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Autore: Losiliel    25/03/2016    6 recensioni
Fingon ha deciso di dichiararsi. Ha pianificato una strategia, ha programmato il tempo e il luogo, ha scelto con cura le parole che userà. Nulla è lasciato al caso. E nulla andrà come previsto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fingon, Maedhros
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Los Tales'
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UN ESPERIMENTO MAL RIUSCITO

dedicata a Kanako91



___________________

Findekáno è Fingon
Nelyafinwë (Nelyo) è Maedhros

WARNING per slash… e per eccessiva autoindulgenza dell'autrice (mi sono perdonata tutto, spudoratamente)

Altre note al termine del racconto
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Findekáno, quello che provava l'aveva capito.

L'aveva capito ormai da molto tempo.

Da quel pomeriggio di tanti anni prima, quando lui ancora si poteva definire un giovane Elda che aveva appena varcato le soglie della maturità. Un pomeriggio che, come tanti altri, aveva deciso di trascorrere con il cugino e migliore amico, Nelyo, e che prometteva di essere, se possibile, anche migliore di quelli che di solito passavano insieme.

I genitori di Nelyo, infatti, erano fuori città per qualche giorno e i suoi tre fratelli sembravano non aver bisogno della sua presenza (il piccolo Moryo era stato affidato alla custodia di Kanafinwë e Tyelko era lontano nei boschi) e questo significava avere il cugino tutto per sé. Significava che non ci sarebbero stati: "Nelyafinwë hai terminato quel progetto che ti avevo chiesto", o  "Maitimo ti spiacerebbe andare a cercare Tyelkormo che non lo vedo da due giorni", e neanche "Nelyo, aiutami a staccare Moryo dal braccio di Tyelko" a disturbare le loro attività.

Insomma, si preannunciava un pomeriggio memorabile.

E memorabile era stato davvero, anche se non nel modo in cui se l'era immaginato lui. Infatti adesso era ben impresso nella sua memoria come il momento in cui la sua vita aveva smesso di essere una successione di giorni sereni e spensierati, e si era trasformata in un accavallarsi di situazioni dominate dal dubbio e dalla confusione.

Per dirla con parole più chiare: come il momento in cui aveva scoperto di essere innamorato di suo cugino.

E la cosa peggiore (se poteva esistere una cosa peggiore dello scoprirsi innamorato di un parente prossimo del suo stesso sesso) era che lo svelarsi di questo sentimento non era stato affatto, come dicono i poeti, un improvviso levarsi di canti fino alle porte del cielo o, con parole più prosaiche, un delizioso sfarfallio nello stomaco. Era stato più come… un'onda improvvisa che ti sbatte con forza contro la scogliera dalla quale ti sei appena tuffato, o lo schianto sulla roccia di quando perdi la presa mentre stai scalando (per mantenere le metafore nel campo della sua esperienza).

Eppure tutto era cominciato nel migliore dei modi. Lui e Nelyo si erano seduti sul basso muretto che correva tra le colonne del porticato davanti all'ingresso del Palazzo di Fëanáro, sotto le campanule arancioni di un rampicante che si aggrappava tenace alla facciata dell'edificio. Intendevano dedicarsi a un gioco di strategia che appassionava entrambi, ma che trovavano sempre più difficile praticare perché richiedeva tempo e concentrazione.

La quiete era una cosa insolita nella casa di suo cugino, ma quel giorno il piazzale sul quale si affacciava il palazzo, normalmente percorso da un andirivieni di gente indaffarata, era popolato soltanto dalle splendide sculture che ne delimitavano il perimetro, e l'unico suono che si udiva era il ronzio pigro degli insetti alla ricerca del nettare nei fiori sopra le loro teste.

Findekáno era in uno di quei momenti in cui corpo e spirito vibrano all'unisono di felicità. La tensione della sfida e la gioia di avere un intero pomeriggio da trascorrere col suo migliore amico erano tutto ciò di cui aveva bisogno per sentirsi pienamente soddisfatto. Era uno di quei momenti così perfetti da farti temere che non potesse durare a lungo.

