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Autore: Padme Mercury    20/03/2016    0 recensioni
In un bar, John Watson sente una canzone e pensa.
Nello stesso bar, una ragazza canta e lo osserva.
[Post Reichenbach, pre terza stagione.]
[Pre!Johnlotte, Johnlock BROTP]
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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John entrò esitante in un piccolo e squallido bar nella City che comprendeva anche un angolo karaoke. Era dai tempi del liceo che John non entrava in un bar del genere, quando ci aveva portato Susan e, alla fine della serata, lei lo aveva piantato lì, scappando con ragazzo alto e muscoloso incontrato proprio quella sera. Sospirò a quel pensiero e aprì la porta.
Strizzò gli occhi all’impatto che i suoi bulbi oculari ebbero con il profondo buio del locale, e le sue orecchie reclamarono per il veloce cambio dal silenzio della strada – evento molto raro per una città come Londra, ma il fatto che erano le quattro di notte poteva aiutare – al boato che si scatenò all’interno, probabilmente era appena sceso dal palco qualcuno molto bravo. S’incamminò verso il fondo del locale, proprio davanti al palco, cercando di non farsi notare e di non incrociare lo sguardo di nessuno; dopo la morte di Sherlock anche lui era entrato nell’occhio del ciclone, importunato da ragazzini e adulti ovunque andasse che gli chiedevano com’era vivere con Sherlock Holmes, se lui sapeva che era un impostore, se anche lui aveva collaborato alla creazione di Moriarty.

Un giovane cameriere si avvicinò a lui per prendere l’ordinazione. Il dottore alzò la testa e, per un istante, giurò di aver visto un paio di occhi azzurro ghiaccio al posto di quelli color cioccolato del ragazzo. Scosse la testa e ordinò del brandy, col preciso ordine di lasciare lì la bottiglia. Il ragazzo si raddrizzò e annuì con la testa, si allontanò andando verso il bancone e si mise a parlare con il barista, lanciando occhiate nella sua direzione, celando malamente delle risatine. Tornò pochi minuti dopo, ridacchiando, con la sua ordinazione.

Sta ridendo di te.

John si tolse quel pensiero dalla testa, zittì la voce che sentiva – quella vocina che somigliava tanto a quella di Sherlock – e cominciò a bere l’alcolico. Se Sherlock fosse stato lì, avrebbe sicuramente indovinato perché il cameriere stava ridendo. Un grande frastuono di applausi, fischi e urla lo costrinsero a concentrarsi sul palco che stava davanti a lui. Era appena salita una ragazza molto carina che non doveva avere più di trent’anni, dai capelli biondi e i grandi occhi color ambra, truccata in modo molto scenografico e con un lungo vestito azzurro elettrico dalle fantasie in paillettes blu.
«Vai Charlie, sei la migliore!» urlò un uomo sulla quarantina in fondo al locale.
«Facci sognare, bambola!» aggiunse un altro alla sua destra. John lo vide: era un uomo squallido, con un po’ di pancia e ubriaco fradicio. Il suo sguardo era sempre fisso sul seno della ragazza – sebbene esso non fosse esattamente prospero – e, per un attimo, John temette che potesse saltarle addosso da un momento all’altro. Alzò lo sguardo sulla ragazza, che sorrideva e si sistemava i capelli dietro alle orecchie. Forse si era accorta dello sguardo silenzioso di Watson, perché si girò verso di lui e gli sorrise, un sorriso diverso da quello che aveva prima.

Non credevo ti piacessero così giovani.

Sempre la solita vocina, dal tono ironico tanto simile a quello del suo ex-coinquilino. John decise di ignorarla e sorrise di rimando alla cantante. Era proprio curioso di sentirla cantare, da come la gente l’aveva accolta doveva essere davvero brava. La musica cominciò a diffondersi nel locale, e John riconobbe subito quelle note. Too much love will kill you. Ci mancava solo una canzone struggente per farlo star meglio, notò, ma a quanto pare faceva molto effetto sul pubblico, poiché appena ebbero iniziato a suonare, il chiacchiericcio che faceva da sottofondo si spense completamente. Watson decise di ascoltare semplicemente la giovane donna, costringendosi a non pensare a nulla.
 
