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Autore: KH4    10/03/2016    0 recensioni
L’aria puzzava d’umidità chiusa. L’odore tipico di un luogo non esposto alla luce, riluttante alla freschezza dell’ossigeno, dove le ombre covavano putridume maleodorante. A un certo punto l'olfatto vi si abituava, più per rassegnazione che per accettazione. Il buio diveniva parte integrante del proprio essere e si scordava quanto piacevole fosse il calore della pelle a contatto con il sole, per non parlare della brezza primaverile in mezzo ai capelli o il corpo libero di muoversi con solo i suoi limiti a fargli da freno. Lo smarrimento diveniva lucidità priva di increspature e il tempo si elasticizzava per abbracciare tutte le consapevolezze annidatesi nell’animo con la cattura forzata. Se il suo attaccamento all’esterno fosse stato intimo a tal punto, forse avrebbe pianto con più rammarico tutte le piccole forme di libertà di cui aveva inconsapevolmente goduto, ma accovacciato su un giaciglio di paglia dai fili asciutti, accatastati sopra quelli umidi e con le punte degli arti molli a sfiorare il metallo delle sbarre, Rasiel pensò soltanto che sarebbe dovuto succedere prima o poi.
Spin Off di Hell's Road.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I Santi Oscuri.'
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Cage of fools.

ChImErA.

02 / CaGe Of FoOlS.

 

Aveva sette anni quando conobbe il sapore del metallo. Cinque e tre quarti quando un uomo ne fissò languido il basso ventre leccandosi le labbra. Tre quando imparò a scandire il suo nome: Chimera. Già allora, il suono di quel semplice appellativo era in grado di disagiarlo da capo a collo per le miriadi di cattive allusioni epiteti che sbocciavano. Abominio, eretico, mostro, diverso. Da essi aveva trovato il materiale adatto per forgiare la sua prima maschera di risolutezza, con il solo fine di respingere ogni altro attaccamento che potesse comprometterlo. La freddezza degli sguardi altrui pronunciava più giudizi di quanto un discorso riuscisse a esprimere e ai suoi occhi il loro peso doveva essere rigorosamente inesistente.
L’odio e l’invidia degli umani nascono dal loro essere avviluppati dalla paura. Ci temono perché sanno di non poter nulla contro di noi.
Suo padre non era stato capace di impartirgli null’altro di vagamente costruttivo e nel glorificare un ardore discinto dal loro presente, si era convinto di fare solo il bene per tutti quelli che erano rimasti. Non aveva mai potuto dirsi amore, ciò che Rasiel aveva nutrito per lui: il compatimento era la forma che più si avvicinava a tale sentimento, fuso a una nota di imperterrito risentimento che delineava ogni vigliaccata e la intrecciava perfetto all’assiduo annaspare in acque torbide. La continua e insensata ricerca di una qualche miracolosa resurrezione.
Se sono loro ad avere paura, perché siamo noi a fuggire?
I suoni gutturali che fluirono fuori dalle labbra pallide spiegarono un’indicibile matassa di orgoglio armato dell’intenzione di perseverare nella cruenta lotta contro quella parte di se stesso sovraccaricata dalle incertezza di tutta una vita, i difetti, i timori e le emozioni scombinate della loro naturale logica.
Dover salvaguardare la propria incolumità ed essere pronto all’eventualità di continuare a sopravvivere nella più totale delle solitudini ora non lo spaventava quanto l’incapacità di reagire che grattava sotto i muscoli man mano che l’evolversi della serata si avvicinava al suo punto critico. L’incenso gli stava dando alla testa, ne ammucchiava i ricordi miscelandone l’ordine con sensazioni altrettanto deliranti. Il dondolio sui talloni era tenuto a freno da due mani che ne artigliavano le spalle, mentre l’eco di una voce poco più lontana rimbombava con parole incomprensibili. Distinse appena il morbido fruscio del sipario rosso in mezzo a tutta quella confusione di sibili amplificati e l’unica nota positiva era il non sentirsi più addosso la puzza della paglia bagnata. La sua pelle profumava d’acqua bollente e oli profumati dentro cui era stato immerso per ore, la seta dei vestiti la scopriva in punti strategici, carezzandolo blandamente come i capelli acconciati in perline e soffici boccoli. Il vapore scaturito dalla tinozza gli si era conficcato a viva forza nelle vie polmonari, una fragranza dolciastra dai bianchi riccioli che gli svolazzavano sotto il naso anche in quel momento. Droga. Un lampo di lucidità gli aveva suggerito quell’unica soluzione al continuo scombussolamento del suo respiro. Dovevano essere sicuri che non reagisse ai tocchi lascivi che lo avrebbero mosso come una bambola da esibire agli spettatori, ma nel suo sguardo fisso, dalla bocca fragile e di innocente voluttuosità, seppe che a nessuno dei presenti sarebbe toccato l’onore di prendersi cura di lui. Al suo padrone non piaceva condividere i propri piaceri.

