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Autore: A li    28/03/2009    3 recensioni
"Quando arrivò ad un passo da lui, fu certo che Kanda lo avesse sentito, eppure era rimasto immobile.
Senza controllare i suoi gesti, Allen gli appoggiò una mano sulla guancia, sfiorando la pelle chiarissima. Era caldo.
Aveva sempre avuto l’impressione che Kanda fosse gelido e che il suo corpo fosse altrettanto freddo, ma la realtà lo colpì. Possibile che Kanda fosse così caldo?
La voglia di toccarlo si fece più intensa."
[Una shot per il mio ritorno.
Enjoy It! ^.-]
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Yu Kanda | Coppie: Kanda/Allen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giapponese si accasciò di fianco a lui, ansimando e tentando di darsi un contegno

Salve a tutti.

Eccomi tornata nel fandom D.Gray, dopo una lunga assenza.

Spero che questa mia piccola shot di ritorno vi possa piacere.

La dedico a Shichan, perché è unica e scrive da dio. Grazie di tutto, cara! ^^

Buona lettura.

Enjoy Me

 

Il giapponese si accasciò di fianco a lui, ansimando, anche se cercava di non esternare il suo sfinimento.

Allen si lasciò andare ad un sospiro trattenuto troppo a lungo e chiuse gli occhi.

Cercò di non soffermarsi troppo sul dolore che sentiva e sperò di distrarsi pensando ad altro. Ma nella sua mente il nome dell’altro si ripeteva come una litania angosciante e non gli lasciava via di scampo. Kanda, Kanda, Kanda.

Era ridicolo come, gemendo sotto le sue spinte violente, in preda al dolore, fosse riuscito solo a pensare che amava da impazzire Yu Kanda. C’era sicuramente qualche incongruenza nella sua mente, qualcosa che scollegava le sensazioni rispetto ai pensieri. Eppure, anche adesso che Kanda aveva smesso di usufruire del suo corpo, non riusciva a non ripetersi Ti amo, Ti amo.

«Ti amo», finì per mormorare, senza accorgersene.

Non ricevette nulla in risposta, se non un sibilo d’avvertimento.

Era assolutamente vietato, così aveva stabilito Kanda, accennare all’amore durante i loro incontri.

Quando si accorse di quello che aveva appena detto, perciò, Allen fece dietro front.

«Scusa».

Non aveva alcuna intenzione di far arrabbiare Kanda, non in quella notte così perfetta.

Era passato esattamente un mese dalla loro prima volta e, anche se non avrebbe mai osato dirlo di fronte a Kanda, Allen considerava quella sera un po’ come un mesiversario. Certo, l’amore non c’entrava nulla con quello che vivevano loro, ma nel profondo sperava che prima o poi sarebbe riuscito a cambiare qualcosa.

Quando il dolore si acquietò, mosse la mano destra sotto il lenzuolo, cercando di raggiungere il corpo di Kanda di fianco a lui e si scontrò con la sua schiena. Incredibilmente, al suo gesto, l’altro non oppose resistenza. Allen sorrise e, voltandosi su un fianco, si abbassò fino a raggiungere con la fronte il punto più basso della schiena di Kanda. Del suo corpo perfetto, era la parte che amava di più. Con dolcezza appoggiò le labbra alla sua spina dorsale e, seguendone la linea, salì fino al collo, baciando la pelle con tutta la delicatezza possibile. Quando raggiunse l’attaccatura dei capelli sentì Kanda rabbrividire.

Allen sorrise soddisfatto.

«Hai freddo?», soffiò a pochi centimetri dal suo orecchio, con il chiaro intento di farlo rabbrividire nuovamente.

E in effetti Kanda fu scosso da un altro brivido, più forte del primo.

Allen ridacchiò soddisfatto.

«Stupida mammoletta», ringhiò Kanda, ma non si mosse di un centimetro.

Allen si illuminò, gioendo per quegli attimi di felicità che poteva assaporare nella sua vita. Dopo Mana, Kanda era l’unica persona che era riuscita a farlo sentire davvero bene.

