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Autore: Francine    16/03/2016    5 recensioni
Quante volte ti sei gettato nel fuoco per lei?
Quante volte sei andato a riacciuffarla per un pelo?
Quante volte l’hai salvata dai casini in cui lei stessa si era andata a cacciare?
«Posso fidarmi di te,
Toxotes
Non è una domanda. È un ordine. E tu conosci quanto sia amaro il sapore della verità. Chiedere significa voler sapere.
Ma tra sapere, capire ed accettare c’è di mezzo una vita intera. E forse nemmeno basta, come ti ha detto una volta quel donnone colla sigaretta sempre accesa e dei cerchi alle orecchie grandi quanto ruote di bicicletta.
«Sì.»

[Saint Seiya Omega]
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Pegasus Seiya, Saori Kido
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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J’étais prêt à graver ton image à l’encre noire sous mes paupières
Afin de te voir, même dans un sommeil éternel
Même dans un sommeil éternel
Même dans un sommeil éternel
(Maître Gims,
Est-ce que tu m’aimes ?, 2015)
 

«È davvero il tuo corpo, questo?»

Glielo hai chiesto un pomeriggio di fine Gennaio, sotto un cielo che era arrossito al posto tuo. Lei ha sorriso, come faceva quando ti spingevi un po’ troppo in là, respingendoti indietro con grazia ed educazione squisita. Tra i due, la giapponese era lei, e non tu.

«Sì.» Pausa. «Mi preferiresti diversa?», ti ha chiesto. Piegando appena il capo verso la spalla destra, scoprendo la curva del collo in maniera innocente e niente affatto maliziosa. Saori è Saori, e lo sarebbe sempre stata. Athena o non Athena. Saori, incapace di malizia sulle labbra rosa confetto, i grandi occhi scuri e le mani decorate – protette – da un sottile velo di smalto rosa pallido. Saori, la ragazza da difendere da se stessa prima e dal mondo, poi. La testarda Saori che ti faceva venire dei mal di testa atroci ogni qual volta che si metteva in testa di risolvere le questioni a modo suo. Da sola. Per dimostrare a voi – a te – che lei era davvero Athena. Come se voi non lo credeste. Come se voi ne aveste bisogno. Ma forse, quella a cui Saori doveva dimostrare di essere Athena, era proprio se stessa.

«Allora, Seiya?»
«No. Tu sei come sei», le hai risposto, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni a cercare le parole giuste da dirle.
«Ma?»
Un sospiro, un chinare la testa ed un sassolino scalciato senza troppa convinzione.
«Ma a volte, vorrei che tu ti fidassi davvero di noi», le hai detto – le hai confessato. Senza avere il coraggio di guardarla negli occhi, ostinandoti a fissare qualcosa – un punto indefinito all’orizzonte – per non inciampare nei tuoi pensieri. «E non dire che ti fidi. Sai quello che intendo.»
«Ci sono questioni…»
«… che gli dei devono risolvere tra di loro. Lo so. Lo. So. Me l’hai ripetuto fino alla nausea.»
«E allora, perché…»
«Perché», e ti sei ritrovato il suo viso a pochissimi centimetri dal tuo, «ogni qualvolta tu mi lasci indietro, il mio orgoglio di guerriero ne esce con le ossa a pezzi.».
Lei ti ha rivolto uno sguardo indecifrabile e poi ha detto: «Capisco», prima di stringersi tra le braccia e proporti di rientrare. «È quasi ora di cena. Gli altri ci staranno aspettando.»
«Va bene», le hai detto, porgendole il braccio.«Ma il discorso…»
«… non finisce qui», ti ha detto, stringendo le dita attorno al tuo cappotto.

