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Autore: piccolo_uragano_    21/03/2016    2 recensioni
Stavo pensando a quella notte, la notte in cui ti ho conosciuta. Mi dicesti di esserti persa, però mi sembravi tutt'altro che persa, in quel momento. Anzi, a dirti la verità, con il senno di poi posso affermare con certezza che non ti fossi affatto persa: tu quella sera hai trovato me, perchè questo era il nostro destino.
Possiamo tornare indietro? Possiamo tornare al punto in cui io rovino tutto e tu te ne vai con le lacrime agli occhi?
Vorrei almeno che un legame come il nostro possa avere un addio, un finale degno di ciò che siamo stati, se proprio dobbiamo finire.
Io ti aspetto qui, domani sera. Stesso posto, stessa ora.
Ti amo. Non sono riuscito a dirtelo, ma ti amo.
A.
Consegno il messaggio alla sua amica spagnola mentre la ringrazio e penso: fa che non stia mentendo, fa che lei sia viva.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ma le parole che ti sono avanzate 
sono finite tutte nella valigia 
e lì ci sono restate. 
(Il peso della valigia - Luciano Ligabue)


Capitolo secondo.

Passa un giorno e ne passano due. Telefono a Sam e non mi risponde. Il telefono squilla a vuoto e a me manca persino il suono della sua voce dietro la cornetta. Telefono a sua sorella e mi dice che mi passa la bambina. Wylda mi chiede quando ci vediamo, e io non so risponderle. Le dico che le voglio bene, e lei mi dice che me ne vuole anche lei. Quando mi sveglio mercoledì mattina, la cosa non migliora: anzi. Sembra quasi peggiorare. La testa mi fa male e le sigarette sono finite. Ho dormito poco, ho dormito male: mi sveglio arrabbiato. Mi sveglio confuso. Mi sveglio vuoto: il letto è terribilmente grande, freddo e vuoto senza di lei.
Lei.
Lei ha lasciato il suo elastico nero sul comodino. Forse lo ha fatto apposta. Forse voleva che lo trovassi, che lo tenessi, o forse no: comunque l’ho al polso, come un ragazzino, come se i capelli dovessi legarmeli io – ipotesi anche plausibile, tra l’altro.
Mi sveglio perché sento il telefono vibrare sul comodino. Distrattamente, lo afferro e premo verde senza nemmeno badare al mittente, mentre Nelson salta sul letto.
«Pronto?»
«Ehi, fratellino.»
Accarezzo Nelson mentre riconosco la voce di mia sorella Gemma.
«Ciao.» le dico. «È successo qualcosa?»
«No, figurati. Volevo solo sapere come stai.»
Oh, fantastico. Sam avrà detto a lei perché ci siamo lasciati, non a me.
«Dormivo, Gemma.» dico.
«Ma se è mezzogiorno e trenta!»
«Fa nulla: dormivo lo stesso.»
Gemma si interrompe e la sento sospirare. «Ma certa gente come va in giro?»
«Che hai visto?» chiedo, sorridendo appena: mia sorella è troppo rigida con sé stessa e con il mondo intero.
«Una ragazza con i capelli blu.» sussurra, con tono schifato. «E dei pantaloni pieni di colori.»
Io mi metto a sedere di scatto nel letto, scoprendo di avere fame.
Hai appena scoperto di avere un posto dove tornare.
La voce della ragazza dai capelli blu mi risuona in testa.
Ricordo i suoi occhi così pieni di pensieri e penso ad una sola cosa: la devo trovare.
«Ma tutti blu o solo le punte?» le chiedo.
«Solo le punte, ma erano comunque blu!» replica lei.
«Sei a Stratford?»le chiedo, alzandomi.
«Sì, è appena salita. Ma cosa c’entra?»
«Seguila.» le ordino, infilandomi un paio di pantaloni. «Ti spiego dopo, Gemma, ma ti prego seguila e dimmi esattamente dove scende e poi dove siete, okay?»
«Perché dovrei seguire una ragazza dai capelli blu, per l’amor del cielo?» sbotta lei.
Scendo le scale con Nelson che mi segue senza capire. «Lei sa tante cose, Gemma, fidati di me.»
«Fidarmi di te non è mai stata una buona idea.»
