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Autore: Nereides    07/03/2016    1 recensioni
Diane Lesley è in debito di due promesse, una fatta ad una ragazza sconosciuta, mentre le teneva la mano e aspettava l'arrivo dell'ambulanza, l'altra fatta ad un amico, un eterno Peter Pan con la fobia per i legami. Cercherà di tener loro fede, tra fantasmi del passato con il volto dell'affascinante Edward Hamilton e lo spietato e freddo cugino della ragazza, Mark Hansen, che il destino continuerà a mettere sulla sua strada. La vita di Diane alla Derbydale University si ritroverà intrecciata agli scomodi segreti delle due famiglie più potenti della città e metterà a dura prova le sue amicizie, le sue certezze e i suoi principi.
Sentirsi soli in un dormitorio universitario è difficile, ma quella sera si sentiva più sola che mai. Due promesse, due pesi, due debiti che aveva stretto senza sapere se sarebbe riuscita a colmarli. Un segreto pericoloso, che rischiava di rovinare tutto ciò che aveva costruito con tanta fatica se solo fosse uscito da quelle mura di cartongesso, così leggere, fragili e inaffidabili.
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Debt of Promise




I





-Il suo nome?-
-Diane Leslie.-
-Non è autorizzata.-
-Da chi?-
A quella domanda la segretaria dalle labbra rosso fuoco alzò il viso con fare irritato.
-Solo i familiari possono entrare. Lei non è una parente della signorina Hansen.-
Diane sospirò esasperata e si appoggiò con un gomito al banco della reception, per poi portarsi una mano alla tempia. Aveva aspettato un’ora nella sala d’attesa dell’ospedale prima di poter entrare e non appena aveva messo piede nel reparto di terapia intensiva una guardia l’aveva rispedita indietro dicendole di tornare quando avrebbe avuto l’autorizzazione. Scettica e piuttosto contrariata aveva seguito il consiglio. La clinica Serendipity non era certo una clinica qualunque. Era una per gente benestante, con uno stile moderno, ampie vetrate e rivestimenti in legno. L’arredamento richiamava sempre il blu, le pareti erano blu, i serramenti erano blu, persino la luce aveva una sfumatura blu. Lo scopo era di infondere serenità, ma a Diane sembrò di entrare in un’incubatrice.
-Cioè non c’è modo che io veda Hilary Hansen. Questo mi sta dicendo?- chiese alla segretaria. Quest’ultima annuì e incrociò le braccia in attesa che se ne andasse. Sobbalzò sulla sedia quando la vide oltrepassare la reception e spalancare la porta di vetro che portava al reparto.
-Signorina!- la chiamò, ma Diane continuò imperterrita. Il suo sguardo puntava su un obbiettivo ben preciso e si trovava all’interno della hall. I capelli folti e neri come una notte senza fine non erano il tratto che distingueva la persona che stava raggiungendo, ma lo erano i suoi occhi dall’azzurro artico.
-Tu sei Mark, vero?- gli domandò piazzandosi di fronte. Non aveva alcun dubbio che fosse lui, l’aveva visto spesso in università e conosceva fin troppo bene la sua fama. Non era solo il suo sguardo ad essere di ghiaccio.
-Mi dispiace, signor Hansen, non sono riuscita a fermarla!- si scusò pietosamente la segretaria.
-Ci penso io- rispose infastidito, facendola tornare dietro la sua scrivania con espressione delusa. A quel punto tutta la sua attenzione fu focalizzata su Diane. -Tu saresti?- le domandò senza troppa gioia per quell’interruzione.
-Diane- rispose, tendendogli la mano. Il suo interlocutore la guardò, ma non la strinse. Si forzò di continuare con l’educazione dovuta, anche se sembrava essere la sola a farlo. –Sono qui per vedere tua cugina Hilary, ma dicono che non ho il permesso di entrare. Tu puoi fare qualcosa?-
Le sopracciglia del ragazzo scattarono in alto e un sorriso rischiarò il suo volto dai tratti marcati. Se una statua avesse potuto sorridere avrebbe avuto quell’espressione.
-Secondo te? Non so nemmeno chi sei.-
