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Autore: The Writer Of The Stars    20/03/2016    4 recensioni
"Forse, il suo più grande rimpianto sarebbe sempre rimasto quello di non vedere le proprie prospettive realizzarsi concretamente, e quando aveva mostrato a Juvia il quaderno color borgogna lei aveva pianto, ma aveva affermato che anche a lei sarebbe tanto piaciuto un bambino col suo stesso sorriso, con gli occhi e i capelli di Gray, con l’ancestrale terrore per i temporali che li avrebbe resi entrambi vittima dei lampi e dei fulmini e li avrebbe costretti a rintanarsi tra le braccia calde del ragazzo. Ma, evidentemente, il destino aveva deciso che no, non potevano avere quel bambino, e forse un giorno si sarebbero resi conto che quella perdita li avrebbe aiutati a crescere spiritualmente, avrebbero imparato a risorgere dalle ceneri come la fenice."
****
|Gruvia| AU!
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gray Fullbuster, Lluvia
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ut Phoenix ex ceneribus
 

In verità, l’idea del quaderno era stata sua. Forse, se le cose fossero andate diversamente, Juvia nemmeno lo avrebbe saputo e lui, ebbro dell’ennesima sciocchezza inconfessabile, avrebbe nascosto il quaderno in un angolino polveroso della soffitta, ponderando, se il suo orgoglio avesse deciso di attenuarsi un poco, di tirarlo fuori tra una decina d’anni e mostrarlo a lui. L’idea non gli era balenata subito in mente poiché, a dirla tutta, appena venuti a conoscenza della notizia avevano avuto ben altre preoccupazioni e questioni da affrontare. Sebbene ebbro di gioia e anche di un pizzico di orgoglio, gli occhi annacquati di Juvia non avevano lasciato in lui spazio per felicitarsi della novità, costringendolo a razionalizzare la cosa. Il fatto era semplice: Juvia era incinta. La questione ora poteva ramificarsi schematicamente: lui amava Juvia, e Juvia amava lui; ma Juvia aveva ventidue anni e lui ventiquattro; Juvia frequentava il secondo anno della facoltà di lettere e filosofia, lui si spaccava la schiena sui libri di anatomia per diventare medico. Erano giovani; forse, se avessero avuto dei genitori, si sarebbero sentiti anche rinominare disgraziatamente come “piccoli”, ma lui un padre e una madre li aveva persi talmente tanti anni prima che quasi non ricordava  nemmeno i loro volti e il padre di Juvia, dalla cella della sua prigione, aveva ancora impressi negli occhi i fotogrammi di una bambina appena undicenne, figurarsi poterla immaginare madre. Avrebbero potuto fare attenzione, è vero, ma probabilmente lui l’amava talmente tanto che quando se la stringeva contro il petto impaurito di perderla, non aveva mai pensato che le cose sarebbero potute cambiare. Era un bel cambiamento in verità, perché dopo tre anni di fidanzamento e due di convivenza ogni tanto ci avevano pensato al “matrimonio” e anche a una “famiglia”, e lui stesso aveva ammesso che non gli sarebbe dispiaciuto avere qualche marmocchio saltellante per casa, ma, come sempre, si erano rivelati un disastro nella scienza della tempistica e ora c’era poco da fare, perché un bambino già c’era e già cresceva, e loro, nonostante le ovvie difficoltà, già lo amavano.

L’idea del quaderno, a dirla tutta, non era stata proprio farina del suo sacco; a mettergli la pulce nell’orecchio era stato, suo malgrado, quel disgraziato di Dragneel, durante una sessione di studio in biblioteca. La notizia della gravidanza aveva appena raggiunto i tre giorni di nascita eppure, tra il loro gruppo di studio dell’università di Magnolia, sembrava ancora lo scoop dell’anno. Certo, lui e Juvia erano i primi a metter su famiglia tra quegli scapestrati di “Fairy Tail” (doveva, in verità, capire ancora per quale motivo un gruppo di aspiranti medici/letterati avesse adottato tale nome) eppure tutto ciò che chiedeva era un po’ di tranquillità. Il primo cambiamento che avevano dovuto apportare alle loro vite era stato la ricerca di un lavoro da parte di entrambi. Gray, in verità, aveva insistito fino allo stremo perché Juvia si riposasse e pensasse solo all’università e al bambino ma lei, tanto dolce quanto testarda, aveva eroicamente proclamato che un bambino non potevano mica crescerlo con un solo stipendio da cameriere e aveva deciso dittatorialmente che anche lei si sarebbe procurata un impiego, e l’aveva trovata talmente adorabile con quelle guance rosse, gli occhi decisi e il ventre ancora piatto dove lui era consapevole scalpitasse una vita, che non era riuscito a dirle di no. Certo, le aveva assicurato che oltre al posto in quel bar sulla ventitreesima si era già attrezzato per dare lezioni di chitarra (strumento che ormai suonava dalla più tenera età) a bambini e ragazzi, ma lei, sebbene commossa da quel gesto, era stata inamovibile. Ora, lavoro a parte, v’era anche altro che premeva per essere conseguito e si trattava della tanto agognata laurea in medicina e chirurgia a cui andava appresso dalla fine del liceo, perciò, anche se futuro papà, restava sempre uno studente e non era quindi esente dal dover divorare i tomi ingialliti di anatomia. Ora, stava proprio col capo affondato tra le nozioni di Ippocrate quando la voce lagnosa dell’idiota patentato di Natsu era giunta a perforagli i timpani e urtargli il sistema nervoso.

