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Autore: Losiliel    05/03/2016    5 recensioni
In Aman, Celegorm va a caccia da solo e torna a casa con un amico.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Celegorm, Huan, Oromë
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Los Tales'
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SPIRITI AFFINI

 

Dedicato a Melianar

 

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NOTE: Tyelkormo (Turkafinwë) è Celegorm

WARNING: il personaggio di Huan non si attiene rigorosamente al canon e potrebbe risultare ooc

Altre note al termine del racconto

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Il vento tra i capelli è come un soffio di libertà. Il torace che si espande e si contrae, un mantice instancabile che rifornisce i polmoni con cadenza regolare. Il sangue che pompa, un martello contro i timpani. Il movimento di gambe e braccia, una sincronia di muscoli che si tendono e si rilasciano.

Tutto segue un ritmo sempre uguale. Incessante. Calibrato. È la corsa.

È la caccia.

La preda è una grossa lince. Non è in vista, ma Tyelkormo può sentirla. Sente il bosco che si piega al suo passaggio: uccelli che si innalzano in volo, ramoscelli che si spezzano sotto le sue zampe in fuga.

Tyelkormo salta un tronco abbattuto, schiva un ramo basso, balza in un torrente e risale la riva dall'altro lato. L'arco e la faretra sulle spalle, il pugnale al fianco, il petto nudo lucido di sudore, i capelli in ciocche bagnate.

Questa è la caccia che preferisce. A piedi.

Il sentiero è appena accennato, ma lui conosce il territorio. Sa dov'è diretta la preda, sa dove cercherà riparo.

Ancora poche falcate e i suoi sensi registrano il cambiamento che attendeva: la lince si è fermata. È vicina. Tyelkormo lo sa, ma non riesce ancora a vederla. Non è un problema: espande le sue percezioni oltre i confini del suo corpo, come gli è stato insegnato durante il lungo addestramento, terminato anni prima. Ecco gli insetti, un brusio indistinto sotto i suoi piedi. Gli uccelli, un chiacchiericcio impaurito. I piccoli quadrupedi, silenziosi e tesi. E la preda, finalmente. Si nasconde su un albero non molto distante.

Tyelkormo si avvicina silenzioso. Non un fruscio, non uno scricchiolio rivela il suo passaggio. Ogni singola fibra del suo corpo è tenuta sotto controllo, compreso il respiro, compreso il battito del cuore. Come gli è stato insegnato. 

Ecco la lince. Su un ramo basso, perfettamente mimetizzata tra le fronde, le zampe ripiegate, pronta a saltare. Tyelkormo non sarebbe mai riuscito a vederla se non avesse percepito la sua presenza. L'ombra di un sorriso appare sul suo volto: una preda abile rende la caccia più eccitante.

Tyelkormo è svelto. Impugna l'arco e incocca una freccia in un singolo istante. Prende la mira, calcola la traiettoria, dosa la forza con cui tendere la corda, scova il punto d'impatto perfetto, quello che permetterà al dardo di raggiungere il cuore dell'animale, evitandogli un'inutile sofferenza.

È l'istante supremo. Il corpo in equilibrio col creato, la mente vuota. Il destino che si piega alla sua volontà. Tyelkormo sa che il colpo andrà a segno. Sorride, scoprendo i denti.

Ma poi.

Non ancora.

Ripone l'arco e la freccia, facendo rumore di proposito.

La lince scatta, balza giù dal ramo e riprende la fuga. E lui ricomincia la corsa, all'inseguimento dell'animale, inoltrandosi sempre più nel profondo del bosco. Più si allontana dai luoghi abitati, più i suoi sensi si fanno acuti. Tyelkormo accelera, il battito del cuore aumenta, l'eccitazione scorre come fuoco liquido nelle vene, il sangue sembra ribollire. 

Finalmente i suoi sensi esplodono. Ora è in grado di avvertire ogni singola forma vivente che lo circonda con estrema chiarezza, ha raggiunto un livello di percezione quasi destabilizzante. Ma chi gli ha insegnato come raggiungerlo, gli ha insegnato anche come dominarlo. Tyelkormo seleziona, tra la moltitudine di segnali, la lince. Prende contatto. Sente il terreno sotto le sue zampe felpate, sente il suo respiro affannato, il suo cuore che pompa, velocissimo. Sente l'urgenza, la paura, la determinazione, il coraggio.

