpa tua, Hannibal. Se sono diventato così è colpa tua.”
Ha le mani attorno al suo collo prima di accorgersene. Non ha mai sognato di soffocarlo, però adesso gli sembra l’unico modo di ucciderlo. Stringe fino a quando non lo vede diventare pallido – ed è proprio quando diventa pallido che si rende conto di quello che sta compiendo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It’s no use going back to yesterday, because I was a different person then.
― Lewis Carroll, Alice in Wonderland
 
v.
 
Sente il collo del ragazzo spezzarsi sotto le dita, e sorride con un lungo sospiro di soddisfazione. Pensa che Hannibal saprebbe riportare con precisione tutte le parti che si stanno rompendo, e saprebbe elencarne i nomi in latino. Osserva gli occhi del ragazzo accendersi per un attimo per poi offuscarsi del tutto, come un ultimo guizzo del fuoco nel camino. Will stringe di più la presa, fino a quando la testa non ricade di lato, molle come quella di una bambola di pezza. Un brivido gli percorre la schiena, dalla luce fino ai piedi, un guizzo elettrico che lo illumina.
Sbatte gli occhi più volte, e l'adrenalina si tace. Si rende conto di quanto è successo - di ciò che ha fatto succedere. Si tira su in piedi, e la sua vittima (quanto ci è voluto perché quel ragazzo passasse da essere umano ad una mera entità, quanti secondi ha impiegato? Meno di quelli che gli piace pensare.) è sotto di lui, immobile, inerme. C'erano cornucopie e pale d'altare quando immaginava gli omicidi di Hannibal - e ora che è stato lui ad eseguirlo non c'è altro che il buio di una notte con uno spicchio di luna, e sgradevoli rumori boschivi, di animali che hanno assistito alla sua opera e che sono scappati quando l'ha compiuta, nel timore di essere la prossima vittima.
Cade a terra, le sue ginocchia contro quelle del morto. Indietreggia con movimenti isterici. Si guarda le mani che sono pulite e tremano, il sangue non c'è ma lui lo vede, perché non può esserci altro. Tutto ciò che riesce a pensare è Hannibal Hannibal Hannibalhannibalhannibalhannibal.
 
The space between your lungs
 
i.
 
La seconda cosa che vede, quando apre gli occhi, sono gli scogli. La terza è l’acqua, le onde scurissime che sbattono contro la sabbia. La prima è Hannibal.
Ora c’è il suono delle onde, dense come l’inchiostro, lucide e melodiche. (non affogherebbe, se vi nuotasse dentro, troverebbe il modo di respirare; oppure lascerebbe che l’acqua gli entrasse dentro, così da diventare un tutt’uno, così da galleggiare.)
Ora c’è il respiro frastagliato di Hannibal, che piano piano si fa regolare.
“Se non sapessi che in fondo non sei umano non potrei crederci.”
Will cerca di sorridere, ma il dolore al viso è troppo forte. Hannibal rimane a distanza, lo guarda – o, perlomeno, crede che lo stia guardando; l’unica luce è quella lunare attorno agli zigomi, ai contorni del viso. Sono separati da qualche decina di centimetri, lunghi e profondi come un cratere. Inspirano nello stesso momento. Hannibal gli si avvicina, muto. Si inginocchia davanti a lui, ed è un sacrificio di cui sente il suono. Gli accarezza la mascella, e Will immagina la sua mano sulla ferita, dentro fino al polso, dentro fino a cicatrizzarla come ferro incandescente.
“Non lo siamo entrambi,” la voce di Hannibal si sforza di rimanere intatta. (ci sono cocci di vetro e punte di freccia, là sotto, e Will vorrebbe leccarli.)
Questa volta Will gli sorride nonostante il dolore.
“Ma le nostre ferite potrebbero non essere d’accordo con noi.”
Quelle fisiche?, si domanda Will, O parli d’altro ancora una volta?
“No.”
Hannibal, che è quello che sta soffrendo di più, si alza e gli offre una mano. Ha smesso di sanguinare – come fa a saperlo? Ne ha forse sentito il rumore estinto, lo riconosce dall’odore? (c’è una differenza nell’odore?) È cambiato così tanto, in così poco tempo? (oh, ma non è così poco. È cambiato da così tanto.)
“Andiamo,” dice e basta, e Will gli prende la mano, ma si fa passare un braccio attorno alle spalle, perché non si sostenga da solo.
“Andiamo,” ripete Will.
 
Quando Hannibal crolla sul divano lo fa con inaspettata malagrazia, ma non si fa toccare. Will è costretto a guardarlo mentre si aggiusta da solo, come un androide che ha ricevuto precise istruzioni, e gli sembrerebbe surreale se nella sua mente ci fosse ancora spazio abbastanza per stupirsi di qualcosa.
“Non è la prima volta che mi accade,” dice Hannibal, anticipando una domanda che Will non sapeva di stare per esprimere. Non replica. Il viso di Hannibal è tirato, le ragnatele intorno agli occhi si sono fatte più aspre.
C’è uno specchio davanti a lui, sopra il lavandino del bagno, ma non osa guardarsi. Da anni il loro rapporto si è particolarmente inasprito, e non è mai stato uno dei più pacifici. Ha un’idea più o meno solida di ciò che potrebbe vedere, se alzasse gli occhi, per cui li tiene fissi sul pavimento coperto di bende, di cotone, di guanti di lattice. Quando si estrae il proiettile, Will ferma il sangue col primo asciugamano che trova. Hannibal lo ringrazia, sorridendo.
“Posso darti una mano?” si offre Will, esasperato.
“No, Will, devo fare da solo.”
“Devi fare da solo?” replica col tono adatto di chi si trova davanti ad una follia.
“Non possiamo sempre applicare il nostro insindacabile metro di giudizio indistintamente.”
Allora Will lo lascia fare; in fondo, quale essere umano è mai riuscito a farlo desistere?
“Dovresti farmi la cortesia di sederti, devo riaggiustarti un po’.”
Gli fa male persino piegare le ginocchia.
“Dovrei dirti che ti farà male”, Hannibal fa passare il filo attraverso la cruna dell’ago, “ma non credo ci possa essere qualcosa di più doloroso di quello che ci è successo qualche ora fa. In ogni caso non sarà piacevole, e me ne dispiaccio. Stringi i denti e non muoverti.”
Will ubbidisce, e il dolore funziona da anestetizzante. Si morde il labbro fino a spaccarlo, e Hannibal ridacchia una risata da gatto.
“Non farti uscire sangue nel momento in cui io lo fermo da un’altra parte, per favore.”
Sente l’ago passare da parte a parte, ma più di quello sente la mano di Hannibal sul mento. Lo sente tagliare il filo coi denti. “Hai bisogno di darti una ripulita. Vieni con me.”
 
Hannibal gli ha preparato la vasca da bagno. I vetri sono appannati, un buon profumo accarezza le pareti, perché ovviamente Hannibal non si sarebbe mai potuto limitare a mettere semplice acqua calda.
“Tira indietro la testa, ti lavo i capelli.”
L’acqua è rossa, e Will incrocia lo sguardo del suo riflesso spezzato. Gli sorride, quel Will acquatico, mentre lui è  sicuro di non star sorridendo.
Hannibal gli pulisce le ferite con tocchi leggerissimi, e Will quasi non se ne accorge. L’acqua è piacevole, tutto attorno a lui è calmo e tranquillo e, oh, così silenzioso. Calmo. Perfetto.
Lo fa uscire dalla vasca con la cura che avrebbe per un bambino. Lo avvolge nell’asciugamano più morbido che abbia mai sentito contro la pelle, e lo asciuga con delicatezza. (sono ancora quella tazzina di porcellana, Hannibal? Mi sembrava di essermi spezzato, milioni di pezzi come granelli di polvere, e poi essere tornato assieme, meno fragile di prima.) Si rende conto di essere seduto solo quando Hannibal si inginocchia alla sua destra, come il discepolo preferito. Gli asciuga la guancia con meticolosa lentezza.
“Avrei preferito un rito diverso per il tuo battesimo,” gli sorride, “ma forse questo è sufficientemente sacro.”, aggiunge, e gli accarezza la cicatrice.
Will si tocca la guancia, sta per grattarsela, quando Hannibal gli afferra il polso con delicatezza. Lo guarda negli occhi, non parla, e Will abbassa lo sguardo dopo averlo sostenuto per secoli. Hannibal gli appoggia la mano in grembo, ma non gliela lascia andare. Gli osserva un dito alla volta, stringendoli delicatamente.
“Ho sempre desiderato insegnarti a suonare uno strumento, Will,” e il suo sorriso si spegne appena, avverte una nota di tristezza, come l’ingrediente segreto di una pietanza che non puoi vedere, ma solo annusare. “Hai le mani perfette allo scopo. Il pianoforte, direi. O il violoncello,” e continua a guardarle, le accarezza pianissimo. “Ho avuto molto tempo per pensarci. Per immaginare le nostre lezioni,” e alza gli occhi, ora, per guardarlo.
“Ne avrai il tempo,” risponde Will, suggellando un patto. È lui a stringergli il polso, ora, lo afferra con l’intenzione di tirarlo a sé, ma Hannibal lo ferma.
“Non ora. Non adesso, Will,” gli sorride, e Will si domanda se abbia mai smesso di farlo da quando sono entrati in casa.
(è la sposa che entra per la prima volta nella casa nuova che gli provoca questa gioia?)
“E quando, allora?”
“Quando sarà il momento.”
“Quando lo sarà?”
“Lo sentirai. In punta di lingua, in fondo allo stomaco, lungo le gambe, Will.”
Hannibal lo aiuta ad alzarsi, anche se non ne avrebbe bisogno. Will si ferma a pochi centimetri dal suo viso. Si domanda se riuscirà più a mettere una distanza maggiore fra loro. “Ora è tempo che tu dorma. Devi riprendere le forze. Domani sarà una giornata piuttosto faticosa. Vieni, ti mostro la tua stanza.”
Hannibal si gira, gli sta solo un passo avanti. Quando Will si ferma, si ferma anche lui.
“Ho una mia stanza?”
“Ovviamente, Will.” Hannibal non si volta, “Tutti e tre ne avremmo avuta una, fino a quando non avremmo dormito assieme.”
 