“Neh Gray, come sta Juvia?” aveva sbuffato ma non troppo, perché in fondo aveva nominato Juvia e il solo sentir il suo nome riusciva a placargli un po’ quella voglia di sotterrare il rimbambito dai capelli rosa nel giardino del campus.

“Bene, anche se prevedo che a breve inizierà ad avere le nausee.” Non aveva nemmeno alzato lo sguardo dalla pagina perché accidenti, quel trattato esplicativo sul funzionamento delle coronarie era davvero interessante, e sperava così che Natsu, posta quella semplice domanda di cortesia, lo lasciasse finalmente in pace. Povero illuso.

“Senti, stavo pensando una cosa.” Aveva infatti ripreso subito dopo, e sembrava quasi serio, il che un po’ lo agitava.

“Quale miracolo!”

“Smettila, ghiacciolo, e ascoltami!”

“Cosa vuoi?” sbuffava, ma pareva quasi interessato.

“L’altro giorno stavo leggendo un po’ di cose in giro sulla gravidanza e …”

“E per quale motivo, scusa? Non mi risulta che anche Lucy sia incinta.”

“Infatti non era per me, ma per voi!” Ora Gray lo guardava e s’era fatto seriamente stranito, mentre Natsu si era sporto in avanti e bisbigliava piano, quasi si trattasse di un inestimabile segreto da svelare.

“Ma farti i cazzi tuoi e studiare per quel dannato esame di biologia che dovevi superare due mesi fa no, eh?”

“Dicevo, ho letto un paio di articoli secondo cui, durante una gravidanza, i futuri genitori potrebbero tenere una specie di diario dove scrivere tutto ciò che avviene giorno per giorno, sino alla nascita del bambino, in modo da poterlo mostrare al piccolo quando sarà più grande e in grado di comprendere!”  Natsu era entusiasta, nemmeno il figlio fosse il suo, e questo lo aveva sinceramente irritato e, probabilmente, acceso in lui un pizzico di gelosia per una cosa che non aveva nemmeno un corpo al momento. Assurdo.

“Non credevo che Focus Junior fosse ancora in commercio, dovrò fare un giro dal giornalaio.”

“Ero serio, idiota.”

“Anche io, infatti vado subito a cercare un’ edicola aperta.” E detto questo aveva chiuso il libro di scatto, alzandosi e imboccando l’uscita della biblioteca, lasciandosi un Natsu esasperato alle spalle. Però, pensandoci bene, quella stupida idea, con le dovute modifiche, avrebbe potuto funzionare.
 