E infatti, non era durato a lungo.

Quando Kanafinwë era uscito dall'ingresso principale, loro non lo avevano neppure notato, impegnati com'erano a osservare la disposizione dei pezzi, con le teste chine sulla tavola da gioco. La partita era ormai a metà del suo corso e la situazione sembrava di parità, ma Findekáno era in procinto di sorprendere il cugino con una mossa decisiva.

Kanafinwë non aveva perso tempo a salutare: – Starete qui ancora per molto?

– Shhh. Non distrarlo. – Nelyo aveva risposto senza nemmeno alzare la testa, – da questa mossa dipende tutta la partita.

Tipico del cugino, cercare di mettergli tensione addosso per fargli perdere la concentrazione. – Ti informo che è un trucco che non funziona più da anni – aveva commentato Findekáno, ma era comunque rimasto col pezzo che stava per muovere in sospeso a mezz'aria.

– Non potete andare a giocare in giardino? – aveva insistito Kanafinwë, mostrando un'insofferenza crescente.

Allora Nelyo si era voltato verso il fratello e l'aveva guardato con attenzione: – Cosa ti preoccupa?

– Tra poco arriverà la nuova insegnante di musica di Moryo – Kanafinwë si era sistemato una ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi si era schiarito la gola e aveva bofonchiato: – Preferirei che tu non fossi qui.

Il tono della sua voce era così imbarazzato che Findekáno, dimentico del pezzo che ancora stringeva tra le dita, aveva alzato la testa incuriosito.

Kanafinwë aveva continuato, tutto d'un fiato: – È bellissima, Nelyo, e dovresti sentire come suona… e non ti puoi immaginare la voce…

Deciso a non farsi rovinare il pomeriggio dall'ennesimo sproloquio su fanciulle, amore e bellezza, che avrebbe potuto durare fino a sera e che comportava, non di rado, anche la composizione di un brano musicale, Findekáno si era subito intromesso: – Sì, sì, il concetto è chiaro, ma cosa c'entriamo noi?

– Lui – aveva precisato Kanafinwë, accennando al fratello. – Cosa c'entra lui. Se lui è nei paraggi, lei non mi degnerà nemmeno di un'occhiata.

– Lo sai che non è vero – aveva risposto Nelyo, distrattamente, ritornando a guardare la tavola da gioco, e Findekáno si era trattenuto dal dire: "permettimi di dubitarne". Anche così, con i capelli disordinatamente raccolti in una treccia che gli cadeva in avanti da sopra una spalla, abiti che sacrificavano l'eleganza in favore della comodità e nessun gioiello a ornare la sua figura, Nelyo avrebbe eclissato senza il minimo sforzo qualsiasi Noldo di Tirion, fratelli compresi.

– E sai anche che non sono interessato alla cosa – aveva concluso il cugino, e con un cenno della mano aveva fatto intendere che la partita poteva proseguire senza altre interruzioni. 

Inspiegabilmente rassicurato da quest'ultima affermazione, Findekáno era tornato a dedicarsi al gioco e avrebbe finalmente posizionato il suo pezzo dove voleva, e la giornata non sarebbe diventata quell'incubo che poi era diventata, se Kanafinwë, puntando il dito contro il fratello, non avesse replicato: – Avevi detto la stessa cosa l'altra volta, e guarda cos'è accaduto con l'insegnante di Tyelko.

Findekáno, di nuovo dimentico della mossa, aveva alzato la testa di scatto: – Cos'è accaduto con l'insegnante di Tyelko? – aveva chiesto, a nessuno in particolare, e col vago sospetto che non fosse la domanda giusta da fare.

Prima che Nelyo potesse rispondere, cosa che peraltro non sembrava intenzionato a fare, considerato che aveva affondato il viso tra le mani e stava emettendo un debole mugolio, Kanafinwë aveva pronunciato le parole che avrebbero cambiato per sempre la vita di Findekáno: – Li ho visti che si baciavano, nel corridoio vicino alle cucine.