Quando si sveglia si sente come la Bella Addormentata, che apre gli occhi dopo cent’anni. Le tende sono chiuse, ma qualche sottile raggio di luce è riuscito ad infiltrarsi. È pieno giorno.
Non ha ancora preso coscienza di essere veramente sveglio che un buon odore gli gira attorno al collo. Si toglie le coperte di dosso, si mette un paio di mutande che ha trovato piegate sopra la cassettiera, una maglietta bianca. Non c’è uno specchio in cui guardarsi. Si domanda se sia una modifica recente, o se sia sempre stato così. Si tocca la guancia che fa ancora male, ovviamente, ma il cui dolore si sta lentamente trasformando in musica di sottofondo.
Segue il profumo come un incantesimo, e trova Hannibal in cucina, vestito di un maglione rosso scuro, le scarpe lucide, il grembiule allacciato intorno alla vita con un fiocco perfetto. Può vedere, attraverso il tessuto, ferite che per un mortale sarebbero state fatali; Hannibal Lecter ci ha messo sopra una camicia.
(ieri Hannibal ha gettato i loro vestiti nel caminetto. Quando ha acceso il fuoco si è liberato un odore che Will sapeva, lucidamente, di dover trovare orribile, rivoltante, e invece non è stato così. Aveva l’odore di un rito di passaggio. Le spire di fumo avevano una forma umana.)
“Buongiorno”, lo saluta Hannibal senza voltarsi, come se l’avesse fatto un milione di volte. “Ci sono uova e bacon per colazione, se non ti dispiace,” continua, dividendo il cibo in due piatti. Anche una colazione così semplice è perfettamente servita. Le due parti sono egualmente perfette.
“Sei sveglio da molto?” domanda ad Hannibal appena gli si siede davanti.
“Qualche ora,” e prende un boccone, che mastica lentamente. Aspetta di averlo ingoiato per continuare a parlare. “Come hai dormito?”
“Benissimo, grazie.”
“Nessun incubo, immagino.”
“Nessuno,” se ne accorge solo ora che Hannibal glielo ha fatto notare.
Non ha mai dormito così bene, senza interruzioni. Con Molly, forse, ha avuto un sonno molto simile, ma questa volta c’è una qualità del tessuto diversa. (Molly non era Hannibal. L’ha amata, una parte di lui l’amerà sempre, anche se sa che è una parte destinata a morire, ma Molly era un altro mondo, un altro amore, un’altra vita, un altro desiderio.)
Tra loro si adagia un silenzio piacevole, calmo, familiare. (gli tornano in mente le mattinate con Molly, il profumo del caffè, quello dei toast bruciati, l’abbaiare dei cani, il chiacchierare calmo e mai eccessivo di Walter, che scopriva ogni tanto guardarlo di sottecchi mentre mangiava i cereali, come se lo analizzasse. Will che gli scompigliava i capelli per farlo ridere e Molly si arrabbiava, perché lo aveva appena pettinato. I baci scambiati sulla porta, Molly che gli metteva un ricciolo dietro l’orecchio e gli prometteva di tagliargli i capelli appena tornata dal lavoro, e puntualmente non lo faceva mai.)
“Will, non hai appetito? Non hai ancora toccato cibo.”
“No – sì, ne ho. Pensavo.”
“Puoi pensare ad alta voce, se vuoi.”
“Non ancora.”
Hannibal sorride. “Come desideri.”
Mangiano in silenzio, Will più lentamente di Hannibal. Credeva che alla luce del sole la casa sarebbe stata diversa, e invece non è così. Le macchie di sangue sono ancora lì. Le guarda per un secondo, perché non trova un motivo sufficiente per osservarle più a lungo.
“Le ferite ti hanno dato fastidio, durante la notte?”, gli domanda Hannibal, bevendo da una tazzina di caffè. È piuttosto piccola, rispetto a quelle che è solito vedere; gli sovviene che potrebbe essere italiana, o perlomeno europea.
“Non – mh, non troppo, direi. Non mi sono svegliato.”
“Mi fa piacere.”
C’è un’aria così domestica, attorno a loro, così rilassante – è un pensiero che lo disturba, o che almeno dovrebbe. Invece allunga le gambe sotto il tavolo, drizza la schiena. Il cibo gli sembra particolarmente buono, oggi. “Tu?”
“Ho dormito poco, ma da un paio d’anni è un’abitudine.”
“Immagino che la prigione non sia il luogo più comodo per un sonno ristoratore.”
“No, non direi, ma non sono mai il luogo o il tempo ad avere effetti sulle mie abitudini, quanto agenti esterni.”
Will sente le implicazioni forti come un discorso diretto, e si mette a giocare con le uova. Sente, però, più forte lo sguardo di disapprovazione di Hannibal, per cui riprende a mangiare.
“Sei venuto spesso qui con Abigail?”
(che suono amaro, che gusto abominevole. Quanto ci metterà a lavarlo via?)
“Ogni tanto. È diventata un’abitudine nel momento in cui ha cominciato a chiedermelo lei. Immagina essere una giovane brillante di nemmeno vent’anni, costretta sempre nella stessa casa. Di tutto, le piaceva particolarmente il bosco, ci passava intere nottate. Le ho insegnato a riconoscere le stelle.”
“Le insegnerai anche a me?”, domanda Will con una certa ironia nella voce, che Hannibal decide di non cogliere.
“Se è tuo desiderio, certamente.”
Will si lascia andare contro la sedia, butta la testa indietro. “Ti piace avere sempre qualcuno che pende dalle tue labbra, mh? Avresti dovuto fare l’insegnante. O forse no. Vorrei dire che non riesco a immaginare che effetto avresti avuto sui ragazzi, ma purtroppo ne ho un’immagine ben chiara.”
“Mi fa piacere sentirti così ciarliero nel prenderti gioco di me.”
“Da quando enunciare la semplice verità significa prendersi gioco di qualcuno? Oseresti smentire ciò che dico? Oh, sì che oseresti, hai abbastanza faccia tosta.”
“La stessa che stai dimostrando tu ora.”
“Penso di essermela grandemente guadagnata.”
“Penso di doverti dare ragione.”
Quando hanno finito di mangiare Will si alza per sparecchiare, e Hannibal gli lancia un’occhiata piuttosto sorpresa.
“Uh – mi sono abituato con Molly.”, e la superficie del lago si increspa appena, lì tra le rughe agli angoli degli occhi di Hannibal, “Lei cucinava, io sparecchiavo e lavavo i piatti. Walter li asciugava.”
“Metti giù i piatti, per favore. Puoi asciugare, se vuoi.”
Will sbatte le palpebre un paio di volte, e si rende conto che fino ad adesso la cosa che più lo sconvolge è l’assoluta mania di controllo di Hannibal che si manifesta in dettagli così stupidi. (lì, dove in fondo il diavolo solitamente si annida.) “Uh, d’accordo.”
Si accorge che Hannibal ha ancora il grembiule addosso quando gli passa il primo piatto d’asciugare, e diventa più consapevole, al confronto, della propria nudità. “Hai dei vestiti da prestarmi? Non penso di voler rimanere in mutande tutto il giorno. Nelle tue mutande, tra l’altro.”
“Non sono mie, sono tue. Ti avevo comprato un intero armadio per quando saremmo scappati tutti e tre assieme. In attesa, ovviamente, di poterti portare da un sarto come si deve.”
Will stringe troppo forte un piatto, e Hannibal glielo toglie dalle mani. “Smetterai mai di rinfacciarmelo?”
“Un giorno finirò il sale e la tua ferita potrà rimarginarsi. Un giorno, Will.”
“Suppongo di meritarmelo.”
Il sorriso di Hannibal si allarga impercettibilmente, ma è la luce a cambiare. “Ora puoi espiare. Ne avrai il tempo.”
 