Alla fine dall’edicolante non era passato ma si era invece fermato in cartoleria e aveva acquistato, sentendosi in verità un po’ cretino, un anonimo quaderno monocolore rosso borgogna e
quando aveva pagato quei pochi spiccioli s’era sentito miseramente in colpa, perché avevano deciso di risparmiare e non poteva cominciare a sperperare denaro per qualche pezzo di carta non necessario. Poi però, uscito in strada e schiantatosi col vento freddo di novembre, aveva tirato fuori dalla busta in plastica biodegradabile il quaderno e osservando la copertina liscia e un po’ lucida, s’era detto che era per il loro qualcosa e se li meritava eccome un euro e venti di fogli a righe. E poi, quella piccolissima spesa, avrebbe lasciato un vuoto solo nelle sue tasche, perché Juvia, di quel quaderno, non doveva saperne niente. Seguire il suggerimento di Natsu non gli era passato nemmeno per l’anticamera del cervello, perché con tutti i loro problemi dove lo trovavano il tempo di scrivere un diario, però, mentre passeggiava per il viale affollato di Magnolia, gli era venuto in mente che una piccola cosa per quell’esserino poteva farla, solo lui. Non avrebbe scritto un melenso diario giornaliero, perché francamente lui non era nemmeno fatto per quelle cose, scrivere era il talento di Juvia, il suo al limite poteva essere salvare vite umane, però una scommessa col destino e la genetica lo intrigava assai. Aveva nove mesi a disposizione per immaginare il loro futuro bambino e magari, giorno dopo giorno, quel banale quaderno poteva riempirsi di predizioni speranzose che avrebbero composto il ritratto di suo figlio, o figlia, chi lo sa.  Una piccola gocciolina d’acqua s’infranse sulla superficie plastificata del quaderno e alzando gli occhi al cielo nuvoloso, Gray si scontrò con quello che si preannunciava come un imponente temporale, e di certo Juvia era a casa, magari nascosta sotto le coperte, perché aveva il terrore dei tuoni ed era davvero adorabile vederla rannicchiata tra le lenzuola con i pugnetti sul viso come una bambina, anche se quella bambina stava per diventare mamma. E già la mente correva a lei e al loro piccolo appartamento in periferia dove lo stava aspettando, e avrebbe corso subito verso casa, se solo il quaderno non avesse attirato nuovamente la sua attenzione. Gray osservò le goccioline cadere sempre più fitte sul marciapiede e svelto arraffò la solita penna blu che portava sempre con sé nel cappotto, aprendo il quaderno. Mentre giocherellava col cappuccio della biro osservò la prima pagina bianca e ancora limpida, quando d’un tratto una goccia più violenta delle altre si schiantò sul foglio immacolato. E Gray quasi sorrise all’udire il violento rombare d’un tuono, mentre la penna s’avvicinava automaticamente alla pagina del futuro di un bambino che stava nelle sue mani.

“Avrai paura dei temporali come tua madre.”

***
 

Se v’era una cosa a cui non si sarebbe mai abituato, quelle erano le cicatrici sulla schiena di Juvia. Forse, più che abituato, sarebbe stato meglio dire rassegnato, perché non lo aveva mai dimenticato il volto livido di Juvia, le labbra tumide e gonfie, il sangue raggrumato agli angoli della sua bocca, gli occhi terrorizzati che anche lui potesse farle male. E la capiva, eccome se la capiva, perché un’intera vita passata in casa con un padre alcolizzato non era solo un ricordo lontano, perché le cicatrici inferte con quella che probabilmente era stata una cintura in cuoio non sarebbero mai sparite e Gray l’aveva capito subito. Juvia sosteneva che lui l’aveva salvata, che se non lo avesse incontrato quel giorno temporalesco, quando dopo l’ennesima violenza era scappata di casa e s’era rannicchiata all’angolo di un marciapiede, sicuramente non sarebbe sopravvissuta, o peggio, sarebbe tornata in quella casa e lì sarebbe morta a breve, se non fisicamente, almeno nell’anima. Invece lui l’aveva notata, infreddolita e terrorizzata su quel marciapiede, e sebbene non fosse un tipo misericordioso non aveva potuto fare a meno di avvicinarsi e abbassarsi alla sua altezza, sfiorandole i capelli fradici. Juvia aveva alzato lo sguardo e s’era ritratta come scottata, con gli occhi cerulei colmi di terrore e smarriti, e Gray s’era armato d’una dolcezza che non gli era mai appartenuta nel tentativo di sorriderle impercettibilmente.

“Tranquilla, non voglio farti del male.” E d’un tratto Juvia non sembrava più così spaventata, perché aveva abbozzato una smorfia riconoscente che cozzava terribilmente col labbro tumefatto e gonfio, eppure Gray fu certo di non aver mai visto sorriso più bello in tutta la sua vita.
Il maglione blu scivolò velocemente sulla sua figura, celando d’un tratto gli sfregi che ancora le impregnavano la schiena perlacea. Gray si riscosse immediatamente, scuotendo piano il capo e sistemandosi più comodamente sul letto, preparandosi ad accogliere Juvia tra le sue braccia. Difatti, senza proclamare parola, Juvia s’era stesa al suo fianco e subito s’era accucciata al suo petto, affondando il volto tra gli addominali sviluppati dell’aspirante medico che non aveva atteso un attimo a cingere il suo corpo con le braccia possenti. Per diversi attimi nessuno dei due fiatò, godendosi la pace quasi utopica in quel periodo e il silenzio ovattato del loro appartamento a quell’ora tarda della sera. Ad un tratto Juvia proruppe in una risatina improvvisa e Gray, abbassando lo sguardo, la osservò sinceramente stranito e confuso, mentre Juvia, consapevole di tale reazione, già s’era affrettata a rispondere.

“Gray profuma di cannella.” Spiegò e Gray sbuffò annoiato, scuotendo il capo.

“E’ normale, considerando che abbiamo passato due ore a preparare quella stupida torta alla cannella!” e Juvia rideva colpevole, perché si rendeva conto che d’ora in avanti non sarebbe stato semplice soddisfare le sue voglie, e quella della cannella era  stata solo la prima di una lunga serie, ma sapeva che Gray, per quanto sbuffasse e si lamentasse, l’avrebbe sempre e comunque accontentata.