-Una sua amica- rispose con tanto di alzata di spalle. Non era vero, ma Mark aveva ignorato la sua esistenza fino a qualche secondo prima quindi la sua bugia aveva basi più che solide; e per di più, tutto il mondo sapeva che non correva buon sangue tra i due cugini. Di certo non passavano le serate a chiacchierare davanti a una tazza di thè.
-Preferisci andartene per conto tuo o devo chiamare la sicurezza?-
Diane lo guardò come se fosse pazzo, e in cambio ricevette uno sguardo minaccioso. Mark Hansen era un pugile grosso il doppio di lei, con un carattere tutt’altro che pacifico e un’indole che in modo infantile ma efficacie si può definire malvagia. Era un panzer, pur di raggiungere i suoi obbiettivi schiacciava con i cingolati tutto ciò che lo ostacolava, senza provare rimorso.
-Forse sei tu che dovresti andartene. Questo posto si chiama Serendipity e tu sei tutt’altro che sereno. Di sicuro sei l’ultima persona che dovrebbe stare accanto ad Hilary. Non sei tu quello che l’ha derisa pubblicamente lo scorso autunno?-
Sorpreso e inasprito dal trovare resistenza, Mark raddrizzò le spalle, ergendosi intimidatorio. Il suo sguardo, che già si era rivolto ad altro nella convinzione di aver vinto, tornò a sfidarla con ancor più ostilità e si abbassò su quella ragazza minuta dai capelli rossi. Gli occhi verdi di Diane assorbirono senza risentirne tutta quella tensione.
-Vattene- tuonò.
-Chi è che ti permette di stare qui? Un pazzo, sicuramente. Forse dovrei fare quattro chiacchiere con il medico di Hilary- insistette imperterrita. –Non sanno che razza di persona sei.-
-Fuori!- gridò. Tutti i presenti si voltarono verso Mark. Per imprimere più carica al suo ordine si era avvicinato, distava meno di un passo da Diane, ma ora anche la ragazza manifestava la sua determinazione. Aveva alzato il mento con fierezza e teneva le mani lungo i fianchi, pronta a respingerlo se avesse osato avvicinarsi ancora.
-Che cosa succede qui?- Un medico interruppe quell’attimo di silenzio con il rumore ritmato dei suoi tacchi. Alla comparsa del camice bianco, sia Mark che Diane si allontanarono, ma non smisero di guardarsi storto.
-Deve andarsene- intimò Mark. La dottoressa ascoltò neutrale le sue parole, poi guardò Diane.
-Piacere- le disse. –Sono la dottoressa Stevens, medico curante della signorina Hansen. Tu sei … ?-
-Nessuno, non ha il diritto di stare qui.- L’invadenza del ragazzo fece infuriare Diane, che fu sul punto di esprimere tutta la sua frustrazione quando fu interrotta per la seconda volta.
-Non ho chiesto a te, Hansen.- Una volta messo al suo posto il presuntuoso pugile, la dottoressa tornò a concentrarsi su di lei, aspettando che rispondesse.
-Un’amica di Hilary, Diane.-
Questa volta la sua mano venne accettata e stretta.
-Se sei qui per vederla, mi dispiace, ma non è possibile- le disse, abbattendo del tutto le sue speranze. Mark incrociò le braccia al petto vittorioso. –Ma le dirò che sei passata. Devi dirle qualcosa in particolare?-
Diane esitò. La presenza di un terzo paio di orecchi in quella conversazione non invogliava le confidenze, ma non aveva altra scelta. –Solo che non mi sono dimenticata della promessa.-
 -Che frase sibillina- commentò quasi divertita. Mark invece si rabbuiò e la osservò come se cercasse una risposta da qualche parte addosso a lei.
-Come posso fare per vederla?- chiese un attimo prima che il medico si allontanasse. Questa lanciò una breve occhiata a Mark, poi infilò le mani nelle tasche e alzò impercettibilmente le sopracciglia.
-Devi chiedere un permesso agli Hansen- rispose con tono che tradiva la sua neutralità. –Quando è stata ricoverata, Hilary ha dato il permesso affinché fosse la famiglia a prendere le decisioni al posto suo, e suo padre ha deciso di non permettere altre visite, a scopo tutelativo.-
Mark si godette ogni secondo della sua indiretta vittoria, mentre Diane ringraziò la dottoressa, che tornò al suo lavoro, e rimase nella sua posizione mordendosi un labbro nervosa: la presenza incalzante dell’alto pugile rendeva le sue riflessioni ancora più difficili.
-Non finisce qui- gli disse poi. Mark rise, per nulla intimorito dalla minaccia e rimase a guardarla finché non sparì dalla sua vista.

