Il caso
delle scarpe da ginnastica
Yohei Mito sospirò con gli occhi al cielo per la tredicesima
volta, mentre
quello scemo di Hanamichi si schiantava alla decima vetrina, tentando
di
guardare all’interno.
Tralasciando che lo aveva buttato giù dal letto la domenica
mattina, per
comprare un miserissimo paio di scarpe, Yohei si chiese per quale
arcano motivo
si limitava a spiaccicarsi contro ogni vetrina, facendo venire
l’infarto ai
commessi.
«Hana, non sarebbe meglio entrare?» Gli chiese
docilmente, visto che sembrava già troppo invasato per conto
suo.
«No, se non le vedo in vetrina è inutile
entrare»
replicò sicuro il rosso, marciandogli davanti.
Logico. Nel modo di pensare delle Scimmie almeno.
Yohei sospirò «Va bene…»
mugugnò, sbadigliando. Moriva dal sonno. Erano
già due
ore che girovagavano alla ricerca di quelle dannate scarpe.
Che poi lui non le cambiava da due secoli le sue e ora –
all’improvviso – gli
era venuta questa voglia impellente di farsi mezza Kanagawa a piedi per
cercarne un paio nuove.
Era così disperato, che quasi buttò
all’aria Mitsui, quando lo vide sulla sua
strada.
«Teppista!» Gli gracchiò entusiasta come
un bambino a Pasqua.
Quello notò il suo sguardo maniacale e rimase un pelo
perplesso «Che vuoi,
Idiota?»
«Cerco un paio di scarpe da ginnastica, sono
nere…» e giù a descrivergli le
loro magnificenti caratteristiche. Yohei ci aveva passato
così mezz’ora.
Cominciò a ridacchiare, mentre salutava Haruko che si
avvicinava. Guarda caso,
si ritrovarono proprio allo stesso punto; e pensare che la prefettura
era tanto
grande. Si prepararono psicologicamente, aspettarono due secondi
e… «Harukinaaaa!»
Appunto. Mitsui sbuffò, mentre si alzava e lo
fissò «Si è drogato più del
solito?»
«Ma che ne so! Cerca quelle dannate scarpe da una settimana!
Mi ha addirittura
svegliato alle sette per vagare a caso, dannato lui!» Si
lamentò.
«Che strano. Eppure la Scimmia non è fanatica di
queste cose…» borbottò Mitsui,
ricordando all’improvviso di essere sotto assedio.
«Direi che è meglio scappare
prima che l’effetto Haruko Akagi
svanisca…» mugugnò, prima di
volatilizzarsi
come se avesse l’inferno alle calcagna.
Tutto sommato “l’effetto Haruko”
– come lo chiamava il Teppista – era durato
meno di quello che pensava. Yohei lanciò
un’occhiata ad un Hanamichi più fanatico
del solito e mise in moto la materia grigia: se anche Haruko non
l’aveva
fermato, qualcosa non andava… insomma aveva fulminato Miyagi
dall’altra parte
della strada, bloccando il traffico di mezzo quartiere, aveva atterrato
Mitsui
e aveva quasi ignorato il suo graande amore.
Poi lo psicotico s’illuminò: il negozio gli
apparve sotto al naso come un
miraggio. Addirittura Yohei vide gli occhi illuminarsi dalla gioia.
Quel
decerebrato si fiondò dentro, mandando al suolo una commessa
e facendo venire
un colpo apoplettico alla pover’anima del proprietario, che
aveva anche una
certa età ormai. Hanamichi si guardò intorno come
un elefante in un negozio di cristalleria:
radendo al suolo ogni cosa, fino a quando una commessa dal sorriso
sparato,
pensò bene di salvarli tutti, placcandolo.
«Ha bisogno di qualcosa?» Chiese gentilmente
sorridendo, ruffiana come poche.
«Se» grugnì lui, fissando gli scaffali
al di sopra della sua testa, ignorandola
palesemente.
A quel punto Yohei si accasciò su uno sgabello-prova,
prendendo in seria
considerazione l’idea di impiccarlo con una stringa.
«Hana deciditi!» Sbottò, quando lui
mandò al diavolo il decimo paio di scarpe.
«Che ci posso fare se questo negozio è
sfornito?» Belò lui, e neanche a voce
troppo bassa, alla faccia del mucchietto di scarpe che aveva scartato.
Yohei fissò lo sguardo del proprietario, che sembrava
trasmettere tanta roba
brutta e cattiva, e sospirò «Hanaaa!»
Gli gridò, spappolandogli un timpano.
«Yohei, non rompere. Quando le trovo, le trovo» gli
rispose lui con una faccia
da culo incredibile.
A quel punto stava per scoppiare, quando IL paio, lui, scese dal cielo,
atterrandogli sotto al naso.
La commessa sospirò «Ecco, saranno
queste… sono l’ultimo paio…»
Ma Hanamichi manco la sentì. Si alzò, ghignando
come un folle, e trotterellò
gioiosamente verso l’esterno. «Yoheeeeiii
paghi tu veeero?» Cinguettò, mentre il bruno aveva
la netta impressione che il
proprietario gli avrebbe mozzato la testa. E ovviamente lui sarebbe
ritornato
sotto forma di fantasma a tormentare quel mentecatto dal cervello
marcio.
Tutta la strada per il ritorno fu psichedelico e Yohei dovette
limitarsi a
trascinarsi lugubremente accanto a quello psicotico saltellante con
scarpe
sotto al braccio. Manco lo sentì quando lo
salutò, sbattendogli sul naso il
portone di casa.
«Al diavolo!» Sbottò il bruno,
rientrando in casa con un diavolo per capello.
Ma Hanamichi era felice. Si fermò nell’atrio,
dandosi due secondi di pace
perpetua, poi salì le scale del secondo piano volando,
invadendo la camera e
afferrando macchina fotografica, ghignando come un ossesso.
Rukawa buttò il borsone sul parquet, sfilandosi le scarpe da
ginnastica «Sono
tornato…» mugugnò verso la cucina.
«Ah Kaede, c’è una lettera per
te!» Gli gridò sua madre, ma lui l’aveva
già
vista. E riconosciuta.
Solo uno psicolabile come il Do’aho, poteva scrivere con
quella calligrafia
indecente.
Aprì il foglio e sbuffò:
Dannata
Kitsune, te l’ho
fatta.
Queste sono le mie
scarpe
da ginnastica nuove – visto che la tua
delicata vista non può sopportare
roba vecchia. E sono esattamente uguali alle tue.
Ho vinto la scommessa.
Ergo, mi devi una cena, quindi vedi di non sparire.
Non sottovalutare mai più la potenza del Tensai del Basket!
Rukawa
sospirò, mentre raccoglieva la fotografia
caduta dalla busta: erano davvero identiche. E lui che credeva fossero
un'
edizione rarissima.
Ora gli doveva pure una cena, da soli e in un ristorante che doveva
scegliere
lui.
«Dannato Do’aho» brontolò, con
un sorriso.
N/A
Ok, chiedo venia per questa "cosa", ma mi è venuta
di slancio.
C'è solo un piccolo accenno shonen ai, però spero
sia carino. ^_^