“E nemmeno l’hai mangiata!” continuò piccato, sebbene un lieve sorriso aleggiava sul suo volto. Stavolta fu Juvia ad alzare il capo per poterlo osservare e quei capelli blu così particolari e ora scompigliati urlavano tenerezza e dolcezza da ogni ciuffo ribelle.

“Ma se l’hai bruciata! Non è di certo colpa mia se non sai cucinare una torta!” protestò eppure non poté fare a meno di scoppiare a ridere nell’osservare il guizzo irritato adombrare gli occhi color notte di Gray, che nel mentre sorrideva esasperato, consapevole che d’ora in avanti avrebbe avuto sempre più a che fare con quegli sbalzi ormonali. Juvia intanto aveva smesso di ridere, ma un bel sorriso continuava ad aleggiare sul suo volto mentre s’avvicinava a lui e lo baciava piano, castamente, come fanno i bambini, e mentre Gray la stringeva forte sui fianchi, lei affondava le mani lattee tra la sua chioma scura e folta, tirando leggermente alcuni ciuffi dispettosi.

“Non sai quanto ami i tuoi capelli …” confessò lei tra un bacio e l’altro, e Gray sorrise, mentre lo sguardo correva al quaderno color borgogna nascosto nella sua borsa, dove adesso avrebbe avuto una nuova predizione da aggiungere.
 
“Avrai i miei stessi capelli.”

***

La sala d’aspetto era asettica e schifosamente bianca, il che lo rendeva ancora più agitato di quanto non fosse già, perché il bianco era davvero un colore assurdo, non era nemmeno un colore a pensarci bene! Non si era nemmeno reso conto di star sbattendo il piede in terra con ritmo nervoso, almeno fino a quando Juvia non aveva posato la sua manina sul suo ginocchio, bloccando il movimento e costringendolo ad alzare lo sguardo dal pavimento, bianco, su di lei e i suoi occhi, meravigliosamente blu.

“Gray è nervoso?” aveva chiesto con un vago sorriso malizioso in volto e Dio, se non fosse stato per quello strano modo di parlare in terza persona che usava da piccola e che ora aveva ripreso l’abitudine di utilizzare, le avrebbe certamente rifilato una frecciatina pungente per zittirla.
“Non dire stupidaggini, non sono affatto agitato.” Borbottò mentre scostava lo sguardo dal volto di Juvia, perché Dio, se lo guardava così non resisteva davvero e non poteva di certo baciarla in quel momento, soprattutto in quel posto, perciò preferì guardarsi distrattamente intorno. C’era altre due coppie presenti, certamente più grandi di loro e le future mamme si trovavano in uno stato di gravidanza più avanzato rispetto a Juvia, che era solo al terzo mese, e si era ritrovato infastidito dallo sguardo quasi di rimprovero che una delle due coppie aveva lanciato loro, come se loro potessero avere il diritto di giudicarli inadatti a fare i genitori senza nemmeno conoscerli. Li avrebbe picchiati davvero, parola sua, se solo la dottoressa non avesse spalancato in quell’istante la porta e li avesse chiamati ad entrare con un cordiale sorriso in volto. Allora Gray afferrò la mano di Juvia, che nel mentre non aveva smesso di sorridere vagamente nervosa, e la trascinò all’interno dello studio, evitando gli sguardi dei presenti. All’interno la situazione non era di certo migliore, le pareti continuavano ad essere schifosamente bianche ma almeno c’era alcuni opuscoli esplicativi sul funzionamento dell’utero femminile a macchiare un po’ le mura, e mentre si sedeva accanto a Juvia, Gray stabilì internamente che il suo futuro studio medico sarebbe stato intonacato d’azzurro, senza ombra di dubbio.

“Allora, Juvia” la dottoressa, almeno, sembrava davvero simpatica mentre sorrideva loro con quel modo di fare professionalmente cordiale, e ciò riuscì comunque a calmarlo un poco.

“Vogliamo dare un’occhiata a questo bambino?” sorrideva ancora, anche mentre la faceva sdraiare sul lettino medico, anche quando Gray era rimasto ritto al fianco di Juvia senza accennare la minima smorfia, anche mentre spruzzava il gel sul ventre vagamente rigonfio della ragazza. Juvia sussultò al contatto col freddo della sostanza e si vedeva proprio che quella era la sua prima ecografia, perché non riusciva a smettere di mordersi il labbro inferiore, segno che era agitata, e Gray avrebbe voluto baciarla pur di farla smettere ma la dottoressa aveva acceso il monitor e non v’era più tempo per altro. Era in grado, dopo diversi studi, di poter leggere attraverso l’ecografia e per dieci secondi, dieci secondi di buio nello stomaco di Juvia, aveva sentito il cuore in gola nel non vedere alcun feto. Poi una macchia. Grigiastra e minuscola, tutta arrotolata su se stessa, dai contorni frastagliati, forse inesistenti, eppure, al vedere quello spettacolo, Gray sgranò gli occhi blu,  segretamente annacquati.