I'm just the pieces of the man I used to be
Too many bitter tears are raining down on me
I'm far away from home
And I've been facing this alone
For much too long
I feel like no-one ever told the truth to me
About growing up and what a struggle it would be
In my tangled state of mind
I've been looking back to find
Where I went wrong



Tutti i buoni propositi del dottore andarono – letteralmente – a farsi friggere non appena la calda e vellutata voce della cantante intonò le prime strofe. Non aveva mai pensato che una canzone potesse descrivere così il suo stato d’animo, eppure in quel momento si sentiva esattamente come la canzone recitava. Era esattamente così ogni giorno, ogni dannatissimo, maledettissimo giorno. E ogni notte sognava lui, sempre quel giorno in cui si era buttato dopo avergli raccontato una bugia.
Abbassò lo sguardo sul bicchiere, che aveva appena riempito nuovamente, e si trovò a lottare per trattenere le lacrime che sentiva pizzicare negli occhi e che non era riuscito a versare da ormai due anni. Lacrime che non aveva il coraggio di far scendere, e allora si arrabbiava e aveva sempre più voglia di piangere, senza mai riuscirci. Lacrime amare che si riversavano solamente dentro di lui, facendolo sentire ancora più male di quanto si sentisse in quel momento.

Sei un debole, John.

Sempre quella voce… la sua coscienza non si era ancora decisa a concedersi una vacanza?

Hai sbagliato, John.

Dove aveva sbagliato, con Sherlock? Perché lui si era buttato, lasciandolo lì a struggersi in uno squallido bar? Si concentrò nuovamente sulla canzone, sebbene senza guardare più in volto la giovane.
 
Too much love will kill you
If you can't make up your mind
Torn between the lover
And the love you leave behind
You're headed for disaster
'cos you never read the signs
Too much love will kill you
Every time

 
 
Sentiva lo sguardo ambrato della ragazza bruciargli sulla nuca. Alzò la testa e incrociò gli occhi con quelli di lei, al che ella sorrise e non scostò lo sguardo da quello del dolce dottore. Maledetta canzone, tra tutte quelle esistenti proprio quella doveva cantare quella ragazza?
Beh, dopotutto era una bravissima cantante… forse si sarebbe potuto godere un po’ di bella musica, se si sentiva sostenuto dallo sguardo di lei. Il suo sguardo… aveva qualcosa di maledettamente, fastidiosamente familiare, qualcosa che lo portava a bramare quel contatto come niente mai. Beh, forse solo come una cosa che sognava da due anni a quella parte…

I'm just the shadow of the man I used to be
And it seems like there's no way out of this for me
I used to bring you sunshine
Now all I ever do is bring you down
How would it be if you were standing in my shoes
Can't you see that it's impossible to choose
No there's no making sense of it
Every way I go I'm bound to lose
 
John spalancò gli occhi: sembrava una scusa… una scusa da parte di Sherlock. Scosse la testa ridendo di se stesso, perché mai una ragazza doveva scusarsi di una cosa che non aveva nemmeno commesso? No, stava diventando pazzo, ecco perché vedeva Sherlock dappertutto.
 
Too much love will kill you
Just as sure as none at all
It’ll drain the power that’s in you
Make you plead and scream and crawl
And the pain will make you crazy
You’re the victim of your crime
Too much love will kill you
Every time
Too much love will kill you
It’ll make your life a lie
Yes, too much love will kill you
And you won’t understand why
You’d give your life, you’d sell your soul
But here it comes again
Too much love will kill you
In the end…

In the end.
 