A quel punto, al suo interno qualcosa si era inceppato; forse il cuore aveva smesso di battere, oppure aveva semplicemente deciso che lo sforzo di pompare sangue fino al cervello non era più una priorità, in ogni caso la vista gli si era annebbiata e la testa si era improvvisamente svuotata di ogni contenuto.

Anche la sua capacità di percepire i suoni sembrava aver subito un netto deterioramento: in lontananza, come proveniente da un altro mondo (un mondo chiaramente immaginario, perché vi accadevano cose che non avevano alcun senso), aveva sentito la voce di Nelyo che balbettava frasi tipo: "Ero solo un ragazzo", "È successo una volta soltanto", "Era solo curiosità".

Tentando di rimediare all'improvvisa fuga del suo cervello, Findekáno si era sforzato di mettere insieme due parole che avessero un senso compiuto, riuscendo nell'ardua impresa di produrre la frase più stupida che mai Elda avesse pronunciato dal giorno del Risveglio.

– E io dov'ero?

I due Fëanárioni si erano voltati contemporaneamente verso di lui, con la stessa espressione dipinta sul viso, quella di chi si trova di fronte a uno che tutto a un tratto ha perso l'uso della ragione. Cosa che, a onor del vero, non si discostava affatto dalla realtà.

Kanafinwë era stato il primo a riprendersi: – Probabile che tu dovessi ancora nascere, bimbo.

Findekáno era uno che aveva fatto della risposta pronta un'arte. La sua intelligenza vivace, la sua pungente ironia, la sua capacità di giocare con le parole, gli permettevano di ideare battute sempre adeguate alla situazione… ma quella volta la sua abilità non gli era stata di nessun aiuto, perché non era riuscito a elaborare una risposta sagace per reagire alla provocazione.

Non era riuscito a elaborare risposta alcuna, volendo essere precisi. 

Era stato Nelyo a porre fine a quel momento imbarazzante. – Andiamo a finire la partita su da me – aveva detto e, presa la tavola da gioco, con cura, per non far scivolare i pezzi che vi erano disposti, si era alzato ed era rientrato in casa.

Per il resto del pomeriggio non erano più tornati sull'argomento, o forse sarebbe meglio dire che per il resto del pomeriggio non avevano quasi parlato. Il cugino non aveva dato spiegazioni e lui non aveva trovato il modo giusto per chiederne, nello stato di confusione in cui era precipitato.

Da un lato, non riusciva a spiegarsi il motivo per cui Nelyo non avesse voluto condividere con lui questo aspetto della sua vita, quando la loro confidenza era tale che si erano sempre raccontati tutto, e dall'altro, non riusciva a spiegarsi la propria reazione a dir poco sorpresa.

Si era aspettato forse che il cugino non avesse mai avuto esperienze del genere? Casomai avrebbe dovuto stupirsi del contrario: Nelyo era molto più grande di lui, ed era in assoluto la persona più affascinante che avesse mai conosciuto, e non si riferiva solo al suo aspetto fisico, che era, obiettivamente, sconcertante, ma anche al suo carattere equilibrato e generoso, alla sua chiara superiorità intellettuale, per non parlare poi di quello sguardo spesso indecifrabile che, unito alla sua fissazione di tenere la mente ben chiusa, gli conferiva un certo fascino misterioso.

A Findekáno piaceva pensare che ci fosse una specie di scudo tra Nelyo e il resto del mondo, e che lui avesse il privilegio di stare dalla parte di chi lo impugnava.

O almeno così aveva creduto fino a quel momento.

Ma quella notte, sdraiato nel suo letto, col sonno che sembrava averlo abbandonato almeno quanto la capacità di ragionare, aveva dovuto ammettere a sé stesso che c'era qualcosa di molto più profondo in gioco, che non fosse la semplice delusione provocata da una piccola omissione dell'amico sulle sue esperienze con l'altro sesso.

