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Autore: Little_CutiePie    22/03/2016    4 recensioni
Si può scegliere di ignorare i propri sogni.
Si può scegliere non sentire i propri pensieri.
Ma per quanto si possa provare, non si può scegliere di spegnere il cervello.
E tutto ciò che si può fare prima di impazzire è soltanto fermarsi e provare ad ascoltare ciò che hanno da dire.
John questo lo sa bene.
Lo sa perché negli ultimi mesi non riesce a fare altro che ricordare e fantasticare.
Lo sa perché forse lo sta facendo da anni senza nemmeno rendersene conto.
Forse per lui è arrivato il momento di fermarsi e prestare ascolto alla propria mente.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve bella gente,
purtroppo questa notte è stata un vero inferno e
ne ha risentito anche la pubblicazione di questa OS...
Infatti mi è stato gentilmente fatto notare
che ci sono stati degli inconvenienti nella sua
pubblicazione, quindi, a mente più lucida,
ho deciso di pubblicarla nuovamente, nella
speranza che questa sia la volta buona...
Come sempre non esitate a commentare ed a
segnalarmi qualsiasi eventuale problema.
Vi lascio alla OS Johnlock...
Baci
Little_CutiePie <3 






Tutto in una notte

 

Apro gli occhi di soprassalto e mi ritrovo a fissare il bianco soffitto della mia camera da letto nella penombra.

‘Oh dio no! Ancora?!’

Sento la fronte leggermente imperlata e il pigiama appiccicato alla schiena da quel rivolo di sudore che mi percorre tutta la spina dorsale.
Mi tiro su a sedere e guardo la sveglia sul mio comodino che segna solo le 02:57 del mattino.

‘Ancora lo stesso sogno. Perché continuo a sognarlo?’

Stavolta più vivido e reale.
Ma Sempre lo stesso.

‘Forse sto impazzendo.’

Mi volto e guardo Mary che dorme.
Quella fede dorata che porta all’anulare sinistro brilla stranamente nel buio come un promemoria.
Non voglio vedere.
Mi alzo e vado in bagno dove mi sciacquo con acqua fredda la faccia arrossata e leggermente sudata.
Mi asciugo e mi guardo allo specchio.
Non mi riconosco.
Due grosse occhiaie gonfie e blu circondano i miei occhi e delle rughe mi solcano il volto.

‘Anche questa notte passerà in bianco... l’ennesima di una lunga serie!’

Vado in cucina e provo a bere un bicchiere d’acqua per calmare i nervi.

‘Altro che un bicchiere d’acqua! Ci vorrebbe un’intera bottiglia di vodka!’

La mia bocca si apre da sola e inizio quasi a ridere ripensando al mio addio al celibato.
A quando mi correggevo la birra di nascosto per uccidere la noia della serata in cui mi aveva trascinato.
A quando involontariamente ho finito per far ubriacare anche lui.
Le due ore più lunghe e divertenti della mia vita.
E sorrido ancora mentre penso a come riuscisse a rimanere affascinante e perfetto, in ogni sua imperfezione, nonostante fosse fradicio come una spugna.

‘Ma che diavolo sto dicendo?! Sto impazzendo! È sicuro!’

Rientro in camera e guardo Mary che dorme ancora come un sasso.
Guardo mia moglie.
La guardo ma non vedo casa mia.

‘Dov’è allora casa mia?!’

Un volto familiare mi appare nella testa.
Due occhi azzurro mare.
Dei morbidi ricci nero corvino.
Una bocca rosea che sorride.

‘Vattene!’

Non ho voglia di ributtarmi sul letto.
Non riuscirei più a dormire.
Non voglio passare un’altra notte sdraiato sul quel materasso come una salma a fissare il muro senza prendere sonno.
Il più silenziosamente possibile mi vesto, prendo il cellulare ed esco di casa.
L’aria fresca nel buio di Londra m’investe in pieno volto, mi entra nelle ossa e mi sveglia ancora di più se è possibile.
Cammino per strada senza meta, senza ragione.
Cammino per strada perché non voglio più pensare a quel sogno.
Non voglio più pensare a lui.
Non voglio più pensare a niente.
Ma la brezza fredda della notte di Londra non mi congela i neuroni e non riesco a non pensare.
Lo vedo e lo rivedo.
Rivivo quel sogno come se stessi ancora dormendo.
Chiamo un taxi, apro lo sportello e monto, ma non so dove andare.
Il tassista mi guarda leggermente irrequieto dallo specchietto retrovisore attendendo con ansia che gli indichi una destinazione, così sparo il primo posto che mi viene in mente.

“Al Regent’s Park, per favore.”

L’uomo mi guarda ora dubbioso e abbassa gli occhi un paio di volte verso il cruscotto del suo mezzo.
Seguo con lo sguardo la stessa direzione che prendono i suoi occhi e l’orologio del taxi, che segna le 03:34 del mattino, brilla di rosso davanti a me.
Forse l’uomo si sta chiedendo perché io stia andando al Regent's Parck, tutto solo, a quest’ora di notte.
Non lo so nemmeno io.
Non m’importa.
Non voglio rispondere a nessuna domanda.
Non voglio parlare.
Non voglio pensare.
Non voglio più vedere quei due dannatissimi occhi glaciali nella mia testa.
La macchina parte e la città scorre veloce dal finestrino.
Guardo fuori i palazzi illuminati.
Guardo fuori la luna che splende.
Guardo fuori i senzatetto che dormono sotto i portici.

'I miei amici senzatetto...'

La sua voce risuona nella mia testa come se mi stesse parlando dal vivo.
Ricordo quel momento come se lo stessi vivendo ora e mi scappa un sorriso.
Scuoto la testa cercando di scacciare quel pensiero.
Abbasso lo sguardo verso il posto vuoto accanto a me e subito un forte odore di dopobarba muschiato, proveniente dagli spigolosi lineamenti del suo mento e del suo collo, mi invade le narici come un campo di fiori in primavera.
Lo stesso odore che riempie tutto l’abitacolo dei taxi ogni volta che lo prendiamo insieme.
La stessa scia di profumo che si propaga per il 221B di Backer Street.
Vedo il suo volto serio e pensieroso tirare un lungo sospiro, che io solo so essere di preoccupazione misto ad emozione, mentre una volante della polizia ci scorta in tribunale per il processo di Moriarty.
Lo vedo abbassare gli occhi e, senza dire una parola, allungare una mano e appoggiarla delicatamente sopra la mia che è distesa sul ginocchio proprio come in questo momento.
E posso ancora sentirne la forma e la sostanza.
Posso ancora sentire quella pelle vellutata e fredda bruciare come ghiaccio sulla mia.
E posso vedermi mentre volto la mia mano, palmo contro palmo con la sua, fino ad intrecciare le nostre dita e stringergliela forte, dicendogli silenziosamente un ‘sono qui con te! Sono qui per te! Sempre!’
La macchina accosta, si ferma nei pressi del parco e il tassista mi dice che siamo arrivati.
La mia mente si sveglia e torna nel mondo reale, anche se leggermente dispiaciuta.

‘Devo smetterla di pensare!’

Provo a ripetermelo per l’ennesima volta.
Pago la mia corsa, saluto quell’uomo e scendo dall’auto stringendomi nel cappotto non appena la brezza fredda mi colpisce facendomi rabbrividire.
Il taxi riparte e lo guardo allontanarsi nella notte fino a farsi inglobare nel buio.

‘Quanto vorrei che il buio inghiottisse anche me se servisse a farmi smettere di pensare...e adesso che faccio?! Cosa diavolo ci faccio qui?!’

Inizio a camminare all’interno del Regent's Parck guardandomi attorno.
Alzo la testa verso la luna, quella pallida e candida luna come la sua pelle.
Sento il richiamo acuto e squillante delle civette nascoste tra gli alberi.
Sento l’odore di brezza mattutina, di corteccia bagnata, di foglie secche e di muschio.
Muschio bianco.

‘Maledetto lui e il suo dopobarba!’