Non appena Diane uscì all’aria aperta, il rumore del traffico la infastidì. C’era davvero un silenzio innaturale in quella clinica e se n’era accorta solo tornando nel mondo reale. Una mano alzata richiamò la sua attenzione e una giacca dall’insolito colore giallo acido le fece tornare il sorriso. Jay la stava aspettando vicino alla macchina.
-Scusa, ho avuto un po’ di problemi.-
Gli raccontò con rabbia e delusione di non essere riuscita a vedere Hilary e di aver litigato con Mark. A sentire quel nome, il suo migliore amico sbagliò ad ingranare marcia e quasi bruciò la frizione.
-Ma sei matta?!- sbraitò. –Quello è fuori di testa, cosa ti è saltato in mente di provocarlo?!-
Jay conosceva bene Mark. Nonostante fosse molto più magro e meno imponente dell’Hansen, anche lui era un pugile. Si allenava quasi ogni sera nella stessa palestra del campus e sapeva che, oltre ad avere una forza e un’astuzia straordinaria, Mark era senza pietà. Jay lo detestava ed era così desideroso di fargli abbassare le arie che lo sfidava ogni volta che poteva. Inutile dire che l’Hansen si prendeva la vittoria infierendo gratuitamente con i suoi pugni.
-E’ insopportabile, un animale!- esclamò Diane, lasciando che la frustrazione trovasse finalmente sfogo. –Chi si crede di essere?-
-Uno che ha più ego che soldi, e con questo chiudo il discorso. Non ti avvicinare mai più a lui.-
-Non è tanto stupido da usare la forza con me.-
Jay inchiodò e si voltò a guardarla. Il suo migliore amico era un tipo strambo. Amava i colori accessi, meglio se fosforescenti, ed era eccentrico. Aveva un viso piuttosto comune, anche se era difficile definirlo bello, con degli occhi dalla strana forma tondeggiante. Il naso da pugile non migliorava di certo l’insieme, ma aveva un cuore d’oro.
-Stammi bene a sentire- le disse, piantandole l’indice davanti alla faccia. –Mark Hansen è un criminale. Tutto quello che hai sentito su di lui? E’ vero. Sì, anche la storia che abbia ucciso una matricola potrebbe avere un fondo di verità. Hai mai più visto Jane O’Connel?-
-Si è trasferita a Londra.-
-Questa è la versione ufficiale- continuò, e Diane alzò gli occhi al cielo. –Voglio solo dire che non puoi giocare con lui, non ci si può fidare. Ha i soldi, i muscoli e un cervello geniale. Tu cos’hai? Un debito degno del crollo di Wall Strett del ventinove e un andamento scolastico discutibile.-
-Grazie, Jay.-
-Ti metto di fronte alla realtà!-
Riprese a guidare e concluse così la paternale. Diane non replicò. Sapeva che aveva ragione, lei riusciva a restare a galla a malapena in quel mondo a cui sentiva di non appartenere più da molto tempo. L’élite di Darbydale, fatta di antiche famiglie o di nuove arricchite casate, mandava i suoi figli all’esclusiva e costosissima Darbydale University. Jay stesso era così ricco da potersi permettere un atollo ai caraibi, gli Hansen potevano permettersene anche tre, gli Hamilton probabilmente l’intera Cuba. Non tutti però erano così benestanti, c’erano le vie di mezzo, che potevano permettersi di pagare la retta grazie alle borse di studio o a meriti sportivi. Diane faceva parte di una categoria a sé stante: i caduti in disgrazia. Quando si era immatricolata aveva all’incirca la stessa agiatezza di Jay, ma poi suo padre aveva perso tutto. Non poteva più permettersi di mandarla alla Darbydale University, ma, per fortuna, a differenza degli Hansen i Leslie non avevano mai dimenticato di essere umili. Grazie agli ingenti contributi donati negli anni alla scuola, Diane aveva avuto la possibilità di restare pagando solo un terzo delle spese. La restante parte era stata colmata da un cuore ancor più generoso.