Orgoglio d’uomo.
Questo, era? Questo ti rendeva insopportabile il saperla da sola, a combattere contro guai ben più grandi di lei? Questo hai visto passare nei suoi occhi, un lampo, un’ombra fugace appena. Il riflesso di una nuvola, o la frangetta troppo lunga sulla fronte?
Non lo sai. Tra i due, il greco eri tu, non lei.
Ma è lo stesso lampo di pericolo che rivedi adesso, inginocchiato ai suoi piedi, lo sguardo smarginato di incredulità, terrore e delusione.
Ha davvero detto quello hai sentito?
Ti ha davvero chiesto quello che temi ti abbia chiesto?
No. Devo aver capito male, ti dici. Eppure la Daga – quella daga maledetta! – è lì. Davanti a te. Adagiata sul fondo di velluto rosso cremisi che fodera lo scrigno d’oro. Saori – Athena – non aggiunge altro. Ti porge quell’arma maledetta come si dà gioco alle redini di un cavallo. Senza spiegazioni. Ignorando il vortice che ti sta sconquassando il petto.
Chi diamine sei, tu?, vorresti chiederle, mentre le tue dita sanno che devono alzarsi e raccogliere la Daga, eppure non vogliono. Eppure, protestano. Eppure, è Athena – è Saori – che ti sta parlando.
Eppure… eppure… eppure non basta.
Se un tempo le sarebbe servito meno di uno sguardo, per farti capitolare – per farsi obbedire – adesso, no. Adesso tu vuoi di più. Credi di meritartelo. Credi che sia un tuo diritto.
Quante volte ti sei gettato nel fuoco per lei?
Quante volte sei andato a riacciuffarla per un pelo?
Quante volte l’hai salvata dai casini in cui lei stessa si era andata a cacciare?
«Posso fidarmi di te, Toxotes
Non è una domanda. È un ordine. E tu conosci quanto sia amaro il sapore della verità. Chiedere significa voler sapere. Ma tra sapere, capire ed accettare c’è di mezzo una vita intera. E forse nemmeno basta, come ti ha detto una volta quel donnone colla sigaretta sempre accesa e dei cerchi alle orecchie grandi quanto ruote di bicicletta.
«Sì.»

E tu ti arrendi. E tu agisci. E tu afferri quella daga maledetta come se fosse un pezzo di legno che galleggia nel fortunale. Col cuore gonfio di dolore. Con l’orgoglio sotto i tacchi. Deluso, tradito, ingannato. Ma ti alzi. Anche se le ginocchia protestano. Anche se ti gira la testa. Anche se vorresti fuggire, fuggire via e nasconderti, Sotto un sasso, dentro un pozzo, sul fondo dell’inferno. Ma basterebbe?
No. E lo sai anche tu. Perché quegli occhi – gli occhi di Athena – sono assieme benedizione e maledizione. Sono gli occhi della civetta che si posano sulla schiena del topolino. E questo, ti senti di essere, mentre ti avvii verso la tua missione – il tuo destino: un topolino. Un topolino avventato e spavaldo e fin troppo sicuro di sé, tanto da entrare con le proprie gambe tra gli artigli della civetta.


Non ti fermerà. Non ti chiamerà a sé e piangerà sul tuo petto e si scuserà per aver anche solo pensato di darti quell’ordine scellerato. Non  lo farà, no. Non crollerà affranta dal dolore non appena sarai uscito e le pesanti porte di bronzo si chiuderanno al tuo passaggio. Ma si siederà sul trono, lo scettro di Nike tra le dita affusolate. Ed aspetterà il tuo ritorno. Aspetterà che i battenti ruotino su loro stessi e che le porte si spalanchino di nuovo.
Chissà, magari dovrei gettarle la testa sulla bella guida di velluto rosso, nemmeno fosse una palla o l'osso di un cane, pensi. Per addolcirti la pillola. Per non pensare all’orrore su cui lei ti ha ordinato di affacciarti. Per non chiederti dove sia finita Saori, e se sia davvero quella, Athena. Perché sai che la risposta è sì, sempre sì, solo sì.


 
J’étais censé t’aimer, mais j’ai vu l’averse
J’ai cligné des yeux, tu n’étais plus la même
Est-ce que je t’aime ? J’sais pas si je t’aime
Est-ce que tu m’aimes ? J’sais pas si je t’aime

 
Note:
Questo momento ha sancito il punto di non ritorno tra me e Saint Seiya Omega. E voglio credere che Seiya non sia andato all'appuntamento con Pallas col cuore leggero. Un momento di crisi all'interno di un rapporto che cambia e si evolve, ma che resta sempre lo stesso: una dea ed un uomo. E se l'uomo è tanto stupido da voler assaggiare qualche goccia di ubris, Athena potrà mai rifiutargli questa cortesia?

Il donnone coi cerchi alle orecchie grandi come ruote di bicicletta è Maman Louise. Appare qui e come legge le carte lei, nessuno mai.

Toxotes signifca Sagittario in greco.

Semmai abbisognaste della traduzione,
Ero pronto a farmi tatuare la tua immagine sotto le palpebre
Per vederti anche in un sonno eterno
Anche nel sonno eterno
Anche nel sonno eterno.


Avrei dovuto amarti, ma ho visto il tuo rovescio.
Ho sbattuto le palpebre, e tu non eri più la stessa,
Ti amo?
Non lo so, se ti amo.
Mi ami?
Non lo so, se ti amo.

 
   
 
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