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Autore: Alley    24/03/2016    4 recensioni
[a Vero, per il suo compleanno]
“Sai qual è la cosa divertente?” la smorfia beffarda che accompagna la domanda è quanto di più lontano da Castiel possa esistere “Che nonostante tutto, se usassi le sue mani per ucciderti non se lo perdonerebbe mai.”
[S11; post “The devil in the details”] [Destiel, established relationship; accenni Sam/Eileen]
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Chuck Shurley, Dean Winchester, Lucifero, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Non è mia abitudine tediarvi con storie chilometriche (chilometriche rispetto ai miei standard abituali, almeno), ma purtroppo per voi questo è un regalo ed andava postato integralmente, pertanto ve beccate le quasi quaranta pagine (omg così tante) tutte insieme.
(bugia, manca un brevissimo epilogo che è già stato scritto, ma essendo solo un post ininfluente ai fini della trama – una sorta di appendice - la sua assenza non rende la storia monca) (perché st’abuso spropositato di parentesi da parte mia, boh)
È un regalo, come dicevo, ma in realtà la destinataria ha contribuito alla sua realizzazione in fase di plottaggio e senza gli spunti da lei forniti, probabilmente, non sarei mai riuscita a partorire una storia così lunga (di solito mi appresto a scrivere solo se sono sicura di poter archiviare la pratica in un paio di giorni, perché sono talmente incostante da non riuscire a concludere nulla che ne richieda di più per essere ultimato, ma a quanto pare i miracoli accadono), quindi non so se consegnarglielo allegando gli auguri o ringraziarla. Nel dubbio faccio entrambe le cose, ed aggiungo tanto tanto tanto (∞ tanto) amore per la persona in questione che mi fa venir voglia di stare qui a scriverle cose belle e stucchevoli tipo per sempre, però no, perché se mi dilungo anche nelle note introduttive sta fan fiction si trasforma nella riedizione di Guerra e pace e non lo vogliamo né io né voi, quindi basta, solo BUON COMPLEANNO VERO e mille di questi giorni di rant e disagio condivisi (…sembra più una minaccia che un augurio) (facciamo che è sia una minaccia sia un augurio) *parte ‘Tanti auguri’ in sottofondo* Con un po’ di dolore in meno e qualche gioia in più, magari (…come no).
Grazie per l’attenzione e la pazienza (la pazienza in particolare) e buona lettura (soprattutto alla festeggiata) (ho usato più parentesi in questa nota introduttiva che in tutta la mia vita).



 
 






 
«Ho sentito la sua assenza. È stato come svegliarsi un giorno senza denti in bocca. Non c’era bisogno di correre allo specchio per sapere che non c’erano più.»
- J. Dashner
 

Quando poggia la cassetta di metallo sul tavolo, Sam gli scocca un’occhiata interrogativa. “Cas?”

Dean tira fuori le garze e il disinfettante. Hanno fatto ricorso di rado ai metodi manuali per i postumi della caccia da quando Castiel si è stabilito al bunker - fosse stato per lui avrebbe continuato a rifiutarne le cure e a pensarci da solo, ma Sam aveva preso a minacciare di non lasciarsi guarire a sua volta e poi c’era stato quel giorno, quello in cui era tornato a casa più malridotto del solito e Castiel l’aveva guardato con due occhi enormi e gli aveva preso la mano sanguinante senza fare nulla, dicendo solo “per favore”, e Dean era troppo stanco per opporsi, troppo stanco per far finta di non volere che si occupasse di lui. Da quella volta, ha definitivamente smesso di protestare.

“Sono solo due graffi, Sam, non c’è bisogno del pronto soccorso angelico.”

“Quello mi sembra più di un graffio.”

Dean abbassa lo sguardo sulla ferita che gli si apre sul fianco, sotto la stoffa squarciata. L’ha tamponata per tutta la durata del viaggio di ritorno, eppure, non ha smesso di sanguinare.

“Ho visto di peggio" dice, e invita Sam a porgergli il braccio con un cenno “Avanti: prima mi occupo di te, prima posso ricucirmi.”

*

'Abbiamo scovato un covo di vampiri.
Spero che le ricerche ti stiano dando meno grane di quante ne hanno dato a noi quei figli di puttana.’


*

Nel buio, Dean cerca a tentoni il telefonino; si dice che è per controllare l’ora ma, quando il display s’illumina sotto il suo tocco, lo sguardo gli cade immediatamente sulla casella dei messaggi ricevuti.

È vuota. Esattamente come prima che si mettesse a letto.

Si rigira tra le lenzuola, alla ricerca di una posizione più confortevole che riesca a conciliargli il sonno; pur avendo l’intero materasso a disposizione, occupa soltanto la propria metà.

Dormire insieme non è qualcosa che lui e Castiel abbiano concertato – faticava anche solo a pensarlo, figurarsi a discuterne e a stabilirlo. Era qualcosa di…grande, per lui. Di definitivo. Quello che c’era tra loro non aveva mai avuto confini precisi, contorni che lo delimitassero e gli mettessero un nome. Cose come quella gli conferivano una forma; suggerivano una definizione che Dean non era sicuro d’esser pronto ad accogliere.

Eppure, malgrado le reticenze, una notte ha assecondato l’impulso di trattenere Castiel mentre si alzava per tornare nella propria stanza.

“Resta.”

Forse non era ancora pronto, forse non lo sarebbe mai stato, ma non intendeva rinunciare a ciò che desiderava nell’attesa di diventarlo.

Condividere il letto si era trasformata in un’abitudine senza che se ne rendessero conto e, alla fine, si era rivelato meno spaventoso di quel che aveva creduto.

Non è la prima volta che Castiel passa lontano dal bunker, ma è la prima in cui non si fa sentire nemmeno con un sms. Probabilmente, è anche la prima in assoluto in cui lascia un suo messaggio privo di risposta.

Dean ripone il cellulare, soffocando un sospiro seccato nel cuscino.

Sam alla sua prima cotta doveva essere meno ridicolo.

*

 ‘Hanno rinnovato Orange is the new black per tre stagioni.’

*

 ‘Trovato qualcosa di utile? Sam continua a sfogliare mattoni, ma niente.’

*

 ‘Ti hanno rubato il cellulare?’

*

Dormire insieme non è qualcosa che avessero programmato ma che, pensandoci in retrospettiva, era prevedibile accadesse.

Castiel è sempre stato un pezzo importante della sua vita, anche se ha impiegato del tempo a capire quanto in profondità fosse riuscito a scavare. Restando al bunker, era diventato parte anche della sua quotidianità. La convivenza aveva reso ogni forma di condivisione estremamente naturale, l’aveva trasformata in un bisogno che, adesso, non riusciva a fare a meno di assecondare.

Per questo, in certi momenti (in momenti come quello, in cui sono a tavola e c’è una sedia vuota a fargli da promemoria – non che ne abbia bisogno per sentire il peso dell’assenza di Castiel), il vuoto aperto dalla mancanza diventa particolarmente difficile da sostenere.

Lo fa sentire debole, scoperto. Lo spaventa nell’eventualità che Castiel---

“Dean?”

Dean si riscuote, e s’accorge di star rimestando il contenuto del piatto con la forchetta; la cena è ancora completamente intatta davanti a lui.

“A cosa pensi?”

“A niente.”

Per fortuna, Sam finge di crederci.

*

Castiel è un peso caldo e familiare, baci leggeri che si posano ovunque (sul viso, sul petto, sulla pelle dove campeggiava il Marchio – e non è più come se potesse contaminarlo, adesso), parole sussurrate ad un soffio dal suo orecchio.

Dean respira forte, a pieni polmoni, e il fiato non gli raschia la gola perché non ha più un mostro acquattato dentro pronto a scattare, non ha più quella voce che chiedeva incessantemente sangue a risuonargli nella testa – quella per cui ha quasi---

“Ti amo.”

L’anch’io arriva a premere contro le labbra prima che lo ricacci indietro. Resta lì, incastrato insieme a tutto il resto - ti prego perdonami mi dispiace mi dispiace così tanto -, e finisce segregato nell'angolo dove ha ammucchiato tutto quello che non ha mai avuto il coraggio di dire – mi hai abbandonato a Sam fuggito a Stanford, non ce la faccio al padre e alle responsabilità che continuava ad addossargli.