Era un sentimento diverso quello che lo teneva sveglio, a rigirarsi tra le lenzuola, mentre pensava e ripensava alle parole di Kanafinwë, con la mente che tornava in continuazione all'immagine di Nelyo che teneva tra le braccia una fanciulla, nella penombra del corridoio, che si chinava piano su di lei, i capelli ramati che gli scivolavano ai lati del viso, gli occhi accesi dal desiderio, le labbra socchiuse che arrivavano a sfiorare quelle di un'altra persona…

Col cuore che gli batteva forte nel petto, preda di sensazioni mai provate prima, Findekáno era stato costretto ad ammettere che l'unica cosa che non riusciva a tollerare di quella visione, era che l'altra persona non fosse lui.
 

 

◆ ◆ ◆


 

Findekáno non era una persona che evitava i problemi, quando li incontrava. Né sfuggiva alle situazioni difficili, o ai sentimenti confusi (per quanto, a dire il vero, finora non ci fosse mai stato niente di troppo confuso nella sua vita). Dopo l'iniziale sconcerto, aveva quindi deciso di affrontare la cosa con coraggio, come era solito fare, e aveva cominciato col cercare di dare una spiegazione ragionevole a ciò che non poteva impedirsi di provare. 

Inizialmente, aveva tentato di convincersi che quell'assurdo sentimento non fosse altro che un passaggio naturale, che forse molti ragazzi, a una certa età, cominciassero a provare sentimenti di questo genere per gli amici più vicini e che poi, con naturalezza, tali interessi venissero deviati sulle fanciulle. Non aveva però amici così intimi da potersi confrontare su argomenti di tale natura, se si escludeva Nelyo, e in quel caso particolare escludere Nelyo era la priorità assoluta.

Sapeva che, se avesse parlato con lui, avrebbe rischiato di perdere la sua stima, e c'erano poche cose al mondo che Findekáno teneva in conto più della stima di Nelyafinwë. Quando si erano conosciuti, lui non era che un bambino e, per quanto da allora fossero passati parecchi anni, il suo timore inconfessato era di venir considerato ancora come tale (uno dei motivi per cui si gettava sempre in imprese spericolate era per dimostrare al cugino che non era più un piccolo Elda bisognoso di protezione).

No, per quanto si ritenesse dotato di una certa audacia, Findekáno non avrebbe mai rischiato di perdere nemmeno un briciolo della considerazione di Nelyo! 

Escluso il cugino, aveva pensato di parlarne con i genitori, con i quali aveva sempre avuto un rapporto molto sincero, e l'avrebbe sicuramente fatto se un giorno non li avesse sorpresi che parlavano di lui, e non si fosse fermato ad ascoltare cosa dicevano. Nolofinwë aveva chiesto alla moglie se non avesse notato anche lei qualcosa di strano, ultimamente, nel comportamento del figlio e lei gli aveva risposto con semplicità: – Sarà innamorato. – Al che, suo padre aveva liquidato la cosa dicendo: – Come può essere innamorato? Non frequenta che la casa di mio fratello.

Anche tralasciando il fatto che le parole di suo padre sembravano alquanto categoriche nell'escludere la possibilità che un sentimento del genere potesse esistere (a prescindere dal fatto che fosse passeggero o meno), ciò che aveva fermato Findekáno era stato riconoscere quella piccola esitazione che sempre Nolofinwë metteva davanti alla parola "fratello", che gli aveva ricordato quanto fosse complesso il rapporto che legava suo padre a quello di Nelyo. Se anche fosse riuscito a comprendere la sua infatuazione per un ragazzo, il fatto che quel ragazzo fosse uno dei figli di Fëanáro avrebbe procurato a Nolofinwë solo ulteriori preoccupazioni.