E mi perdo nei ricordi del caso del Mastino dei Baskerville.
Di quando ci addentrammo di notte nella radura e potevo respirare, a pieni polmoni, quell’odore pungente di natura assopita pronta a svegliarsi e a sbranarmi ad ogni minimo passo falso.
Ricordo di come l’unica cosa che avrei voluto in quel momento fosse corrergli incontro e tuffarmi tra le sue forti e lunghe braccia affinché mi stringesse al suo petto e mi facesse sentire protetto.
Rammento di come passassi in bianco anche quelle notti.
Ma non perché avessi paura di questo fantomatico mastino.
Non perché sognassi ancora ricordi di guerra.
Non perché sognassi lui anche allora.
Non ce n’era bisogno.
Ma perché, costretti a condividere la stessa camera da letto dato che la locanda era al completo, involontariamente trascorsi quelle ore, che avrei dovuto dedicare al sonno, a guardarlo dormire beato dalla mia scomoda posizione sul divano.
Sorrido e sorrido ancora senza rendermene realmente conto.
Un rumore metallico come di un mazzo di chiavi attira la mia attenzione.
Mi volto e un uomo in divisa sta camminando nella direzione opposta alla mia.
Anche se gli abiti scuri si distinguono male nella penombra, direi che si tratta di un guardiano del parco.
Se lui fosse qui, a quest’ora, mi avrebbe già fatto un' assurda lezione su come riuscire a capire che tipo di guardia sia solamente ascoltando il suono che produce la suola della sua scarpa a contatto con l’asfalto ricoperto di foglie morte.
E io sicuramente l’avrei ascoltato imbambolato e avrei biascicato un ‘affascinante’.
Fisso ancora l’uomo che mi viene incontro mentre abbassa la torcia per non accecarmi.

‘Chi sa se sono già le 5 del mattino e sta andando ad aprire le strutture o se sta solo facendo un giro di controllo?’

Prendo il cellulare e guardo l’ora.
Le 04:05.
È ancora troppo presto perché il mondo si animi.
Mi guarda e mi fa un cenno di saluto con la testa.
Contraccambio e lo seguo con lo sguardo oltrepassarmi e sparire tra gli alberi.
Non lo seguo fisicamente.
Non ho voglia di addentrarmi in quella direzione.
Tanto a quest’ora non c’è ancora niente e nessuno.
Solo lui che svolge il suo lavoro.
Solo buio, umidità e ricordi.
E io non voglio pensare.
Nonostante non ci stia riuscendo, non voglio pensare più a niente.

‘Allora perché sono qui?!’

Riprendo a muovere i piedi e raggiungo l’uscita del parco.
Attraverso la strada lasciandomi il verde alle spalle e imbocco la prima via che mi si apre davanti mischiandomi tra il grigio degli edifici.
Grigio come la mia faccia stanca di non riuscire a dormire.
Grigio come il mio cervello stanco di non smettere di pensare.
Grigio come la mia mente stanca di non riuscire a capire.
Grigio come la sfumatura di quel suo adorabile cappello da caccia che tanto odia.

‘Perché va sempre a finire così?! Perché tutto riconduce a lui?!’

Svolto a destra in una strada più grande e trafficata.
I lampioni mi illuminano il volto mettendo in bella mostra le mie occhiaie, i miei capelli scompigliati e l’accenno di barba ancora non tagliato perché sono qui a camminare per le vie di Londra, invece di essere a letto a dormire per poi svegliarmi e radermi a modo come ogni mattina.

'Preferisco i dottori ben rasati..'

Quella voce profonda e penetrante che ti fa vibrare come una corda di violino non appena ti sfiora il timpano.
Sorrido involontariamente a quelle parole che mi riecheggiano in testa.

Le stesse parole pronunciate dalla sua bocca dopo che mi ero tagliato i baffi che tanto odiava e che, a detta sua, mi facevano sembrare vecchio.

‘Ma a chi la do a bere?!’

Nonostante ripetessi a tutti, e a me stesso, che non mi stavo affatto radendo per lui, in realtà lo facevo eccome.
Passo davanti ad un enorme edificio che subito riconosco come il Madame Tussaud, il più famoso museo delle cere del mondo, le cui porte sono chiuse a quest’ora del mattino.
Tanto non voglio entrare.
Non saprei che fare.
Non ho voglia di vedere pallidi volti cerulei che mi fissano imbambolati con vitrei occhi glaciali che mi giudicano per la mia stupidità.
Ce n’è già uno di quei volti nella mia vita, mi basta e mi avanza.
Non lo cambierei per niente al mondo.
Oltrepasso quella maestosa cupola, ora verde e oro alla luce artificiale dell’illuminazione pubblica.
Scuoto la testa per i ridicoli pensieri che vi si formano dentro e riprendo ad andare avanti.
Il freddo nelle ossa comincia a farsi sentire e spero tanto di non ammalarmi.
Non che m’importi molto, ma non ho voglia di passare i prossimi giorni sdraiato in un letto ad annoiarmi, in una casa che ancora non sento mia.
Un cartello della metropolitana attira la mia attenzione e solo ora mi rendo conto che, nonostante siano passati anni dal mio ritorno a Londra, non sono mai entrato e salito sulla metro.
Certo, senza contare quella volta in cui io e lui ci siamo insinuati nella stazione abbandonata di Sumatra Road per sventare un attacco terroristico.
Quel giorno ero sicuro che sarei morto.
Lui mi guardava con quegli enormi occhi mortificati, come un cucciolo abbandonato sul ciglio della strada, ripetendomi e scusandosi di non essere in grado di disinnescare la bomba che c’era sul treno.
Ma nonostante l’angoscia, la tensione e la paura di saltare in aria, la cosa che ricordo con più chiarezza, e che rivivo costantemente nel mio cuore, è la consapevolezza che se davvero quel giorno fossi morto, almeno sarei morto felice.
Felice per averlo rivisto un’ultima volta.
Felice di andarmene con lui al mio fianco.
E non triste di aver vissuto un’esistenza di cui lui non avrebbe fatto parte.
Una vita come i due anni precedenti a quell'episodio, tanto per intenderci.
Alzo lo sguardo dai miei pensieri.
Alzo lo sguardo dalle mie scarpe che, senza nemmeno accorgermene, hanno svoltato a destra e hanno continuato a camminare.
Mi mordo il labbro inferiore e cerco di mettere a fuoco dove mi trovo.

‘Non posso essermi perso, accidenti! Non sono uno sprovveduto turista!’

Faccio ancora qualche passo in avanti, avvicinandomi all’altra stazione della metro che mi si presenta davanti, per capire in che punto della città sono capitato.

‘Non è possibile...’

Leggo e rileggo più volte la scritta bianca su sfondo blu sopra l’ingresso.

‘Ma cos'è uno scherzo?!’

Rileggo un’ultima volta a voce alta, nella speranza di sentirmi pronunciare un altro nome e capire di essermi sbagliato.

“Baker Street Station”

Mi guardo a destra e a sinistra inquadrando e studiando gli edifici intorno a me.
Inconsciamente mi sono ritrovato nell’unica via della città da cui cercavo di stare lontano.
Faccio un passo in avanti.
Poi due.
Poi tre.

‘So che non dovrei essere qui, ma allora che diavolo ci faccio?!’