Con uno slancio d’affetto, lo abbracciò da dietro e fece aderire il proprio corpo al suo, respirandone il profumo inconfondibile. Addormentarsi così era la cosa che desiderava di più al mondo.

E, per una volta, Kanda glielo permise.

 

Come quella notte di un mese prima…

 

Allen strinse a sé il cuscino e ci riversò tutte e lacrime, sperando di poterle rinchiudere, ponendo fine al suo dolore. Ma ne venivano giù sempre di nuove e sembravano non finire più.

Si sentiva soffocare. Il respiro era bloccato in gola da un nodo che lo stringeva e non lo lasciava più vivere, da una settimana, ormai.

L’ombra al suo fianco, quella presenza terribile che aveva portato con sé da quando aveva suonato sull’arca, aveva cominciato a prendere vita. Lo sopraffaceva nei momenti più impensabili, con il suo ghigno spaventoso gli rubava l’ossigeno e da un paio di giorni si ritrovava a perdere i sensi in mezzo ai corridoi dell’Ordine.

A nessuno aveva spiegato il perché, a nessuno aveva svelato quella presenza funesta che lo seguiva in ogni suo passo.

Ma non ce la faceva più. Non sarebbe mai riuscito a sopravvivere in quelle condizioni. Non avrebbe sopportato un giorno di più.

Eppure non poteva fare nulla.

A chi avrebbe chiesto aiuto, questa volta? Il maestro era l’unico che fosse a conoscenza della sua condizione, ma era lontano, chissà dove. Komui non ne sapeva niente, i suoi compagni nemmeno.

Per un attimo si immaginò mentre andava a piangere da Linalee o da Lavi. In entrambi i casi si sarebbero preoccupati e gli avrebbero chiesto la causa del suo malessere.

L’ultima cosa che voleva era che gli chiedessero qualcosa. Non poteva rispondere in nessun modo.

Ma non poteva nemmeno rimanere lì a piangere nel buio della stanza.

Facendo leva sulle braccia, si alzò di scatto, non si preoccupò nemmeno di indossare una giacca sopra il pigiama, e uscì dalla stanza, chiudendo la porta senza fare rumore.

A quel punto non seppe dove andare. Attraversò il corridoio senza una meta, scorrendo con gli occhi le pareti e le porte che si susseguivano come ritornelli di una canzone muta. Nessuna di quelle porte si sarebbe aperta per lui, questa volta.

I suoi occhi si riempirono di lacrime, che aumentarono man mano che avanzava.

Gli venne in mente Mana e si ricordò, in quell’attimo, delle sue parole. Continua a camminare.

Infondo, ormai lo aveva capito, quella era l’unica cosa che sapeva fare.

Quando le lacrime divennero troppe e non riuscì più a distinguere la strada, si accasciò contro la porta che aveva a fianco e nascose la testa tra le ginocchia. Tentò di piangere più sommessamente possibile, ma a tratti i singhiozzi lo scuotevano implacabili. Sperò solo di non svegliare nessuno.

Ma la porta a cui era appoggiato si aprì all’improvviso, sbilanciandolo. Cadde a terra. Con uno sforzo, si rialzò subito e guardò in alto. Kanda lo fissava gelido.

Prima che potesse anche solo scusarsi, Kanda lo afferrò e lo portò dentro, poi chiuse la porta.

«Non posso credere che tu sia stupido fino a questo punto, mammoletta».

Allen non replicò come suo solito. Non aveva nessuna voglia di discutere e nemmeno di essere insultato. Non questa volta. Con decisione, si asciugò il viso passandoci una mano e si avviò verso la porta.

La sua sorpresa gli fece spalancare gli occhi quando si accorse che questa era chiusa a chiave.

«Tu non vai da nessuna parte».

Allen si voltò e osservò Kanda che, con espressione seccata, stava seduto su una sedia a gambe incrociate.