La lista è così infinitamente lunga. 

Rimane in silenzio (ma lo tira più vicino, e lo bacia, e spera che possa essere una risposta, in qualche modo) fino a quando la mano di Castiel non s’infila tra le sue gambe strappandogli un gemito, e s’impone di non pensare – almeno per quel momento, almeno per quella notte – alle tante, troppe parole che ha taciuto.

*

‘Ehy, tutto okay?’

*

In fondo, il bunker non è casa sua. Il fatto che ci sia la sua roba sparsa in giro (Dean vorrebbe non sentire le viscere attorcigliarsi ogni volta che adocchia la cravatta adagiata sullo schienale della sedia, o lo spazzolino posto accanto a quello suo e di Sam, o la tazza che era solito usare a colazione) non significa nulla. Assolutamente nulla.

Castiel non appartiene a quel posto, e se gli è piaciuto pensare che fosse arrivato a sentirlo suo, in qualche modo (in un modo che avesse a che fare con lui e con loro due), non può imputargli la colpa.

Non ha mai ricevuto promesse. Castiel non gli ha mai detto che sarebbe rimasto per sempre.

“Tutti quelli che conosci, tutti quelli che ami, saranno morti. Tutti, tranne me. Sono io quello cheti vedrà distruggere il mondo.”

Più se lo ripete, più forte quella frase gli rimbomba in testa a mo' di smentita.

*

“Credo che ce l’abbia con te.”

Lucifer ha accesso a tutto: pensieri, ricordi, emozioni.

Castiel ha provato a nasconderglieli, a sigillarli nei recessi della propria coscienza per renderglieli inaccessibili. Non è servito, e adesso ogni scampolo di memoria è sporcato dal suo sguardo, infettato dal veleno che sprizzano le sue parole.

“È spiacevole essere ignorati, sai?”

È completamente alla sua mercé – ed è stato lui a sceglierlo.

“Pensa che è niente a confronto di quello che proverà quando scoprirà la verità” Castiel sente una smorfia sprezzante deturpargli il viso, aprirglielo in due come una crepa “Non smetterà mai di odiarti per quello che hai fatto.”

Vorrebbe poter credere che si tratta solo dell’ennesima bugia che il diavolo si è divertito a modellare.

*

“Non ti fai sentire per giorni, poi salti fuori e vieni qui a spaccare tutto?”

“Mi dispiace.”

Dean si aspetta che Castiel aggiunga qualcosa – una spiegazione, o la promessa di non scomparire di nuovo. Non lo fa, e Dean manda giù il grumo di delusione che gli si forma in gola.

“Che stai facendo?”

“Sto cercando un incantesimo, qualcosa per stanare Amara. Non riesco a trovare nulla” Castiel percorre con sguardo desolato il pavimento ricoperto di libri “L’ho avuta a portata di mano, era ferita. Avrei dovuto finirla lì.”

A quelle parole, qualcosa dentro di lui si smuove, risvegliando l’angoscia e l’inquietudine che l’assenza di Castiel l’aveva portato ad accantonare. “Dire di voler uccidere qualcuno è una cosa, farlo davvero è un’altra.”

“Cosa intendi?”

Poteva essere l’ennesimo segreto ostinatamente nascosto, ma Castiel è lì, ad un passo da lui, e non è qualcuno di cui debba temere il giudizio, qualcuno rispetto al quale abbia un ruolo da ricoprire – il figlio da addestrare, il fratello da cui prendere esempio, il cacciatore in cui riporre le proprie speranze per avere salva la vita. Per Castiel è solo e soltanto Dean, e questo rende le sue sconfitte meno difficili da ammettere.

“Ho avuto due possibilità di uccidere Amara. Ho fallito entrambe le volte.”

Parla, racconta, confessa la verità e quanto gli faccia paura. Anche essere vigliacchi è più semplice, quando non hai aspettative da deludere.

“La prossima volta che l’affronterai non sarai da solo.”

“Grazie, Cas.”

Dean si concede di credere che, forse, le cose non sono davvero cambiate.

*

‘Hai lasciato qui il trench. Non credevo che fossi capace di andare in giro senza.’

*

Data la buonanotte a Sam, Dean si posiziona davanti al pc invece di andare a letto. Si lancia nell’ennesima ricerca infruttuosa sull’Oscurità, in modo da potersi dire che è per quello che è rimasto in piedi. Che non sta assolutamente aspettando.

(Il fatto che tenda l’orecchio ad ogni minimo rumore, nella speranza che si tratti di passi, rende piuttosto difficile convincersene.)

Sono le sette del mattino quando chiude il portatile con un gesto nervoso, gli occhi stanchi ed una rassegnazione rabbiosa che lo corrode più della notte passata in bianco e dell’indolenzimento che gli atrofizza gli arti per le troppe ore trascorse ritto sulla sedia.

Che le cose non siano cambiate è un’illusione in cui non è più disposto a credere.

*

Resta sveglio anche la notte dopo, e quella dopo ancora.
I passi continuano a non risuonare.

*

‘Sam ha chiesto di te.
Credo che senta la tua mancanza.
È la solita ragazzina.’


*

Dean ingoia l’orgoglio e decide di telefonargli, malgrado la fatica che gli costa. Anche questo lo spaventa: fin dove è disposto a spingersi per lui. Castiel l’ha portato a demolire muri dietro i quali si era rifugiato per una vita intera, a scoprirsi come non aveva fatto per nessuno; a mostrare cose che avrebbe preferito nascondere persino a se stesso.

“Io ho bisogno di te.”

“Ehy, Cas.” Si sforza di ignorare il silenzio distaccato che proviene dall’altra parte, di non ascoltare il brutto presentimento che sente risuonare al suo interno “Claire ha bisogno d’aiuto, io e Sam andiamo a vedere di cosa si tratta. Pensavo che potresti unirti a no--”

“Non posso.” Il rifiuto arriva perentorio, e non presenta traccia di dubbio o di rammarico. “Sto seguendo una pista importante.”

Dean s’impone di non lasciar trapelare nulla - per quanto ci provi, non riesce ad impedire alla delusione di farlo esitare per un momento. “Okay.” Il silenzio perdura, diviene improvvisamente assordante. “Sarà per un’altra volta.”

Riattacca senza dargli il tempo di replicare – o, almeno, è quello che gli piace pensare. In realtà, dubita che Castiel fosse interessato ad aggiungere altro.

*

Dean non solleva lo sguardo dal libro che sta consultando: non ne ha bisogno per sapere che Sam lo sta fissando.

“L’hai chiamato?”

“Sì” stringe le dita attorno al collo della bottiglia, butta giù una lunga sorsata “Non verrà.”

“Dean.” Se non fosse deciso a tenerli incollati alla pagina, Dean roteerebbe gli occhi al soffitto. Conosce fin troppo bene quell’inflessione - sa a cosa fa da preludio. Peccato che parlare dei suoi sentimenti davanti ad una birra sia l’ultima cosa che desidera. “C’è qualcosa che non va? Tra di voi, intendo. Se vuoi--”

“Parlarne?” Poggia la bottiglia sul tavolo. Si accorge d’averlo fatto con irruenza soltanto per via del tonfo che risuona quando il fondo impatta contro la superficie. “Non si fa vedere né sentire: non c’è niente di cui parlare.”

Pur mantenendo il capo chino, riesce ad adocchiare lo sguardo compassionevole che Sam gli rivolge. Lo detesta  – detesta il fatto di apparire così palesemente ferito da dover essere commiserato.

“Dev’essere impegnato con le ricerche.”

“O magari ha qualcosa di meglio da fare di starsene qui.” La birra è finita, ma Dean ha ancora bisogno di bere. “Vado a prendermene un’altra.”

*

Non dovrebbe importargli che sia San Valentino – non gli importa, in realtà. Se lo fa è colpa dell’alcol. Altera la sua scala di priorità, evidentemente.

(Peccato che fosse sobrio quando ha cominciato a bere e che l'abbia fatto proprio pensando che è San Valentino e che i messaggi senza risposta continuano ad aumentare, insieme ai giorni in cui Castiel non mette piede al bunker. Ma è stato l’alcol a correlare le cose. È sicuramente stato l’alcol)

Non gli importa che sia San Valentino.

Non gli importa, per questo tira fuori dal frigo un’altra birra e la butta giù tutta d’un fiato.