Lentamente riprendo la mia marcia lungo quella strada.
Il freddo nelle ossa comincia a sparire, sostituito da vampate improvvise di calore.
Riesco a sentire il mio cuore accelerare un po’ il ritmo.
Non è un buon segno.
Non che stia male.
Non ancora almeno.
Sono un medico e so che vuol dire.
Ma sono anche un soldato e per quella parte di me non è un buon segno.
Mi fermo e lo vedo.
Vedo quel portone nero come la pece nel buio della notte.
Vedo quei grandi numeri brillare dorati alla luce artificiale dei lampioni.
Vedo quel pesante batacchio di metallo spostato verso destra, come piace metterlo a lui per scoprire se suo fratello maggiore, manico dell’ordine, è venuto a sbirciare nell’appartamento mentre lui non c’era.
Vedo il civico 221B di Baker street.
Vedo il luogo dove tutto è cominciato.
Alzo lo sguardo verso le finestre del primo piano.
Le luci sono spente e la tenda è tirata.
Forse sta dormendo o forse è uscito.
Se prima di partire per l'Afghanistan qualcuno mi avesse detto che, al ritorno, la mia vita impostata e ordinaria sarebbe stata rimpiazzata con quella sconvolgente che è nata sotto questo tetto, gli avrei sicuramente riso in faccia.
Guardo ancora il portone con quel grosso numero che mi fissa.
Guardo le altre case intorno a me.
Per la prima volta stasera da quando mi sono svegliato, non so più cosa pensare.
Con la mente annebbiata tiro fuori il cellulare dalla tasta della giacca e invio un sms.

Dormi?
JW

 

‘Oh dio! Che cosa ho fatto?! Perché diavolo l’ho fatto?!’

Dopo pochi secondi, soltanto pochi attimi, il cellulare suona e la mia mano trema.
Ma non per la vibrazione del telefono.
Ma perché so che lo ha già letto.
So che ha già risposto.

 

No.
Sali.
SH


***

 

 

 

 



Alzo nuovamente lo sguardo verso la finestra dell’appartamento.
Le luci ora sono accese e le tende scostate.
Lui è lì che mi guarda dall’alto con quei ricci ordinatamente scomposti e quella lunga vestaglia da camera blu.
Sparisce dietro la tenda e so che è andato ad aprire il portone prima che io possa bussare e svegliare la signora Hudson così presto.
Sento il rumore metallico della serratura che gira e la porta lentamente si apre lasciandomi lo spazio per entrare.
Varco la soglia, chiudo il portone e lui è lì.
Fermo, in piedi, spalle rivolte verso il muro.
È lì che aspetta di farmi strada.
Riesco a distinguere l’azzurro dei suoi lucenti occhi anche nella penombra del pianerottolo.
Un angolo della sua bocca si alza in un mezzo sorriso, in quello che io so essere un saluto silenzioso.
Contraccambio sorridendo a mia volta.

‘Che diavolo ci faccio qui?!’

Si volta e con maestosa eleganza inizia a salire le scale che portano a quello che era il nostro appartamento.
Lo seguo in rigoroso silenzio nonostante i vecchi scalini di legno scricchiolino ad ogni nostro passo.
La scia del suo profumo mi inebria le narici e si propaga nella stanza ad ogni ondeggiamento di quella vestaglia di seta, che gli ricade perfetta sulle spalle, e ad ogni rimbalzo dei ricci color carbone che si ritrova in testa.
Oltrepassa la soglia del salotto e con il braccio mi fa cenno di entrare ed accomodarmi.
Mi mordicchio l’interno delle guance abbassando lo sguardo verso il pavimento.
Scuoto leggermente la testa in segno di assenso e faccio come mi ha chiesto.

‘Non sarei dovuto venire!’

Lui si chiude la porta alle spalle e rimane fermo aspettando che mi sieda su quella che era la mia poltrona quando abitavo qui.
Posso sentire il suo sguardo interrogativo bruciarmi sul collo e sono sicuro che si stia domandando cosa diavolo ci faccia io qui, a quelle che l’orologio sul caminetto segna come le 04:47 del mattino.

“Buongiorno John, come mai da queste parti così presto?”

La sua voce baritonale riecheggia nella stanza facendomi sussultare.
Incrocio il suo sguardo che, con la testa leggermente piegata di lato, mi osserva e mi studia come se fossi uno dei suoi clienti.

“Niente di che... Passavo da queste parti...”

Rispondo la prima cosa che mi viene in mente e quella bugia suona ridicola perfino alle mie orecchie.

“Stavo per prepararmi un tè, ne gradisci una tazza?”

Il suoi occhi indagatori sono ancora puntati su di me e mi sento leggermente a disagio.

“Sì, volentieri.”

Rispondo togliendomi la giacca e sistemandomi per bene sulla poltrona.
Non voglio nessun dannatissimo tè, ma se questo può servire a farlo smettere di fissarmi come un cadavere da analizzare, allora ben venga.
Ruota su se stesso facendo svolazzare la vestaglia e si sposta in cucina fino a scomparire dal mio campo visivo.

‘È esattamente perfetto come l’ho lasciato ieri e come l’ho sognato anche stanotte.’

Dovrei davvero smetterla di pensare.
Sento il rumore dell’acqua che scorre e del fornello che viene acceso alle mie spalle.

“Spero di non averti svegliato.”

Dico tanto per iniziare una conversazione.

“Affatto, John. Ero già sveglio. Come ti ho detto, stavo appunto per prepararmi il tè.”

Mi guardo attorno leggermente disorientato.
Ancora non ho ben chiaro perché il mio inconscio mi abbia trascinato fin qui e spero tanto di scoprirlo al più presto.
Noto che i cuscini del divano sono spostati su un lato e che il suo portatile è acceso sopra il tavolino da fumo che sta di fronte.
È accesso, ma il monitor è quasi del tutto abbassato, segno che prima del mio arrivo stava facendo qualcosa che non ha portato a termine.
Qualcosa che però non vuole che io veda.
Mi torna alla mente che poco prima che gli mandassi il messaggio, le luci dell’appartamento erano spente.
La mia presenza lo ha preso alla sprovvista, lo ha colto impreparato.

‘Cosa diavolo stava guardando che io non posso sapere, seduto sul divano, completamente al buio e a quest’ora del mattino?!’

E mi spavento da solo perché dopo molti anni passati al suo fianco mi accorgo che sto cominciando a ragionare come lui.
Sto osservando dettagli apparentemente inutili e ci sto costruendo sopra supposizioni.
E mi spavento da solo perché sto per fare un’ipotesi che non volevo fare.
Non voglio sapere cosa stesse facendo.

‘Oh dio, non può essere che lui si stesse...'

Certo, è pur sempre un uomo e ha le sue ormonali esigenze mascoline.
Non voglio saperlo.

‘No, lui è Sherlock Holmes per l’amor di dio! Il mio Sherlock... Lui non si stava affatto......'

Non voglio saperlo.
Leggiadro come un battito di ciglia appare nella stanza e si posiziona sulla poltrona davanti alla mia, strappandomi dai miei pensieri e facendomi sobbalzare.
Sento le mie guance avvampare leggermente, ma senza dubbio anche anche in modo visibile.

“Allora John...?!”

Con voce profonda mi scruta ed accenna un sorriso.

“Ho...ho per caso interrotto qualcosa?”

Domando indicando il suo portatile.
Mi maledico per averlo chiesto.
Non voglio saperlo.
Mi mordo la lingua e vorrei prendermi a pugni da solo, ma sento la sete di curiosità farsi sempre più forte nel mio petto.
In realtà voglio eccome.

“Niente affatto. Stavo leggendo.”

‘Sì, come no! Leggendo!’

Alzo mentalmente gli occhi al cielo, mentre una parte di me continua a maledirsi per essere entrata in quell’argomento.

Ma lui risponde con molta calma e non sembra minimamente turbato dalla mia domanda.

“Qualcosa di interessante?”

La mia voce, che cercavo a tutti i costi di mantenere su un tono distaccato, esce leggermente maliziosa perfino alle mie orecchie.

‘Sono un idiota!’

Se in questo momento si aprisse una voragine qui in mezzo alla stanza, mi ci butteri sicuramente a capofitto fino a scomparire.

“In un certo senso sì. Stavo leggendo uno dei tanti articoli sul tuo blog.”

Il cuore mi si ferma per un istante e sento le mie sopracciglia alzarsi dallo stupore, facendomi sicuramente venire uno sguardo da triglia.

‘Stava leggendo il mio blog?!’

Non è la risposta che mi aspettavo.
Sicuramente è meglio di quella che avevo paura di sentire, ma tra tante non è quella che aspettavo che dicesse.
Se ne sta seduto lì, sulla poltrona di pelle, con le gambe accavallate e un mezzo sorriso a fior di labbra.
Mi guarda e dai suoi occhi capisco che devo davvero avere una faccia ridicolmente stupita.