///
 
“Stasera abbiamo un appuntamento.”
Hannibal gli sta togliendo i punti, in ginocchio sul pavimento del bagno, e li sente uno per uno.
“Non è passato neanche un mese da quando siamo scomparsi e abbiamo già impegni mondani?”
“Non è esattamente mondano. Ci aspetta un ospite solo.”
Will aggrotta le sopracciglia, irritato dal fatto che ci voglia più di una frazione di secondo nel capire di cosa stia parlando.
“Non ho un vestito adatto alla situazione. Non mi sembra di ricordare nulla di esattamente perfetto per l’appuntamento che ci attende, nonostante tutti i completi di cui mi hai rifornito.”
“Ne ho uno, tenuto da parte apposta per l’occasione.”
“Non avresti potuto sapere che ci sarebbe stata un’occasione del genere, quando sei venuto qui la prima volta.”
“Sapevo che ce ne sarebbe potuta essere una simile.”
“Niente rimane incalcolato nell’universo di Hannibal Lecter, mh?”
“Niente.”
Finisce di togliere i punti, gli accarezza il viso per qualche attimo. Will lo lascia fare, immobile. Non è nuovo ad essere sfiorato a quel modo, non lo è più da quasi un mese. Non ha tentato di nuovo di baciarlo, e Hannibal neppure ha mai dato l’impressione di averne intenzione anche minima.
“La tua prima ferita di caccia.”
Ha la voce quasi commossa, Hannibal, quando lo dice. A Will viene da sorridere e non saprebbe bene spiegare perché. Ci passa sopra le dita, e può ancora sentire il calore di quelle di Hannibal.
“Penso sia ora di cominciare a prepararci. Non è esattamente dietro l’angolo.”
“Pensi sia ancora lì, ad aspettarci?”
“Oh, non è signora da rovinare la carne con un inutile tentativo di fuga. Lo hai detto tu stesso; nulla rimane incalcolato nel mio universo. E lei lo sa perfettamente.”
 
Sulla via si fermano a comprare una bottiglia di vino. (“Non ci si presenta mai ad una cena a mani vuote.”) Hannibal entra nel negozio con la gentile sicurezza di un proprietario. Spende quindici minuti a discutere del vino migliore per un piatto a base di carne rossa, nonostante lo sappia benissimo. Hannibal ne pronuncia il nome, ma Will non lo comprende. Gli sembra francese; ma poteva essere anche lituano, per quello che ne sa. (Hannibal lo educherà al cibo e alle lingue, oltre che alla musica?)
Si perde dentro l’emporio come in un labirinto, seguendo il colore che più gli piace, l’odore più particolare. È grande, spazioso, ordinato. Ha sempre abitato in luoghi che, per le loro dimensioni, non sono mai sembrati ordinati. 
Gli sembra che tutto, attorno a lui, abbia acquisito una sfumatura diversa, e non più scura, semmai più brillante. Può sentire le bollicine del vino frizzante, può sentire l’odore di quello che il proprietario (Lucas, un accento straniero più marcato di quello di Hannibal, ma non saprebbe collocarlo) sta facendo assaggiare ad Hannibal. Può sentire il profumo delle loro voci. (ora che chiude gli occhi lo sente davvero, come se le parole, pronunciate da bocche diverse, avessero una diversa consistenza e quindi un diverso odore.)
“Will, caro? Siamo pronti per andare.”
“Spero che il vino piaccia anche a suo marito,” sorride Lucas, e Will deve fermarsi un attimo per recepire bene l’ultima parola. Ricambia il sorriso, assicurando che è sicuro che lo apprezzerà, perché suo marito è un grande intenditore e conosce i suoi gusti. Il viso di Hannibal si apre dalla sorpresa, e sbuffa una risata. Will gli toglie la busta dalle mani e lo prende sottobraccio, mentre escono.
“Le nozze sono state officiate mentre dormivo?”
“Non crederai forse che io possa fare qualcosa contro la tua volontà. Un atto del genere, poi.”
“I precedenti tre anni dimostrano il contrario.”
“Tutto quello che ho fatto è stato compiuto nel tuo miglior interesse.”
“Non sapevo di accompagnarmi ad un buon samaritano.”
Hannibal ridacchia, lasciandogli andare il braccio per tirare fuori le chiavi della macchina. “La vita è sempre piena di sorprese, Will.”
Gli apre la portiera con un leggero inchino.
 
ii.
 
In macchina, dopo cena, Will non proferisce parola. Hannibal lo scruta, prestando troppa poca attenzione alla strada. Ci sono poche macchine che vanno troppo lentamente, rallentano il tempo. 
“Spero non sia stato eccessivamente disturbante, Will.”
“No, non lo è stato. Sono solo stanco.”
(“La carne è di nuovo sul menu.”, ha sussurrato contro l’orecchio di Bedelia, tenendole un braccio intorno alla vita. Le ha infilato l’ago nel collo come un coltello, ma col decimo della soddisfazione. Vi ha posato accanto un bacio.)
“Non ho difficoltà a guidare fino a casa, puoi dormire.”
“Dovresti essere stanco anche tu.”
“Non sono umano, come mi hai ricordato.”
“Sono stanco, ma non voglio dormire.”
(“Credevo l’avremmo mangiata completamente.”
“Bedelia non è una persona da finire in un boccone solo. C’è bisogno che ti insegni a goderti il cibo.”
“Immagino quanto tu sia dispiaciuto all’idea.”)
“Come preferisci, Will.”
Appoggia la testa al finestrino, guarda il panorama senza vederlo. Vorrebbe chiedere ad Hannibal di allungare il viaggio, andare avanti tutta la notte e altri tre giorni.
(Hannibal ha insistito perché la vestissero e la truccassero, prima di cena. Ha provato gelosia nel modo in cui la toccava, la sicurezza con cui le sceglieva gli abiti. Si è sentito derubato di qualcosa.)
“C’è stato un momento, in questi tre anni, in cui tu non abbia pensato a questo?” gli domanda con voce cauta, appena rauca dopo tutto quel silenzio.
“Ho avuto il tempo di farlo solo quando non pensavo a te.”
“Quindi quando?”
“Mai.”
(“Finalmente Will Graham ha acquisito la vista. Ha aperto gli occhi come un bambino, dopo tanto tempo. Alleluia, alleluia,” e la voce era incredibilmente solida, mentre tutto attorno a lei tremava, rischiando l’erosione. Per tutta la cena si è sforzata di sostenere lo sguardo di Hannibal, come se avesse voluto comunicargli che la sua non era una bandiera bianca, dopotutto. Hannibal le ha sorriso, versandole il vino.
“Ho pensato di celebrare il suo battesimo con un rito che a Nostro Signore è rimasto estraneo.”
“Intendi offenderlo a questo modo? Non cerchi più Dio?”
“Non ne ho più bisogno.” e ha lanciato il più rapido degli sguardi a Will.)
“Qualcuno potrebbe credere che tu sia ossessionato da me.”
“Qualcun altro potrebbe credere che il sentimento sia reciproco.”
“Io ho smesso di pensare a te per lungo tempo.”
Hannibal ridacchia, gira a sinistra. Il panorama attorno, nonostante il buio, comincia a prendere contorni che riconosce. Si domanda se mai riuscirà a scordarseli. Anche quando sarà vecchio, quando il mondo comincerà a sgretolarsi e i ricordi a sfumare sotto la pioggia, non scorderà mai questa strada, e chi lo ha accompagnato. Quando raddrizza la schiena si è reso conto di star scivolando. Sbadiglia.
(“Il mio battesimo non è già stato sufficientemente celebrato, Hannibal?”
“Di sicuro c’è stato un rito, ma non è stato adeguatamente celebrato. Non ti avrei portato qui altrimenti.”)
“Non mi credi?”
“Non intendevo darti del bugiardo. Ho la presunzione di conoscerti meglio di quanto tu conosca te stesso.”
“Non avevi quest’espressione divertita, dietro il vetro.”
“Will, ti prego di considerare il mio stato durante i nostri incontri. Non avevo lo spazio per contenere la presunzione.”
“E ora sì?”
(“Nella gioia e nel dolore.”
“Nella gioia e nel dolore.”
“In salute e in malattia.”
“In salute e in malattia.”
“Vi dichiaro marito e moglie.”
Hannibal gli ha preso la mano, gli ha baciato l’anulare sinistro. “Che Dio non possa separare ciò che l’uomo unisce.”)
“Oh, sì, ora sì.”
 
