Il mio corpo ha fame. L'appetito travia, e nessuna pienezza irradia.
Le mie braccia desiderano stringere fino a plasmare, i miei occhi rimirare fino a erodere;
grave incombe l'impetuosità sulle gambe, lampante la foga che mi sventra;
precipitarmi ad assaggiarti, osare toccarti.
E se ti chiedessi di introdurre te stesso in un corpo smanioso,
e se ti pregassi di introdurre te stesso in un corpo elettrico,
e se ti implorassi di introdurre te stesso in un corpo ingordo,
introdurresti te stesso altrove?
Poiché al di là di me vi sono gli appagabili, i moderati ed i donatori;
che te ne faresti di un innamorato del ricevere?
Amo te, ma il mio corpo ama subire te (perdonalo).
Non baciarmi, infiggimi;
non nutrirmi, grondami;
non parlarmi, compimi.
Non sono rigido, solo vitreo.
Abbi la brama di frantumarmi ed occuparmi, sii tumulto e non diletto.
Perché nel pandemonio di un giaciglio a soqquadro -a pezzi, a botte, a poesie- patiremo amorosamente la fame insieme.