“Ho bisogno di vedermi attraverso i tuoi occhi a volte. Sembro...”

Riprende a parlare con voce profonda e pacata, nonostante le rughe che si formano sul suo volto mi stiano indicando che si sta sforzando di non mandarmi al diavolo perché sta spiegando una cosa ovvia ai suoi occhi.

“... Più intelligente.”

Termino la frase che stava pronunciando.
La mia voce quasi sussurrata.
Solo ora mi accorgo che sto trattenendo il fiato e non so perché.

‘Intelligente e non solo ai miei occhi.’

“Facciamo progressi, John! Ti ricordi qualcosa di quello che dico allora.”

Alzo gli occhi al cielo e mi mordo la lingua.
La voglia di mandarlo al diavolo quando fa il superiore è molta.
Ma nonostante tutto non sarebbe lui se non lo facesse.

‘Ricordo tutto di te. Ricordo tutto ciò che fai e tutto ciò che dici.’

Penso.

“Ricordo più cose di quanto immagini...”

Dico realmente.

“Comunque sia, John, mi aiuta a riflettere su questioni irrisolte o volontariamente e raramente lasciate in sospeso.”

Conclude sospirando.
Lo guardo e non capisco di cosa stia parlando.
Lui non è il tipo da lasciare volontariamente questioni in sospeso.

“Tipo quali?”

Domando cercando di non sembrare troppo incuriosito.
Il suo sguardo glaciale mi inchioda alla poltrona.
I suoi occhi mi stanno gridando che non sono affari miei.
Mi sento leggermente in soggezione e non so più cosa fare.
Lo vedo esitare un attimo prima di aprire la bocca e rispondermi.

“Del tipo....che il tè è pronto, John.”

Conclude evitando il discordo ed alzandosi dalla poltrona.
Scompare nuovamente in cucina lasciandomi qui con la curiosità alle stelle.
Lasciandomi seduto, su questa poltrona, con mille domande che mi ronzano in testa.
Mi stropiccio gli occhi stanchi con un polso e mi massaggio lentamente le tempie appesantite.
Lui riappare come per magia con un vassoio in mano che sistema accuratamente sul tavolino rotondo vicino alla mia poltrona.

‘Ha portato anche i biscotti?! Che novità è mai questa?!’

Afferra una tazza e si siede di fronte a me portandosela alla bocca.
Trattengo il fiato e involontariamente mi passo la lingua tra le labbra.
Lo guardo sorseggiare lentamente e poi succhiarsi il labbro inferiore.
Lo guardo e tutto intorno a me sembra muoversi a rallentatore.

“Allora, John, cos’è che ti turba?”

La sua voce mi riporta alla realtà.
I suoi occhi stretti a fessura mi stanno studiando nei minimi particolari.
Mi sento un po' a disagio.
Lo sapevo che saremmo arrivati a questo punto.

“Come scusa?”

Scuoto la testa facendo finta di non aver capito, ma il mio sguardo si abbassa per un istante tradendomi.
E ci siamo.
Mi guarda negli occhi con quell’espressione che silenziosamente grida ‘davvero John?! È talmente ovvio che lo capirebbe perfino Lestrade! Ma se proprio insisti...’
E infatti congiunge le mani portandosele sotto al naso ed inizia a parlare a raffica.

“Beh John, non solo non sei ubriaco, ma il tuo alito non odora nemmeno minimamente di alcol quindi non sei stato fuori tutta la notte.
Eri a casa.
Conosco le tue abitudini e quindi so per certo che solitamente vai a dormire verso la mezzanotte.
I capelli spettinati, gli occhi lucidi e l’accenno di barba sul tuo mento mi fanno presupporre che sì, a letto ci sei andato stanotte.
Mi hai mandato un sms alle 4:43, mentre eri già sotto al portone.
Ci vogliono almeno 20 minuti di macchina, senza traffico, per raggiungere Backer Street dal tuo nuovo appartamento.
Ciò mi fa presupporre che sei andato a dormire, ma che non hai dormito molto.
Ti sei svegliato in piena notte disorientato e non sei più riuscito ad addormentarti perché qualcosa ti disturbava.
Qualcosa per cui non avevi nemmeno la voglia di sistemarti i capelli.
Ma non è una cosa che è accaduta solo questa notte.
È qualcosa che si protrae nel tempo perché sei pallido e sciupato, con evidenti occhiaie gonfie e blu tipiche di chi soffre di insonnia.
Ma è anche una cosa che si è intensificata nell’ultimo periodo perché, quando ci vediamo, sei sempre più stressato ed irascibile.
Quindi tu la sera vai a letto, ti addormenti e poi di colpo ti svegli.
Perché?
La cosa più ovvia è che ti svegli perché stai facendo un importante sogno.
Sogni qualcosa che ti turba.
Qualcosa a cui non riesci a smettere di pensare, altrimenti riusciresti a prendere nuovamente sonno.
Sogni qualcosa a cui, però, non puoi smettere di pensare nemmeno di giorno.
Il che spiegherebbe perché, oltre ad essere stressato ed irascibile, tu abbia anche la testa tra le nuvole ultimamente.
Sei un medico e sai che l’insonnia prolungata può portare a scompensi metabolici con ripercussioni sia fisiche che psichiche.
Sei qui perché stanotte è successo ancora.
Hai sognato e non sei riuscito a riposare come e quanto il tuo metabolismo necessita.
Senti di essere arrivato ad un punto di non ritorno.
Ti senti la testa scoppiare e credi che non riuscirai a reggere ancora a lungo prima di impazzire.
E non riesci a smettere di pensare, di pensarci in continuazione.
Sei qui perché vuoi capire il perché ti sta succedendo tutto questo prima di crollare.
Sei qui perché ciò che ti sconvolge e non ti fa dormire non lo puoi confidare nemmeno a tua moglie.
Sei qui perché, consciamente o inconsciamente, senti che le risposte che cerchi sono in Backer Street.
Sei qui perché, in Backer Street, c’è il più famoso e abile investigatore privato, nonché tuo migliore amico, che riuscirebbe certamente a risolvere il tuo problema.
Quindi dimmi, John, cos’è che ti turba?”

Lo ascolto pronunciare quella gran quantità di parole senza fermarsi quasi mai a riprendere fiato.
Lo ascolto con lo sguardo imbambolato senza rendermi conto che non sto respirando a mia volta.
Anche se nel momento in cui mi analizza mi sento come un vitello alla sagra del bestiame, non riesco a non rimanerne affascinato.

‘Straordinario!’

E mi torna alla mente il nostro primo incontro, di come in un attimo riuscì a capire tutto di me solamente guardandomi per pochi istanti.
Lui è davvero straordinario.
Tutto di lui è straordinario.
E mi guarda con quello sguardo magnetico e io mi sento perso.
E non so cosa dire.
Distende le braccia lungo la poltrona e si prepara mentalmente a sentirmi parlare, ma io non so davvero come rispondere.
Non posso rispondere.
Non posso raccontargli i miei sogni e i miei pensieri.
Non se lui è il protagonista.
Mi schiarisco la gola e bevo un sorso del mio tè perché la sento secca.
Le mani mi tremolano leggermente mentre avvicino la tazza alla bocca e le sento sudare.
Forse, però, ha ragione lui.
Forse, se voglio smettere di pensare, devo provare a parlare.
Forse, se voglio riuscire a capire, devo iniziare a parlare.
Poso la tazza sul vassoio e lo guardo.
I suoi occhi glaciali mi bruciano il volto.

‘Non faccia la femminuccia, Soldato Watson!’

Abbasso lo sguardo e provo a mettere insieme due frasi di senso compiuto.

“Tu... Tu dici sempre che a volte hai bisogno di leggere il mio blog per riuscire a vederti con i miei occhi...”

“Esatto.”

Alzo gli occhi solo un istante per vedergli pronunciare quella parola.