Hannibal gli toglie il cappotto, lo appende, poi appende il suo. Will si è abituato a questa forma di galanteria, come una fanciulla d’altri tempi. Si siede sul divano e Hannibal gli porta da bere, scusandosi con un cenno del capo prima di ritirarsi.
Emerge dalla stanza con un mappamondo color seppia che gli appoggia di fronte.
“Pensavo che sarebbe il caso di cominciare a pensare al nostro futuro, Will. Non sarebbe cauto rimanere qui ancora a lungo.”
Nostro. Prende un altro sorso d’acqua per avere un motivo per cui deglutire. (quel nostro, però, non gli sembra pesante come avrebbe creduto.)
Fa girare il mappamondo con un tocco leggero.
“Ho fatto così con Abigail, perché non sapeva decidersi su quale Paese visitare per primo.”
“Italia,” risponde Will quasi prima che Hannibal finisca di parlare. “Ci credono morti, se anche qualcuno ci notasse non crederebbero ai loro occhi. Devi mostrarmi Firenze. Non puoi più mancare ad una promessa, neppure una.”
“Non ho intenzione di farlo. E poi l’Italia è piena di maleducati da mangiare.”
“Intendi continuare?”
“Pensavi di no?”
“Non ci avevo pensato ancora.”
“Fallo ora. Vuoi che smetta?”
“No.”
“Non ci vuoi pensare?”
“Non ho mai pensato di toglierti la tua libertà, Hannibal. Lo sai. Non mi opporrò.”
Hannibal non risponde, beve un sorso di vino. Fa girare di nuovo il mappamondo, e Will osserva la geografia del mondo sovrapporsi. Ha come una vaga idea che assomiglierà a quello, il suo futuro, e non gli dispiace.
Hannibal appoggia il bicchiere mezzo vuoto sul tavolino e si alza in piedi. Will nota che strizza gli occhi.
“Vuoi farti il bagno? Sembri stanco.”
“Uh,” replica con tono sorpreso. “Forse. Sì, lo farò.”
“Vado a preparartelo. Aspetta qui, per favore, ti chiamerò io.”
 
C’è odore di pace, in bagno. È diverso dall’odore che c’era quando gli ha lavato le ferite.
“Indietro con la testa, Will.”
“Non devi farmi sempre il bagno come se fossi un bambino.”
“Lo facevo spesso a Mischa.”
“Ma è diverso.”
“Siamo una famiglia. È una forma d’amore, come la buona cucina.”
Allora Will si arrende, chiude gli occhi e tira indietro la testa. Si addormenta mentre Hannibal gliela massaggia. Quando si sveglia, si rende conto che Hannibal si è addormentato in ginocchio, con la testa appoggiata al bordo della vasca, tenendogli la mano.
 
iii.
 
Trovano un piccolo albergo fuori dalle strade principali, con le mura grigio chiaro tinte di fresco, una quindicina di finestre in tutto, piccoli balconi inutili se non per tenere fiori. Hannibal li presenta come i signori Seymour. Sì, sono sposati. No, non sono in viaggio di nozze, stanno insieme da tre anni. (Will si trattiene per non scoppiare a ridere.) No, non è la loro prima volta a Firenze, sanno già cosa visitare, dove mangiare. Sì, sanno già dove passare la serata. No, la cicatrice è più vecchia di quello che sembri, e fa male solo nei giorni di pioggia, come le ferite dei veterani di guerra.
“Grazie mille,” incespica Will su un italiano balbettante quando gli vengono consegnati le chiavi, e la signora della reception sorride, ringraziando a sua volta.
 
“Lo hai preso come vizio.”
“Scusami?”
“Quello di presentarmi come tuo marito.”
“Mi piace l’idea di poterti considerare tale.”
“Non sapevo fossi così romantico.”
“Ti ho lasciato un biglietto di San Valentino estremamente sentito.”
“Non esattamente tradizionale come un matrimonio, se mi permetti l’osservazione.”
“Tu non hai nulla di tradizionale, Will. Non avrei potuto limitarmi ad un mazzo di rose.”
“Accompagnato da un tuo disegno sarebbe stato più che ben accetto.”
“Non ho ancora sentito un’opposizione. Posso considerarti il signor Lecter?”
“Mi hai considerato cose più importanti senza chiedermi il permesso. Come dare per scontato che sarò io a prendere il tuo cognome.”
“Trovo che William Henry Lecter abbia un suono delizioso. Non posso dire altrettanto di Hannibal Graham.”
“Immagino che il tuo ego non abbia nulla a che fare col tuo gusto. L’idea che io ti appartenga così nel profondo che non ho neppure un nome del tutto mio, ma lo condivida con te.”
“Non potresti essere più nel torto, Will,” sorride, e Will scoppia a ridere.
 
Gli Uffizi sono vuoti, silenziosi, irreali come le favole. È notte inoltrata, le luci sono accese, mentre le telecamere di sicurezza sono spente; un processo naturale, sorride Hannibal, quando riappare. Will lo ha aspettato all’ingresso, è rimasto immobile. Non vuole muovere un passo, lì dentro, senza Hannibal.
“Da cosa vuoi iniziare?”
“Da quello che vuoi tu. Stupiscimi. Non essere una guida noiosa, o chiederò il rimborso del biglietto.”
Will non è mai stato un uomo ignorante, ma fra tutte le cose si è sempre detto di non aver tempo per l’arte; gli è sempre sembrata troppo effimera e al contempo troppo densa, pungente. L’ha sempre evitata per paura che gli aprisse il petto e lo trafiggesse, e ha sempre avuto timore dei musei, in cui c’era troppo spazio per perdersi. Ha preferito tutto quello che avesse un senso solo, che fosse attaccata alla terra e lì rimanesse – i numeri, la geologia, la pesca. Qualcosa di materiale come il fango e la polvere.
I loro passi rimbombano nelle sale, il suono non rimbalza ma si perde, si espande per poi dissolversi. Hannibal odierebbe il pensiero di disturbare troppo le opere. Hannibal gli promette che lo porterà a Roma, perché c’è così tanto Barocco che odierebbe con ferocia, per cui c’è bisogno che lo educhi.
Hannibal inizia dalla Annunciazione di Sandro Botticelli, e Will pensa che non avrebbe potuto iniziare da nient’altro. Gli spiega come l’angelo Gabriele avesse annunciato a Maria che avrebbe concepito il figlio del Signore, e lei eccepì di non conoscere uomo, che la sua virtù era ancora intatta. Gli indica i gigli bianchi che l’angelo tiene in mano. Ma Gabriele la rassicurò, perché il concepimento sarebbe avvenuto tramite la grazia di Dio.
“Deve essere stato complicato credere ad un fatto simile. Per lei, per chi le stava attorno.”
“Per questo si chiama fede.”
“Tu hai avuto fede che io tornassi.”
“Io lo sapevo, non si è trattato di fede.”
Dietro di loro c’è La Primavera, ma dopo avergli descritto la Nascita di Venere, Hannibal la ignora. Gli illustra la Fortezza, la Madonna del Roseto, Pallade che doma il centauro, ma ignora completamente la Primavera.
Giotto non gli piace, mentre Hannibal lo adora. Lo trova troppo semplice, in un qualche modo, soprattutto dopo essersi riempito gli occhi di Botticelli, mentre Hannibal cerca di convincerlo della bellezza dell’uso dell’oro, del rivoluzionario tentativo nell’uso della prospettiva. Sembra essere molto vicino a dargli dell’ignorante.
Perde un battito di cuore davanti a Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi. (“Lo preferisco a quello di Caravaggio.”) Non lo vuole guardare troppo a lungo, mentre Hannibal vorrebbe passarci la vita davanti.
“È stata la prima donna a subire un processo per stupro e a vincerlo. Senti proprio la sua forza in questi quadri, nei soggetti che sceglie, nei suoi uomini che vengono sempre violentemente puniti, la sua capacità di non lasciarsi sopraffare dai terribili eventi che le sono toccati. Non trovi straordinario tutto questo?”
Will guarda il sangue zampillare dalla gola di Oloferne, l’espressione già immobile, la rassegnazione di chi ha già compreso, quella di Giuditta che affonda l’arma nella sua carne tenera e molle, la forza con cui gli tiene i capelli; sente un principio di nausea.
“Può essere, ma dammi qualche minuto per pensarci. Portami a vedere di nuovo i santi, adesso.”
 
