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Autore: fedetojen    03/03/2016    1 recensioni
Dal capitolo 9
Una notte mi svegliai: la schiena mi pizzicava e appena mi tolsi la maglia due grandi ali mi spuntarono.
Due colori diversi: un'ala bianca e un'ala nera. Cosa sarò mai?
Spero vi abbia incuriosito :)
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Impala, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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FATUM
 

Quello che chiamiamo il nostro destino è in realtà il nostro carattere,
e il carattere si può cambiare.

 
1
 

 
Il mio nome è Cassandra, sono orfana: non ho mai conosciuto i miei genitori né i miei nonni, nessuno.
Ho vissuto in orfanotrofio per 25 lunghi anni. Ho deciso di partire e trasferirmi in California, a Palo Alto: ogni strada è costeggiata da alberi colorati, parchi e bar che rimangono aperti anche a notte fonda.
Sono una ragazza come tante altre: mi piace la musica, stare in compagnia, avere degli amici, lavorare, essere felice…cose così, insomma.
Lavoro in un bar dove al suo interno abbiamo tavoli da biliardo e la gente non è mai poca.
La paga è buona rispetto a molti altri bar, dove per avere ciò che ho come stipendio devo lavorare duramente per due settimane.
Quando lavoro mi sento soddisfatta: essere a contatto con la gente fa bene alla salute e alla mente, anche perché preferisco lavorare che essere chiusa in casa.

Oggi è il mio giorno libero, è sera inoltrata e fa molto freddo: indosso il cappuccio della mia felpa preferita, di qualche taglia più grande di me, per essere comoda e con le mani nelle tasche della stessa cammino guardandomi il panorama.
Fa freddo, ma è sempre piacevole fare due passi al chiaro di luna.
So che a una certa ora è pericoloso andare in giro per strada ma l’orfanotrofio in cui ho passato tutti questi anni era un orfanotrofio alternativo: ti insegnano le buone maniere, studi, segui corsi di approfondimento e corsi di autodifesa, perché la sicurezza non è mai abbastanza.

Osservo con innocenza la nuvola di vapore che faccio uscire dalla mia bocca, mentre qualcosa cattura la mia attenzione: in un vicolo due sagome stanno parlando ma una di esse alza la mano sferrando un colpo all’altra, lasciandola a terra inerme.
La sagoma corre via velocemente e io mi precipito a vedere come sta l’altra persona.
Mi piego lentamente e metto una mano sul suo collo ma non c’è battito.
Prendo il telefono e accendo la torcia: l’uomo aveva tre graffi sul petto e un buco con il cuore mancante.
Presi il telefono con la mano tremante, c’erano due possibilità: chiamare la polizia, essere interrogata oppure andare via come se niente fosse.

Devo dire che la seconda scelta era molto allettante: non penso non s’insospettirebbero di vedere una ragazza orfana vicino ad un cadavere in piena notte, qualche domanda se la sarebbero fatta così scelsi di andare via, lasciando la scena del crimine.
Aprii la porta di casa ritrovandomi al buio: accesi la luce togliendomi il cappuccio e andai verso il frigo per bere un sorso d’acqua.
La luce della luna entrava dalle finestre aperte, dando un senso di tranquillità e serenità all’ambiente, anche se ero ancora un po’ sotto shock per via del cadavere senza cuore in quel vicolo buio.
Mi misi a letto sperando di non passare una notte in bianco visto l’accaduto: riuscii a prendere sonno dopo qualche minuto e appena mi svegliai mi fiondai nel salone per controllare il telegiornale.

“Trovato corpo senza vita la notte scorsa ad indagare polizia e scientifica” disse la giornalista inquadrando il corpo coperto del morto.

Scossi la testa bevendo il latte per poi fare la mia corsa giornaliera.
Le mie cuffie, il cappuccio e la strada del parco sempre piena di gente e anziani, accompagnavano la mia corsa abituale del giorno.
A pranzo mangiai leggero e verso il tardo pomeriggio mi diressi al bar dove lavoravo.

“Ei Cassandra” mi disse John, il proprietario e titolare del bar sorridendomi.

“John” dissi con un cenno del capo, mentre mi avvicinai al bancone per indossare il grembiule intorno alla vita.