“Dici...dici che ti faccio sembrare più intelligente...”

La sua voce mi fa da sottofondo.

“Sì John, ma questo lo sapevamo già...”

‘Vuoi smetterla di fare capitan ovvio per un minuto?! Starei cercando di esprimere un concetto importante!’

Mi schiarisco la gola e mi martorizzo le pellicine delle unghie con le dita.

“Il...il fatto è che... Ciò che traspare dal mio blog è solo una milionesima parte di come io ti vedo realmente... C’è molto di più dietro. C’è un te, nella parte più nascosta della mia mente, che mai potrei lasciar trasparire né su uno stupido blog né a parole. Ma credimi, se potessi cavarmi gli occhi e prestarteli per riuscire a vederti come realmente ti vedo io, sarebbe tutto più facile e forse non ci sarebbe nemmeno motivo che io sia qui a parlare con te adesso...”

Prendo un lungo respiro e un altro sorso di tè.
Lo vedo con la coda dell’occhio inclinare la testa di lato leggermente confuso, mentre analizza e cataloga le mie parole.

“Sherlock, quello che sto cercando di dire è che... È che per una volta ho bisogno che tu faccia il contrario per me...”

Lo vedo aggrottare le sopracciglia e mordersi le labbra.

“In che senso, John?”

Prendo un’altra sorsata di tisana prima di riporre la tazza sul vassoio.
Cerco di auto convincermi che se lo dico tutto di un fiato forse riuscirò ad arrivare in fondo senza morire di vergogna prima.

“C’è un fantasma che mi perseguita...”

Ma niente va mai come vorresti.
La grande fatica che sto provando, nel cercare di dirgli ciò che vorrei senza interruzioni, va a farsi benedire da una stupida esclamazione che solo lui poteva fare.

“Un fantasma?! I fantasmi non esistono, John!”

‘Giuro che se non chiude quella bocca lo prendo a calci!’

Alzo la testa e lo fulmino con lo sguardo.

“Un fantasma metaforico, Sherlock!”

Spalanca le orbite e la bocca dallo stupore.

“Capisco... Scusa, continua pure.”

Abbasso di nuovo lo sguardo e cerco di riprendere il filo del discorso che inevitabilmente stava scivolando via dalla mia mente.

“C’è un fantasma che mi perseguita e io... Io ho bisogno di capire se devo combattere per scacciarlo o combattere per andare a prenderlo... E per riuscirci ho bisogno...Per una volta sono io che ho bisogno di vedermi con i tuoi occhi... Ho bisogno che tu faccia un esperimento per me...”

Faccio una pausa perché sento le mie guance andare a fuoco e mi manca l’aria nei polmoni.

“Che tipo di esperimento, John?”

La sua voce profonda ed incuriosita mi incalza ad andare avanti.
Si porta le mani congiunte davanti alla bocca, studiando ogni mia mossa.
Non voglio vederlo.
Non posso guardarlo.
Perché, se mi fermassi a guardarlo, sentirei crollare la terra sotto i miei piedi e con lei anche il coraggio che sto cercando di tirare fuori.
E arrivati a questo punto non posso permettermi di voltarmi e scappare.
Devo alzarmi e combattere.

“So che ti ritieni un sociopatico. So che hai volontariamente represso tutta la tua ordinarietà per far sì che il tuo cervello lavori al meglio. So che hai voluto reprimere tutto ciò che ritieni superfluo e privo di interesse per sviluppare a pieno le tue capacità intellettuali, ma... Ma non sei una macchina Sherlock, sei un uomo. E che tu lo voglia o no, tutto ciò che hai egregiamente cercato di reprimere fino ad oggi è nascosto da qualche parte dentro di te. Ho bisogno per una volta... solo per questa volta... che tu lo cerchi per me.”

Sento il cuore battermi all’impazzata nel petto.
Ho le mani talmente sudate da non riconoscermi più.
Da non riuscire nemmeno a riconoscere il soldato che è in me.

“Cosa intendi, John?”

La sua voce si incrina appena, in quella che riesco a riconoscere come un misto di perplessità e paura.
Ma non si muove.
Continua a fissarmi.
Continua a studiarmi come se mi volesse entrare nella mente.
Mi mordo l’interno delle guance per non distrarmi.
Chiudo gli occhi un istante per non perdermi.
Respiro a fondo.

“Sherlock io... Io ho bisogno che tu entri nel tuo palazzo mentale. Ho bisogno che tu entri in quella stanza che contiene tutti i ricordi che hai di me. So che quella stanza esiste da qualche parte. Io ho bisogno che tu entri là dentro, ma non da solo.... Con me. Ho bisogno che tu riviva quei ricordi e mi descriva cosa e come ti senti in quel momento. Ho bisogno che tu mi descriva tutto.”

Mi sto per sentire male.
Mi sto per sentire un perfetto idiota.
Non riesco a credere di averglielo chiesto davvero.
E questo lungo silenzio che segue le mie parole è assordante da fare male.

“Non posso!”

E se il silenzio mi aveva quasi lacerato le orecchie, queste due semplici parole mi danno un pugno diritto nello stomaco.
E anche se mi aspettavo questa risposta, sentirla, in questo momento, fa male ugualmente.
Perché sono qui, di fronte a lui, a mettere a nudo la mia anima.
E ciò che voglio è che lui faccia lo stesso per me.
Mi sono imbattuto in una guerra più grande di me.
E tutto ciò che voglio è sapere come andrà a finire.
Ho bisogno di sapere se ne uscirò vincitore.
Ho bisogno di sapere se ne uscirò sconfitto.
Ho bisogno di sapere, in entrambi casi, quali ferite potrei riportare e come porvi rimedio.

“Per...perché?”

Le mie parole escono soffocate.
Ho la bocca secca.
Vorrei bere un altro sorso di tè, ma so che non è il momento adatto.
Mi stringo le mani sudate l’una con l’altra e rimango in attesa.

“Non posso perché... Perché se lo facessi sia io che te ne subiremmo le conseguenze, John. Conseguenze per cui non so se ne valga la pena. Conseguenze per cui non so se siamo pronti. Senza contare il fatto che, una volta tornato indietro, una volta tornato al me ordinario, non so se sarei in grado di tornare al me che sono diventato oggi.”

Rimango semi congelato sul posto, con lo sguardo perplesso che punta nel vuoto.
Forse capisco quello sta cercando di dirmi.
Forse capisco la sua preoccupazione, ma non mi basta.
Perché la preoccupazione è già di per sé un sentimento.
Un sentimento che cerca di reprimere, ma senza riuscirci.
E io ho bisogno di sapere quali sono le altre sensazioni che, giorno dopo giorno, cerca di nascondere per dare vita a quella macchina fatta di congetture che mi si para davanti.
Cerco di respirare e scongelarmi.
Voglio capire.
Voglio scoprire.
Provo ancora una volta a fare domande.

“Con... Che vuoi dire con conseguenze? Con...conseguenze per cui non sai se ne valga la pena o se siamo pronti?”

Alzo leggermente gli occhi verso il suo volto.
Vedo i suoi occhi diventare azzurro ghiaccio.
Lo vedo stringere la bocca e mordersi il labbro inferiore.
Lo vedo lottare tra il dovere di rispondermi e la voglia di non farlo.
Chino di nuovo la testa verso il pavimento e mi sento in colpa per averlo trascinato in questa situazione.
Ma non posso più rimandare.
Dovevo farlo.
Devo farlo.

“Intendo dire, John, che se faccio ciò che mi hai chiesto, se mi addentro nel mio palazzo mentale in uno stato di semi coscienza, sarei sì in grado di dirti cosa si cela dentro di me, ma non sarei in grado di impedirmi di dire qualcosa che tu non vorresti sentire. Potrei dire o fare qualcosa che finirebbe inevitabilmente per incrinare ciò che si è creato tra noi in tutti questi anni. E non so se siamo pronti, se tu sei pronto, perché ciò accada. Non so se ne valga davvero la pena. Non vorrei mai farti soffrire.”