Un nuovo sospiro uscì dalle labbra di Allen.

«Lasciami andare».

Kanda non mosse un muscolo.

«Ti prego», implorò l’altro.

Forse fu la disperazione che lesse tra le sue parole, a convincere Kanda. Si alzò dalla sedia e gli venne incontro.

Allen rimase immobile, aspettando che gli aprisse la porta. Ma il giapponese arrivò fino ad un palmo dal suo naso e si fermò. Sorrise, quasi con un’espressione sadica, lo afferrò per le braccia, sollevandolo, e lo sbatté sul letto.

Allen rimase talmente sorpreso da quel gesto che inizialmente non riuscì a reagire.

Kanda si sedette nuovamente sulla sedia e rimase a guardarlo.

«Ora parla».

Gli occhi di Allen si riempirono ancora di lacrime. Per la rabbia e per il dolore.

«Lasciami stare!»

Scese dal letto con un salto e corse ancora verso la porta, ma questa era sempre chiusa.

Cominciò a sbattere i pugni contro lo stipite, piangendo, finché Kanda non gli afferrò i polsi e lo tirò indietro.

Al limite della sopportazione, Allen iniziò a picchiare il suo petto, sperando di fargli più male possibile.

Kanda non si mosse e lasciò che il più giovane si sfogasse contro di lui. Allen non capì perché.

Alla fine, quando non ce la fece più, si lasciò andare contro il giapponese, aggrappandosi a lui, in un abbraccio che sapeva solo di disperazione.

Ancora una volta, Kanda non protestò, ma lo avvolse con le braccia forti e lo portò sul letto.

Lo fece coricare e lo coprì, sedendosi poi sulla sua solita sedia e rimanendo a guardarlo.

Mentre si godeva, in uno stato di semicoscienza, il calore delle coperte, Allen pensò che quello sguardo era come uno scudo potentissimo elevato intorno a lui. Kanda appariva proprio come una sentinella posta al suo fianco per proteggerlo.

Per la prima volta dopo una settimana, sorrise.

Anche se lo fece perché si sentiva tremendamente stupido.

E invece al suo risveglio, un’ora o due più tardi, Kanda era ancora lì sulla sedia, a vigilare il suo sonno. Aveva gli occhi chiusi, ma Allen sapeva che non stava dormendo.

Cercando di fare meno rumore possibile, si alzò dal letto e gli si avvicinò. Mentre lo faceva si ritrovò ad osservare i suoi lineamenti spigolosi e nobili e li trovò inspiegabilmente belli. Non era la prima volta che rimaneva affascinato nell’osservare Kanda, ma questa volta la dolcezza con cui scorreva la forma del suo viso e del suo corpo era nuova.

Quando arrivò ad un passo da lui, fu certo che Kanda lo avesse sentito, eppure era rimasto immobile.

Senza controllare i suoi gesti, Allen gli appoggiò una mano sulla guancia, sfiorando la pelle chiarissima. Era caldo.

Aveva sempre avuto l’impressione che Kanda fosse gelido e che il suo corpo fosse altrettanto freddo, ma la realtà lo colpì. Possibile che Kanda fosse così caldo?

La voglia di toccarlo si fece intensa.

La sua mano, seguendo il suo istinto, si fece sicura e scese lungo il suo collo, fino alla spalla destra, delineando i muscoli formati e potenti.

Ma quando fece per scendere sul suo petto, Kanda gli afferrò i polsi con entrambe le mani e lo bloccò. I suoi occhi, ora aperti, si puntarono inespressivi in quelli di Allen. Questo non riuscì a reagire. Kanda lo attirò a sé con uno strattone e Allen si ritrovò seduto sulle sue gambe, a pochi centimetri dal suo viso.

Il giapponese studiò i suoi pensieri, come a chiedere una sorta di legittimazione, e parve ottenerla, perché sorrise con una strana eccitazione nello sguardo.