Lui e Castiel non sono quel tipo di coppia. Probabilmente non sono affatto una coppia, a dispetto delle illusioni che si era costruito al riguardo.

(“Ti amo” sono solo parole, puoi pronunciarle senza sentirle. Senza che significhino davvero qualcosa.
Sono solo parole, eppure lui non è riuscito a dirle. Forse se l’avesse fatto—)

È l’alcol. È colpa dell’alcol se è San Valentino e lui se ne sta lì a bere e a ricordare e a pensare e ad attendere una telefonata che non arriverà.

È colpa dell’alcol; e dire che aveva creduto potesse fungere da rimedio. 

Dean si allontana dal frigorifero, afferra le chiavi dell’Impala e guadagna l’uscita barcollando appena. Forse è troppo ubriaco per guidare, ma non importa.

Non gli importa nulla.

*

Quando apre gli occhi, è a casa. Schiantato sul divano, a quanto pare.

Non ha idea di come abbia fatto a tornarci, ma ci è riuscito e, di conseguenza, il resto diventa un dettaglio assolutamente trascurabile.

Potrebbe aver vomitato. Non ne è sicuro. L’unica cosa di cui è certo è che se non prenderà immediatamente qualcosa per fermare i tamburi che gli martellano contro le tempie la testa finirà per scoppiargli.

Si solleva a fatica, si appoggia al bracciolo più vicino quando lo stordimento lo fa traballare. Non è abbastanza lucido da reggersi in piedi saldamente, ma lo è abbastanza da assecondare l’istinto di tirare fuori il cellulare dalla tasca.

Non ci sono messaggi in arrivo (non che si aspettasse qualcosa di diverso) ma, in compenso, il numero degli sms inviati è più alto di quanto ricordasse.

Giurerebbe di non averne mandati nelle ultime ore, ma in quel momento non ritiene la propria memoria una fonte particolarmente affidabile.

‘È per qualcosa che ho fatto? Ce l’hai con me? Per questo sei sparito?’
‘Sei un figlio di puttana.'
‘Di che colore sono le tue ali? Vorrei vederle. Ho sempre voluto vederle.’
‘San Valentino fa schifo.’
‘Non è a Sam che manchi. Non solo, almeno.’
‘fanculo.’

“Merda.”

Ubriacarsi è stata davvero un’idea del cazzo.




 
«Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita. Dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo.»
- O. Fallaci
 

“Ha detto che voleva rendersi utile.”

Utile.

La parola si ripete più e più volte nella sua testa prima di prendere significato. A Dean sembra quasi di riuscire a vederla mentre si scompone e si ricompone all’infinito, le lettere che s’incastrano come i tasselli di un mosaico raffigurante un’immagine troppo sbagliata perché possa accettarla.

“Come fai a sapere che era davvero lui? Magari Lucifer--”

“So riconoscere Cas, Dean.”

La risposta è salda e definitiva, come soltanto le certezze sanno essere, eppure non basta a persuaderlo.

Sam può essersi sbagliato. Il diavolo sarebbe in grado di ingannare chiunque.

Non sa se sia quello che pensa o quello in cui ha bisogno di credere.

*

“Voleva rendersi utile.”

Le parole di Sam gli si infilano nella carne come schegge acuminate, riportano a galla  ricordi vecchi ma straordinariamente vividi - un vicolo buio, l’impatto contro il muro, la furia cieca vomitatagli addosso.

“Io ho dato tutto per te e tu mi ricambi così?”

È stato ad un passo dal commettere un errore di cui l’umanità intera avrebbe pagato le conseguenze, ma Castiel glielo ha impedito.

Se solo fosse stato in grado di fare lo stesso.

Se solo avesse saputo dimostrargli che, per lui, vale molto più averlo accanto che al servizio di una causa.

Se solo l’Oscurità non fosse stata liberata a causa sua.

Se solo---

*

Prende posto sul bordo del letto, inspira forte e ad occhi chiusi. Si sforza di scacciare le parole di Sam e i dubbi e le paure che gli hanno instillato.

“Cas. Ascoltami bene.”

Non è mai stato un tipo da preghiere – non lo è nemmeno adesso. Eppure.

“Devi combatterlo, okay? Hai sempre combattuto. So che puoi farlo anche stavolta.”

S’interrompe, quasi attendesse una risposta. Il silenzio che lo accoglie getta acqua sul fuoco delle sue illusioni.

“Non ti abbonderemo, ma tu non arrenderti.” Osserva il vuoto davanti a sé. Non è molto diverso da quello apertoglisi dentro. “Per favore.”

*

Aspetta che Sam non sia in casa per entrare nella stanza di Castiel. Se fosse presente lo interpreterebbe come un modo per metabolizzare quel che è accaduto o un comportamento da vedevo, o altre stronzate di quel tipo che Dean non intende subirsi.

(Avrebbe ragione, probabilmente, ma se non è lì a farglielo notare può far finta che non sia così)

In qualche modo, vederla vuota rende tutto un po’ più reale e meno difficile da credere – non da accettare, né da capire, ma è pur sempre qualcosa.

Il trench giace sulle lenzuola sfatte, e Dean vi si sente attratto come il ferro da un magnete. Si avvicina al letto e si china per percorrerlo con una specie di carezza, affonda le dita tra le pieghe della stoffa sgualcita.

La sensazione di bagnato sulla pelle è l’unica cosa che manca per completare il déjà-vu.

*

Ogni espressione di Lucifer è una nota stonata sul volto di Castiel, una maschera deforme che ne distorce i tratti e li stravolge, trasformandoli in qualcosa che Dean stenta a riconoscere. Persino le iridi sembrano colorate di una diversa sfumatura di blu, forse a causa del luccichio sinistro che le illumina.

Come ha potuto non rendersene conto.

“Lascialo andare.”

“Non è così che funziona” Lucifer gli si avvicina, un sorriso mellifluo a piegargli la bocca “Ho ottenuto il permesso, e nessuno sta provando a mandarmi via.”

Dean gli si scaglia contro e lo spinge verso la parete. Lucifer non oppone resistenza, gli consente persino di puntargli la lama alla gola. “Che aspetti? Lui starà a guardare mentre lo fai.”

La frustrazione rende la sua presa meno salda, fa tremare le dita contro il bordo dell’impugnatura. “Non ti avrebbe mai detto sì.”

A giudicare dall’espressione che ostenta, Lucifer deve trovare la sua ostinazione uno spettacolo estremamente spassoso. “E va bene” dice, con finta condiscendenza “Se non credi a me, forse crederai a lui.”

È un attimo, e Dean si ritrova a fissare gli occhi in cui è abituato a perdersi. Il senso di colpa che vi è scolpito lo colpisce come uno schiaffo in pieno volto. Sarebbe una risposta sufficiente se non avesse bisogno di un ultimo, disperato tentativo di provare a negare la realtà.

Abbassa la lama, raccoglie il coraggio necessario a tirare fuori una preghiera destinata a non trovare accoglimento. “Dimmi che non è vero." L’illusione si sgretola nel momento stesso in cui le dà voce. Suona così patetico persino alle sue orecchie. “Cas--”

Lo sguardo triste che gli viene rivolto è la conferma di cui non aveva realmente bisogno – quella che non avrebbe mai voluto ricevere. “Mi dispiace.”

Nell’esatto momento in cui le parole gli scivolano via dalle labbra, il viso di Castiel torna ad essere quello di Lucifer – un’ombra scura a velargli lo sguardo, sulle labbra un ghigno che sembra provenire dalle profondità stesse dell’Inferno.

Dean non ha abbastanza prontezza di riflessi per opporsi quando viene afferrato per la gola.

“Contento?”

Lucifer inverte le posizioni e lo sbatte contro la parete, lo solleva appena in modo che non riesca a toccare terra.

“Perché è così difficile da credere?” la presa si fa più ferrea, blocca fino all’ultimo scampolo di respiro “È colpa tua se ha perso tutto, è colpa tua se è arrivato a questo” Dean lascia cadere la lama per raggiungere le mani di Lucifer attorno al suo collo, prova ad allontanarle senza riuscirci “Ma tu eri troppo occupato a preoccuparti di te stesso e dei tuoi problemi per accorgerti che stava andando in pezzi.”

La stretta si allenta all’improvviso; l’aria torna lentamente a riempirgli i polmoni.