Così anche i genitori erano stati tagliati fuori, e dopo aver brevemente valutato che suo fratello era di gran lunga troppo piccolo per elargire consigli su problemi di cuore (anche se a volte appariva così responsabile da essere quasi spaventoso), aveva deciso che si sarebbe tenuto per sé ciò che provava e, col trascorrere del tempo, si era anche dovuto rassegnare all'evidenza che l'ipotesi di un sentimento passeggero, di un'infatuazione destinata a scomparire presto, era completamente sbagliata.

Allora aveva tentato di opporsi a quello che provava. Ed era stato il classico passaggio dalla padella nella brace: un vero disastro. Cercando di trascorrere meno tempo con Nelyo non aveva fatto altro che portare il suo bisogno di lui a livelli insopportabili, con la conseguenza che poi, quando finalmente tornavano a vedersi, la mancanza del cugino era così forte che Findekáno passava tutto il tempo a fare cose assurde, tipo contemplare come i capelli di Nelyo rifulgessero alla luce di Laurelin, o come quel meraviglioso sorriso, che raramente illuminava il volto dell'amico, fosse sempre rivolto a lui, e a lui soltanto. 

La strada dell'evitare il cugino non faceva che peggiorare la situazione. Enormemente. L'aveva abbandonata quasi subito, e senz'alcun rimpianto, tra l'altro.

Alla fine, strano a dirsi, Findekáno si era arreso. Aveva smesso di lottare contro ciò che gli diceva il suo cuore e si era aggrappato alla tenue speranza, sempre più sottile con il passare del tempo, che un giorno Nelyo avrebbe capito da solo e, chissà, magari avrebbe condiviso il suo sentimento.

Gli anni avevano cominciato a passare sempre uguali, come, d'altronde, sempre uguali erano passati in quella terra benedetta dove tutto sembrava messo lì a disposizione e a beneficio degli Eldar, e lui aveva imparato a dominare i propri desideri e a godere dell'amicizia del cugino senza pensare troppo a ciò che non poteva avere.

Suo fratello era cresciuto, era arrivata la piccola Irissë a gettare nuovo scompiglio in casa di Nolofinwë, e quando anche lei era diventata grande, Findekáno aveva trovato in loro due delle presenze preziose, due nuovi compagni con i quali condividere la sua vita. Ma il suo punto di riferimento era sempre rimasto il cugino; la loro amicizia, ogni giorno più salda, era diventata qualcosa di esclusivo, di proverbiale quasi, al punto che chi li incontrava rimaneva sorpreso se vedeva uno di loro in giro senza l'altro.

Lui stesso era cresciuto, era diventato più maturo e più consapevole (ecco, maturo forse non era la parola giusta, visto che aveva fatto delle sue pericolose imprese un modo per sfogare la sua frustrazione e, forse inconsciamente, per mettersi in mostra davanti al cugino), ma il suo sentimento non era mai mutato, né era diminuito di intensità.

Ogni tanto rischiava ancora di fare qualche sciocchezza, soprattutto quando lui e il cugino passavano del tempo insieme senza uno scopo preciso, come quando sedevano fianco a fianco a contemplare i meravigliosi paesaggi di Aman, o quando si mettevano in giardino, con la schiena contro un albero, a leggere un libro… in quei casi veniva assalito da impulsi stupidissimi e altrettanto pericolosi, tipo prendere una mano di Nelyo tra le sue, o appoggiare la testa alla sua spalla (a dire il vero questo lo faceva ogni tanto, dopotutto eliminare qualsiasi contatto fisico sarebbe sembrato quantomeno sospetto tra due amici così stretti, no?), ma per lo più aveva imparato a contenere i suoi istinti. Non si diceva forse che gli Eldar erano capaci di dominare i desideri del corpo? E lui, almeno in questo, non sembrava fare eccezione.

Di recente però le cose stavano cambiando di nuovo. E non per il meglio, purtroppo. Findekáno era sempre più spesso preso da una strana sensazione, qualcosa che non aveva mai provato prima e che sembrava andare contro la stessa natura degli Eldar (andare contro la natura degli Eldar doveva essere una sua prerogativa!).

