Se qualcuno
chiedesse a Sehun quale, tra le stanze e le aule e gli anfratti di
Hogwarts,
sia il suo rifugio segreto, la scelta del Grifondoro ricadrebbe senza
esitazione alcuna sulla Torre di Astronomia. E a dir la
verità l’ipotetico
interlocutore non ne sarebbe nemmeno sorpreso, giacché
persino la statua della
Strega Orba del terzo piano, se interrogata, darebbe la stessa
risposta.
Chiunque abbia frequentato Hogwarts negli ultimi sette anni sa
perfettamente
chi sia Oh Sehun: una giovane promessa dell’Astronomia,
l’astro nascente di
quella nobile disciplina che studia l’universo e tenta di
decifrarne i misteri.
La professoressa Sinistra lo porta in palmo di mano e prevede per lui
una
fulgida carriera di ricercatore o, perché no, docente ad
Hogwarts.
Nessuno mai,
però, ha dimostrato una reale curiosità sul
perché di questa passione, sulla
sua origine. Nessuno eccetto Kim Jongin: Serpeverde
nell’aspetto, Tassorosso di
appartenenza e nel cuore ma diligente come il più esemplare
dei Corvonero.
Amico fedele di Sehun sin dal primo anno nonché suo opposto
(e speculare) praticamente
in ogni cosa, Jongin è l’unica persona al mondo
che accetta di tenergli
compagnia nella Torre ad orari improbabili e persino con le temperature
più
rigide. Mentre Sehun è impegnato a scrutare la volta celeste
servendosi di
cannocchiale, astrolabio e mappe stellari, Jongin si accuccia in un
angolo
armato di coperte e un buon libro. Spesso Chen, il suo famiglio, decide
di
unirsi a loro e si acciambella in grembo al padroncino con molte fusa
di
apprezzamento.
Jongin talvolta
lo domanda, a Sehun: “Perché proprio
Astronomia?” e il Grifondoro non sa come
replicare. Il sincero interesse dell’amico lo tocca nel
profondo, lo imbarazza.
Teme che il suo segreto venga scoperto. Non è ancora
riuscito, in sette
lunghissimi anni, a trovare le parole né il coraggio
necessari ad ammettere che
non amerebbe il cielo se non amasse -altrettanto intensamente, o forse
di più-
Jongin stesso. Solo il Veritaserum potrebbe costringerlo a confessare
quanto
serba nel cuore, ma non sarebbe comunque abbastanza.
Come spiegare
la propria inclinazione ad associare lo spettacolo del cielo notturno
punteggiato
di luci così vive eppure già morte a Jongin; che
nella stella del mattino,
Venere, Sehun riconosce la luminosità del suo sguardo; che
il bruno manto crepuscolare
ha la stessa sfumatura di tenebra della sua folta chioma; che il calare
del
sole gli ispira uno struggimento simile a quello che Jongin, con le sue
labbra
increspate e le mani caute, suscita in lui ogni qual volta lo osserva
studiare
o castare un incantesimo; che lo splendore argenteo della luna gli
ricorda, ma
assai più pallida, la bianca chiostra di denti che il
Tassorosso sovente
esibisce in Sala Grande, ridendo alle battute dei compagni di Casa; che
i moti
dei pianeti, il prodigio delle loro perfette ellissi, non sono per lui
altro
che l’equivalente siderale dell’incantevole enigma
rappresentato dall’amico? Come
rivelargli che Sehun guarda a Jongin come la Terra orbita intorno al
Sole?
Un vero
Grifondoro, tuttavia, benché sprovvisto di parole non manca
certo di ardimento.
E l’amore, sebbene tenuto a bada e nutrito
nell’ombra come un germoglio troppo
delicato per la cruda luce solare, prima o poi reclama il proprio posto
nel
mondo: all’aperto, libero
di mettere
radici e di bearsi del fruscio del vento. Simili all’acqua di un
vaso colmo, i
sentimenti traboccano. La natura umana è uguale per tutti,
Babbani e maghi.
Ed è
esattamente
questo che avviene quando, la sera che sancisce l’inizio
della primavera,
Jongin domanda ancora una volta a Sehun cosa ci trovi di
così affascinante nel
cielo pieno di stelle che li sovrasta.
“Perché
in
questo cielo pieno di stelle”, ripete con voce tremante,
“io ci vedo te” e sospira
come chi si è appena sgravato il petto di un macigno.
Il sorriso
che Jongin gli rivolge abbaglia come il firmamento. In tacita, perfetta
intesa
si tengono per mano e aspettano l’alba insieme.
Date la
colpa ai Coldplay e alla loro canzone, A
Sky Full Of Stars, che mi fa sempre piangere come una
fontana. Così
semplice eppure così bastarda.
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