Presi la pezza ed iniziai a lavare il bancone, passando poi ai vari tavolini sparsi per la sala e in ultimo i biliardi.
Qualche ora dopo, ormai era buio e la gente era già ai tavoli o a giocare con amici, mentre bevevano o fumavano.
Dalla porta entrò un giovane vestito elegantemente, fu difficile non notarlo visto il modo in cui attirava l’attenzione di ogni ragazza presente nel bar.
Con un cenno del capo John mi fece segno di andare dal cliente e subito mi diressi verso di lui dietro al bancone.

“Cosa posso offrirle?” chiesi sfoggiando il mio sorriso: si sedette, posando entrambe le mani sul bancone alzò lo sguardo e mi sorrise.

“Uno doppio, bellezza” mi disse continuando a sorridermi, guardandomi con i suoi occhi verdi.

“Subito” dissi velocemente, prendendo lo scotch mettendolo nel bicchiere di vetro.
Lo scolò in due secondi, facendomi segno col dito di dargliene un altro: aveva un’aria di chi è stato appena preso sotto da un tir.

“Giornata pesante?” chiesi mentre riempivo il bicchiere tra le sue mani. Bevve il contenuto e mi guardò con aria stanca.

“Il mio lavoro è molto…impegnativo” disse portandosi due dita vicino al collo, allentandosi la cravatta.

“Immagino” dissi sorridendo, lasciandolo per servire altri clienti.
Era passato dallo scotch alla birra, cosa molto strana visto che di solito è il contrario: dalla birra si passa a qualcosa di più ‘pesante’.
Posai i gomiti sul bancone e lo osservai bene.

“Regge bene l’alcool” dissi divertita.

“Ci sono abituato” mi disse accennando un mezzo sorriso, inclinando il capo e appoggiando la schiena alla sedia.
Era rimasto l’unico a bere nel locale e si era tolto anche la giacca.

“Signore mi deve scusare ma dobbiamo chiudere” dissi avvicinandomi a lui con gentilezza.

“Non chiamarmi signore mi sa di vecchio: chiamami pure Dean” disse voltandosi e sorridendomi.

“Va bene, Dean: dovremmo chiudere. Vuoi una mano ad arrivare alla tua macchina?” chiesi poco convinta del suo stato.

“No…no, ce la faccio” disse poco convincente. Si alzò e per poco non cadde: riuscii a prenderlo al volo e a non farlo cadere. Iniziammo a camminare verso l’uscita.

“Sono…al di là del salvabile…” disse biascicando, mentre lo trascinavo fuori dal locale.

“So come finisce…la mia storia: in fondo al mio burrone…c’è una lama o la canna di una pistola” disse fermandosi poi sul cofano di una Chevrolet del 67’.

“Dean, non dire così” dissi, cercando di non farlo addormentare visto che stava divagando. Mi guardò sorridente e scosse ancora la testa: era ubriaco fradicio.

Dean?” disse una voce sorpresa alle mie spalle.

“Fratellino” disse Dean sorridendo al ragazzo dai capelli lunghi.

“Lo conosce?” chiesi sorridendo al ragazzo mentre guardava Dean perplesso.

“Sì: è mio fratello. Se ha combinato danni ripagherò tutto” disse avvicinandosi velocemente prendendo il fratello.

“No, non è successo nulla: l’ho solo accompagnato fuori, era orario di chiusura. È questa la sua macchina?” chiesi indicando la Chevrolet.

“Sì, e scusami ancora” disse dispiaciuto il ragazzo mentre metteva Dean al posto del passeggero e andava via con la macchina dal parcheggio del bar.

L’indomani, mi toccava il turno di mattina e di sera, così andai subito al locale.
Erano solo le dieci di mattina e il locale era già pieno: meglio per me, più mance.
Mentre stavo servendo al bancone, qualcuno picchietta su di esso attirando la mia attenzione: giacca elegante, fisico slanciato e occhi verdi.

“Buongiorno” disse Dean sedendosi, toccandosi più volte la fronte.

“Giorno’. Problemi post-sbornia?” chiesi divertita, mentre riponevo la bottiglia di whiskey a posto.

“Ho bevuto troppo ieri, lo ammetto. Per me solo un po’ di acqua, Cassandra” disse leggendo il cartellino sulla mia maglia.

“Certo” dissi rispondendo al suo sorriso smagliante.

“Cass, poi butta l’immondizia intesi?” mi chiese John, avvisandomi.

Annuii con la testa e appena riempii il bicchiere di Dean, andai a prendere l’immondizia per buttarla sul retro.
Quella busta pesava troppo, ma ormai non era un problema: aprii il cassonetto e buttai dentro la busta.
Notai rivolto contro il muro un uomo: mi avvicinai e allungando la mano toccai la sua spalla.