Trangugio un po’ di latte dal cartone pensando a tutte le volte in cui Gemma ha decisamente sbagliato scegliendo di fidarsi di me: la prima volta fu senz’altro quando le assicurai che i pennarelli non avrebbero rovinato i muri della casa, se lei avesse usato solo il giallo ed il viola. Lei mi credette e iniziò a fare avanti ed indietro per il corridoio con il pennarello in mano. Le urla di nostra madre le ricordiamo entrambi ancora benissimo. E forse le se ricorda anche mio padre.
«Okay, su questo hai ragione. Ma ti prego, fa’ ciò che ti dico.»
Non è difficile immaginarla mentre alza gli occhi al cielo. «Ho visto tua figlia, ieri pomeriggio.»
Mi fermo, con la giacca infilata solo a metà. «Beata te.» cerco di ironizzare.
«Sam mi ha detto tutto.»
«Immaginavo.» replico, uscendo di casa.
«Ha detto che ti risponderà quando se la sente.»
«Mi hai chiamato per farle da portavoce?»
«Ti ho chiamato perché sei mio fratello.»
«E perché ti avrà fatto un favore e tu odi sentirti in debito.»
«No, è solo che … mi dispiace, ecco.»
«Sei dispiaciuta per me o perché devi dire a tutti che la favola d’amore di tuo fratello è finita?»
«Ma per chi mi hai preso, razza di idiota?!»
Sorrido, sedendomi in macchina. «Ti conosco come il palmo della mia mano, Gemma Johnson.» Di nuovo, non è difficile immaginarla mentre alza gli occhi al cielo e sbuffa, probabilmente seduta nella metro in una delle sue migliori pose composte e regali. «So che mi vuoi bene e che …»
«Illuso. Hai detto alla mamma che stai divorziando?»
Tocca a me stare in silenzio. «Okay, uno pari.»
«Con te non si è mai pari, fratellino caro.»
«No, contro di me si perde e basta, giusto?»
«Holborn.» sussurra.
«Che hai detto?»
«Sta scendendo a Holborn.» ripete.
«Sono in Warren Street.»
«E chi te lo ha chiesto?» scherza.
«Era per avvisarti che sto arrivando.»
«Okay: sto per prendere la Piccadilly Line.»
«Okay.» ripeto, parcheggiando la macchina il più vicino possibile alla fermata della metro con la giacca ancora slacciata. «Sei un angelo.»
«Perché facciamo ciò?»
«Perché non siamo mai stati al telefono così tanto.» ironizzo.
«Chi è questa ragazza?»
«Una ragazza che studia poco lontano da Stratford.»
«Sappiamo solo questo?»
Annuisco e mi guardo attorno, mentre la vita di Londra scorre veloce.  «Sì.»
È per questo che avverto il chiaro bisogno di saperne di più.

Lei mi guarda e non solo è bellissima, ma anche tremendamente fragile. È piccola, magra – forse troppo magra – il suo sorriso sprizza allegria ma i suoi occhi chiedono aiuto. Come ho fatto a non rendermene conto, l’altra sera? I suoi occhi sono una continua richiesta d’aiuto. Mi avvicino al tavolo di Starbucks che lei e la sua amica stanno occupando, rendendomi conto che le sue dita, strette attorno a quella tazza di caffè, sono lunghe e magre. È tutto magro, ma nel momento in cui lei si gira e mi guarda io mi sento pieno. Completo.
«Ehi, io ti conosco.» mi dice, guardandomi. «Sei il ragazzo di Russel Square, giusto?»
Io le sorrido. «Pare di sì. Tu sei la ragazza che studia vicino a Stratford.»
Lei accenna un sorriso. «Pare di sì.»
Alla luce del locale, mi rendo conto che è sorprendentemente giovane. I suoi occhi chiedono ancora aiuto al mondo intero, e posso solo immaginare cosa abbiano visto, ma sono occhi giovani. «Posso sedermi?» le chiedo, senza pensarci.
«Certo» mi dice l’amica «Ci vediamo là. Ricordati il coprifuoco.» ha uno strano accento spagnolo, mentre la ragazza dai capelli blu sembra più francese o italiana.
«Grazie.» risponde lei, per poi tornare a guardarmi. «Hai trovato una casa dove tornare, alla fine?»