“E questo è il vostro bambino …” esclamò la dottoressa sorridendo ed indicando il puntino sullo schermo e Gray, percependo una stretta intensificarsi intorno al suo palmo, si voltò di poco per poter osservare Juvia. Juvia che aveva gli occhi lucidi e sorrideva, senza staccare un momento lo sguardo dallo schermo e un ulteriore groppo giunse ad ostruirgli la trachea a quella visione così … così bella.

Bum bum

Quando poi anche il battito cardiaco del feto giunse a perforare i loro timpani attenti, entrambi sobbalzarono, scoprendosi tremanti d’emozione e impreparati, sebbene avessero atteso quel momento con tanta ansia, a tutto ciò.

“E’ solo un piccolo rigonfiamento …”  riuscì a sussurrare Gray, incapace di parlare per la prima volta in tutta la sua vita e gettandosi il proprio orgoglio alle spalle.

“Già … un piccolo rigonfiamento.” Esalò tremante Juvia, catturando nuovamente la sua attenzione. E quando volse nuovamente lo sguardo nella sua direzione, gli salì un malato desiderio al vederla così persa tra i chiaroscuri dello schermo e con quel sorriso paurosamente bello a prendergli le labbra, che già aveva immaginato quello stesso sorriso su di un volto paffuto e piccolo.

“Avrai il sorriso di tua madre.”
 
***
 
Il portone di casa cigolò in maniera estremamente inquietante eppure non se ne curò, chiudendolo alle sue spalle con ancora il sorrisetto soddisfatto stampato in volto e il trenta e lode fresco fresco sul proprio libretto universitario. Considerando che anche quest’esame era fatto e che quindi mancava sempre meno alla tanto agognata laurea, poteva ritenersi soddisfatto della propria vita, almeno quella scolastica. Ad ogni modo, s’era reso recentemente conto d’attendere la nascita del bambino con maggiore ansia e bramosia di quella dannata laurea a cui inneggiava lodi e oneri da anni, e questo lo rendeva davvero nervoso, perché si trattava solo di un piccolo rigonfiamento che sarebbe venuto alla luce tra cinque mesi, e cinque mesi erano pochi per prepararsi psicologicamente a fare il padre. Le proprie profonde elucubrazioni sulla soglia di casa vennero d’un tratto interrotte da un fragore di piatti proveniente dalla cucina e consapevole che l’unico abitante della casa fosse, a parte lui, Juvia, corse immediatamente a controllare cosa fosse avvenuto. Forse, a pensarci bene, avrebbe preferito trovarsi davanti una coppia di ladri vanagloriosi piuttosto che la visione della sua Juvia in quello stato.

“Juvia!” gridò allarmato, precipitandosi verso l’angolo del pavimento dove s’era rannicchiata piangente, coi pugni stretti dinanzi agli occhi e i capelli blu scompigliati e indomabili. Juvia non gli rispose nemmeno e lui, afferrandole delicatamente le mani per scostargliele dal viso, si rese conto con orrore di come sulla destra troneggiasse un profondo taglio, causato sicuramente da pezzi di vetro infranti.

“Aspettami qui, vado a prendere il disinfettante.” E anche dopo averle medicato delicatamente la mano, Juvia non aveva smesso comunque di fissare il vuoto con le guance rigate dalle lacrime, seppur avesse smesso di singhiozzare. Gray sospirò, inginocchiandosi dinanzi a lei e chiudendo la cassetta d’emergenza appena utilizzata.

“Juvia, mi puoi dire che è successo?” le chiese dolcemente, incitandola con un tono caldo e rassicurante. Juvia ingoiò un grosso groppo di saliva, perseverando nel fissare il parquet rovinato della cucina.

“J-Juvia voleva preparare qualcosa da mangiare, ma quando ha preso i piatti le sono scivolati e si sono rotti.” Spiegò col tono infantile di un bimbo che cerca di giustificarsi per una marachella. Gray tirò un sospiero di sollievo, evidentemente sollevato.

“E allora? Tutta questa storia per un paio di piatti?”
“Il problema non sono i piatti!” gridò di colpo Juvia, lasciandolo strabiliato.

“S- se Juvia non è nemmeno in grado di cucinare per lei e Gray, come farà Juvia a crescere un bambino?” e in quel momento, seduto dinanzi a lei sul pavimento consumato della propria cucina, Gray comprese finalmente quale fosse il vero problema.