Forse sono le due, forse sono le tre quando tornano a casa. Si sono tolti entrambi l’orologio, prima di uscire, e ora non lo controllano. Davanti a loro c’è un letto matrimoniale, e Will è il primo a sdraiarsi, con ancora le scarpe addosso. Hannibal gliele slaccia, gliele sfila e le appoggia vicino al letto, perfettamente allineate.
“Riesci a cambiarti, Will? Ho portato dei pigiami.”
“Non ne ho voglia.”
E allora è Hannibal che lo spoglia, e Will non dice nulla. Si addormenta mentre gli infila la maglietta.
 
iv
 
Ovviamente Hannibal possiede un appartamento all’ultimo piano di una palazzina al centro a Firenze, come poteva pensare altrimenti? (“Perché l’albergo, allora?” “Mi divertiva l’idea che avessimo la nostra luna di miele segreta.”) L’ha comprata sotto falso nome la prima volta che è stato in Italia. Giura di non esserci mai stato con Bedelia, che gliel’ha tenuta segreta. (Will non glielo ha chiesto, eppure ha sentito la necessità di puntualizzarlo. Si sente in un qualche modo sollevato, però.)
Il palazzo è di cinque piani, rampicanti su tre quarti delle mura color panna. Poche stanze ma enormi, spaziose. Un bagno principesco, doccia e vasca da bagno. Le librerie, di legno scuro e massiccio, non hanno che pochi volumi, ma Hannibal ha già promesso che le riempiranno a breve. Dietro c’è un enorme parco verdissimo. (“Non ho detto che non avremo cani, Will. Ho detto che sarebbe più saggio aspettare di sapere se vogliamo fermarci qui.”)
Hannibal parla con chiunque per esercitare l’italiano (“Sono ad un buon livello, ma non perfetto, e la perfezione si raggiunge solo in un modo.”) e Will nota, con una punta di orgoglio, l’effetto che fa sulle persone, quello che fa da sempre. Ricorda madri disperate sulle scene del crimine che lui riusciva a calmare con una stretta. Ricorda se stesso che cercava esattamente quello, all’inizio. Sembrano passate quattro vite e mezzo.
Hannibal si spunta regolarmente i capelli, ma li lascia ingrigire naturalmente, mentre Will, invece, vorrebbe farseli crescere, ma Hannibal non ha intenzione di permetterglielo.
“Il tuo viso non è adatto ai capelli lunghi, Will.”
“Non puoi saperlo fino a quando non provo.”
“Ne sono già perfettamente consapevole.”
“Un tentativo non costa nulla. Faccio sempre in tempo a tagliarli.”
“Come vuoi,” si acciglia Hannibal, quasi mette un broncio, se mai fosse possibile che un uomo di cinquant’anni possa ancora essere capace di mettere il broncio – anche se, in fondo, di cosa può ancora stupirsi, in sua compagnia?
“Adesso ho come il sospetto che potrei rischiare di svegliarmi di notte e trovarti con le forbici in mano.”
“Potrebbe essere difficile da evitare. Resisto a tutto tranne alle tentazioni, Will.”
Oscar Wilde, Hannibal? Qualcosa di comprensibile. Ti stai rammollendo?”
“Devo tenere più in considerazione il pubblico che ho davanti.”
“Mi stai dando dell’ignorante?”
“Non potrei mai, caro.”
 
Il signor Landi e sua moglie sono i loro vicini, che hanno storto il naso quando hanno saputo che era una coppia sposata. Hannibal, per due settimane, ha portato loro una torta, e per due settimane la signora Emilia gli ha chiuso la porta in faccia. Sul finire della terza ha accettato il dono con un cenno di ringraziamento. A Will dà più fastidio che non siano educati con Hannibal che il resto. (il resto non gli interessa.)
“Tre anni fa li avresti mangiati,” ride, versandogli il vino nel bicchiere. Stanno mangiando in terrazzo, perché la sera è piacevolmente fresca.
“Non ho mai mangiato persone anziane. Ho sempre immaginato che avessero un sapore terribile.”
“Però non puoi sopravvivere all’idea di non piacere a qualcuno.”
“Non le piacciamo non per meriti o demeriti nostri, ma solo per una condizione esterna. Denota chiusura mentale.”
“E lei, signore, non può permettere che esista una cosa del genere.”
“Non vicino a me, perlomeno.”
“Trovo infinitamente divertente che tu tenga così tanto all’opinione altrui.”
“Un gentiluomo ha a cuore la propria apparenza e ciò che i suoi pari pensano di lui.”
“Sì, sì, certo…”
 
Il bagno serale diventa un rituale che si è infilato tra di loro, quieto come un ruscello. (“È un’abitudine giapponese che mi è stata attaccata.”) Dopo cena Hannibal sparecchia la tavola, lava i piatti, glieli lascia asciugare e intanto riempie la vasca. Ogni tanto accende le candele. Will scopre il piacere di starsene a mollo per più di mezz’ora. Hannibal rimane seduto dall’altra parte della stanza, e a Will non dispiace la completa mancanza di privacy, perché si è reso conto di non sentirne il bisogno, non con lui.
“Potresti continuare a leggere quello che stavamo leggendo ieri sera, Hannibal,” suggerisce, scivolando appena un po’ di più nell’acqua, che ora gli arriva sotto il mento.
“Dammi un secondo.”
Torna col libro e si avvicina a Will. Tiene il libro sulle gambe, seguendo la lettura col dito, così che Will possa seguire le parole, impararne la pronuncia. Lui incrocia le braccia sul bordo della vasca, vi appoggia sopra la testa.
Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino: che ve ne pare?
Vorrebbe chiedergli di rileggere un po’ piano, perché è riuscito a seguire metà delle parole, ma preferisce farsi cullare dalla sua voce. Il tempo dell’apprendimento può essere rimandato.
 
Non condividono il letto, e neppure la camera da letto, ma Will si trova spesso in quella di Hannibal. Ci sono sere in cui, dopo il bagno, si infila nel suo letto, dopo aver preso uno dei libri della libreria ormai piena. Hannibal ne ha già comprata una che ha messo in una delle stanze vuote. (Will sospetta che l’abbia comprata molto prima di arrivare a Firenze. Ci sono fantasmi di rimpianti e rimorsi che aleggiano tra le mura spoglie.)
“Un altro libro, Will? Non vuoi continuare Pinocchio?”
“Voglio sentirti parlare francese, stasera.”
Si sdraia a pancia in giù, si passa una mano tra i capelli ancora umidi. (non li asciuga mai, e Hannibal si è arreso.)
“Cenerentola.”
“Hai un sacco di libri di favole.”
“Ne ho sempre subito il fascino, anche in età adulta, e sono indicate per imparare ed insegnare le lingue.”
Hannibal apre il libro, mettendoselo sopra le cosce. Prima di iniziare a leggere, mostra le ricchissime illustrazioni a Will, che immagina un Hannibal ancora bambino, sdraiato sul tappeto davanti al camino, che le ricopia.
Il y avait une fois un marchand qui était extrêmement riche. Il avait six enfans, trois garçons et trois filles ; et, comme ce marchand était un homme d’esprit, il n’épargna rien pour l’éducation de ses enfants, et leur donna toutes sortes de maîtres...
“Come lo parli bene.”, sbadiglia contro il lenzuolo.
“L’ho studiato per molto più tempo dell’italiano.”
“Tu vorresti che andassimo in Francia, vero? Hai l’aria di uno che vorrebbe abitare in Francia. Non ci sono mai stato, ma per ora rimaniamo qui. Ancora per un po’.”
“Come desideri, Will. La Francia è meravigliosa, ma non si muove da lì.”
Com’è buono il potere che ha su di lui, la piena consapevolezza di possederlo. Potrebbe mangiarlo tutti i giorni per il resto della vita, senza esserne mai sazio.
Les deux aînées avaient beaucoup d’orgueil, parce qu’elles étaient riches; elles faisaient les dames, et ne voulaient pas recevoir les visites des autres filles de marchands; il leur fallait des gens de qualité pour leur compagnie…
La voce di Hannibal è melodiosa, calma. Gli sembra di sedere accanto ad un fiume di notte, il cielo limpido, trapuntato di stelle, e senza un filo di vento.
“Sei sveglio, Will?”
“Mh-mh…”
Il mattino dopo, senza ricordare di essere addormentato, si ritrova nel suo letto, come tutte le volte.
 
In cinque mesi l’italiano di Will è migliorato come mai si sarebbe aspettato. L’accento americano è ovviamente ancora lì, soprattutto quando deve pronunciare le doppie di cui l’italiano sembra essere pieno, ma riesce a sostenere una conversazione col macellaio, a ridere delle sue battute senza dover fingere di aver capito, annuendo e basta. Ovviamente non fa la spesa (“Non ancora.” “Mioddio, Hannibal, quanto può essere difficile fare la spesa?” “Può essere estremamente complicato per un neofita.” “Ho vissuto da solo per anni, al supermercato dovevo andarci anche io.” “Compravi piatti da riscaldare al microonde, in nessuno Stato civile può venir considerato fare la spesa.”) ma ritira quello che Hannibal ha ordinato. Quando cucinano assieme a Will tocca affettare le verdure, mescolare gli ingredienti, impastare il pane. Per quanto sia buono il pane italiano, i suoi giorni preferiti sono quelli in cui lo cucinano loro, perché la casa si riempie di un odore buonissimo.
 