Una smorfia si disegna sul volto di Lucifer mentre la morsa continua a scemare. Dopo quella che pare una lotta contro una forza invisibile, molla la presa con un verso contrariato.

Dean crolla sul pavimento, la gola in fiamme e le parole del diavolo che s’insinuano sempre più in profondità, gli scivolano dentro come veleno e scavano, fino a raggiungere il cuore.

È colpa tua.

Il pensiero gli si era conficcato nella testa nell’esatto momento in cui Lucifer si era rivelato al bunker, diventando un tarlo con cui fare i conti giornalmente.
  
Adesso che ha preso forma gli appare ancora più vero.

“Sei un osso duro, Castiel; questo devo concedertelo.”

Lucifer flette il braccio, stira le dita più e più volte come ad assicurarsi d’avere il controllo su di esse. Dopo averlo appurato si china al suo fianco e gli afferra la mascella per costringerlo a guardarlo  – sa cosa significa per lui incontrare quegli occhi e vederci quelli del diavolo.

“Sai qual è la cosa divertente?” la smorfia beffarda che accompagna la domanda è quanto di più lontano da Castiel possa esistere “Che nonostante tutto, se usassi le sue mani per ucciderti non se lo perdonerebbe mai.”

Lucifer scompare, si dissolve in un frullio che riverbera nell’aria per qualche istante prima di spegnersi del tutto.

Paradossalmente, adesso respirare è ancora più difficile.

*

Chuck ha un bel po’ di cose da spiegargli – come faccia ad essere vivo, ad esempio, e dove diavolo sia stato per tutti quegli anni. Magari anche quando, come e perché è diventato il messaggero ufficiale di Dio.

“Che fine farà Lucifer?”

“Verrà rispedito nella gabbia.”

Non ora, però.

“È garantito?”

“Non hai motivo di dubitarne.”

Ora è il momento della resa dei conti.

“A parte gli otto anni di assenteismo reiterato, intendi?”

“Dean--”

“Sta' zitto Sam.”

“Ha sconfitto l’Oscurità; farà lo stesso anche con il diavolo1.”

Si fida di Chuck, ma non di un dio che ha lasciato l’umanità in balia del suo destino ogni volta che le si è presentato un pericolo – che ha permesso che Mary bruciasse sotto quel tetto; che ha lasciato morire Jo ed Ellen e Bobby e Kevin e Charlie; che non si è opposto quando Castiel--

“Lui deve uscirne indenne, intesi?”

“Puoi stare tranquillo.”

In quel momento, Dean non ricorda nemmeno cosa significhi esserlo.

*

Dio mantiene la parola. Non serve a riabilitarlo, a cancellare l’indifferenza che ha ostentato durante tutti quegli anni, ma Castiel è salvo ed è l’unica cosa che a Dean interessa, l’unica a cui ha pensato quando gli si è accasciato tra le braccia prima di perdere i sensi.

“Quanto gli ci vorrà per riprendersi?” domanda, e rivede davanti agli occhi il modo in cui il suo corpo si contorceva durante il rito, rivive le urla disumane che sferzavano l’aria e fendevano i timpani – urla ferine, primordiali, fatte di tutto il male compiuto dagli uomini nel corso della storia. Era la voce del diavolo, ed è sicuro che la sentirà risuonare a lungo nei suoi incubi.

“Non sono in grado di dirlo, ma lo farà. Presto.”

Si chiede se farà da sottofondo anche a quelli di Castiel - se ne stia avendo uno proprio in quel momento o se sia immerso in una catalessi senza sogni.

“Dovete solo--”

“Se stai per dire ‘avere fede’, sappi che ti arriverà un pugno dritto sui denti.”

“--pazientare.”

Aver rivisto Chuck è l’unico aspetto positivo di tutta quella storia.

*

Castiel apre gli occhi e incontra il buio - lo stesso buio che l’ha divorato dopo aver detto sì, lo stesso da cui è stato inghiottito quando Lucifer è stato strappato via dal suo tramite.

Prova a spostarsi, con cautela, il timore irrazionale che il diavolo torni a rubargli il controllo del suo corpo a mozzargli il fiato e a rallentargli i movimenti. Realizza d’esser steso su quello che suppone essere un letto, riscaldato da una coperta sdrucita il cui odore è talmente familiare che non gli occorre luce per riconoscerla.

Stende una gamba, stringe le dita a pugno – riesce a farlo, e il sospiro di sollievo che rilascia risuona come un frastuono nel silenzio assoluto in cui il bunker è avvolto.

Sa di essere a casa. Lo sa per un istinto che ha ben poco a vedere con la sua natura angelica, per il senso di pace che lo riempie, per la pendenza che piega lateralmente il materasso – non che ne avesse bisogno per accorgersi della presenza di Dean. È qualcosa che ha imparato ad avvertire molto tempo fa.

Castiel segue la traiettoria che l’inclinazione disegna fino a quando non gli sfiora il viso con la punta delle dita. Ritrae la mano, improvvisamente incerto, esita a lungo prima di tornare a toccarlo. Non è sicuro d’averne ancora il diritto.

Se c’è una cosa che ha imparato (se c’è una cosa che Dean gli ha insegnato) è che ogni scelta ha un prezzo. Quello da pagare per essersi concesso al diavolo non può che essere insopportabilmente alto.

“Non smetterà mai di odiarti.”

Gli accarezza la guancia, piano, come se potesse portare via almeno una parte del male che gli ha fatto.

*

Avere Sam accanto è straordinariamente confortante. Lo è il sorriso con cui lo accoglie quando apre gli occhi, la mano che gli tiene sulla spalla mentre gli parla. Gli trasmette una serenità che non provava da tanto, troppo tempo.

Sam è un amico prezioso, e Castiel è felice che sia lì. Mentirebbe, però, se negasse che la gioia è intaccata dall’assenza che aleggia tra di loro come uno spettro. Non ha bisogno di spiegazioni per sapere a cosa sia dovuta. Sam non vi fa cenno, probabilmente per non acuire la delusione che ha stampata in viso. Il fatto che la ritenga una punizione che merita non la rende meno difficile da scontare.

“Non si è mosso da qui per l’intera settimana. Gli ho proposto di darci il cambio, ma non ha voluto saperne.”

Sa che è vero, ma sa anche che è soltanto una parte della storia. Sa perché Sam preferisce omettergli il resto.

“Gli passerà. Dagli un po’ di tempo.”

Castiel vorrebbe davvero che bastasse.

*

Alla fine, è Castiel ad andare da lui.

È così ovvio, e così terribilmente sbagliato.

“Come stai?”

Sbagliato come il fatto che riceva questa domanda anziché porla.

“Non sono io ad essere stato posseduto dal diavolo.”

Castiel tace, e Dean evita accuratamente di guardarlo. È dal lato opposto della stanza, ma gli appare infinitamente più distante.

“Dean?”

“Ti ho pregato” gli dice, continuando a tenere gli occhi bassi, e il tono tradisce il risentimento che si era proposto di nascondere “Ti ho chiesto di non arrenderti.”

“Lo so.”

La risposta rievoca radure infestate da mostri ed ombre, notti insonni trascorse ad attendere un segno che non sarebbe arrivato. È sale su una ferita mai rimarginatasi del tutto.

“Lo immaginavo. Ignorare le mie preghiere è un’abitudine per te.”

Solleva lo sguardo soltanto adesso, giusto in tempo per vedere l’accusa trapassarlo come una lama.

Vorrebbe che il senso di colpa non lo rendesse così crudele. Vorrebbe non aver bisogno di sfogare il dolore facendo male ad entrambi.

“Perché—

--mi hai abbandonato hai creduto di non essere importante di non valere abbastanza che ce l’avrei fatta senza di te che---

“—gli hai detto sì?”

Glielo chiede malgrado non esista una risposta in grado di soddisfarlo, né una ragione che sia una giustificazione.

“Era l’unico modo per sconfiggere l’Oscurità.”

“Potevamo trovare un’altra soluzione.”

“Sai che non è vero.”

Lo sa. Sa che non ne sarebbe stato capace, come non è stato capace di controllare il Marchio in precedenza.
Sa che i rischi che Castiel ha corso sono stati frutto dei suoi fallimenti.

“È colpa tua.”