È la vita che esplode, quando si avvicina al suo termine. Mai così intensa. Mai così viva!

Tyelkormo accelera ancora, esaltato. La sua mente è leggera, il suo spirito esulta.

Con uno scarto rapido lascia il sentiero per tuffarsi nel folto del bosco. Il terreno scosceso minaccia di farlo slittare, lui salta e si avvolge su sé stesso, rotola sulla schiena per tornare eretto sul ciglio di una scarpata. Balza. Atterra su un masso che si protende sul sentiero che ha appena abbandonato. Sguaina il pugnale e si blocca. Aspetta. 

Da una curva compare la lince, in piena corsa. Tyelkormo tende tutti i muscoli, pronti a scattare. La preda è quasi sotto di lui. Ogni fibra del suo corpo freme di impazienza.

Tyelkormo salta, il pugnale ben saldo nella mano; nel suo volo intercetta il collo dell'animale, lo aggancia con le sue braccia forti. L'impeto del balzo sbilancia la preda, rotolano entrambi, avvinghiati. Tyelkormo, con uno scatto degno del felino a cui sta dando la caccia, aderisce al dorso della lince e la circonda con braccia e gambe. Schiena a terra, la blocca sopra di sé. Il tutto è durato quanto un battito di ciglia.

La preda sa che sta per morire, ha la lama sotto la gola, non riesce a scrollarsi di dosso il cacciatore, non riesce a raggiungerlo con gli artigli, ha le sue gambe che gli serrano l'addome.

Allora cede. Accetta la sconfitta. Tyelkormo assapora il gusto del trionfo come acqua pura che lo rigenera, che lo soddisfa.

Poi.

Non oggi.

Molla la presa e con un colpo di reni è in piedi. L'animale abbassa il capo, gli ruggisce debolmente contro, poi retrocede piano, fino a scomparire nel bosco.

Tyelkormo respira pesantemente, ascolta il suo cuore che rallenta, l'eccitazione che pian piano svanisce. Guarda il proprio corpo per controllare eventuali ferite: è la forza dell'abitudine, sa che non ce ne sono. Attraverso i capelli che gli ricadono sugli occhi, vede il torace che si alza e si abbassa, le gambe fasciate da pantaloni di stoffa spessa che tremano leggermente, gli stivali di pelle ricoperti di fango.

Infila il pugnale nel fodero e appoggia l'arco a terra. Non è venuto fin qui per uccidere oggi. È venuto perché nutre la speranza di riuscire a incontrare qualcuno.

 

 

 

 

E quando alza lo sguardo, lui è lì.

Nei lunghi anni da quando si conoscono,Tyelkormo l'ha visto imponente come una montagna, l'ha visto come nebbia nel bosco, come un'ombra sull'orizzonte. Ma oggi gli si presenta con la forma con cui si mostra più spesso: un essere simile a un Elda, ma dalle dimensioni più massicce, dalla muscolatura più pronunciata. La pelle ambrata, i capelli color dell'ebano in un groviglio di trecce tenute insieme da un laccio di cuoio. Pantaloni di pelle bruna il suo unico indumento, il petto percorso da disegni arcani. A un fianco porta un lungo pugnale in un semplice fodero, all'altro un corno intarsiato con figure che ricordano quelle che ornano il suo corpo.

Oromë, che una volta è stato il suo maestro, gli si avvicina senza fare il minimo rumore, con una grazia impensabile per una creatura così maestosa. Neanche per un momento potrebbe essere scambiato per un Elda: i profondi occhi castani, screziati di smeraldo, non possono nascondere l'immenso potere che quell'ingannevole involucro custodisce.

Il Vala gli pone una mano sul capo e gli accarezza i capelli bagnati dal sudore. 