“Juvia sarà una madre orribile!” neanche lo guardava in faccia, Juvia, gridava le proprie convinzioni al vuoto incommensurabile del loro appartamento e ad ogni singhiozzo gli pareva di percepire una stilettata al petto, una, cento coltellate tutte insieme.

“Gray potrebbe avere una vita bellissima, potrebbe essere fidanzato con una ragazza meravigliosa e ricca, sarebbe libero di andare in giro per locali e divertirsi con i suoi amici e pensare solo alla laurea! Invece per colpa di Juvia si trova solo …” prese un respiro profondo, come se ricercasse nell’aria il coraggio di parlare. “Questo.” Concluse, lanciando un’occhiata al loro umile appartamentino, al tavolo dove erano ammucchiati i suoi volumi di filosofia di Kant e Schopenhauer,  ai piatti frantumati in terra ed infine al suo pancione ormai ben visibile. Ma il coraggio per intrecciare i suoi occhi con quelli di Gray, non l’aveva trovato nell’ossigeno. Per almeno dieci secondi l’appartamento piombò nel silenzio e non si udiva altro rumore se non lo scrosciare violento della pioggia in strada, e Juvia si sentiva talmente distrutta che aveva solo voglia di correre fuori e restare sotto le nubi bigie per l’eternità, come se quelle potessero cancellare tutte le sue insicurezze e i suoi terrori.

“Ascoltami!” ma Gray aveva parlato, e sembrava davvero irato con quel comando, tanto che nonostante tutto non se la sentì di disobbedire e rimase immobile, rannicchiandosi giusto un po’
su se stessa.

“Smettila di dire cazzate!” urlava e questo la terrorizzava davvero, perché Gray non aveva mai alzato la voce con lei e quelle grida sembravano una sorta di deja vu, un fotogramma in cui alla figura di Gray si sostituiva quella di un uomo di mezza età con una bottiglia di rum in mano e lei era sempre rannicchiata in terra, ma la ferita sul palmo della mano era ancora aperta e continuava a sgorgare sangue impetuosamente. Gray forse realizzò solo allora quel dettaglio e si maledì numerose volte, perché se c’era una cosa che non avrebbe mai voluto, quella era spaventare Juvia.

“Ehi, ascoltami …” riprese, stavolta con tono pacato e davvero dolce, tanto da non sembrare nemmeno Gray Fullbuster, il freddo studente di medicina, il “ghiacciolo di Fairy Tail” come diceva Natsu. Juvia lo osservò tremante mentre lui le afferrava delicatamente la mano appena fasciata e la stringeva piano tra le sue, carezzandone le nocche fredde con i polpastrelli insolitamente caldi.

“Ho paura anche io.” confessò a bassa voce, eppure il tono era fermo e lo sguardo di Juvia vacillò pericolosamente all’udire la sincerità impregnata nelle sue parole.

“Non ne so un cazzo di come si faccia il padre. Non so come ci si deve comportare, non so tenere in braccio i bambini, non so scaldare il latte in polvere e non so cantare ninne nanne smielate in piena notte. Non so come si fa ad insegnare a qualcuno gli stessi principi che nessuno mi ha dato, ma che mi sono creato da solo, e sono certo di non essere in grado di crescere un essere vivente. Ma sai perché nonostante ciò non mi pento un solo istante di questo bambino?” Juvia scosse il capo con forza, abbassando per un attimo lo sguardo sul proprio pancione.

“Perché è nostro figlio.” Sussurrò, carezzando lievemente il ventre colmo di vita. “Il nostro piccolo rigonfiamento!” Continuò, stavolta ridacchiando e all’udire la risata di Juvia unirsi alla sua, percepì il nodo al centro del proprio cuore sciogliersi un poco.

“Già.” Constatò Juvia, correndo anche lei ad accarezzare la propria pancia. Gray ne approfittò per intrecciare la propria mano con quella fredda e pallida di lei, stringendogliela dolcemente.

“Juvia, guardami.” La richiamò e stavolta Juvia non esitò nel puntare le proprie iridi nelle sue.

“Non devi pensare nemmeno per un secondo che starei meglio senza di te, chiaro? Lo so che non te lo dico quasi mai, ma io ti amo, lo sai, vero?” Juvia sobbalzò ma annuì comunque, sorpresa nell’udirlo esprimere i propri sentimenti.

“Io non vorrei nessun altro a parte te nella mia vita. Non vorrei nessuna ragazza ricca, niente locali e stupide uscite tra amici; solo tu e tutto quello che abbiamo creato, il nostro piccolo miracolo.” Sussurrò, correndo a baciarle piano un angolo delle labbra.