“Quindi volevi sacrificarti per salvare il mondo? Volevi fare il martire?”

Sa anche che trasformare i suoi sbagli in accuse è l’unico modo che ha per impedirgli di schiacciarlo.

“Dean” nel suo nome riecheggiano tutte le parole che non vuole sentirsi dire – tutte quelle che non ha il coraggio di ascoltare “Quello che Lucifer ti ha detto--”

“Non si tratta di quello che ha detto. Si tratta di quello che hai fatto.”

In realtà, si tratta del suo egoismo e di paure che non è mai stato in grado di dissipare. Paure che con Castiel era convinto non fosse necessario avere.

“Potevi non tornare. C’hai pensato?” La mortificazione che trova nei suoi occhi è l’ennesima cicatrice incisagli sul cuore dal rimorso. “Ma forse non t’importava.”

*

Dean intravede una pila di abiti ammassati sul letto attraverso la porta socchiusa. La spalanca, e un borsone si aggiunge alla visuale.
La domanda gli sfugge dalle labbra prima che abbia il tempo di ingoiarla. “Te ne vai?”

Castiel fissa la maglia stretta tra le sue dita. Dean ha l’impressione che stia studiando la risposta da fornirgli. “Pensavo fosse quello che volevi.”

Quello che vuole non potrebbe essere più diverso da questo, ma non ha importanza.

Quello che vuole non cambierà l’esito di una storia che ha già vissuto mille volte.

(“Prima o poi tutti mi lasciano”)

Che lo voglia o no non fa differenza – non l’hai mai fatta.

“Io…” deglutisce, a disagio, e soffoca le parole che vorrebbe dire davvero – non farebbero alcuna differenza “…credo sia la cosa migliore.”

Un’ombra passa sul volto di Castiel prima che torni a dedicarsi al mucchio sul letto.

*

Il cellulare di Sam continua a squillare, imperterrito. Lo fa troppo a lungo perché Dean possa far finta di non sentirlo – sarebbe la cosa migliore, quella che una parte del suo cervello gli suggerisce di fare, ma si tratta della parte razionale, la stessa che è solito ignorare quando è in procinto di prendere una decisione, e nemmeno questa volta le darà ascolto.

Raggiunge la camera del fratello e trova il cellulare sul comodino, dove deve averlo dimenticato prima di uscire – sarebbe stato il suo turno di andare a fare la spesa, ma non aveva alcuna voglia di mettere piede fuori casa e Sam ha accettato di sostituirlo dopo qualche debole protesta.

Lo definirebbe uno scherzo del destino, se nel destino credesse e avesse voglia di parlare di scherzi in quel momento.

Sa chi sia ancor prima di afferrare il telefonino (Castiel e Sam si sentono, ogni tanto, e a lui potrebbe esser capitato di origliare stralci di conversazione – in modo del tutto involontario), ma la consapevolezza non basta ad evitargli il colpo al cuore quando visualizza il nome lampeggiante sul display.

Risponde, imponendosi di non riflettere su cosa lo spinga a farlo – di fingere che non gli manchi il suono della sua voce, perché ammetterlo significherebbe doverne prendere atto, e lui preferisce lasciare che le cose lo logorino dall’interno piuttosto che farle emergere e doverle affrontare.
Preferisce dirsi che--

“Sam?” La morsa che gli avviluppa lo stomaco è così forte da far male, e lo pietrifica. È passato un mese dal giorno in cui Castiel ha varcato la soglia del bunker eppure, in quel momento, gli sembra un’eternità. “Sam, mi senti? Sam?”

Chiude la chiamata appena riesce a riscuotersi. Meglio non darsi il tempo di dire cose di cui potrebbe pentirsi.

*

Sapeva che prima o poi sarebbe successo – lo sorprende che siano dovuti passare due mesi, prima che accadesse.

“Potremmo chiedere aiuto a Cas.”

Sapeva anche che Sam avrebbe utilizzato un caso come pretesto. Era tutto straordinariamente prevedibile.

“Non ce n’è bisogno.”

“Hai altre opzioni?”

“Chiedere a lui non è un’opzione.”

“Lasciamo il caso irrisolto perché tu sei arrabbiato con l’unica persona che potrebbe darci una mano?”

“Adesso sarebbe colpa mia?” Non può impedire al suo tono di aumentare di volume, né ai palmi di sbattere contro il tavolo. “Forse ti è sfuggito quello che ha fatto.”

“Non mi è sfuggito, Dean. Lo so benissimo, ma a differenza tua non l’ho presa sul personale.”

L’accusa stronca sul nascere ogni tentativo di replica. È un attacco da cui è incapace di difendersi. “Chiamarlo pure, se vuoi.” Si alza, sostiene lo sguardo di Sam con la mascella serrata. “Ma te ne occuperai da solo.” 

Cedere non è un’eventualità che intende considerare.

*

Razionalmente, sapeva che andare a caccia da solo si sarebbe rivelata una pessima idea. C'era una voce nella sua testa che continuava a ripeterglielo, dannatamente simile a quella di suo fratello, ma Dean ha fatto quello che fa ogni volta che si trova a un bivio tra la scelta più saggia e quella più autolesionista; l'ha ignorata, imboccando deciso la seconda strada.

E ora ne paga le conseguenze.

Se Sam ci fosse stato, avrebbe visto arrivare il wendigo e l’avrebbe avvertito mentre veniva attaccato alle spalle.

Se Sam ci fosse, lo aiuterebbe a raggiungere l’auto e a bloccare l’emorragia.

Ma Sam non c’è.

Dean si tampona la ferita e grugnisce per la fitta di dolore che lo attraversa. Non vuole davvero sapere quanto sangue abbia perso – abbastanza da inzuppargli la maglia ed offuscargli la vista, abbastanza da rendere i pensieri difficili da riordinare. Soltanto uno si delinea con chiarezza nella sua mente, assume sembianze dolorosamente familiari prima di dissolversi.

Chiude gli occhi, e si sforza di respirare. Quando li riapre, si ritrova davanti la stessa immagine creatasi nella sua testa – sfocata, ma infinitamente più reale. Non può non pensare che si tratti di una proiezione.

Capisce di star sbagliando nel momento in cui avverte un tocco leggero premere contro l’addome.

“No.” Il sussurro è talmente fioco che Dean non è sicuro di averlo emesso davvero – non vuole che lo salvi, non vuole che accorra quando ne ha bisogno come se non fosse cambiato nulla. Non vuole niente da lui. “Cas—“ Gli afferra il polso, lo stringe debolmente. “Non--”

“Posso lasciare che mi odi, ma non che tu muoia.”

La grazia gli scorre dentro, ristorandolo come linfa vitale. Il dolore impiega pochi attimi a svanire.

La mano di Castiel è ancora lì, anche se ha smesso di pressare la ferita ormai rimarginatasi. Dean l’allontana bruscamente e si solleva.

Non incontra il suo sguardo nemmeno per un istante.

“Dov’è Sam?”

“Non te l’ha detto l’ultima volta che vi siete sentiti?”

“Sei solo?”

“Non ho bisogno della baby sitter.”

“Dean--”

“Non ho bisogno di te.”

Dean si volta, e prende a camminare. Non ha idea di dove abbia lasciato l’Impala, ma allontanarsi è l’unica cosa che desidera.

*

L’espressione con cui Sam lo accoglie è fatta di puro sollievo. “Che fine avevi fatto?”

“Come se non te l’avesse già detto.”

L’insinuazione la fa mutare, rendendola torva e accigliata.

“Non riuscivo a rintracciarti. Gli ho telefonato perché non sapevo che altro fare. Quando mi ha richiamato, ha detto che stavi bene e che saresti tornato presto.”

Dean corruga la fronte, in attesa di un proseguio che non arriva. “Soltanto questo?”

Sam lo squadra prima di annuire, e Dean può vedere nei suoi occhi tutte le domande a cui non sta dando voce. “Sì.”

Castiel ha lasciato che fosse lui a scegliere la versione dei fatti da fornire. Non dovrebbe esserne sorpreso. In tutti quegli anni non l’ha mai messo in situazioni scomode, non l’ha mai obbligato ad affrontare i fantasmi da cui preferiva nascondersi.

(Ma l’ha lasciato, esattamente come tutti gli altri, e Dean lo odia così tanto che--) 

“Ho fatto una cosa stupida.”