È un gesto che fa dal giorno in cui, da bambino, Tyelkormo l'ha incontrato per la prima volta. Era un giorno in cui non riusciva più a sopportare la casa, così angusta, le lezioni, così complicate, i fratelli maggiori, così uniti tra loro da farlo sentire escluso… era scappato lontano, sempre più lontano, si era perso. Oromë l'aveva trovato presso un torrente, che tirava sassi nell'acqua con furore, urlando, le lacrime agli occhi per la rabbia. Non per la paura di essersi perduto, sapeva che Nelyo alla fine sarebbe arrivato per ricondurlo a casa. Lo faceva sempre.

Oromë gli era comparso davanti proprio come adesso, dal nulla, vestendo la stessa forma, e gli aveva appoggiato una mano enorme sulla testa.

"Riprendi il contatto, Eruhin" gli aveva detto, con una durezza che non ammetteva rifiuti e insieme come fosse l'unico essere al mondo in grado di comprenderlo. Di comprendere quella rabbia inspiegabile che sempre minacciava di travolgerlo. 

"Ascolta l'acqua", gli aveva detto il Vala con una voce che ricordava il tuono quando arriva da lontano, e Tyelkormo aveva cominciato a far caso al rumore dell'acqua che rifluiva sulle rive del torrente, e a quella più lontana di una cascata, e a quella ancora più distante di un piccolo laghetto.

"Senti i suoi abitanti." E lui aveva sentito come un suono tintinnante, e si era accorto con stupore che erano i pensieri informi dei pesci, intenti nel loro nuotare sotto la superficie.

"Ascolta gli alberi." E lui aveva udito lo stormire delle foglie nel vento, lo scricchiolio dei rami, lo scorrere della linfa nel suo percorso ascensionale.

"Apri gli occhi" gli aveva detto infine, e Tyelkormo non si era nemmeno accorto di averli chiusi. I suoi occhi erano asciutti, la mente serena, i muscoli rilassati.

"Chi sei?" aveva trovato il coraggio di domandare, in un sussurro.

"Sono un Cacciatore" gli aveva risposto quella creatura misteriosa, ritirando la mano.

"Posso diventare anch'io un cacciatore?" aveva chiesto lui tutto d'un fiato, perché già sentiva la voce di Nelyo giunto alla sua ricerca. E il suo cuore aveva fatto un balzo nel petto all'udire la risposta: "Forse. Quando sarai più grande."

Era passato molto tempo prima di poterlo rincontrare, ma alla fine, negli anni della sua giovinezza, Tyelkormo aveva avuto l'onore di essere ammesso tra i Cacciatori che lo seguivano, ed era stato addestrato insieme a loro.

Adesso Oromë non è più il suo maestro, e lui certamente non è più un ragazzo, ma ogni volta che si incontrano, il Vala gli passa una mano sulla testa e Tyelkormo da quel contatto trae pace e serenità.

"Una caccia onorevole" dice il Vala, con la sua voce profonda, "meritavi di prendere la sua vita."

Tyelkormo china il capo di fronte a quel riconoscimento, anche se non può fare a meno di provare una punta di amarezza. Per quanto il suo addestramento si sia concluso da anni, il Vala continua a comportarsi come se fosse ancora il suo maestro. Invece, nel segreto del suo cuore, Tyelkormo vorrebbe poterlo considerare qualcosa di più, amico è il termine che usa quando pensa a lui, senza mai osare pronunciarlo ad alta voce. È una sciocca illusione: non potrà mai esserci amicizia tra un semplice Elda e una delle Potenze… a maggior ragione se quell'Elda è un Fëanárion.

Oromë ritrae la mano e lo guarda con attenzione. "È evidente che non sei qui per cacciare, oggi."

Tyelkormo esita, improvvisamente ricondotto alla realtà. 

Pensa alla sua vita fuori dal bosco, così complicata. Ai sentimenti non corrisposti, agli impegni a Palazzo, ai dissidi politici. Pensa all'insofferenza del padre, all'esasperazione della madre, ai fratelli tesi alla faticosa ricerca ognuno della propria strada.