“Non ti comprerò vestiti di seconda mano, Will. Non abbiamo idea di chi possa averli indossati in precedenza. Potrebbe essere chiunque. È fuori discussione.”
Will è riuscito a trascinarlo ad un mercatino dell’usato che ha scoperto tenersi tutti i sabati in una piazza vicino a casa loro. (ha preso l’abitudine di fare lunghe passeggiate dopo colazione e dopo cena, per poter esplorare e apprendere da solo)
“È una camicia bellissima, Hannibal, sarebbe un delitto lasciarla qui, da sola, infreddolita.”
“È usata,” e lo dice con una smorfia di disgusto tale che Will ne è quasi sconvolto.
“Come vuoi,” sbuffa, lasciando cadere la camicia sulla bancarella “Devo intendere che non potrò comprare nulla, allora?” cammina a passo svelto, elettrico, senza scusarsi quando urta qualcuno, “Volevo un nuovo orologio da mettere sopra la cassettiera in salotto.”
“E vuoi cercarlo qui?”
“Le cose usate hanno una loro storia, un’anima. Credevo che uno come te avrebbe apprezzato questo tipo di poesia.”
“Potrei comprarti il miglior orologio che l’Italia possa offrire e tu vuoi venire a cercarlo qui in mezzo?”
Will si ferma e si volta verso di lui. Apre la bocca per dirgli qualcosa, ma poi la richiude e riprende a camminare. Trova un vecchio orologio di legno di una bruttezza inqualificabile, lo paga con una banconota da cinquanta euro e non aspetta il resto. Hannibal gli rivolge uno sguardo perplesso.
“Smettila di parlare come se dipendessi da te in tutto e per tutto. Ho ancora i miei soldi, e posso iniziare a lavorare.”
“Non sai abbastanza bene l’italiano per lavorare.”
“Posso fare il cameriere, conosco abbastanza italiano per poter prendere gli ordini.”
“Non credo proprio, Will.”
“Posso insegnare inglese.”
“Detesti insegnare.”
“L’ho fatto per anni.”
“Ciò non significa che ti piacesse, Will.”
“Puoi smetterla di pensare di conoscermi meglio di me stesso? Mi fa impazzire – questa tua maledetta presunzione – sono una persona, non un prolungamento del tuo braccio.”
“Non l’ho mai inteso.”
“Lo lasci intendere.”
“Non hai mai pensato che potrebbe essere una proiezione?”
“Fai un’altra volta lo psichiatra con me e ti spacco la faccia con l’orologio che ho appena comprato.”
Hannibal scoppia a ridere.
“Non so cosa ci sia di divertente nelle minacce di violenza.”
“È estremamente divertente vederti perdere la pazienza in questo modo.”
“Quanto ti detesto, non ne hai idea.”
“Lo so, caro, lo so.”
“Non mi sembra il momento di usare vezzeggiativi.”
“In quale altro modo dovrei cercare di scappare alla tua furia?”
“Ammettendo che sei un borioso, presuntuoso…”
“Borioso e presuntuoso cosa?”
“Lo sai.”
“Voglio sentirtelo dire.”
“Oh, va al diavolo.”
“Mi stai cacciando verso me stesso, quindi?”
Will, dopo averlo obbligato a prendere l’orologio in mano, comincia a camminare nella direzione opposta a quella che stavano seguendo.
“Ci vediamo a casa.”
 
v.
 
Torna la sera tardi, dopo mezzanotte, e trova Hannibal in salotto, con un libro davanti agli occhi tenuto al contrario (perché nota questi particolari?) ed è così pallido da spaventarlo. (lo spaventa questo, lo spaventano le proprie mani, lo spaventa la calma che ha attorno perché può sentire, in sottofondo, il rumore croccante del mondo che si sgretola. Perché ci mette tanto a sgretolarsi? Perché non è ancora successo?)
“Quando hai detto che ci saremmo visti a casa immaginavo saresti tornato per pranzo,” ed è quasi un ringhio, morde le parole come sembra voglia mordere lui.
“Ero… avevo bisogno di stare da solo.”
Appoggia il cappotto sul divano e rimane immobile in mezzo alla stanza. Non sa se sedersi di fronte a lui, di fianco, se andare a dormire, se mangiare, se cominciare a urlare fino a spaccarsi la gola. Non riesce a guardare Hannibal negli occhi.
“Avresti potuto avvertirmi. Ti ho regalato un cellulare per questo motivo.”
“Non l’ho portato con me quando sono uscito. Non lo porto mai quando usciamo assieme”
“Potrò avere l’onore di sapere cosa ti ha trattenuto per tutto questo tempo? È l’una, ci siamo lasciati alle dieci di stamattina.”
(È andato in un bar. Ha bevuto un caffè corretto. Un paio. Di certo non abbastanza per offuscargli la capacità di giudizio, ha sostenuto molto di peggio. Non ha pranzato perché non ne sentiva il bisogno. Ricorda qualcosa tra quando ha trovato la vittima e quando l’ha uccisa? No. Non ne ricorda neanche bene l’aspetto, ma solo le espressioni tra quando gli ha messo le mani attorno al collo e quando è morto. Gli sta salendo la nausea.)
“No,” deglutisce la risposta.
Hannibal gli rivolge uno sguardo ferito e, ancora una volta, Will trova qualcosa di estremamente gradevole nella capacità che ha in punta di dita di renderlo così vulnerabile.
“Come desideri. Posso riscaldarti la cena, se hai fame.”
“No, grazie.”
“Io invece penso che andrò a mangiare. Non ho toccato cibo tutt’oggi. Se vuoi scusarmi,” si alza Hannibal dalla poltrona, dopo aver appoggiato accuratamente il libro sul tavolino davanti. Gli passa di fianco senza un suono. Will sente il disperato bisogno di piangere – di piangergli addosso – e al contempo di picchiarlo fino a fargli perdere i sensi. Lo osserva dritto davanti ai fornelli, la schiena dritta e nervosa sotto il maglione. (gli viene in mente quanto gli doni quel maglione, e questo pensiero è così estraneo a tutto quello che sta provando che gli fa paura)
I rumori della cucina si tacciono. Hannibal non si volta verso di lui, ma riempie due piatti.
“Will, ti pregherei di venire a mangiare. Non credo tu abbia cenato, tantomeno pranzato. Non dovrai parlarmi, se è contro la tua volontà, ma non voglio tu vada a dormire a stomaco vuoto.”
Sente la sua rabbia calma, il ghiaccio di cui le sue parole si stanno pian piano coprendo, eppure si preoccupa che sia nutrito a sufficienza.
“Ti ho detto che non ho fame,” rifiuta per puro gusto infantile di agire in maniera opposta a quanto richiesto.
Hannibal appoggia il piatto sul tavolo. “Nel caso che ti venga appetito durante la notte. Ti auguro di dormire bene, Will.”
Will lascia la stanza sentendo rimbombare ogni passo.
 