Con forza aggredì le labbra di Allen, violando la sua bocca inesperta senza alcun freno. Seguendo l’istinto, il più giovane rispose con altrettanta foga e alla fine il bacio si trasformò in una delle loro solite sfide.

Vinse Kanda, perché Allen dovette staccarsi per riprendere fiato.

Approfittando di quella pausa, il giapponese sogghignò. E afferrò di nuovo Allen, trasportandolo fino al letto e lasciandolo cadere sul materasso.

«Cha fai?», riuscì a chiedere Allen, ansimando.

Kanda sorrise.

«Non avrai mica pensato che facessi tutto questo gratis?»

«…Che…?»

Allen si mise a sedere, allontanandosi.

Kanda sembrava divertito dal suo comportamento.

«Non ti ho accolto nella mia stanza e consolato per un mio piacere personale…», chiarì, «Quindi pretendo un pagamento. E quel pagamento me lo darai in natura».

Stupidamente, invece di preoccuparsi, Allen arrossì.

Kanda si avvicinava sempre di più, mentre parlava e ora era arrivato a sovrastarlo. Il tenero rossore delle guance di Allen aumentava a dismisura. Ma non oppose resistenza.

Kanda si fermò.

Allen lo osservò, come aveva fatto prima. Passò gli occhi sui tratti del suo viso, sui suoi capelli neri, sul suo corpo perfetto; si soffermò sulle sua labbra e sui suoi occhi penetranti.

E provò un desiderio incontenibile di averlo. Per la prima volta sentì la voglia di essere posseduto. Totalmente, con passione, con violenza. E niente amore.

Solo Kanda poteva dargli qualcosa di così estasiante, inebriante, assolutamente inconcepibile.

Con le mani, afferrò il colletto della sua maglia e lo portò verso di sé, agognando un bacio che fosse più forte del primo. Dopo la prima perplessità, il giapponese lo accontentò e ingaggiò una lotta furiosa che vinse di nuovo.

Mentre Allen ansimava, accaldato, gli sfilò la maglia del pigiama e lo baciò sul collo, prima mordendolo, come un vampiro troppo assetato, poi passando la lingua sulle ferite invisibili, per curarle.

Allen chiuse gli occhi, godendosi quelle tenerezze, anche se alla luce del sole Kanda non le avrebbe mai chiamate così. Per lui erano abbastanza, lo facevano sentire vivo, lo rendevano meno solo.

Per una volta nella sua vita voleva appartenere a qualcuno che non fosse se stesso; voleva appoggiarsi totalmente ad una persona diversa; voleva abbandonare il proprio spirito.

Voleva essere annullato.

E quella notte sentì davvero di sparire, finalmente. Tutte le sue responsabilità furono cancellate.

Nella sua mente si ripeteva quel nome, Kanda. Che per lui era il nome del dio clemente che lo aveva salvato e gli aveva permesso di fuggire, finalmente, dalla realtà.

Quando si accasciò senza fiato contro il materasso, sfinito, con un dolore incredibile, si sentì davvero felice.

D’istinto abbracciò Kanda, aspirando il suo calore e inebriandosene, lasciando che le lacrime bagnassero la sua schiena.

Per la prima volta piangeva per la gioia e non per il dolore.

 

E non avrebbe pianto più…

 

Mentre, un mese più avanti, cercava di addormentarsi ancora contro la pelle dell’altro, sorrise.

Sorrise pensando che da quel giorno non aveva più pianto. Perché aveva finalmente capito che il mondo non dipendeva da lui, che quella responsabilità non era solo sua. E che c’era qualcun altro per cui valeva la pena di vivere.

Il suo respiro si fece via via più regolare e lasciò che la coscienza lo abbandonasse.

Quando stava per sprofondare nel mondo del sogni gli parve di sentire un sussurro all’orecchio.

«Ti amo, mammoletta».

Ma, sicuramente, era la sua immaginazione.

 

End

 

Se vi è piaciuta e se vi ha fatto schifo, commentate! ^.-

A presto.

Aki
   
 
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