Pensa soprattutto a ciò che ultimamente lo tormenta di più e che l'ha fatto uscire di casa quella mattina per cercare la pace nei boschi presso il suo antico maestro: la consapevolezza inequivocabile che qualcosa stia per cambiare, e non per il meglio.

Quando era più giovane, questa invasione di pensieri scomodi, rumorosi, nocivi, sarebbe stata sufficiente per scatenare uno scoppio d'ira incontrollato. Ma ora gli basta appoggiare un ginocchio al suolo, afferrare una manciata di terra e farsela scorrere tra le dita. L'odore di umido, del sottobosco, riempie i suoi polmoni e fa da tramite alle sue percezioni, che si espandono in modo del tutto naturale. In un attimo riprende il contatto con ciò che lo circonda e recupera l'equilibrio.

Oromë si siede davanti a lui e annuisce in silenzio. Lo sanno entrambi: l'insegnamento più grande che Tyelkormo ha tratto dal suo addestramento è quello di riuscire a dominare il proprio spirito impetuoso.

Il sorriso torna sul volto dell'Elda e si allarga ancor di più quando Oromë gli fa cenno di sedersi a sua volta, perché significa che il Vala ha accettato di passare del tempo in sua compagnia.

Ma un istante prima di ritirarsi in sé stesso, Tyelkormo avverte qualcosa di strano alle spalle del suo vecchio maestro, qualcosa che lo spirito della Potenza aveva in un primo momento occultato, ma che sembra imponente quasi quanto Oromë stesso.

"Non siamo soli" commenta Tyelkormo, e un fremito di eccitazione gli percorre la colonna vertebrale.

 

 

 

 

"No, non lo siamo" asserisce il Vala, pacato.

"Chi è?" domanda allora Tyelkormo, coi brividi che gli increspano la pelle, sforzandosi di rimanere seduto.

Oromë gli risponde come usava fare quando era ancora il suo maestro: "Dimmelo tu. Cosa ti sembra?"

Tyelkormo si concentra sulla presenza sconosciuta: la sua natura è senza dubbio quella di un animale, ma in qualche modo gli ricorda anche quella dei Maiar cacciatori con cui ha condiviso l'addestramento. Cerca di elaborare una risposta che abbia un senso: "Sembra un cane, o un lupo forse, ma allo stesso tempo… uno spirito decisamente potente."

"È uno spirito potente" conferma Oromë, "ma talmente vincolato alla sua forma esteriore da esserne quasi indistinguibile." Poi, prima che Tyelkormo possa soffermasi a pensare alle sue parole, si volta verso gli alberi alle sue spalle e chiama: "Huan!"

Un leggero fruscio, un debole scricchiolio ed ecco sbucare dal bosco più fitto… nient'altro che un cucciolo!

Tyelkormo rimane sbalordito e si lascia quasi sfuggire una risata. Si era aspettato un animale imponente, e invece si trova davanti a un batuffolo di pelo folto, bianchissimo, con un muso appuntito arricciato per scoprire piccole zanne affilate, due grandi occhi neri e una coda corta e dritta, immobile.

Il cucciolo avanza di pochi passi e si ferma accanto a Oromë, più come se volesse proteggerlo, che per richiederne la protezione.

"È tuo?" domanda Tyelkormo, che non riesce a distogliere lo sguardo da quell'essere in cui sostanza e apparenza risultano inconciliabili. Poi pensa ai vecchi compagni di caccia del popolo di Oromë e subito si corregge, in imbarazzo: "È al tuo servizio, voglio dire?"

"No." Oromë appoggia una mano sulla testa del cucciolo, con un gesto analogo a quello che riserva anche a Tyelkormo, e il cane sembra trarne il medesimo conforto. "È uno spirito libero, per così dire."

Tyelkormo guarda il cucciolo, che adesso si crogiola tutto beato nelle carezze del Vala. "Credevo che tutti gli spiriti minori fossero al servizio di una delle Potenze." Così gli era stato insegnato e così diceva la sua esperienza.

"Ci sono alcune eccezioni" risponde Oromë, col tono del maestro che è stato. "Sai perché gli spiriti che popolano Arda sono stati posti al servizio dei Valar?"