La mia mente è in un mare di caos che riesco a stento a controllare.
Peso ogni sua singola parola.
Capisco che c’è qualcosa che mi sta nascondendo e che, nonostante adesso mi abbia fatto salire un po’ di preoccupazione, voglio sapere a tutti i costi.
Cerco di concentrarmi sulle onde dei mie pensieri e di analizzarle una ad una mentre da lontano arrivano e si infrangono sulle pareti del mio cervello.
E mi accorgo di una cosa importante.
Mi accorgo che non mi importa.
Che, qualsiasi cosa possa uscire dalle sue rosee labbra, non importa.
Mi potrebbe anche dire di essere lui stesso artefice dei crimini che risolve e non mi importerebbe.
Mi potrebbe anche dire che in realtà era complice di Moriarty e non cambierebbe ugualmente l’idea che io ho di lui.
Niente potrebbe.
Respiro a fondo.

“Ho sposato una donna dai mille segreti...una donna dal passato più nero dei tuoi capelli...”

‘Davvero?! Con tutti i paragoni che potevi fare, non riesci a non pensare ai suoi ricci per 5 dannati secondi?!'

Mi schiarisco la voce e riparto.

“Una donna che ti ha sparato pur di pararsi le spalle. Lei mi... Lei mi ha dato la possibilità di conoscere la sua vera identità e io l’ho volontariamente e letteralmente bruciata. Mi sono bruciato quella possibilità, non perché non m’importasse del suo passato...ma... perché era più facile. Perché dentro me sapevo che scoprendo la verità avrei smesso di provare determinati sentimenti per lei. E ho finto che non fosse vero. Ho finto che non m'importasse. Ma con te è diverso. Con te so già che, qualsiasi cosa dirai, non cambierà assolutamente niente. E... Lo so che può sembrare una frase di circostanza, ma credimi non lo è. So che non vuoi ferirmi e so che... Che hai paura di tornare il te ordinario di una volta... Ma per me rimarresti sempre tu. Non cambieresti mai ai miei occhi. Come ti ho già detto se... Se potessi darti la possibilità di vederti realmente con i mie occhi, lo capiresti da solo. Non ho bisogno di sapere chi tu sia, perché lo so già. Quello che... Che Ho bisogno di sapere è chi sono io. Perché mi sono perso negli ultimi anni. E ho bisogno di ritrovarmi, attraverso te.”

Non riesco a credere di aver parlato senza fermarmi.
Non riesco a credere di non essere stramazzato al suolo per mancanza d’aria nei polmoni.
Non riesco a credere di aver trovato il vero motivo per cui mi trovo qui.
Lo guardo con la coda dell’occhio senza alzare lo sguardo.
Ormai sono arrivato fino a questo punto e non posso permettermi che i suoi occhi oceanici mi distraggano dal mio obiettivo.
Lo guardo portarsi nuovamente le mani congiunte davanti alle labbra e serrare le palpebre mentre lancia un lungo e profondo sospiro.
Lo vedo tornare a distendersi sulla poltrona e aprire la bocca.

“Va bene, John. Se è davvero questo ciò che desideri lo farò. Per te.”

Alzo lo sguardo e rimango stupito.
Non credevo che avrebbe ceduto così presto, se mai davvero lo avesse fatto.
Ma lo ha fatto e mi sta guardando con occhi di ghiaccio lucente ed un sorriso accennato sulle labbra.
Contraccambio il sorriso.

“Gr...grazie Sherlock.”

Lo guardo sospirare a fondo ancora una volta.
Forse si sta maledicendo per avermi assecondato.
Aspetto che dica o faccia qualcosa perché non so più cosa fare.
Il mio cuore accelera i battiti dall’agitazione e le mani ricominciano a sudare.
Non so dove guardare.
Non so cosa dire.
Mi sento davvero un idiota.
Mi asciugo i palmi ai pantaloni sperando che la smettano di sudare.
Il soldato che dovrebbe celarsi dentro di me scompare quando sono con lui, lasciando posto ad un bimbo sperduto.
Si sposta con a sedere sul bordo della poltrona sistemandosi la vestaglia da camera e con il movimento di una mano mi indica di fare lo stesso.
Lo guardo e faccio come mi dice perché non so che altro fare.
Mi muovo meccanicamente in avanti.
Mi sento agitato come quando da ragazzo mi chiamavano alla lavagna per l’interrogazione il giorno in cui non avevo studiato niente.

‘Coraggio soldato Watson! Niente panico!’

Mi sistemo per bene sulla poltrona quel tanto che basta per avvicinarmi a lui senza rischiare di cadere.

“Va bene, John. Se davvero vuoi che ti porti con me, nel mio palazzo mentale, ho bisogno che tu faccia esattamente quello che dico. Sarà un viaggio veloce perché i pensieri scorrono in maniera rapida e tu dovrai cercare di starmi dietro.”

Non capisco.
Non capisco cosa vuole che faccia.
I suoi profondi occhi azzurri che mi fissano così da vicino e quel maledetto profumo non aiutano a farmi stare concentrato.

“Co...cosa devo fare esattamente?”

Distende le braccia lungo le gambe con i palmi rivolti verso l’alto.

“Dobbiamo mantenere un contatto fisico. Metti le mani sopra le mie. Mi aiuterà a non isolarmi completamente dal mondo reale.”

Faccio come mi dice.
Allungo i miei palmi tremuli e sudati e li appoggi delicatamente sopra i suoi.
Sento la sua pelle setosa e fredda contrastare con la mia e un brivido mi percorre la schiena.
Mi manca il fiato, ma devo cercare di rimanere concentrato.

“Non appena io sarò entrato nel mio palazzo mentale tu dovrai guidarmi con la tua voce. Dovrai farmi delle domande. Tutte le domande che vuoi. Cosa vedo, dove sono, quando, con chi. Come mi sento e cosa provo in quel preciso momento, se è questo che vuoi sapere. Non devi mai smettere di farmi domande e soprattutto non devi abbandonare il contatto fisico con me. Hai capito, John?”

Non so cosa rispondere.
Lo guardo e mi perdo in quel mare.
È ciò che volevo.
È il momento che aspettavo.
Ma in realtà ho paura.
Paura di scoprire che mi sto per imbattere in un incidente a senso unico.
Paura di scoprire che ciò che provo io per lui non è lo stesso che prova nei mie confronti.

“Sì, ma... C-come capirò quando è il momento?”

Stringe forte le mie mani per darmi fiducia.
Mi sorride ad un palmo dal mio naso.

‘Dio quanto vorrei baciarti... Smettila subito, John! Rimani concentrato!’

“Devi semplicemente guardarmi e lo capirai da solo. Capirai da solo quando è il momento. Sei pronto, John?”

Faccio un respiro profondo e stingo le sue mani a mia volta.

“Pronto...”

Lo vedo abbassare lentamente le palpebre nascondendo quelle pozzanghere azzurre alla mia vista.
Sento i muscoli dei suoi arti superiori irrigidirsi un po’ sotto il mio tocco.
Il suo volto si stiracchia cercando tutta la concentrazione possibile.
E poi lo vedo.
Vedo i suoi bulbi oculari iniziare a tremare accompagnati da un leggero movimento delle ciglia adagiate sui suoi marmorei zigomi.
Ci siamo.
È il momento.
Il gioco è cominciato.

***

 

 

 

 

“John?”

Quella voce profonda e pacata che pronuncia il mio nome nella mia testa.
Quel nome che non mi era mai sembrato così bello prima che iniziasse ad uscire dalla sua bocca.
Mi sembra di sentire la sua voce solleticarmi l’orecchio da quanto è vicina.

“John?”