-Susan!- La sua creditrice era una ragazza che portava enormi occhiali rotondi, figlia di Charles Coyle, manager di una importante industria farmaceutica. Studiava medicina con ottimi risultati e la sua miopia non ne era di certo aiutata. –Sei riemersa dai tomi di fisiopatologia finalmente! Ti avevo dato per dispersa, ormai!-  
Essere state compagne di banco al liceo aveva rafforzato la loro amicizia ormai quasi decennale e poteva dire di conoscerla come una sorella. Il futuro neurochirurgo era nota per alternare momenti di insicurezza galattici a gesti di puro istinto, come quello che l’aveva spinta a farle un prestito pur sapendo che sarebbero passati lustri prima di riavere tutta la cifra.
-Questa sessione d’esame mi ha prosciugato anche il sangue- si giustificò.
-E per riprendere la tua vita sociale organizzi una cena al ristorante della Mediateca?-
 Quella sera i rappresentati degli studenti, Susan Coyle e Thomas Finneran, incontravano i più volenterosi studenti della Darbydale University per organizzare la festa di inizio anno. Tra questi c’erano Jay Lee, Diane Leslie, Chris Howes e Sophie McShera, e tutti si erano ritrovati nel centro nevralgico dell’università: la Mediateca, un raffinato complesso in cemento armato degno delle migliori prigioni di massima sicurezza che ospitava, oltre alla biblioteca e a un labirinto di aule studio, anche un ristorante.
La Darbydale University era una scuola all’avanguardia. Nella gestione degli studenti aveva adottato un antico ed efficacie metodo, risalente ai tempi della repubblica di Roma: i consoli. Non c’era, quindi, un unico rappresentante degli studenti, ma due, un maschio e una femmina, che si dividevano compiti e potere. Susan era stata eletta a pieni voti per due anni di fila e per entrambi i mandati aveva dovuto spartire il trono con il popolare ed esuberante Thomas Finneran, quoterbach della squadra di football, famoso per essere allergico ai noiosi compiti burocratici. In pratica Thomas interpretava il volere della massa, con iniziative del tutto discutibili, e Susan sgobbava per realizzarle. Erano una coppia vincente, quando funzionavano.  
-Dov’è quello scimmione?!- sbraitò la console. –Howes, gli hai detto che si mangiava messicano stasera?-
Chris Howes era invece il più brillante studente che la Darbydale University avesse mai posseduto. Quoziente intellettivo sopra la media, corteggiato dalle più importanti figure del mondo finanziario, aveva un futuro assicurato davanti a sé. Ed era una vera fortuna che avrebbe raggiunto il successo senza fare troppa fatica perché il menefreghismo era insito nel suo DNA. Se era lì, era perché Sophie McShera, campionessa nazionale di ginnastica artistica, l’aveva costretto.
-Ehm … - esitò.  Sia lo sguardo di Susan che della bionda McShera lo trapassarono da parte a parte. L’unico modo per convincere Thomas a fare il suo dovere da rappresentante era di offrirgli una cena a base di burrito. –Potrei essermelo dimenticato.-
-Non ti dimentichi qual è il centocinquantesimo numero primo e ti dimentichi di fare una telefonata?!-
-Ottocentosessantatré- rispose, rischiando di innescare una reazione violenta.
-Non preoccuparti Susan, vado a cercarlo io!- intervenne Jay, alzandosi di scatto e offrendosi volontario. La caffetteria non era lontana dal campo sportivo, dove si aveva la certezza di trovare Finneran. Come aveva appena dimostrato, Jay era pieno di intraprendenza e non si tirava mai indietro di fronte alle sfide, e non solo quelle degli eventi universitari che organizzava.
-Possiamo ordinare lo stesso?- domandò Diane, il cui stomaco brontolava sonoramente. La sua presenza era molto meno sensata delle altre e lo sapeva bene. Per guadagnare qualcosa organizzava il tutoring per gli studenti. Un compito ingrato, che la faceva passare per secchiona, quando in realtà avrebbe avuto bisogno lei di aiuto, e in più la costringeva a partecipare attivamente all’organizzazione degli eventi.