Tyelkormo scuote la testa, e riemerge in lui un po' di quel senso di inadeguatezza che lo accompagna fin dalla nascita. Senza dubbio era una cosa che Nelyo e Káno sapevano.

Oromë non attende risposta: "Perché il motivo per cui hanno fatto il loro ingresso nel mondo è per contribuire al Tema di Eru… di cui si suppone i Valar conoscano la trama." Il fantasma di un sorriso appare per un attimo sul suo volto, come in risposta a uno scherzo che solo lui può capire, poi prosegue, serio: "Se uno spirito vuole mantenere la sua indipendenza, Eru non glielo impedisce, ma lo vincola ugualmente a far parte del suo disegno."

"E come?" domanda all'istante Tyelkormo, col forte sospetto che il modo scelto dall'Unico non volgerà a favore del cucciolo.

"Invece di decidere da solo chi servire e come farlo, dovrà sottostare a un destino scelto per lui" spiega Oromë.

"A una condanna" precisa Tyelkormo, prima di riuscire a fermarsi.

"Se preferisci chiamarla così" afferma Oromë, senza scomporsi.

Provocato dall'insopportabile impassibilità del Vala, Tyelkormo esclama: "Ma non ti sembra assurdo che uno debba pagare la propria libertà con una condanna?"

Sono parole che starebbero bene sulle labbra di suo padre, e sinceramente non sa se il fatto di averle pronunciate lo renda più orgoglioso o più infastidito. Distratto da questo pensiero, quasi non si accorge che il cucciolo, allarmato dal tono della sua voce, ha drizzato le orecchie e si è portato tra lui e Oromë mettendo in mostra le fauci.

"Piano." Interviene Oromë con la sua voce bassa e calma, forse per placare gli spiriti di entrambi, l'Elda e il cucciolo.

Ma nessuno dei due sembra intenzionato ad ascoltarlo.

Il cucciolo si avvicina lentamente, con le orecchie tese all'indietro, la coda dritta, un ringhio sommesso in gola.

Tyelkormo lo aspetta immobile, le gambe incrociate, le braccia intorno alle ginocchia. Non muove un singolo muscolo. Sembra non respirare neppure.

Il cucciolo balza, all'improvviso, e gli azzanna un polso, con una presa debole, quasi voglia dargli la possibilità di scappare. Ma Tyelkormo non si muove.

Il cucciolo allora stringe la presa. Il ringhio aumenta di tono e i suoi occhi fissano l'Elda dal basso, minacciosi, come volesse sfidarlo.

Tyelkormo non reagisce, mantiene l'immobilità. Il dolore al polso è sopportabile e lui, in ogni caso, non è uno che si lascia spaventare da un po' di dolore. Tutt'altro.

Una striscia scarlatta comincia a scorrere lungo l'avambraccio e arriva al gomito. Una goccia di sangue cade sul terreno.

Il cucciolo insiste ancora per qualche istante, poi lascia la presa e si allontana di pochissimo. Nei suoi grandi occhi scuri la ferocia comincia a lasciare il posto alla curiosità. 

"Non temere" gli dice Tyelkormo, con parole e col pensiero.

Il cucciolo piega la testa di lato e, dopo un attimo, dalla sua gola scaturisce un timido uggiolio. Pian piano si avvicina di nuovo al polso e lecca la ferita che lui stesso ha inflitto. La deterge dal sangue. 

Tyelkormo avvicina l'altra mano. Si lascia annusare, poi, lentamente, gli accarezza la testa. Il cucciolo comincia a scodinzolare e gli salta in braccio senza la minima esitazione. Lui gli solletica l'addome, ricevendo in cambio piccoli morsi giocosi.

"Cosa lo aspetta?" chiede, come se nulla fosse successo. Lo spettacolo di un cucciolo domato non è certo una novità per i due cacciatori.

"Potrà decidere del suo destino come vorrà, finché la sua sorte si farà chiara" risponde il Vala, con semplicità.

"Ma lui lo sa?" Sembrano cose troppo grandi per l'esserino che adesso gli saltella in grembo, tentando invano di afferrare la propria coda.