“Niente di nuovo, dunque.”

Il sorriso che gli strappa fa sorridere Sam a sua volta.

“Puttana.”

“Stronzo.”

Dean raggiunge il frigorifero, e Sam lo segue. Tira fuori due bottiglie e gliene porge una. Si siede e stappa la sua mentre il fratello prende posto di fronte a lui. Sam non pone domande, non lo invita a parlare. Forse è per questo che Dean decide di farlo o, forse, è perché il macigno che gli grava sul cuore comincia a diventare insostenibile.

“Non riesco a non avercela con lui.”

Ed eccolo lì, a parlare di sentimenti davanti ad una birra. 'Fanculo.

“Lo so.” Nella voce di Sam non è intessuta nemmeno l’ombra di un giudizio. Vi risuona soltanto la comprensione di cui ha bisogno. “Anche lui ce l’ha con se stesso per quello che ha fatto.”

Dean scola la bottiglia tutta d’un fiato.

*

A Dean era bastata una lettura superficiale dell’articolo per capire che si trattava di un falso allarme, ma Sam aveva insistito affinché andassero a dare almeno un’occhiata. Alla fine, aveva ceduto, a patto che gli permettesse di occuparsene da solo e rimanesse al bunker a scavare tra i fatti di cronaca per trovare qualcosa che assomigliasse di più ad un caso di qualche rumore sospetto in una vecchia scuola abbandonata.

Adesso che è di ritorno, non vede l’ora di sbattergli in faccia il te l’avevo detto risuonatogli in testa appena scovato il primo ragazzino nascosto tra l’attrezzatura arrugginita.

Mentre procede, un brusio gli arriva alle orecchie. Dean ne segue la scia e arriva davanti alla porta socchiusa oltre la quale si levano le voci – una appartiene a Sam, l’altra è quella di una donna e suona familiare.

Dean si sporge ed incontra il profilo di Eileen. Sa che lei e Sam si sono tenuti in contatto, che lui le ha fornito informazioni utili in un paio di occasioni. Non è sicuro che tutte le volte che si sono visti sia stato per qualcosa di attinente alla caccia, e una parte di lui desidera che non sia così - la stessa che ha sempre voluto per suo fratello una vita all’insegna della normalità e che tutt’ora, in qualche modo, continua a volerla.

“Sam.” Dean rivela la sua presenza spalancando la porta. “Non mi hai detto che avevamo un--”

La prospettiva s’allarga, e svela Castiel in piedi accanto ad Eileen.

Il silenzio che cala è una bolla di sapone che rende tutto irreale ed ovattato. Quando Sam parla, è come se la facesse scoppiare.

“Dean.” Il suo sguardo saetta da lui a Castiel. Se le circostanze fossero diverse, Dean lo prenderebbe in giro per la goffaggine con cui cerca di mascherare l’imbarazzo . “Hai--- fatto presto.”

“Le oscure presenze soprannaturali erano ragazzini che s’intrufolavano nell’edificio di nascosto per giocare. È abbandonato da diversi anni, ma la palestra è ancora in buone condizioni.”

“Avevi ragione.”

“Come sempre.”

Questa volta, è Eileen a spezzare il silenzio. A quanto pare, si sta occupando di un caso per la cui risoluzione il patrimonio degli Uomini di Lettere potrebbe risultare decisivo, e Sam l’ha invitata al bunker per permetterle di consultarlo.

“Ho trovato dei codici che potrebbero esserle utili” Dean segue la traiettoria dello sguardo di Sam quando si sposta per posarsi su Castiel “Ma ci servirà aiuto per decifrarli.”

“Certo” annuisce, in segno d’assenso “Andate pure a prenderli, io e Cas vi aspettiamo qui.” Il disagio sul viso di Sam si trasforma in esitazione. “Eileen è parte della discendenza: ha diritto ad una visita guidata.”

Sam non sembra ancora convinto quando prende a gesticolare in direzione di Eileen, ma, dopo un breve scambio (Dean dovrà farsi impartire qualche lezione di lingua dei segni), si muove per condurla nella stanza in cui i libri sono stipati. 

Dean incrocia le braccia, appoggiandosi alla colonna alle sue spalle – è la stessa contro cui si è lasciato andare il giorno in cui la verità è venuta a galla, e il ricordo basta a provocargli la nausea.

“Quindi fai da consulente ai cacciatori, adesso.” Non riesce a trattenere l’osservazione, né a conferirle un tono meno pungente. Castiel aggrotta appena la fronte, come a volerla studiare.

“Cercavo un modo per--”

“Renderti utile.” Dean tiene lo sguardo ancorato al pavimento. Le parole sono amare come fiele contro il palato. “Lo so.” Ce ne sono altre che grattano sotto la superficie, che chiedono a gran voce di essere dette; le lascia uscire perché, semplicemente, non riesce a tenersele dentro. “Non è mai stato quello che volevo. Non m’importava che fossi utile.”

“Non credevo questo” replica Castiel, risoluto e totalmente sincero, e per un momento, per un solo momento, Dean riesce addirittura a crederci. “So che ti addossi la colpa, ma è stata una mia scelta.”

“Ci sono dei motivi dietro alle scelte che si compiono.”

“Non avevano a che fare con noi.”

“Noi?” sputa la parola con rabbia, come fosse un bolo indigesto, stringe i pugni fino a sentire le unghie penetrare nella carne “Se ci fosse stato un noi non mi avresti--”

Il vocio che risuona oltre la porta lo zittisce. Sam e Eileen appaiono sulla soglia un attimo dopo. Lui sorregge tre grossi volumi impolverati, e a Dean non sfugge lo sguardo apprensivo che gli lancia.

Castiel gli si avvicina e afferra il tomo in cima alla pila, lo sfoglia assumendo un cipiglio assorto.

“Riesci a leggerlo?”

Annuisce, senza staccare gli occhi dalle pagine ingiallite. Sam raggiunge il tavolo e vi poggia gli altri libri.“È un bel po’ di materiale da tradurre. Sarà meglio sistemarsi.”

Dean fissa il manipolo per istante prima di voltargli le spalle e defilarsi.

*

Nove.

È il numero delle occhiate che Sam gli ha lanciato dall’inizio della cena – meno di cinque minuti.

Quando arriva la decima, Dean decide che è il momento di mettere le cose in chiaro. “No, Sam. Non ce l’ho con te.”

L’espressione mortificata che riceva in risposta è incredibilmente simile a quella con cui, tempo addietro, un Sam con diversi anni e centimetri di meno accoglieva i suoi rimproveri. “Non credevo che li avresti trovati qui. Se lo avessi saputo--”

“Va tutto bene.”

Sam lo squadra con sospetto, come fosse alla ricerca della bugia celata dietro alla rassicurazione ricevuta. “Davvero?”

Dean si guarda dentro, provando a rintracciare segni del rancore a cui Sam si aspettava di andare incontro e che lui stesso era convinto avrebbe nutrito. Sorprendentemente, non ne trova. “Davvero.”

*

Non sa da quanto stia fissando il nome di Castiel in rubrica, ma è un lasso di tempo abbastanza lungo da farlo sentire patetico.

Aveva deciso di eliminare il suo numero il giorno in cui aveva lasciato il bunker. È rimasto un proposito inattuato, e non è nemmeno stato l’unico. Sono tante le cose attinenti a Castiel che si era ripromesso di cancellare. 

Potrebbe scrivergli. Sarebbe più facile di parlargli. Potrebbe, ma il timore di essere ignorato (di nuovo, per l’ennesima volta) lo frena. Ripetersi che non è stato Castiel a decidere di non rispondergli non sortisce alcun effetto, perché è comunque colpa sua. Se non avesse preso quella decisione, non sarebbe accaduto. Anche se--

(“Ci sono dei motivi dietro alle scelte che si compiono.”
“Non avevano a che fare con noi.”)

“Ehy.”

Sam gli rivolge un cenno di saluto mentre procede verso il tavolo per prendere posto davanti al computer, e Dean ripone frettolosamente il cellulare in tasca. “Trovato qualcosa di interessante? Stare qui a mangiare schifezze guardando Netflix comincia ad essere noioso.”