Le ricche feste celebrate per appagare la lussuria di un’elite oberata di vizi e torpida morale erano solite nascondere i loro capricciosi divertimenti fra mura private e mani piene di sonante moneta. Una qualunque asta clandestina poteva ben poco nel suo prodigarsi a ottenere la medesima magnificenza con articoli di un valore vicino all’accettabile e non era costume di Sua Signoria il Vescovo Herman Erkenwald esporre la propria persona alla vista di un pubblico dagli scialbi gusti. Il nome di quell’uomo era stato sussurrato una sola volta, un errore pronunciato di sfuggita che aveva letteralmente catapultato la coscienza di Rasiel agli anni trascorsi a difendersi dal solo essere che fosse riuscito a ossessionarne le notti. La fredda luce dei riflettori lo accecò al punto da indurlo a credere che le iridi gli si fossero bruciate; il buio aveva assopito i suoi sensi cullandoli con ombre prive di sfaccettature, appena scolorite da fasci umidi che scoprivano il galleggiare della polvere in mezzo all’aria. Capì di essere finito al centro del palco soltanto quando realizzò di esserne totalmente circondato, con la platea colorata di maschere e abiti variopinti a fissarlo insistentemente, teste brizzolate e guance rugose che incorniciavano occhietti luccicanti d’ogni genere di intento.  Il vomito gli si raggrumò in fondo allo stomaco spontaneamente, qualsiasi palliativo impiegato per non perdersi negli effetti chimici stava cedendo il passo a un connubio di emozioni crescenti, al desiderio di poter anche solo muovere le braccia per togliersi di dosso le mani che ne scoprirono il corpicino. Un’ondata di brusii ne agitò il cuore galoppante di vergogna e rabbia per quelle chiostre di denti nascoste dalle labbra raggrinzite che immaginò stendersi con soddisfazione, ma il disequilibrio fra le due emozioni dava su un abisso che vedeva trionfare la prima. 
- Ammirate, signori! Ammirate queste deliziosa perlina…!  -
Avrebbe anche emesso un gemito di dolore nel venire strattonato per il cuoio capelluto, così da permettere a tutti quanti di constatare se valesse la pena lo sfilare il portafoglio dalla giacca, ma la previdenza degli aguzzini non aveva lasciato nulla al caso. Udiva a tal punto che perfino lo scricchiolare delle assi di legno si piegava in uno strazio d’insopportabilità inferiore soltanto alle mani scure che ne accarezzavano la pelle contorcendone lo stomaco di disgusto. Fu quando i prezzi iniziarono a salire senza troppi indugi che la pazzia incalzò con la stessa velocità per trarlo a sé, alternando un boccone della sua carne con uno della sua anima. Lo stava guardando. Anche se non poteva mettere a fuoco il profilo del vescovo, era lì, per lui. Quell’uomo allineato dall’oro e dalla corruzione, la cui perseveranza gli aveva concesso di insinuare nel suo animo un continuo disequilibrio di ira e paura ascendenti l’impotenza.
- Quattrocento! Il prezzo sale a quattrocento!- 
La voce stridula dello speaker fluì in un crescendo pari al vorticare che lo sballottava a destra e a sinistra senza che potesse porvi freno.

L’odio e l’invidia degli umani nascono dal loro essere avviluppati dalla paura. Ci temono perché sanno di non poter nulla contro di noi. Tu sei il più forte, il più potente; se qualcuno vuole fronteggiarti, tu calpestalo prima ancora che pensi di poterlo fare.
Sta zitto…
Immaginò di prendere quelle assurde parole e di strapparle. Il loro senso si beava di un egocentrismo  che non aveva voce nella vera realtà. Era finzione, un fluttuo ancor più astratto del miasma dolciastro che gli danzava attorno in tanti cerchi fumanti. Si stava svolgendo tutto in fretta, troppo per fargli sopportare il peso di certi ricordi, ma non abbastanza da evitargli la sensazione di assoluta sottomissione a quella morsa di irrazionale smarrimento che fluiva in un crescendo pari al vociare dello speaker. Non c’era alcun germoglio di odio e di invidia nell’animo che voleva rivolgergli attenzioni indesiderate, solo un lato oscuro e malsano che scopriva con dolce crudeltà imperfezioni mai ritenute reali, scartandone le difese per lasciare scoperte le impercettibili pulsazioni nascoste la sua maschera di risolutezza.
- Quattrocento, signore e signori! Nessuno offre di più per questo giovane fanciullo? - Incalzò il presentatore.
Calò un tenue brusio e, trepidante, l’annunciatore fece scorrere gli occhi lungo tutta la platea, cogliendo con grande gioia un numero elevato di sospiri rassegnati al fatto di non poter avanzare una cifra maggiore di quella attuale. Tutto come previsto.

- Quattrocento e uno, quattrocento e due... -
- Cinquecento! -

Note di fine capitolo.
Nuovo aggiornamento! Devo dire che scrivere questo piccolo spin-off mi sta eccitando, nonostante impieghi molto per completarli a dovere; forse è per il fatto che i capitoli non sono lunghi come quelli di Hell’s Road oppure perché sto cimentandomi in una scrittura più elaborata di quella che sono solita produrre, comunque la cosa mi soddisfa abbastanza. L’unico piccolissimo spoiler che posso darvi è che nel prossimo capitolo entrerà in scena finalmente la bella Amèlie (anche se, in realtà, fa già qui la sua comparsa ^^). Un saluto a tutti quanti!

  
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