"Quando ha accettato le condizioni che gli sono state poste, lo sapeva, adesso non credo ne sia consapevole. Col tempo acquisirà la coscienza di sé e quando arriverà il suo momento lo riconoscerà… e non potrà sottrarvisi". Il tono di voce di Oromë, che fino a quel momento non ha tradito alcuna emozione, sembra incrinarsi su queste ultime parole. 

Ed è forse questa crepa nell'impassibilità del suo vecchio maestro, o forse lo sguardo fiducioso del piccolo che tiene tra le braccia, che suscitano nell'Elda una gran pena e il desiderio di opporsi a una decisione che gli sembra tanto ingiusta.

Tyelkormo non comprende l'importanza del disegno di Eru, né le difficoltà dei Valar nel gestire un mondo in equilibrio tra ciò che vorrebbero fare e ciò che deve essere fatto, non comprende gli schemi della Tessitrice dei destini.

Ma comprende il desiderio di libertà, la ricerca di un proprio modo di vivere, il voler essere sé stessi fuori dagli schemi precostituiti. Tyelkormo comprende la fedeltà, il coraggio, la furia.

D'impeto, afferra il cucciolo per il torace e lo solleva a livello dei suoi occhi: "Huan, piccolo, tu resta con Tyelko e non ti accadrà mai nulla" dice e il cane, per tutta risposta, gli lecca il viso con entusiasmo.

"Tyelkormo" mormora Oromë, con negli occhi quella dolcezza che il Vala gli dedica raramente, e che gli scalda il cuore come poche altre cose al mondo, "sempre pronto a difendere i cuccioli, anche quando questi gli si rivoltano contro."

"Il forte protegge il debole" cita Tyelkormo, ostentando la sua consueta spavalderia, "me l'hai insegnato tu, ricordi, quando ho voluto spiegarti il significato del mio nome". Ma poi lascia Huan libero di correre sul terreno e torna a guardare il Vala per non perdersi nemmeno un istante di quello sguardo.

"Ricordo, Turkafinwë." E per la prima volta a Tyelkormo sembra di sentire la voce non del maestro, bensì quella che ha atteso per tanti anni, quella dell'amico.

È uno di quegli attimi che non vorrebbe finissero mai.

Ma la luce sta cominciando a calare e le foglie a tingersi d'argento. Tyelkormo sa che a casa lo attendono e sono lontani i tempi in cui ritardava di proposito il suo rientro con l'infantile presunzione di farsi desiderare. Sono lontani i tempi in cui credeva di essere l'unico fuori posto in una famiglia perfetta. Adesso che quella famiglia perfetta sembra sgretolarsi pian piano, ha finalmente capito che il suo compito è rimanere accanto ai fratelli per cercare di impedire che tutto finisca davvero per crollare.

E proprio in quel momento, vedendosi riflesso negli occhi ammirati del Vala, ascoltando la voce che ha tanto desiderato sentire, riesce a identificare il disagio senza nome che lo tormenta da giorni: la consapevolezza che sarà proprio la fedeltà alla sua famiglia, questo traguardo ottenuto negli anni con tanta fatica, a portarlo lontano da chi gli è caro più di ogni altro.

Allora le parole che non ha mai osato pronunciare gli salgono alle labbra spontanee, spinte dalla paura della separazione.

"Ti ricorderai di me, amico mio?" 

"Ricorderò tutto, Tyelkormo." Conferma Oromë, e lui capisce che il Vala conosce ogni cosa, e che quell'affermazione è il massimo che potrà ottenere da lui. Non ci saranno parole di conforto o di speranza, né tantomeno di comprensione, solo la certezza che quello che c'è stato non verrà dimenticato.

Può bastare. Deve bastare.

Il Vala e l'Elda si alzano contemporaneamente, come fossero lo specchio l'uno dell'altro. Come fossero, per una volta soltanto, due pari. Il cucciolo saltella tra loro, incurante dei loro sguardi, carichi di cose non dette.