La sua richiesta fu comunque approvata all’unanimità. I loro piatti non erano ancora arrivati che Susan si era già messa ad illustrare le sue idee per la festa. Una ad una furono bocciate da Sophie.
-Una festa stile Big Bang Theory?! Ma sei matta?!-
-E’ l’anniversario della teoria della relatività di Einstein. E’ una ricorrenza importante!-
-Non ci verrà nessuno se bisogna vestirsi da sfigati!- replicò, per poi portarsi una mano alla fronte. –Quando arriva Thomas?-
-Perché pensi sempre che Thomas abbia idee migliori delle mie? Quest’anno voglio fare qualcosa di diverso, di originale. Non le solite orge con fiumi di alcol!-
-Quindi una festa noiosa!-  
-Una festa di classe, degna della nostra rispettabile università.-
-Diane, tu cosa ne pensi? Non sarai d’accordo con questa svitata dai fondi di bottiglia al posto degli occhi!-
La ragazza, che si stava gustando il suo piatto di fajitas in santa pace dovette ammettere di non aver ascoltato una parola. Entrambe le ragazze sospirarono esasperate, ma nessuna delle due batté l’espressione di totale apatia che si era impossessata di Chris.
-Che seccatura, di questo passo staremo qui fino a stanotte- commentò aizzando di nuovo le ire di Susan.
-Hai pure il coraggio di lamentarti?! Dovevi avvisare tu Thomas!- sbraitò.
-Lo sapete che non potete contare su di me per queste cose. In realtà non dovreste contare su di me neanche per questa storia del ballo perché, francamente, non me ne frega un … -
Un rumore improvviso interruppe Chris e fece scattare tutti in piedi. Sophie gridò e Susan si portò le mani alla bocca. Una delle pareti in vetro del locale si era appena frantumata facendo un rumore terribile. Milioni di schegge riempivano il pavimento, dove due figure giacevano distese dopo aver sfondato con i loro corpi la lastra neanche troppo sottile. Di quelle, una era attesa al loro tavolo.
-Thomas! Stai bene?- Susan corse verso il ragazzo ancora steso a pancia in su. Era dolorante, ma non era ferito. Il secondo responsabile del disastro si trovava a carponi su quel tappeto di schegge e tentava di rimettersi in piedi. Diane, che si era avvicinata per dare una mano all’amico, si fermò di colpo. Mark Hansen aveva un taglio sul braccio e sanguinava, colorando di rosso i riflessi del vetro sotto i suoi piedi. Urla di paura accompagnarono il suo scatto verso l’avversario ancora a terra. Mark afferrò Thomas per il bavero della maglietta e lo colpì con un pugno in pieno viso. I muscoli delle braccia erano tesi, pronti a liberare la loro forza, incrollabili anche dopo che avrebbero dovuto essere già stati battuti. Non era scalfito nemmeno dal dolore di quella ferita che gocciolava sugli abiti di Thomas e la sua resistenza scoraggiò ogni tentativo di fermarlo. Era troppo pericoloso.
-Finneran, me la pagherai cara- gli ringhiò preparandosi a colpirlo un’altra volta. Il volto, trasformato dal desiderio di colpire di nuovo, pietrificò il suo avversario, che inerme si preparò ad subire l’inevitabile. Non aveva nessuna speranza contro Mark. Il suo sguardo glaciale lo incatenava a terra, uccidendo ogni tentativo di ribellarsi di fronte a quella furia animale.
-Basta così!- esclamò qualcuno, facendosi avanti. Era il cameriere del locale, un ragazzo alto, ma non in grado di reggere il confronto con Mark. Nessuno avrebbe potuto, era un pugile alto quasi due metri che si esercitava ogni sera a mandare a terra altri uomini. Eppure quel cameriere lo afferrò senza paura, incatenandogli le braccia con le sue e trascinandolo indietro di peso. Da solo non riuscì a far altro che portarlo a una distanza di sicurezza dal viso già conciato di Thomas e solo quando intervennero ad aiutarlo riuscirono ad allontanarlo del tutto.