“Oltre che dannoso per il tuo fegato” replica il fratello, senza staccare lo sguardo dallo schermo, e Dean rilascia uno sbuffo in risposta. “Eileen mi ha segnalato un potenziale caso. Si tratta di una serie di sparizioni avvenute nelle ultime due settimane. Tutte nei dintorni. Vale la pena d’indagare.”

“Oh. Capisco.” È sicuro che Sam stia soltanto fingendo di non cogliere l’allusività del suo tono. “Dovresti invitarla a cena.”

“Non sei capace di mimare correttamente nemmeno un saluto, non vedo come potresti affrontare un’intera serata senza che la situazione diventi imbarazzante.”

“Fuori, intendevo. E non faccio il terzo incomodo agli appuntamenti.”

Sam è adorabile quando arrossisce.
 
 
«Siamo tutti impastati di debolezze e di errori; perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze.»
-Voltaire
 

“Cas?”

Questa volta è solo, e a Dean basta adocchiarne la postura per capire che non è venuto per qualcosa che abbia a che fare con un caso irrisolto.
Sta aspettando. Lo sa perché è quello che gli ha visto fare per anni - Castiel lo ha sempre aspettato, e non ha permesso a niente e nessuno di farlo desistere.

Non capirà mai perché abbia ritenuto che ne valesse la pena.

“Che ci fai qui?”

Si volta nella sua direzione, e per un attimo Dean è solo dannatamente felice, felice che sia lì, davanti a lui, a guardarlo come se non potesse permettersi di perderlo - ma è solo un attimo, prima di ricordare che l’eventualità che accadesse non l’ha fermato dall’assecondare il diavolo.

“Rispondi.”

Nei suoi occhi c’è qualcosa di diverso dalla volta in cui hanno parlato prima che andasse via, qualcosa che ha sostituito l’arrendevolezza che aveva opposto alla sua rabbia e li ha accesi di un fervore che non era più abituato a vedergli addosso.

“Non volevo ignorarti di nuovo.”

Dean aggrotta la fronte, sente il battito cardiaco accelerare appena. “Non ti ho pregato.”

“Lo so, ma le preghiere non sono l’unica cosa che gli angeli sono in grado di avvertire. È sufficiente un desiderio2.”

Vorrebbe poter replicare anche a questo con altrettanta sicurezza, fingere che non sia stato un pensiero onnipresente, un brusio di sottofondo costantemente distinguibile in mezzo al rumore, ma è una bugia troppo grande perché provi a raccontarla anche solo a se stesso.

In ogni caso, Castiel non gliene dà il tempo.

“M’importava. Tornare da te. M’importava.” Non gli è mai sembrato umano come in quel momento, con tutta quella smania a fremere nella sua voce e la supplica che gli tocca gli occhi prima di arrivare alle labbra “Mi dispiace d’averti portato a credere il contrario. Non pretendo che mi perdoni ma, ti prego, credimi.”

S’accorge soltanto adesso del modo furioso in cui il cuore gli martella nel petto, come se il silenzio amplificasse i battiti all’inverosimile. Gli esplodono nella cassa toracica e gli rimbombano in testa, rendono parlare ancor più difficile di quanto non sia già.

Castiel fa per andarsene senza attendere una risposta – non voleva ottenerne una, non voleva ottenere nulla, ma soltanto regalargli una consapevolezza che lo aiutasse a stare meglio.

Non capirà mai perché ritenga che ne valga la pena.

“Aspetta” riesce a dire, e basta ad inchiodarlo sul posto. “Ti credo.” È la verità, e né il rimorso né il rancore né il dolore sono in grado di cambiarla. “Sei tornato, adesso.” Né il rimorso né il rancore né il dolore possono impedirgli di avanzare la richiesta che si è obbligato a reprimere quando l’ha visto ammucchiare le sue cose in quel borsone. “Non andartene di nuovo.”

*

Probabilmente, in quegli anni, Castiel non ha mai parlato tanto – è quello che ascolta, di solito, e ci riesce anche quando Dean si ostina a tacere.

Parla di suo Padre (di quello che continua a considerare tale nonostante tutto) e della sua scomparsa, che ha vissuto come un fallimento e una sconfitta. Di quanto cercarlo senza riuscire a trovarlo lo abbia fatto sentire inutile ed inadeguato – e Dean può capirlo, può capirlo come soltanto chi porta addosso la tua stessa ferita è in grado di fare.

Parla dei suoi fratelli, di quelli che ha tradito deluso ucciso, dei loro volti alterati dall’odio che continuano ad apparire nei suoi incubi; di quanto speri che possano perdonarlo, un giorno, malgrado sia convinto di non meritarselo – ma rifarebbe ognuna delle scelte che l’hanno portato a perdere la loro fiducia, e Dean può leggere con facilità il sottinteso che la postilla racchiude.

“Tutto quello che ho fatto. Io---”

Vorrebbe potergli dire che il senso di colpa è un fardello che con il tempo s’impara a portare – poterlo fare senza mentirgli.

Vorrebbe avere le parole giuste almeno adesso, almeno per una volta, ma non le ha. Non è nemmeno sicuro che ci siano.

“A volte è così difficile conviverci.”

Così si limita a tenergli la mano, e ascolta.

*

Castiel è tornato nella stanza assegnatagli durante la convalescenza che ha inaugurato la sua permanenza al bunker. Dean sa che lo ha fatto perché non crede che le cose siano tornate come prima; non crede che il posto che occupava gli spetti ancora.

Ha ragione, in parte. Dean non può dimenticare quel che è successo con uno schiocco di dita – se anche volesse, c’è quella crepa che gli spacca il cuore in due a fargli costantemente da monito. Quel che è cambiato (quello che lo ha spinto a chiedergli di restare, quello che sta indirizzando i suoi passi verso la sua camera) è la voglia di provare a ricucire lo strappo.

“Ehy.”

Castiel solleva lo sguardo su di lui; un guizzo sorpreso glielo attraversa.

“Posso?”

“Non hai bisogno di chiedere.”

Dean gli si stende di fronte senza avvicinarsi troppo, si sistema sul fianco per poterlo guardare. Sembra stanco, così terribilmente stanco, e Dean vorrebbe non sentirsi tanto impotente. Vorrebbe saper essere l’ancora che Castiel è sempre stato per lui.

Non ne è capace. Non è la persona forte di cui Castiel avrebbe bisogno in questo momento – non è mai stato forte. Ha imparato a fingere di esserlo proprio per mascherare la carenza.

Un tocco lungo il braccio lo riscuote, lo porta a sollevare il capo e ad incontrare gli occhi di Castiel – sono grandi e blu e riesce a riconoscerli, e il sollievo è così forte che fa fatica a trattenere un sospiro.

“Che pensi?”

“Che hai un aspetto di merda.”

Castiel stira appena le labbra (la crepa sul cuore s’allarga quando s’accorge di non ricordare l’ultima volta che gli ha visto addosso un sorriso. Un sorriso vero. Quello che gli piega la bocca adesso è talmente smorto da non far testo) e se lo fa bastare. Non ha mai preteso di strappargli confessioni che non era pronto a fare, e Dean non gli sarà mai abbastanza grato per questo.

La mano di Castiel risale fino alla spalla e si ferma sull’orlo della sua manica, lo sfiora senza oltrepassarlo.

“Posso?”

“Non hai bisogno di chiedere.”

S’infila sotto la stoffa, combacia con contorni che ormai sono soltanto immaginari – Dean continua a sentirli addosso malgrado siano spariti.

Si è sempre chiesto se Castiel provasse la stessa sensazione di benessere che infonde a lui coprendo la porzione di pelle su cui un tempo era incisa la sua impronta; adesso, mentre vede i suoi occhi chiudersi e i tratti del suo viso rilassarsi, trova la risposta.

*

Il vuoto dall’altra parte del letto è ancor più pesante adesso che quel che occorre per riempirlo dista pochi passi.

Sarebbe così semplice colmarlo.

Così semplice.

*

Sarebbe così semplice, eppure non riesce a farlo. Non ci riesce nemmeno dopo essere sgusciato fuori dal letto e aver raggiunto la sua stanza, durante l’ennesima notte insonne passata con gli occhi incollati al soffitto e un pensiero fisso a martellargli nella testa.