“Non vorrei altra vita che la mia, Juvia.” E stavolta udire i suoi singhiozzi gli parve quasi bello, perché erano lacrime di gioia e di liberazione, e perché ora Juvia lo stava stringendo con tanta forza che sarebbe stato disposto a morire in quel preciso momento, tra le sue braccia e con il volto poggiato sul loro piccolo rigonfiamento, pur di prolungare quel momento per sempre. Juvia gli afferrò il volto e timida gli baciò le palpebre serrate, sfiorando le custodi di quelle iridi amene.

“Grazie.”
 
"Avrai i miei stessi occhi".

***
 
 
Era il quarto sulla lista e considerando che era appena entrato in aula il secondo candidato, calcolò di avere abbastanza tempo per dare un’ultima occhiata ai suoi appunti, prima di doverli far sparire dinanzi al professore incaricato di esaminarlo. Afferrò il proprio libro dalla borsa e gli venne spontaneo sorridere nel momento in cui prese per sbaglio un altro quaderno, precisamente uno dalla foderina color borgogna e ormai consapevole di conoscere il programma d’esame alla perfezione, decise che al momento poteva svagarsi un secondo. Sfogliò il quaderno pagina dopo pagina, sorridendo internamente delle sue elucubrazioni deliranti eppure, nel profondo, continuava a sperare che quelle predizioni divenissero realtà.

Sei solo un piccolo rigonfiamento che tra quattro mesi verrà al mondo. Imparerò a stringerti tra le mie braccia più dolcemente possibile ed è in te che porrò il mio futuro.
Sei solo un piccolo rigonfiamento che tra quattro mesi verrà al mondo.
 
 

Per l’ennesima volta nell’arco di pochi mesi, si ritrovò a constatare, con inguaribile orrore, quanto fossero schifosamente bianche le pareti degli ospedali. In particolar modo, il corridoio della sala d’aspetto del pronto soccorso gli sembrava ora ancora peggiore rispetto alle restanti ale dell’ospedale e quell’ambiente così asettico e vuoto non faceva altro che accrescere in lui lo stato d’ansia nato dopo la telefonata di Lucy, la ragazza di Natsu. Gray sprofondò nella sedia di plastica oltre modo scomoda, ripercorrendo con la mente i precedenti trenta minuti durante i quali, ad un solo nome dal suo turno d’esame, aveva ricevuto l’allarmata chiamata di Lucy, amica e collega di Juvia, che lo informava di come la ragazza si fosse improvvisamente sentita male durante la lezione e del fatto che la stessero già portando al pronto soccorso. Era corso via senza nemmeno dare spiegazioni o lasciar detto qualcosa in segreteria, fanculo l’esame, si sarebbe presentato al prossimo appello, ma Juvia era la sua priorità, a prescindere che avesse avuto un semplice calo di zuccheri o, come temeva, qualcosa di più serio. L’infermiera che aveva incrociato appena arrivato l’aveva squadrato male ma senza troppe cerimonie l’aveva liquidato dicendogli che la ragazza ora si trovava con la ginecologa e che non sapeva altro. Eppure il tempo passava, e quella dannata sedia era davvero troppo scomoda, i testi d’esame scalpitavano nella sua borsa e l’ansia non accennava a diminuire, perché se si fosse trattato di qualcosa di lieve Juvia sarebbe già dovuta uscire da un pezzo, o no? Per l’ennesima volta la mente corse allo stupido quaderno color borgogna e inspiegabilmente un brivido gli percorse la colonna vertebrale a quel pensiero, quasi come colto da un brutto presentimento, un’epifania funesta che gli gridava di non pensare sempre in negativo, ma di concentrarsi sulla camera del bambino, che già stavano allestendo, e sulle tutine di colori neutri – perché avevano deciso che il sesso del piccolo sarebbe stata una sorpresa- che i loro amici avevano già regalato loro, e tutte quelle cose carine e rassicuranti da neo genitori, da papà ansioso di divenire tale, ecco. E forse ci sarebbe anche riuscito, se solo la porta dinanzi a lui non si fosse spalancata di botto e la ginecologa non avesse catturato subito la sua attenzione. La prima cosa che notò, di lei, fu senz’altro quello sguardo estremamente serio che cozzava terribilmente col bel sorriso cordiale delle visite e questo non fece altro che acuire sempre più quello stato d’ansia generatosi in lui.

“Lei è il fidanzato della signorina Lockser?” gli chiese fredda, ma c’era nel suo tono una punta di compassione che lo fece tremare mentre annuiva con vigore.

“Come sta Juvia? Che è successo?” sputò come un fiume in piena, gli occhi che guizzavano di preoccupazione. La donna sospirò, abbassando un po’ lo sguardo.