“Tutto ben--Aaaaaah” dissi urlando, cadendo a terra: l’uomo era morto, con tre graffi sul petto e il cuore mancante.
Cercai di rialzarmi ma mi ritrovai le mani sporche di sangue e urlai ancora.

“Ei, ei è tutto ok! Stai bene?” mi voltai verso la voce, vedendo Dean avvicinarsi velocemente a me, aiutandomi ad alzarmi.

“Sì, io sto bene…lui è…” dissi tremante, indicando con la mano sporca di sangue il morto.

“Shh, va tutto bene” disse stringendomi a me Dean, cercando di calmarmi. Poco dopo ero alla stazione di polizia a rendermi conto di quello che era appena successo.

“Cassandra, allora: dove sono i tuoi genitori?” un agente entrò iniziando a farmi il terzo grado.

“Sono orfana” dissi guardando altrove.

“Hai qualche relazione con l’uomo morto?” mi chiese con voce accattivante.

“No, non lo so: forse poteva essere un cliente del bar, non lo so!” dissi esplodendo, sentendomi alle strette. Di colpo la porta si aprì e Dean entrò.

“Ei calma, ok? Non è un sospettato, va bene? E ora ce la vediamo noi” disse facendo andare via l’agente, Dean, affiancato dal ragazzo alto della sera precedente.

“Cassandra, lui è mio fratello Sam. Siamo agenti dell’FBI” mi disse Dean sedendosi difronte a me.

“Non ho fatto nulla, ve lo giuro” dissi cercando di alzare le mani, ma bloccate dalle manette attaccate al tavolo. Dean fece cenno a Sam che si avvicinò e mi tolse le manette.

“Grazie” dissi sfregandomi i polsi.

“Sappiamo che non sei tu il colpevole: pensiamo sia un licantropo” disse Dean, unendo le mani sul tavolo.

“Licantropi? Ma non esistono” dissi incredula.

“Oh Cassandra, non sono l’unica cosa che esiste in questo mondo sovrannaturale” disse Sam, appoggiando la mani sul tavolo.

“Voglio uscire di qui” dissi a braccia conserte, guardando Dean negli occhi.

“Va bene” disse alzandosi e accompagnandomi fuori dalla centrale, fino alla sua macchina.

“Dove abiti?” mi chiese aprendomi lo sportello della macchina.

“Ci vado a piedi non è un problema” dissi voltandomi, iniziando a camminare, lasciandoli lì. Ero quasi a metà strada per arrivare a casa, quando qualcuno mi telefonò.

“Pronto?”

“Cass, sono John: volevo dirti che puoi prenderti dei giorni per riprenderti dato l’accaduto di oggi, va bene?” mi disse dall’altra parte del telefono.

“Grazie John” dissi chiudendo la chiamata, sorridendo.

Appena arrivai a casa, preparai un bel bagno caldo e mi ci infilai dentro.
Passò quasi una settimana e io continuavo ad avere incubi, di quello strazio fuori dal bar, ma iniziai a lavorare di nuovo e un giorno un cliente iniziò con il piede sbagliato.

“Dai ragazzina, ci vediamo fuori sul retro, mmh?” mi disse sorridendomi. Per poco non vomitai e scostai la sua mano dalla mia spalla.

“No: ora per favore si sieda e continui a bere la sua birra” dissi allontanandomi gentilmente, ma mi prese per il braccio spostandomi bruscamente.
Mi voltai e vidi una sagoma iniziare a prendere a pugni il cliente che poco prima m’importunava: lo riconobbi subito dai suoi abiti eleganti e dalla prestanza fisica.

“Dean!” urlai, vedendo con quanta violenza e forza continuava a sferrare pugni all’uomo sotto di lui.

“DEAN!” urlai più forte poggiando una mano sulla sua spalla sinistra. Si fermò e appena si voltò i suoi occhi erano tutti neri. Sgranai gli occhi
e feci un passo indietro.

“Ti ho trovata” disse con voce agghiacciante.




Writer's Space: Salve gente, ragazzi e ragazze xD Spero che quest'altra (ennesima) storia, sia di vostro gradimento. Più che altro spero vi abbia incuriosito almeno un pò dalla descrizione iniziale, fino ad adesso xD Ovviamente aspetto sempre con ansia le vostre recensioni, che sono sempre ben accette :)


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