“Hannibal, ti prego.”
Nel pieno del pomeriggio di una giornata troppo silenziosa, Will è il primo a parlare. Hannibal gli ha servito la colazione e il pranzo senza proferir parola, se non buon appetito. Sta leggendo un libro in lituano, l’unica lingua che ancora non ha cominciato ad insegnargli, che non gli ha mai letto, e lo fa impazzire. Glielo toglie dalle mani, lo lancia dall’altra parte della stanza.
“Non posso avere un segreto?”
Hannibal lo guarda senza battere ciglio, si alza per riprendersi il libro e Will sente la gola chiudersi.
“Non so con quale coraggio ti comporti così, quando questa è la cosa peggiore che io ti abbia mai fatto, e il patimento più leggero che tu mi abbia mai inflitto è stata mandarmi in prigione.”
“È diverso,” replica senza guardarlo, dandogli ancora la schiena.
“Egli parla, alla fine. Per quale motivo sarebbe diverso?”
“Io avevo un motivo, tu non ne hai uno.”
“Cosa ne sai?”
“Potrei risponderti in una sola maniera e ti farei arrabbiare.”
“Sei veramente – no, non ho parole per descriverti, e se ne avessi non sarebbero sufficienti.”
“Non puoi sparire senza una spiegazione, Will. Non dopo tutto –” si interrompe perché ci sono certe parole che nemmeno lui vuole pronunciare, ma Will le sente comunque, ne sente l’eco assordante. “Non puoi farlo.”
“Non puoi pretendere che io condivida con te ogni cosa.”
“Se non avessi fatto altro che una passeggiata me ne avresti parlato. Posso comprendere che tu possa sentire il desiderio di stare da solo ogni tanto, ma non è questo il caso. Questo mi sta facendo impazzire.”
“E non parlarmi è esattamente la soluzione adatta perché io possa decidere di aprirmi.”
“Vedi, Will? Hai bisogno di aprirti, lo stai dicendo tu stesso.”
Will prende l’orologio che ha comprato ieri e glielo lancia contro, ma Hannibal lo schiva e finisce in pezzi contro il muro.
“Ti avevo detto che la prossima volta che avessi provato a fare lo psichiatra con me lo avrei fatto.”
Hannibal lo guarda sconvolto, senza proferir parola. Guarda i resti dell’orologio e poi Will.
Will, finalmente, crolla.
“Ho ucciso un uomo, Hannibal! Ho – ho ucciso senza motivo alcuno, perché mi andava di farlo. L’ho visto e ho pensato che sarebbe stato bello provare ad ucciderlo. Bello. E sai come l’ho fatto? L’ho strangolato, perché ci fosse un contatto più intimo. Perché potessi sentire direttamente la vita che se ne andava! Sei contento, adesso?”
Hannibal gli sorride, quello stesso sorriso che gli ha rivolto quando ha morso Cordell. Il sangue gli batte come tamburi dentro le orecchie, così forte da sembrare una tempesta.
“Avrei scommesso su una tempistica più lunga. Continui a stupirmi, Will, e dev’essere questa l’origine dei miei sentimenti per te.”
Sentimenti. Gli ha confessato un omicidio e lui parla dei suoi sentimenti. Sa che non si sarebbe potuto aspettare altro, lo sa perfettamente, eppure lo manda in bestia. Estingue la distanza tra loro due con la rapidità di un predatore, lo spinge – no, lo sbatte contro il muro. Pestano i cocci dell’orologio.
“È colpa tua, Hannibal. Se sono diventato così è colpa tua.”
Ha le mani attorno al suo collo prima di accorgersene. Non ha mai sognato di soffocarlo, però adesso gli sembra l’unico modo di ucciderlo. Stringe fino a quando non lo vede diventare pallido – ed è proprio quando diventa pallido che si rende conto di quello che sta compiendo. Quando lo lascia andare si rende conto di averlo alzato da terra. Hannibal si porta una mano alla gola e la massaggia; Will può vedere perfettamente i segni che gli ha lasciato addosso e, in un certo modo, ne gode. È l’unico che può lasciare segni addosso ad Hannibal Lecter.
Ci sono troppi pensieri opposti nella sua testa, come quattro, come cinque, come sei anni fa. (come sempre.) Vorrebbe spaccarsi il cranio.
“Perché abbiamo ucciso Bedelia?” raspa. Non sa come riesce a rimanere in piedi.
“Non abbiamo ucciso Bedelia, ne abbiamo assaggiato una parte, perché una donna del suo calibro va gustata lentamente,” la voce di Hannibal esce a tratti soffocata, ruvida.
“Perché?!”
“Perché mi sembrava uno spreco ucciderla.”
“Non era quella la domanda!”
“Ho scelto una sposa sola.”
“Perché te l’ho lasciato fare?”
“Perché hai deciso di essere la mia sola sposa, Will. È stata una scelta più consapevole di quello che pensi. E stai molto meglio con te stesso di quanto tu voglia credere.”
Scoppia a piangere così violentemente che crolla a terra, le ginocchia che sbattono contro il pavimento con un rumore dolorosissimo. I singhiozzi lo scuotono a tal punto da fargli male, ha paura di smettere di respirare. Si accartoccia su se stesso come un pezzo di carta.
“E perché ho scelto di essere la tua sposa?!”
Sente Hannibal piegato su di lui baciargli i capelli e, Cristo, vorrebbe fare il nido entro quel calore che sente spandersi. È mostruoso. “Perché non c’era nulla che volessi di più al mondo.”
 
Si infila nella vasca che ancora trema. Hannibal scivola dopo di lui dalla parte opposta. Non si toccano nemmeno le punte dei piedi. L’acqua è così piacevole.
“Tu hai avuto Mischa,” la sua voce è sottile come il vento, quasi non apre la bocca, “Io che motivo ho? L’ho fatto perché volevo farlo. Non eravamo in pericolo. Non ho dovuto difendere nessuno. L’ho fatto e basta. Non c’è stato nessun – nessun crescendo, è stato naturale” si morde il labbro “come – come cucinare con te,” finisce in un sussurro ancor più sottile degli altri.
“Non è necessario un motivo, non ne hai bisogno. Non ti serve una giustificazione – non con me, Will. Non con nessuno, mai più. Sei morto e risorto, più e più volte. Perché cerchi la logica, il raziocinio? Perché ora? Siamo creature superiori, io e te, Will. Non ne abbiamo bisogno.”
“Ne ho bisogno in questo momento, Hannibal. Qualcuno, qualcosa deve spiegarmi cos’è successo, com’è possibile.”
“Non è la prima vita che togli, Will.”
“È la prima che tolgo senza un motivo.”
“Il motivo lo avevi.”
“E quale sarebbe?”
“Volevi farlo. Non c’è nulla di più importante della tua volontà.”
“Non sei d’aiuto, Hannibal,” protesta Will, ma non si muove dalla vasca.
“Ti sto dicendo la verità, Will. In quale altro modo posso essere più utile se non dicendoti la verità?”
“Improvvisamente ti interessa così tanto la verità?”
“In tutti gli anni in cui ci siamo conosciuti ho forse fatto altro che cercare di farti arrivare alla verità?”
“Non ne ho bisogno, ora.”
“Cosa desideri, allora, Will?”
“Non –”
“Non puoi essere altro che te stesso. Siamo qui perché sei stato finalmente te stesso. Non puoi desiderare altro che essere pienamente te stesso, e piano piano stai giungendo al tuo compimento.”
“Se non volessi essere compiuto?”
“Lo vuoi, o non avresti ucciso.”
Le parole così dirette vengono lanciate in acqua come sassi. Will si abbraccia le ginocchia, vi appoggia la testa, osserva i cerchi concentrici farsi sempre più radi. L’acqua diventa fredda e non gli importa. Hannibal è ancora lì, muto. Sente il suo sguardo addosso.
“Non dovrei volerlo.”
“Credevo avessi superato questa fase.”
“Qualcosa dentro di me sembra non averlo fatto.”
“Uccidi quella parte, Will. Non sei mai stato più felice di quando hai ucciso Dolarhyde.”
“Avevo un motivo.”
“Smettila.”
“Non dovrei.”
“Smettila anche con questo. Ciò che conta sono i tuoi desideri. Non importa di che natura siano.”
“Non capisci.”
“Ti conosco meglio di quanto tu conosca te stesso.”
“Smettila con questa stronzata.”
“Sai benissimo che non lo è.”
“Non voglio più parlare.”
Hannibal non risponde, si alza e si lega un asciugamano attorno alla vita. Gli offre una mano per aiutarlo ad alzarsi. Will la guarda, la rifiuta. Hannibal continua a tendergliela.
Will l’accetta.
 
Entra nella stanza di Hannibal tre sere dopo, dopo tre giorni passati nella sua stanza. Il letto scricchiola sotto il suo peso.
“Possiamo cambiare città? Ti prego.”
Non gli si avvicina troppo, sussurra nel buio sperando che arrivi al suo orecchio. Il letto scricchiola di nuovo quando Hannibal si gira. Non lo vede, ma sa che lo sta fissando.
“Come desideri.”
 
vi.
 