Io mi siedo sullo sgabello e poso le mani sul tavolo. «Mia moglie mi ha lasciato.» le dico.
«Sei così vecchio da avere una moglie?» scherza lei. «Ti davo al massimo venticinque anni.»
«Questo perché ne ho ventisette.» rispondo, sorridendo.
«E da quanto eravate sposati?»
«Cinque anni.» rispondo, di nuovo.
«E sono stati cinque anni felici?»
«Per me, sì.»
«Lei era felice?»
«Sono qui per capirlo.» le rispondo. «Credo che tu sappia la risposta.»
Lei regge il gioco. «Perché io?»
«Perché le persone piene di colori sanno sempre tutto.» le dico, osservando la strana coda in cui ha raccolto i capelli dietro la testa.
«Okay, allora, sono la persona più piena di colori che tu abbia mai conosciuto in questi lunghi e noiosi ventisette anni?»
Io le sorrido. «Diciamo che oltre ad essere la ragazza più piena di colori che io abbia mai visto, mi sembri anche una che sa il fatto suo.»
Questa volta è lei a sorridermi. «Va bene, Occhi Blu, ti ascolto volentieri.»
«Non so se lei fosse felice. Come fai a capire se una donna è felice?»
Lei si osserva le mani per qualche secondo, poi, guardami, si porta una ciocca ribelle di capelli dietro l’orecchio pieno di strano orecchini. «Spesso non lo capisce nemmeno lei. La felicità non è statica, non è che sei felice e punto. Sei felice per qualche ora, qualche minuto, o anche qualche secondo, e poi sorridi per il ricordo della felicità pura che ti ha riempito il cuore e che tu porti dentro. Tutto si riduce a ciò a cui pensi l’attimo prima di addormentarti. Non puoi sapere a cosa pensasse lei in quel momento, con la testa sul cuscino, per quanto tu possa dire di conoscerla. Quindi non saprai mai se lei era davvero felice.»
A che pensavi, Sam? Pensavi a me? A un altro? Alla bambina? Al lavoro? Al cane? Pensavi a me. Ti prego, dimmi che pensavi a me. Io pensavo a te? Io pensavo che era bello dormire accanto a te. Svegliarmi accanto a te. Vivere accanto a te, giorno dopo giorno.
«Sai, spesso le persone si innamorano dei progetti, delle idee, di un futuro insieme piuttosto che delle altre persone.» aggiunge. «E non dire che non è così perché saresti noioso, e perché a tutti capita.»
Annuisco pensieroso. «Credo che tu abbia ragione.»
«Certo che ho ragione!» esclama. «Sono una persona piena di colori che sa il fatto suo, no?»
Io la guardo e mi riempio gli occhi di lei. È davvero bellissima. «Quanti anni hai?» le chiedo.
Lei storce il naso. «Non si chiede l’età a una signora, Occhi Blu.» mi risponde. Il telefono che sta accanto alla sua tazza, ormai vuota, inizia a vibrare e io leggo il nome Michele. Lei rimane per un po’ a fissare il nome e poi torna a guardare me.
«Rispondi, giovane bionda.»
«Non voglio rispondergli.» mi dice, con tono freddo. «Vedi? Le persone sono abbastanza semplici. Non voglio rispondere, non voglio sentire la sua voce, non voglio che mi addossi i suoi sensi di colpa chiedendomi come sto. Lui tra poco attaccherà e penserà che sto studiando, che sto dormendo, o che sto al bar con uno sconosciuto sexy. La verità, pura e semplice, è che io non voglio rispondergli.»
«Ci rimarrà male.»
Lei alza le spalle.  «Se ne farà una ragione, immagino.»
Io continuo a guardarla, senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi. Ha detto sexy? Lei lo è. Posa il viso su una di quelle sue mani esili e si perde a guardarmi. «Come faceva tua moglie a non essere felice accanto a te?»
Scuoto la testa. «Non lo so. Chiedilo a lei.»
Lei mi sorride. «Certo, avevamo giusto intenzione di prendere un tè insieme, domani.»
Vorrei dirle che Sam il tè lo beve raramente, ma, diamine, che le importa?
«Voi inglesi e il vostro maledetto tè. Sai quanti ne ho già bevuti, da quando sono qui?»