“Ha avuto un forte malore improvviso ed è svenuta in mattinata. Ora la ragazza sta bene, anche se è un po’ stordita.” Spiegò, ma sembrava voler scappare via subito, come se stesse nascondendo dell’altro e non volesse rivelare un segreto inconfessabile. Gray annuì, percependo però l’ansia divorarlo nel non udire ulteriori notizie riguardo il suo Puntino.

“E il bambino?” chiese agitato, senza permettere che le sue pupille vacillassero minimamente. Eppure, lo sguardo eloquente della dottoressa fu peggiore delle mille coltellate infertegli da Juvia quel giorno di mesi prima. Boccheggiò, ma i suoi occhi seri e il suo controllo professionale non vacillarono.

“Mi dispiace …”

E Gray desiderò nuovamente che Juvia fosse il suo coltello.

***

La stretta di Juvia era debole, scientificamente parlando quasi preoccupante, se non si fossero trovati in quella situazione, non che la sua fosse chissà quanto vigorosa, ma per forza di cose s’era dovuto far forza lui e dimostrarsi la roccia dei due. In fondo, per quanto anche lui fosse distrutto e irreparabile, era consapevole che non avrebbe mai potuto capire Juvia e sapere cosa si prova a portare nel proprio grembo un corpo senza vita, la rappresentazione concreta di quell’epifania funesta che l’aveva colto in ospedale. Juvia s’era pure data la colpa ed erano giorni che cercava di convincerla che nessuno aveva colpa in tutto quello che era successo, né lei, né lui, né quel fagottino a cui non era stato permesso di vedere la luce, ma Juvia sembrava smembrata, scarnificata nell’animo e vuota nel fisico. Non mangiava nemmeno più e i pochi bocconi che era riuscito a farle ingerire non sarebbero certo bastati a mantenerla in vita. Così s’era impuntato dinanzi a lei e avevano stabilito che non potevano lasciarsi morire anche loro, almeno per non vanificare la vita incompiuta del loro bambino. Però, prima di provare a rialzarsi ed andare avanti, Juvia gli aveva chiesto un ultimo giorno per il loro piccolo rigonfiamento mai nato, per pensare solo a lui e per questo ora si trovavano stesi sul loro letto che non era mai sembrato tanto freddo, stretti con disperata necessità di sentirsi vicini anche nell’anima. Non parlavano e non volevano parlare, perché non c’era davvero niente da dire, non c’è mai nulla da dire di fronte alla morte, specie dinanzi alla morte di qualcuno che non ha ancora conosciuto la vita.

“Vivi.” Le aveva sussurrato solo ciò nell’arco di quell’eremitica giornata grigia, un inno alla vita che lei aveva deciso di accogliere, di condividere con lui, senza però mai dimenticare il loro piccolo rigonfiamento. Forse, il suo più grande rimpianto sarebbe sempre rimasto quello di non vedere le proprie prospettive realizzarsi concretamente, e quando aveva mostrato a Juvia il quaderno color borgogna lei aveva pianto, ma aveva affermato che anche a lei sarebbe tanto piaciuto un bambino col suo stesso sorriso, con gli occhi e i capelli di Gray, con l’ancestrale terrore per i temporali che li avrebbe resi entrambi vittima dei lampi e dei fulmini e li avrebbe costretti a rintanarsi tra le braccia calde del ragazzo. Ma, evidentemente, il destino aveva deciso che no, non potevano avere quel bambino, e forse un giorno si sarebbero resi conto che quella perdita li avrebbe aiutati a crescere spiritualmente, avrebbero imparato a risorgere dalle ceneri come la fenice. E con un pizzico di rimpianto e rabbia, anche l’ultima pagina del quaderno color borgogna avrebbe imparato a rinascere, senza dimenticare.

Eri solo un piccolo rigonfiamento che tra quattro mesi sarebbe venuto al mondo. Forse avevano bisogno di te lassù, ma a noi non è ancora concesso sapere il perché.
 
 

Nota autrice:
E’ la prima storia che pubblico in questa sezione, e mi rendo conto d’essere partita proprio leggera con questo bel mattone di quattordici pagine word. Ma io amo la Gruvia, sono la mia ship nel fandom, e purtroppo ho anche un’odiosa predisposizione verso l’angst e il drammatico, quindi questi sono i risultati. Vorrei precisare che la storia è stata ispirata dalla canzone  “Small bump” di Ed Sheeran, mentre la stesura di tutto il racconto è avvenuta ascoltando praticamente tutti gli album dei Dire Straits. Non sorprendetevi perciò se risulto prolissa, è una mia grande pecca.

Spero seriamente che, nonostante la tematica delicata trattata, questa storia possa esservi piaciuta. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate!
Grazie per l’attenzione,
Letizia
 
   
 
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