Mark si lasciò domare, facendo calare la tensione tra gli spettatori di quello scontro, che impotenti rimasero a guardare. E mentre il cameriere continuava il suo atto di eroismo interponendosi tra Mark e il suo obbiettivo, Susan correva ad aiutare Thomas, che non si muoveva da terra. Gli occhi chiusi e gli arti lasciati cadere senza energia fecero temere il peggio. Tutti avevano visto il colpo che aveva subito e da allora Thomas non aveva più reagito. La sua rigidità evocava un unico angosciante pensiero.
-Lo ammazzo … - lo sentirono poi sussurrare, mentre Susan controllava le sue pupille. Diane fu la prima e l’unica che distolse lo sguardo dalle ferite di Thomas per guardare quelle di Mark. Il cameriere stava ancora inveendo contro di lui, quando comparve alle sue spalle.
-Ehi, stai indietro ragazzina. Questo qui è fuori di testa- le disse fermandola un attimo prima che facesse un passo di troppo. Non era che un ragazzo, all’incirca della sua stessa età, con un cipiglio deciso e selvaggio. I suoi occhi con una sfumatura ocra le ricordarono quelli di un gatto, così come le sue movenze sicure e calibrate. Lo sguardo che invece le riservò Mark riconoscendola era trasparente, tanto da sembrare vuoto, se non fosse per l’ostilità che non smetteva di manifestare e la rabbia che ancora covava.
-Non mi farà niente- gli disse.
-No, io non ti lascio avvicinare- insistette, afferrandola per un braccio. Diane guardò la sua mano che cercava di impedirle di mettersi in pericolo. Quel ragazzo sembrava davvero un eroe, e lo guardò grata, ma non riuscì a fermarla quando sorridendogli si liberò dalla sua presa protettiva.
Mark le diede le spalle non appena si accorse del suo arrivo. Era un modo per dirle di lasciarlo in pace, non una reazione difensiva. Un combattente non posa come se niente fosse le armi né la sensazione di eccitazione che ha animato il suo corpo smette di fluire all’improvviso. Il nervosismo era percepibile come un profumo sospeso nell’aria.
-Hai ottenuto la tua vendetta?- gli domandò con fermezza.  Mark si voltò di scatto e Diane non si nascose dietro uno sguardo come stava facendo lui. Lasciò che entrasse nella sua mente, non senza sentirsi violata da degli occhi così penetranti, ma come si aspettava, non appena capirono, lasciarono cadere l’ascia di guerra. –Ora possiamo andare al pronto soccorso?-
Il cameriere della caffetteria guardò quell’incauta ragazza tamponare con un fazzoletto la ferita del colosso che aveva appena sfondato una parete di vetro spesso due centimetri e rischiato di mandare in coma con un pugno il quoterbach dei Darbydale Panters. Persino il proprietario di quel braccio insanguinato ne sembrava sorpreso e la osservava farsi beffa della sua mole minacciosa per costringerlo ad allontanarsi insieme a lei. La preoccupazione per la sua incolumità sparì come vapore in una giornata fredda quando lo vide seguirla senza protestare.





 

 

Cimentarmi in una storia originale è per me una sfida enorme. Indecisione e insicurezze a parte, spero che questo primo capito abbia suscitato un po’ di curiosità e che sia stato piacevole da leggere.

La storia avrà un'ambientazione universitaria, che cercherò di rendere il meno banale possibile dando un po' di carattere alle facoltà. Diane, come avrete capito, è la protagonista, ma alla sua storia se ne intrecceranno altre, tra cui quella di Susan. Per qualsiasi domanda, dubbio o curiosità, non esitate a scrivermi! A presto,

 

 

 

Nereides
   
 
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