Tyelkormo è veloce nel cambiare umore, ma questa volta la malinconia non riesce a scrollarsela di dosso con un sorriso e un'alzata di spalle. Si sforza di fare quello che deve: si china a raccogliere l'arco e si volta per andarsene.

Fatti pochi passi si accorge che il cucciolo lo sta seguendo. Guarda quel musetto risoluto puntato verso di lui e nei suoi occhi legge una richiesta muta, ma inequivocabile.

Si volta verso Oromë, con sguardo interrogativo, non osando sperare.

"Sembra che Huan abbia cominciato a esercitare il suo diritto di scegliere" dice il Vala. Poi sorride, ed è uno spettacolo bello e spaventoso insieme.

Tyelkormo gli sorride di rimando. Bello e spaventoso come anche lui sa essere.

Infine si volta e comincia a correre, col cucciolo al suo fianco, in una delle sue ultime esplosioni di gioia pura.

 

 

 

__________________________

 

Note finali

00.
Grazie per aver letto! E grazie a Melianar, che l'ha richiesta… non avrei mai avuto il coraggio, altrimenti!

01.
Nelyo = Maedhros
Káno = Maglor
Fëanárion = figlio di Fëanáro (cioè di Fëanor)
Eruhin = "figlio di Eru"

02.
Due parole riguardo a Huan.
In “The Lay of Leithian” (HoME vol. 3) viene detto chiaramente che Huan è stato un cucciolo (suggerendo l'ipotesi che sia un "normale" animale del Reame Beato, non un Maia che ha assunto una forma corporea).
In “Myths Transformed” (HoME vol. 10) viene invece esplicitamente detto che Huan potrebbe (condizionale) essere un Maia.
Io trovo che ciascuna ipotesi abbia dei pro e dei contro. Qui sono stata volutamente ambigua.

03.
Due parole riguardo a Celegorm.
Tyelkormo è il nome che Celegorm ha ricevuto dalla madre, significa, più o meno, "colui che è veloce nel sorgere (hasty-riser)", riferito forse al fatto che si arrabbiava facilmente (quick temper, dice Tolkien).
Turkafinwë è il nome che ha ricevuto dal padre, significa "Finwë il forte, il possente", ed è riferito al suo fisico.

 

Note finali non necessarie, aggiunte per chi desidera conoscere i miei headcanon

04.
Headcanon sul destino di Huan (il motivo del warning).
Perché Huan ha su di sé la condanna che tutti conosciamo (dover morire per mano del lupo più forte del mondo)? La risposta che sembra emergere dal Silmarillion è: perché, avendo Huan seguito Celegorm (e quindi Fëanor) ricade anch'egli sotto la Sorte dei Noldor che si manifesta, nel suo caso, come la suddetta condanna.
A me questa cosa non convince. Forse perché mi sembra strano che Sauron potesse conoscere il destino di Huan se era stato reso noto soltanto ai tempi della Fuga dei Noldor, forse perché non riesco a immaginare Mandos che pronuncia la condanna "lacrime innumerevoli voi verserete… etc etc" e poi alla fine: "e per te, Huan, aggiungo ancora qualcosina: sei condannato ad affrontare il più forte dei lupi…"
Mi piace immaginare che il destino di Huan sia stato decretato prima della Sorte dei Noldor (alla quale comunque deve sottostare) a causa di una sua vecchia scelta (Huan è un ribelle ante litteram, in un certo senso).

05.
Headcanon sulla capacità di "percezione" di Celegorm.
È basato su due nozioni:
1) Celegorm conosce il linguaggio di un gran numero di animali (Silmarillion)
2) Ogni mente è in grado di percepire un'altra mente, "perceives another mind directly" (Ósanwe-kenta) – anche se può accedervi solo se quest'ultima è aperta.
Io immagino che, durante il suo addestramento, a Celegorm sia stato insegnato come utilizzare questa capacità di percezione per rivolgerla specificamente al regno animale, per sfruttarla per la caccia (ma non solo!), e per questo sia in grado di comprendere le sensazioni, le emozioni primordiali per così dire, provate dagli animali con cui entra in contatto (non credo gli animali abbiano un vero e proprio linguaggio come noi lo intendiamo).

  
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