Non voglio svegliarmi.
Non un’altra volta.
Non voglio aprire gli occhi e ritrovarmi a fissare il soffitto di una camera da letto in piena notte senza più riuscire a prendere sonno.
Voglio continuare a sognare.
Perché ho fatto un sogno talmente vivido da sembrare reale.
Ho fatto un sogno in cui sono riuscito a toccare la sua pelle.
Un sogno in cui sono riuscito a sentire il suo vero odore sotto lo strato di dopobarba.
Un sogno in cui sono riuscito a baciare le sue labbra e sentirne il sapore.
Mi aggrappo a quel suono melodioso che scandisce il mio nome perché non voglio smettere di sognarlo.
Ma inevitabilmente i miei occhi si aprono e lentamente una luce bianca brucia le mie pupille.
Sbatto le palpebre gonfie un paio di volte prima di orientarmi nello spazio tempo.
Sbatto le palpebre un paio di volte prima che la realtà mi investa.
Sbatto le palpebre un paio di volte prima di riuscire a mettere a fuoco che, per la prima volta da quando ho iniziato a sognarlo, la realtà è meglio della fantasia.

“John?”

Due iridi azzurro ghiaccio puntano le mie.
Due labbra rosee a forma di cuore pronunciano ripetutamente il mio nome.
Lui è qui davanti a me più reale che mai.
E adesso ricordo cosa è successo.
Adesso ricordo che non l’ho sognato.
Sono davvero venuto in Backer Street.
Abbiamo davvero parlato.
L’ho davvero baciato.
Ricordo tutto.

 

 

 

I suoi occhi glaciali cadono e annegano dentro l’azzurro dei miei.
Mi manca il respiro.
Il mio cuore sta per schizzare fuori dal petto.

Ha davvero detto che crede di amarmi?!’

John?!”

Un sussurro esce dalla sua bocca pronunciando il mio nome.

Perché mi hai baciato, John?!”

Il suo sguardo leggermente incredulo non si stacca dal mio e io mi sento le guance bruciare.

E tu...”

Ho la gola secca e non so come fare a parlare.

Perchè tu ha...hai ammesso di … di aver finto la tua morte per salvarmi la vita.... hai ammesso di avermi salvato in tutti i modi possibili, ogni giorno, da quando ci conosciamo... di aver composto quella melodia, non come regalo di nozze per il mio matrimonio con Mary, ma come... come confessione dei tuoi sentimenti nei miei confronti... di aver pensato a me ogni giorno... di aver pensato di volermi baciare in più di un occasione... di aver pensato ‘se... questo vuol dire amare...allora credo davvero di essere... di essere innamorato di John Watson’ e perché...perché mi hai chiesto di non...di non interrompere mai il contatto fisico con te o ti saresti isolato del tutto...”

La sua testa si piega di lato e mi guarda perplesso.
Lascia andare la mia mano che ancora stringeva la sua e si tira uno schiaffetto sulla testa.

L'ho detto davvero? Ad alta voce? Lo sapevo! Ti avevo detto, John, che era meglio non addentrarsi nella mia mente! Ti avevo detto che ci sarebbero state conseguenze! Ed io che ti ho assecondato!”

Lo lascio sbraitare ancora qualche secondo perché è bello vederlo dare di matto ogni tanto.

...Conseguenze che avrebbero inevitabilmente finito per rovinare la nostra amicizia! E tu invece hai insistito! Ed io ti ho dato ascolto!”

Non sempre però.

La maggior parte delle volte vorresti prenderlo a pugni.
Ma è bello vedere il suo aspetto così ordinatamente scomposto mentre si agita.
Lascio andare anche l’altra sua mano e gli afferro il volto per cercare di calmarlo.
Porto le mie labbra sulle sue un bacio profondo, arrestando momentaneamente i suoi sproloqui.

Perché, John?”

Mi chiede di nuovo perplesso dopo che si è staccato dalla mia bocca per mancanza di fiato.

Perché è esattamente quello che penso io di te...”

 

 

Ricordo ogni istante di questa folle notte invernale.
Sbatto nuovamente le palpebre e mi sento la gola secca.

“John, ti verrà il torcicollo se dormi sulla poltrona.”

Mi guarda dritto negli occhi con la schiena leggermente riversa verso di me e una mano appoggiata delicatamente sulla mia spalla per cercare di svegliarmi del tutto.

“Hai ragione.”

Biascico mentre cerco di soffocare uno sbadiglio.

‘Devo essermi addormentato.’

Mi sistemo per bene seduto sulla poltrona e mi porto le mani al volto stropicciandomi gli occhi.

“Mi dispiace dover interrompere il tuo ritrovato sonno...”

Riprende a parlare con voce pacata mentre si alza in piedi.

“... Ma non vorrei che la tua insonnia venisse sostituita da insopportabili dolori muscolari. Ho bisogno di un assistente ben riposato e pronto all’azione. Di solito non permetto mai a nessuno di entrare nella mia camera da letto, a meno che non ci sia un’emergenza in corso e la situazione lo richieda, ma in quella che era la tua stanza non è stato più rifatto il letto da quando ti sei trasferito. Per questo ti offro di andare a stenderti sul mio di letto e fare una bella dormita.”

Rimango spiazzato e non so cosa dire.
Rimango spiazzato perché così tante parole appena sveglio mi mandano in confusione.
Rimango spiazzato perché non mi sarei mai aspettato da Sherlock Holmes un gesto del genere.
Perché Sherlock Holmes non è il tipo da cedere così facilmente parte della sua vulnerabilità.
Rimango spiazzato perché non è la prima volta che questa notte mi mostra una parte vulnerabile di sé e non so più dove mi trovo.
Ma non parlo delle ore appena trascorse.
Non accenno a ciò che è accaduto questa sera.
No, se non lo fa lui.
O almeno non ora che il sonno accumulato nell’ultimo periodo si presenta tutto insieme pesante e opprimente come un’incudine che mi schiaccia la testa e le ossa.
Mi limito a guardarlo negli occhi.Mi limito a guardare quel volto dall’aria speranzosa.
L'aria di qualcuno che spera che accetti la sua offerta.
E mi sento leggermente spaesato.

‘Ti sei drogato mentre dormivo?!’

Penso.

“Sei sicuro?”

Dico.
Mi guarda stendendo le labbra in una linea sottile e alza leggermente le spalle.

“Certo.”

Risponde indicandomi la strada per la sua camera con un ampio gesto del braccio.
Mi alzo dalla poltrona lisciandomi il maglione ormai spiegazzato.
Mi precede facendomi strada verso la sua camera e io lo guardo compiere passi così delicati da sembrare un ballerino.
Si ferma oltre lo stipite accennando un sorriso.
Un sorriso che sembra voler dire un silenzioso ‘prego, accomodati.’
Faccio come mi ordina ed entro in quella stanza stranamente ordinata.
Mi guardo intorno e mi sembra di essere entrato nella casa di qualcun altro.
In salotto ed in cucina sembra sempre che vi sia scoppiata una bomba dal caos che vi regna.
Ma questa stanza è assolutamente impeccabile, niente è fuori posto.

‘È questo lo Sherlock che si nasconde sotto strati di genialità, superbia ed arroganza?’

Mi sdraio sul suo letto e mi sistemo per bene il cuscino.
Sento il suo odore misto a muschio bianco invadermi le narici e lo respiro a pieni polmoni.

‘Dio santo, ma quanto dopobarba usa per impregnate tutto in questo modo?’

Sento i miei occhi stanchi che stanno per chiudersi nuovamente e, cullato da morbide lenzuola, inizio a scivolare tra le braccia di Morfeo.
Sento i suoi passi dietro la mia schiena dirigersi verso la porta che conduce in cucina, senza però .
Sento i suoi passi dietro la mia schiena dirigersi verso la porta che conduce in cucina, senza però oltrepassarla.

“John?”

La sua voce profonda scioglie quella ancora troppo sottile catena che mi lega e mi trascina verso il mondo dei sogni.

“Sì, Sherlock?”

“Il tuo cellulare.”

Lo sento mentre appoggia l’oggetto sul comodino più vicino a lui, ma non ho la forza di girarmi.

“Hai ricevuto una chiamata e due sms. Io non ho guardato, ma suppongo sia Mary preoccupata di non averti trovato in casa al suo risveglio.”