Non fanno in tempo ad arrivare a Londra che Hannibal lo ha trascinato alla National Gallery. (“Sta diventando una tradizione, mh?”)
Ci sono così tanti quadri che Hannibal ha deciso che ci dovranno tornare quattro o cinque volte almeno per poterlo apprezzare bene. Gli spiega Rembrandt, Toulouse-Lautrec, Tiziano, di nuovo Caravaggio perché la lezione agli Uffizi non è assolutamente sufficiente, circa trentacinque artisti italiani che non riesce a distinguere. Si ferma quando arrivano davanti ai Girasoli di Van Gogh, e tace. Will si siede, lo osserva osservare. Ha un suo fascino, quest’uomo di mezza età che si illumina e si commuove davanti a due fiori dipinti. (se lo dicesse ad alta voce la ramanzina di Hannibal non vedrebbe mai la fine.)
Per un quarto d’ora Hannibal rimane lì davanti immobile, tanto che quando Will lo chiama un paio di volte non lo sente. Will è costretto a passargli un braccio attorno alla vita per riuscire ad attirare la sua attenzione.
“Agli Uffizi non hai risposto così davanti a niente.”
“Agli Uffizi c’eri tu.”
“Qui invece c’è il mio gemello buono.”
Hannibal ridacchia, gioca con le dita di Will. “Era diverso.”
“Hai finito di osservare ogni minima pennellata?”
“In quale altro modo puoi guardare i quadri, Will?”
“In maniera meno ossessiva e inquietante.”
“Hai ancora molto da imparare.”
“Sì, sì. Cambiamo stanza?
Con un sospiro Hannibal lo ascolta e lo porta davanti a Cristo e l’adultera.
“Questo mi piace di più. Rembrandt in generale mi piace molto.”
“Ho una sua monografia a casa, se ti può far piacere.”
“Allora non serve tornare qui,” lo prende in giro Will, facendogli roteare gli occhi.
“Era tanto che non vedevo una coppia così appassionata d’arte,” dice una voce dietro di loro. Si voltano nello stesso momento per trovare un uomo, poco più passo di Will, che sorride loro con questo sorriso che fa prudere la pelle di Will, soprattutto per il modo in cui sembra essere rivolto in particolare ad Hannibal. Stringe un braccio attorno alla vita di Hannibal. L’uomo non ha un accento inglese, e neppure americano. Sembra canadese. “Vi ho visti fermi davanti ai Girasoli così tanto tempo che è stato quasi commuovente.”
Hannibal gli rivolge il sorriso preconfezionato che ha con gli estranei. “Sto in realtà cercando di educare mio marito all’arte.”
“Lo dici come se fossi una bestia analfabeta.”
“Non l’ho mai inteso, caro, sei solo un po’ carente dal punto di vista artistico.”
“Oh, siete sposati? Non ho notato nessuna fede.”
“A mio marito non piacciono. Potrei domandarle come mai ha prestato così tanta attenzione alle nostre dita…?”
Will lo vede arrossire appena e vorrebbe scoppiare a ridere per l’aria da finto tonto che Hannibal si è dipinto addosso. Le intenzioni dell’uomo sono così palesi che neanche cercare di slacciar loro i pantaloni le avrebbe rese più evidenti.
“Sono solo un bravo osservatore.”
“Uno Sherlock Holmes contemporaneo, quindi.”
“In fondo siamo nella città adatta. Volevo domandarvi se vi andasse di mangiare qualcosa? Siete turisti, o sbaglio? Potrei mostrarvi una Londra che solitamente sfugge ai turisti.”
Hannibal rivolge un sorriso a Will, ma di tutt’altra fattura. “Certo. In fondo la National Gallery rimane sempre qui, ma un Cicerone come lei potrebbe non ricapitarci più.”
Will vede il viso dell’uomo illuminarsi. “Ha perfettamente ragione, signor…?”
“Crawford. Jack Crawford.”
“Io sono Jim, visto che mio marito non sembra ritenere necessario presentarmi.”
“Lo stavo per fare, caro. Sei sempre così malizioso nei miei confronti.”
“David, David Benjamin,” e stringe la mano di entrambi.
Mentre stanno per uscire, Hannibal dice di aver bisogno del bagno, e David si aggiunge. Prima di entrare nella propria cabina, Hannibal lo prende per un polso e Will sa di dover entrare a sua volta. Hannibal costringe l’estraneo in mezzo a loro, comincia a baciargli il collo. Appena è abbastanza rilassato, gli dà una ginocchiata nello stomaco che gli mozza il respiro, poi gli tappa la bocca con la cravatta. Will lo guarda meno sconvolto di quanto vorrebbe. Forse lo sconvolge di più che stia sprecando una delle sue cravatte per questo.
“Non ci tenevo particolarmente a questa,” gli dice Hannibal, procedendo a spezzargli un braccio.
Oh, l’odore della paura, del terrore dell’ignoto. Gli occhi azzurri e pieni d’orrore dell’uomo che ha già perso nome, identità, anima. Will lo guarda con un misto di pietà ed eccitamento. Hannibal glielo sta presentando come un cenone di Natale. Quest’uomo rappresenta i suoi semi di melograno.
Li ingoia con consapevolezza mentre gli spezza il collo.
 
Quando arrivano a casa Hannibal gli prepara un tè, mentre fa partire il Guglielmo Tell di Puccini.
“Da qui non si torna indietro.”
“Non ha senso che torni indietro, perché eri una persona differente.”
“Le tue citazioni sempre più popolari mi fanno credere che tu mi creda un idiota ignorante.”
“Carente dal punto di vista artistico, caro.”
Hannibal mette l’acqua nel bollitore, e Will gli si avvicina; quando sta per baciargli il collo, Hannibal si volta. Gli occhi di Will passano dalle labbra ai suoi occhi.
“Volevo aspettare che tu fossi sicuro.”
“Lo sono.”
Will lo bacia, e non ha nessuno dei sapori che immaginava – associava le labbra maschili ad un certo sapore forte, come da piccolo immaginava il whisky; non un gusto reale, quanto piuttosto una certa sensazione che in questo momento non prova. Ha la sensazione che ha sempre avuto tornando a casa, qualunque fosse il posto che in quel momento chiamava casa. Ha la sensazione di tornare da Hannibal.
“Io non ho avuto Mischa,” gli sussurra sulle labbra. “ma solo me stesso. Ti somiglio più di quanto tu non creda, per questo mi sono innamorato di te.”
Non ha mai usato queste parole, non in maniera così diretta. Will è sicuro di essersene innamorato completamente in questo momento.
“Ti sei innamorato del tuo riflesso in me? È successo a Narciso, ed è affogato.”
“È un avvertimento? Mi affogherai nella vasca, la prossima volta che faremo il bagno assieme?”
“Ho abbastanza rispetto per te da regalarti una morte più dignitosa.”
Continuano a baciarsi fino a quando tutta l’opera non è finita.
 
vii.
 
Will sta apparecchiando la tavola per la colazione. Ora Hannibal si fida abbastanza di lui da fargli manovrare piatti e bicchieri. Siedono uno di fronte all’altro durante una delle poche giornate in cui Hannibal gli concede di mangiare latte e cereali – ma senza risparmiarsi uno sguardo d’orrore che, nei suoi piani, dovrebbe farlo desistere. Non ci riesce mai.
“Penso sia ora di sposarci.”, dice Will, versandosi il latte.
“Non credevo me lo avresti mai chiesto.”
“Non te l’ho chiesto, ho dato un suggerimento.”
“Un suggerimento piuttosto intelligente. Il matrimonio ha i suoi vantaggi. Quando morirò avrò la certezza di lasciarti un tetto sopra la testa, abbastanza legna per scaldarti d’inverno. Abbastanza spazio per i cani.”
“Non parlarmi di morte.”
“Non volevo innervosirti, ti chiedo scusa. Ma ho dieci anni più di te, mi viene naturale pensarla in questi termini.”
“Hannibal Lecter che ti arrende alla fragilità della mortalità umana è più disturbante di quello che avrei mai creduto. Ma tu non morirai prima di me, non ti darò la soddisfazione di lasciarmi vagare nella tempesta, solo ed infreddolito.”
“Mai infreddolito, Will.”
“Ce ne andremo insieme, non ci sarà questo problema. Santo cielo, solo tu potevi trasformare una proposta di matrimonio in un discorso del genere.”
“Non era una proposta, era solo un suggerimento, quindi non dovrebbero esserci problemi. Ho solo una richiesta –”
“Vuoi sposarti in Francia, vero?” ghigna, “Te la concedo. Partiamo la settimana prossima.”
“Qualcuno è impaziente.”
“Ci ho pensato troppo per non esserlo.”
“Quindi non è la decisione del primo mattino che ti saresti rimangiato a cena.”
“Non lo è. Hai una casa anche a Parigi, vero?”
“Ne ho una in ogni città che ho vissuto e amato, Will, te l’ho detto.”
“Allora possiamo partire anche prima.”
“Com’è tuo desiderio.”
 
Un appartamento all’ultimo piano di un palazzo di quattro, una finestra tonda da cui vedere tutta Parigi. più piccolo della casa italiana, ma questa ha solo una stanza da letto. Will si è sentito così leggero quando ne ha vista una sola. Hannibal lo trova davanti a quella finestra. Gli mette un braccio attorno alla vita, imboccandogli un pezzo di formaggio.
“I documenti saranno pronti domani.”
“Sarò il signor Lecter o avrò un cognome francese? Guillaume Baudelaire?”
“Sarà una sorpresa.”
Hannibal avvicina il naso all’incavo del collo, lo respira profondamente.
“Mi hai appena annusato?”
“Difficile da evitare. Soprattutto ora che usi un dopobarba degno di questo nome.”
“Chi me lo regalava prima pensa che io sia morto.”
“Continuiamo a farglielo pensare, sarà un vantaggio per tutti. Cambiati la camicia, ti porto fuori a cena.”
 
  
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