No, non poteva più farcela… Ringraziò Dio che la canzone fosse finita, quelle ultime strofe erano state la cosa peggiore di quella serata. Buttò giù qualche altro sorso di brandy e osservò la ragazza scendere dal palco. Salì qualcun altro al suo posto, ma lui non si curò molto di chi fosse, era troppo impegnato a far girare il ghiaccio nel suo bicchiere. A un certo punto, vide una tazza di the davanti a sé e la ragazza di prima di fianco, mentre si portava alla bocca una tazza di cappuccino.
«Beva, dottor Watson, il the le fa bene. Non si preoccupi, offro io!» gli sorrise. Lui appoggiò il bicchiere e prese in mano la tazza. Il classico Breakfast Tea, con una goccia di latte dentro e un cucchiaino di zucchero. Esattamente come piaceva a lui.
«Come fa a sapere il mio nome?» le chiese.
«Seguo il suo blog, dottore. L’ultimo post è stato molto commovente, mi sono messa a piangere. Sa, io sono una ragazza che si emoziona facilmente… Ah, che maleducata, non mi sono presentata! Io sono Charlotte Tudors!» disse, ingoiando il sorso di cappuccino e allungando una mano verso il dottore. Lui la strinse, la sua mano era morbida e fredda. «Le è piaciuta la canzone?» domandò poi, ritraendo l’arto.
«Molto, sono sempre stato un grande fan della buona musica ormai di un tempo. Inoltre, penso che i Queen siano stati un grande gruppo musicale. Ma senta, come mai ha scelto proprio quella canzone?» domandò, per poi rendersi conto di ciò che aveva appena chiesto.

Stupido John. Perché fai domande del genere?

Avrebbe voluto mormorare una scusa e rimangiarsi tutto, ma lei fece un risolino e scrollò le spalle.
«Adoro quella canzone, mi ricorda i tempi del liceo quando le mie amiche soffrivano le pene d’amore ed io me ne stavo lì a guardare, incaricata di dare consigli. Oltretutto, me l’ha chiesto un ragazzo, ha detto che era molto importante» rispose, rimanendo comunque enigmatica riguardo l’identità del ragazzo. Parlarono del più e del meno per molto tempo, scoprendo così che Charlotte era di Liverpool ed era venuta a Londra per lavoro e che adorava cantare, per quello si esibiva più volte che poteva. Era una passione che si portava dietro fin da bambina e avrebbe voluto diventare una cantante, ma una serie di circostanze non glielo permisero.
John si era scoperto a pensare che la ragazza era una delle più piacevoli compagnie con cui avesse passato del tempo, sebbene ogni volta la guardasse negli occhi vedeva una scintilla che gli ricordava irrimediabilmente Sherlock. Guardò l’orologio e per poco non si strozzò con la propria saliva.
«Cavoli! Sono le cinque e un quarto, e domani ho il turno di mattina… Forse è meglio se chiamo Sarah e le chiedo di cambiarmi turno…» esclamò il dottore.
«Se vuole, dottor Watson, la accompagno a casa, non abito lontano da Baker Street» si offrì Charlie. Lui accettò e si alzò, seguito dalla ragazza. «Aspetti, devo andare a prendere la borsa» disse lei, avviandosi verso un angolo buio e vuoto del locale. Lui, invece, si avvicinò alla porta.
Charlie si guardò indietro e si avvicinò furtiva a un ragazzo alto che teneva in mano la sua borsa. Lei la prese e sorrise all’uomo.
«Sei stata molto brava» si complimentò lui.
«Grazie. Ho conosciuto il dottor Watson, ed è davvero una brava persona. Sono contenta di stargli vicino» disse.
«Prenditi cura di lui, Charlie»
«Lo farò, zio, lo farò» lo rassicurò lei, per poi dargli un fugace bacio sulla guancia e avvicinandosi nuovamente al dottore. 
 
   
 
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