‘Mary?! Chi diavolo è Mary?! Ah, sì, Mary... Mia moglie...’

Non mi va di rispondere.
Non ora.
Non saprei cosa dire.
Voglio solo dormire un altro po’.
Voglio solo respirare il suo odore da questo cuscino.

“Grazie Sherlock.”

Chiudo nuovamente gli occhi stringendomi tra quelle setose lenzuola, ma posso ancora sentire il suo sguardo interrogativo bruciarmi sulla nuca.
Posso ancora intuire che non si stia muovendo dalla sua posizione imbalsamata sotto lo stipite della porta.

“Non le rispondi, John ?”

Immaginavo che lo avrebbe chiesto.

“Non ora.”

Dico poco prima di tuffare completamente la faccia nel cuscino.

“Sarà preoccupata, John. Se non rispondi immagino che tra non molto chiamerà al mio cellulare.”

Il tono della sua voce indica che sta per spiegarmi qualcosa di ovvio e che sta per farmi una ramanzina.
Sbuffo e alzo mentalmente gli occhi al cielo.
Non voglio chiamarla.
Non voglio parlarle adesso.
Voglio solo crogiolarmi in questo letto che sa di lui.
Voglio rivivere mentalmente la notte appena trascorsa.
Voglio solo dormire.

“E tu non rispondere!”

Mugugno con la bocca quasi sepolta dalla stoffa del guanciale.

“John, Mary chiama me solamente quando è preoccupata per te. Lei sa che io so che mi chiamerebbe solo quando si tratta di te e sa anche che tengo così tanto a te da risponderle al primo squillo. Se non lo facessi si preoccuperebbe il doppio, oppure penserebbe che ti stia coprendo le spalle per qualcosa.”

Lo ascolto ma non voglio pensare a quell’argomento.
Se le rispondessi non saprei cosa dire.

‘Ciao Mary, mi sono svegliato in piena notte perché continuavo a sognare e a pensare a Sherlock, così sono venuto da lui, ci siamo baciati, mi è piaciuto e credo di amarlo.’

Penso.

“E tu dille che mi sono alzato presto, che sono venuto qua e che mi sono addormentato mentre archiviavamo vecchi casi irrisolti.”

Dico.
Il suo sguardo ora dubbioso continua a puntarmi il cervello.
Non lo vedo, ma lo sento.

Lo conosco abbastanza bene per sapere che lo sta facendo.

“Non è esattamente quello che è successo, John.”

Sento la voglia di alzarmi e prenderlo a calci crescere dentro di me, ma il sonno e il desiderio di crogiolarmi tra le coperte che, ogni notte accarezzano la sua pelle alabastro, continuano ad avere il sopravvento.

“Sta zitto, Sherlock!”

Lo sento sospirare arrendevolmente alla mia resistenza.
Sorrido tra i baffi e richiudo gli occhi nella speranza di riuscire finalmente a dormire un po’.

“Se hai bisogno di qualcosa sai dove trovarmi, John.”

Conclude sospirando ancora sonoramente.
Spalanco gli occhi per l’ennesima volta.
Spalanco gli occhi non perché il sonno mi abbia nuovamente abbandonato, ma dallo stupore.
Inconsciamente speravo di sentirgli pronunciare quelle parole, ma credevo che non sarebbero arrivate.
Ma questa strana nottata, anche se ormai è già mattina, sembra non finire più.
Lentamente mi volto nella sua direzione trascinandomi dietro il lenzuolo che sa ancora di lui.
E lo vedo.
Fermo, immobile, in piedi sulla soglia della camera.
I suoi occhi che brillano come diamanti nella penombra.
E devo farlo prima che oltrepassi la porta e se la chiuda alle spalle.
Devo dirglielo prima che si addentri nell’altra stanza e sparisca dalla mia vista.

‘Fallo! Ora!’

Le mani mi tremano e il mio cuore batte all’impazzata nel petto come ha già fatto molte volte questa notte.

“Sì, c’è... C’è qualcosa che puoi fare per me, Sherlock...”

Mi guarda leggermente perplesso.
Sposta la testa di lato com’è suo solito fare quando stranamente qualcosa lo coglie impreparato.
E mi sorride.
Sorride con il sorriso più bello che io abbia mai visto.
E per un attimo mi sento mancare l’aria nei polmoni.
La mia bocca si apre e si chiude un paio di volte a vuoto prima di riuscire a formare una frase di senso compiuto.

‘Devi dirglielo, soldato Watson! Questo è un ordine!’

“Potresti...potresti venire qui ed aiutarmi a farmi addormentare...”

L’ho detto.
E mi sento più leggero.
Non riesco a credere di averlo detto davvero.
Lo vedo inghiottire e sospirare.
E mi sento un completo idiota.
Dal suo sguardo leggermente assente capisco che sta registrando le mie parole nel suo complicatissimo organo cerebrale.
Le sta valutando.
Sta cercando una risposta alle mille domande che adesso gli si formano in testa.
Fino a cercare la risposta più giusta da dare alla mia affermazione.
Mi sento veramente uno stupido.
E vorrei sprofondare fino a scomparire.
Forse ho esagerato.
Forse è troppo per lui in una sola sera.
Forse mi sono completamente bevuto il cervello.
Chiudo gli occhi, mi tiro la coperta fin oltre la testa e mi maledico a più non posso.
Mi maledico per tutto ciò che ho fatto questa notte.
Mi maledico per aver sperato in qualcosa più grande di me.
Mi maledico per essermi fatto incantare da questa affascinante, ma complicata creatura.
Sento la porta della camera chiudersi lasciando spazio solo al silenzio.
Il silenzio in cui mi ha lasciato preferendo andarsene piuttosto che rispondermi.
Sento una leggera fitta di un sogno che si infrange.
Sento il vuoto farsi spazio nel mio petto.
Sento Il rumore di un passo.
Poi due.
Sento le lenzuola alzarsi leggermente sopra di me e il materasso abbassarsi.
Alzo una palpebra e lo intravedo sistemarsi nel posto vuoto del letto al mio fianco.
Movimenti lenti ed impacciati, ma con occhi brillanti come stelle.
La mia bocca si piega da sola in un sorriso e posso sentire il mio cuore tornare a battere e i miei polmoni tornare a respirare dopo che senza accorgermene avevano smesso di farlo.
Non dico niente.
Non saprei cosa dirgli per farlo sentire meno imbarazzato.
Non saprei cosa dire in generale perché mi sento svenire.
Mi limito ad abbassare la palpebra da cui lo stavo scrutando.
Aspetto di sentire di nuovo silenzio.
Un silenzio che indichi che lui si è sistemato a dovere.
Alzo leggermente la testa e la appoggio sopra il suo petto marmoreo.
L’odore della sua pelle mi inebria a tal punto che potrei perdere i sensi senza nemmeno accorgermene.
Posso sentire il suo battito cardiaco.
Sento il suo cuore pulsargli nel petto a velocità talmente elevata che sembra stia cercando di saltar fuori.
Posso sentirlo respirare.
Un respiro leggermente affannato e tremolante.
Ma non si scompone.
Rimane fermo, lasciando che mi accoccoli tra le sue braccia senza opporre resistenza.

“Grazie Sherlock.”

E lui non risponde, ma semplicemente compie un altro gesto inaspettato.
Abbassa la testa verso di me e mi bacia sulla fronte.
La pelle mi scotta.
Lì, nel punto esatto dove le sue morbide labbra si sono delicatamente appoggiate, posso sentire la cute arrossarsi e prendere fuoco.
E non riesco più a sentire il mio cuore pulsare.
Batte ad un ritmo talmente alto dentro di me che sembra essersi fermato.
Sorrido ancora come ogni volta che lo sogno.
Sorrido come ogni volta che lo penso.
Sorrido come ogni volta che lo vedo.
Sorrido come ho fatto molte volte in questa assurda notte.
E ora tutto davanti a me si fa buio.
Tutto davanti a me si fa leggero.
E finalmente dopo tanto tempo riesco nuovamente a dormire.

 
   
 
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