Se ne sta fermo davanti ad una porta che gli appare come un muro invalicabile, oltre il quale si erge un ammasso di errori e colpe e sentimenti con cui non sa fare i conti. Lo tengono inchiodato, privo della forza per compiere l’ultimo, decisivo passo ed affrontarli e di quella per voltargli le spalle e tornare a letto, evitandoli per l’ennesima volta. Entrambe le soluzioni richiedono un coraggio che non possiede.

“Dean.”

Il suo nome risuona all’improvviso e lo immobilizza, frena i pensieri che turbinavano nella sua mente fino ad un attimo prima. In qualche modo, finisce persino per inibire gli scrupoli che lo tenevano incatenato. Ha già sfiorato la maniglia quando oltre la porta si solleva un concerto angosciato di lamenti, ansiti affannati intervallati da parole confuse e smozzicate che Castiel butta fuori nel sonno.

È un tormento che ha agitato le sue notti troppo spesso perché non lo riconosca.

“Dean.”

I mostri che suo padre gli ha insegnato a combattere sono niente a confronto di quelli insinuatisi nei suoi sogni. Rintanati in un cantuccio durante il giorno, gli apparivano davanti agli occhi nell’esatto momento in cui li chiudeva – continuano a farlo, assumendo le sembianze delle persone che ha perso o delle anime che ha torturato all’Inferno, e Dean non sa come dargli la caccia.

“Dean.”

La sua mano ricade come una foglia secca, e lui resta lì, fino a quando l’incubo che porta il suo nome non giunge al termine.

*

È trascorsa una settimana da quella notte quando trova il letto di Castiel vuoto. Il sangue gli si ghiaccia nelle vene, e l’ossigeno che gli riempiva i polmoni sembra essersi improvvisamente prosciugato.

È soltanto l’alba, pertanto, l’eventualità che sia uscito è da escludere. D’altronde, non c’è un posto in cui sarebbe potuto andare. Se anche ci fosse stato, non vi si sarebbe recato senza avvisare.

Forse non aveva una meta. Forse, era semplicemente stanco di star lì a convivere con incubi da affrontare in totale solitudine. Forse---

“Dean?” Dean è invaso da una sensazione di sollievo così intensa che rischia di farlo svenire. Castiel è in piedi sulla soglia, il pigiama indosso ed un cipiglio preoccupato ad increspargli la fronte. “Va tutto bene?”

Dean apre la bocca per replicare, ma non ne esce alcun suono, così si limita ad annuire mentre Castiel compie qualche passo nella sua direzione. Quando finalmente riesce a parlare, la vergogna lo fa incespicare nelle parole e gli fa abbassare lo sguardo. “Io credevo--- Credevo che tu---”

Lo scalpiccio si arresta all’improvviso e, nello stesso momento, Dean avverte un tocco leggero contro il mento. Castiel gli solleva il viso, piano, e Dean deglutisce così forte che il rumore gli sembra rimbombare tutt’intorno. Non ricorda l’ultima volta che sono stati così vicini, l’ultima volta che ha sentito il respiro di Castiel infrangersi contro la pelle.

“Dean” dice, con fermezza, come a volerlo rivendicare, e lui insegue con lo sguardo la curva che il suo nome gli disegna sulle labbra. “Non vado da nessuna parte.”

Dean si aggrappa a quelle parole con tutta la forza di cui è capace.

*

Sam fissa il panorama che si staglia oltre il finestrino con una mano a sorreggergli il mento. Ha il braccio ricoperto di abrasioni che Castiel farà sparire appena saranno a casa. Le sue, invece, gli resteranno addosso fino a quando il tempo non le avrà cancellate – ci sono cose per cui non è ancora pronto e Sam l’ha capito, tant’è che ha evitato di insistere quando, al rientro dalla prima caccia seguita al ritorno di Castiel, è filato dritto in camera sua con gli abiti insanguinati e una lunga scia di silenzio alle spalle.

Dean segue la strada che si snoda dinanzi a sé, la insegue con lo sguardo per avere qualcosa su cui concentrarsi mentre la domanda prende faticosamente forma. “Cas ti ha mai…parlato, di quello che è successo?” Le dita strette attorno al volante tremano appena – esattamente come allora, nello sforzo di non assecondare il Marchio che gli ordinava di calare la lama. Per un momento, gli sembra persino di poter sentire il sangue appiccicato alla pelle. “Quando mi ha raggiunto al bunker. Quando--”

“Sì.” Sam continuare a scandagliare l'esterno attraverso il vetro. “Me ne ha parlato.”

Dean deglutisce, nel tentativo di districare il nodo che gli stringe la gola. “Cosa ti ha detto?”

Sam si sistema sul sedile, poggia la schiena contro la spalliera e ruota il busto quanto basta per incontrare il suo profilo. Dean non sposta gli occhi dall’asfalto.

“Gli avevo chiesto di proteggerti: ha detto che non ne era stato capace.”

*

Quando accende la luce, Castiel si volta nella sua direzione con quello che è simile ad un sobbalzo. Gli occhi bordati da un alone violaceo si accendono di sorpresa nell’incontrarlo.

“Problemi d’insonnia?”

Castiel lo squadra socchiudendo appena gli occhi - sembra accogliere con un velo di diffidenza qualunque cosa gli dica, quasi fosse convinto che dietro ad ogni parola che pronuncia si celi un rifiuto o un’accusa. “Qualcuno.”

Si avvicina, e si siede. Può letteralmente vedere l’aspettativa inquieta di Castiel – nel modo in cui il cui il suo respiro s’appesantisce, in quello in cui si sistema nervosamente sulla sedia.

“Cas.” Inspira, raccogliendo fiato e coraggio. Non intende allungare la lista. Non vuole avere altre cose non dette da rimpiangere. “Quando avevo ancora il Marchio. Quando sei venuto al bunker e io--”

Castiel si rabbuia e lo ferma con un gesto perentorio. “Dean, no. Abbiamo già affrontato l’argomento--”

“No. Non è quello che pensi.” Soltanto in quel momento realizza che il suo bisogno di parlare, probabilmente, è molto più forte di quello che ha Castiel di ascoltare. “Ricordi cosa mi avevi detto? Che tu e Sam—“

“Avremmo trovato una soluzione.”

Il suo sguardo si assenta, si perde a contemplare ricordi che sono piaghe incise sull’anima. La consapevolezza di essere stato lui ad infliggergliele non smetterà mai di fargli male.

“Esatto. E non era vero. Non c’era una soluzione.” Castiel fa per intervenire, ma Dean prosegue senza lasciargliene il tempo. “Credevo di non avere altra scelta. Tutt’oggi sono convinto che non ci fosse un altro modo. Malgrado le conseguenze, non posso dire che mi comporterei diversamente se avessi l’opportunità di tornare indietro.”

Castiel lo fissa, assorto, un miscuglio di sentimenti depositato sul fondo dei suoi occhi.

“Se il patto con Morte fosse andato a buon fine io--”

“Dean--”

“—non sarei qui, adesso. E non ti avevo nemmeno chiesto scusa.”

“Non ce n’era bisogno.” Castiel abbassa il capo, assimila ogni significato che ha conferito alle parole – ogni sottinteso. “Non devi giustificarmi.”

“Non lo sto facendo. Sto solo dicendo la verità.”

Dean si alza, spostando piano la sedia per non fare rumore. Quando raggiunge la sua stanza, si ferma davanti alla soglia ed indugia con la mano stretta attorno al pomello.

“Anch’io non riesco a dormire.” Fissa la porta, l’apre a mo' d’invito. Il calore nello sguardo di Castiel scioglie qualcosa dentro al suo petto, all’altezza del cuore “Ti andrebbe di--?”

“Solo se lo vuoi anche tu.”

“Non te l’avrei chiesto, altrimenti.”

Questa volta, quello che si apre sul viso di Castiel somiglia ad un vero sorriso.

























Note
1 L’Head Canon, ispirato dall’ormai constata presenza di Rob Benedict negli episodi conclusivi della stagione, prevede un intervento risolutivo da parte di Dio che non ho approfondito perché non sapevo che cacchiarola inventarmi la storia era già abbastanza lunga senza che v’infilassi il versante lotta all’Oscurità. Ognuno è libero di immaginare quel che preferisce al riguardo – nella mia testa Dio prima le ha fatto esplodere le tette e poi ha fatto esplodere lei in toto.
2  “It doesn't have to be a formal prayer. I could pick up on a longing.” (10x10, “The hunter games”)

 
  
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