Era una sensazione come di caducità, per quanto assurdo potesse sembrare, come se il tempo che aveva a disposizione non fosse più infinito, ma destinato a terminare. Non capiva da dove provenisse questo presentimento, ma nemmeno riusciva a toglierselo dalla mente, e soprattutto non poteva impedirsi di pensare che questo tempo limitato si riferisse in particolar modo a quello che aveva a disposizione col cugino.

Il suo animo tornò irrequieto, a livelli quasi ingestibili, al punto che una volta aveva persino rischiato di lasciarsi sfuggire qualcosa con Tyelko. Lui e il fratello di Nelyo stavano tornando da un allenamento di tiro con l'arco e così, dal niente, mentre stavano commentando il fatto che Irissë quel giorno non li aveva accompagnati, Tyelko se n'era uscito con una domanda che l'aveva colto di sorpresa: – Pensi che sia giusto rivelare i propri sentimenti a una persona, anche se sai che quella persona non li contraccambia?

Findekáno era rimasto raggelato. Quelle poche parole non potevano che riferirsi alla sua situazione! Era stato tentato, per un attimo, di aprire il suo cuore alla ricerca di un consiglio, ma poi, grazie a Eru, il suo cervello si era svegliato dal letargo e aveva cambiato argomento alla velocità del fulmine. Il sospetto che Tyelko avesse intuito il suo segreto, tuttavia, l'aveva tenuto sveglio per molte notti.

Insomma, l'equilibrio che aveva faticato a raggiungere in tanti anni sembrava sul punto di crollare da un momento all'altro. Le sue imprese spericolate (idiote, gli suggeriva una voce dentro di sé che assomigliava molto a quella di Kanafinwë) cominciarono a crescere di numero e a farsi sempre più pericolose, al punto che qualcuno, per scherzo, gli attribuì il soprannome di Valoroso. Alla fine comprese che avrebbe dovuto trovare un rimedio, se non altro per una questione di incolumità fisica.

E il rimedio poteva essere uno soltanto.

Doveva prendere il coraggio a due mani e dire al cugino ciò che provava per lui.


 

◆ ◆ ◆


 

Findekáno si guardò per l'ennesima volta allo specchio. E per l'ennesima volta si diede dell'idiota. Stava davvero scegliendo un abito da indossare per uscire con suo cugino? Non aveva mai fatto una cosa più stupida. E sì che ne aveva parecchie al suo attivo. Ma passare mezz'ora a decidere cosa indossare per una serata con Nelyo le batteva di gran lunga tutte.

E in ogni caso, da quando i suoi vestiti erano diventati così insignificanti, brutti, logori, banali? Si voltò verso il mucchio che ricopriva il suo letto, afferrò una casacca celeste con ricami d'argento, la guardò alla luce che entrava dall'ampia finestra, la paragonò con quella blu scuro che aveva addosso e la gettò di nuovo sul mucchio con aria infastidita.

Quando cominciò a chiedersi se avrebbe dovuto indossare anche qualche gioiello, capì di aver toccato il fondo. Lui non portava mai gioielli, se non nelle occasioni ufficiali e solo perché sua madre insisteva.

Eppure…

Findekáno tornò davanti allo specchio. Non si era mai soffermato a riflettere su quanto il suo aspetto potesse sembrare ordinario, paragonato a quello dell'Elda il cui nome significava Ben Fatto. Il pensiero lo rese ancora più ansioso.

Eru onnipotente, questa cosa si stava rivelando più difficile del previsto! E doveva ancora cominciare.

Si diresse alla scrivania dove, in quello che amava definire un disordine ragionato, si accumulavano oggetti di ogni genere: libri, pergamene, un vecchio flauto, punte di frecce, corde dell'arpa, disegni completi, schizzi appena accennati. Ben distesi vicino a una lampada trovò quello che cercava: alcuni cordoncini lunghi e sottili di un materiale che brillava come l'oro, ma era morbido come la seta.