«Che intendi con ‘noi inglesi’?» chiedo, facendo la voce grave.
«Voi persona nate in Inghilterra, cresciute in Inghilterra e che vivono in Inghilterra. Tu sei l’inglese per eccellenza, Occhi Blu, guardati, con la maglia scura, la giacca seria e la sciarpa di cotone.»
Vorrei dirle che la maglia è quella del pigiama e che la sciarpa l’ho trovata in macchina e l’ho messa perché mi dava fastidio lì, a fare nulla, ma mi limito a scuotere la testa e a sfilarmi questa dannata sciarpa di cotone chiaro. «Accetteresti questa sciarpa da parte di uno sconosciuto sexy?»
Lei sorride e afferra la sciarpa. «Sarebbe un onore, Occhi Blu, ma non ho nulla da donarti in cambio.»
Io penso alle parole che mi ha appena regalato e abbasso lo sguardo. «Mi hai illuminato sull’infelicità di mia moglie. È già moltissimo.»
«Lieta di aver condiviso parte della mia saggezza con te.» mi dice, con una nota di ironia. «Hai intenzione di continuare a tartassarla di telefonate?»
Io sgrano gli occhi. «Non …» provo a obbiettare, ma lei spalanca gli occhi a mo’ di rimprovero. «Okay, forse un paio.» ammetto, distogliendo lo sguardo. «Come fai a saperlo?»
«È tipico.»
«Anche per te e Michele è così?»
«No.» risponde, perdendo il sorriso. «Il suo senso di colpa non riguarda una storia d’amore finita senza spiegazioni.»
«E che cosa riguarda?»
«Me.» dice, in un sussurro. «E forse anche il fatto che io sia partita senza dirgli nulla, ma questi sono dettagli insignificanti.»
«Di dove sei?» chiedo, sorridendo per quei dettagli accantonati.
«Molto lontano da Russell Square.»
«Si, intendevo, dove sei nata?»
«In una capanna con il bue e l’asinello che mi scaldavano la mangiatoia.» risponde, sorridendo.
«Sono altri dettagli insignificanti, vero?»
«Non sono del tutto insignificanti, solo che questo non è ancora il loro momento.» risponde, prendendo la sua larga borsa scusa dallo sgabello accanto al suo e legandosi la sciarpa al collo. «Devo andare, Occhi Blu.»
Come andare? Non andare, ti prego, o tornerò a sentirmi vuoto.
«Andare?» domando, corrugando la fronte.
«Andare: sai, tutti prima o poi lo fanno, e si dà il caso che io sia in ritardo.» salta giù dallo sgabello e lascia che la guardi negli occhi, tenendo comunque ben nascosti i suoi pensieri ed il suo passato.
«Mi ha fatto piacere parlare con te. Possiamo rivederci?»
Lei mi scruta per qualche instante con i suoi pesanti occhi azzurri. «Certo che sì, se elimini le frasi di circostanza come quella che hai appena detto. Hai da fare domenica pomeriggio?»
Io la guardo perplesso per un attimo. «Che … che giorno è oggi?»
Lei sembra divertita. «Giovedì dodici ottobre duemiladiciassette.»  tira fuori il telefono dalla tasca. «Sono le sei e trentasette dei pomeriggio  e io sono in un ritardo terribile.» aggiunge, infilandosi una giacca di jeans con un alieno cucito accanto a un bottone. Mi posa una mano sulla spalla e mi bacia dolcemente la guancia. «Domenica alle tre a St. James’s Park, sul ponte. Ciao Occhi Blu, non combinare guai senza di me.»
Non mi lascia il tempo di dire nulla – nemmeno una sillaba – che è già uscita, e io rimango qui, seduto ad un tavolo scuro davanti a una tazza di cioccolata che porta il segno del suo burrocacao. E mi rendo conto di una cosa tanto terribile quanto divertente: non so il suo nome.


Ringrazio moltissimo _werewolf_ e Distretto_9_e_34 per aver recensito il primo capitolo, e vi annuncio che tra pochi giorni partirò per una vacanza studio proprio in Inghilterra. Non credo troverò anche io Aaron Johnson ad aspettarmi alla fermata della metro, ma se dovessi sparire, sappiate che è per quello u.u in caso contrario, ci sentiamo dopo il nove aprile!
xx
   
 
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