Era un esperimento riuscito male, gli aveva spiegato Nelyo quando li aveva trovati buttati là, in un angolo della sua camera: avrebbero dovuto essere delle catene resistentissime, invece erano risultati dei nastri poco più robusti della normale stoffa.

Findekáno li prese e tornò allo specchio. Con cura si intrecciò i capelli nel modo consueto, inserendo però in ogni treccia un cordoncino dorato, che in parte affondava e in parte emergeva dalla sua chioma corvina. Il risultato lo convinse, ritenne di avere un aspetto elegante, senza risultare appariscente come se avesse indossato un gioiello.

– Una serata galante?

Findekáno sobbalzò. Appoggiata allo stipite della porta, una figura alta e snella, fasciata di bianco e con una massa di boccoli neri che le ricadeva da ogni parte, lo guardava con aria divertita. 

– Niente affatto – si affrettò a rispondere, – esco solo con Nelyo.

– Appunto.

Sua sorella era l'unica ad essere a conoscenza del suo segreto. Gliel'aveva confidato in circostanze molto particolari, che non smetteva mai di rimpiangere.

– Irissë, non è il momento, ti prego.

Gettò uno sguardo alla finestra, il cielo aveva già quella sfumatura opalescente che preannunciava la sera, e lui voleva rivedere il discorso che si era preparato ancora una volta, prima di uscire.

Irissë sembrò leggergli nel pensiero. – Ricorda che se le parole ti dovessero mancare, c'è sempre il piano B.

Findekáno si trovò a chiedere, suo malgrado: – Cioè?

– Passare ai fatti. – Irissë arricciò le labbra, mimando un bacio, poi sfoderò un sorriso malizioso.

– Fuori. Di. Qui. – Ordinò Findekáno.

Lei si voltò, avviandosi nel corridoio e salutando con cenno della mano da sopra una spalla.

Findekáno non riuscì a trattenersi: – Irissë! – chiamò, e quando la sorella si girò a guardarlo, lui arrossì leggermente, – come sto?

– Stai benissimo, non temere – disse lei con un sorriso che non aveva più niente di artefatto, ma era pieno d'affetto.

Findekáno tornò davanti allo specchio, non molto rassicurato a dire il vero, e ripassò i dettagli.

Aveva programmato tutto. Per quanto riguardava il luogo, aveva escluso il Palazzo di Fëanáro, e anche casa sua, dove la probabilità di imbattersi in fratelli invadenti era troppo elevata, come era stato appena dimostrato. Aveva quindi invitato il cugino a fare una passeggiata in città, la sera stessa.

Aveva scelto con cura il posto dove, casualmente, il loro girovagare li avrebbe condotti: un vicolo tranquillo, poco frequentato, che terminava in una piccola piazza, chiusa da una balconata rivolta a Ovest. Da lì si godeva un panorama spettacolare sulla piana del Calacirya e in lontananza si sarebbe potuto ammirare l'argenteo baluginare di Telperion.

Si era anche preparato, parola per parola, il discorso che avrebbe fatto all'amico: sincero, ma non troppo diretto, convincente, ma stringato, e, cosa più importante, inequivocabile. Per sicurezza, lo ripeté di nuovo per intero. Poi si guardò un'ultima volta allo specchio, sistemò per bene la casacca sul davanti, e lasciò la sua stanza.
 

-
 

La serata era splendida, il cielo tinto di madreperla, l'aria frizzante. I due amici si erano incontrati davanti al Palazzo Reale e avevano girovagato senza meta presi dai loro discorsi. La tensione di Findekáno si era sciolta poco a poco, tanta era la confidenza che lo legava al cugino e l'abitudine a considerarsi al sicuro in sua presenza. Nelyo gli aveva raccontato degli sforzi di Tyelko per cercare di fare appassionare l'ultimo nato di Casa Fëanáro all'equitazione, e lui gli aveva parlato di un viaggio lungo la costa che suo fratello aveva in programma di fare con un altro dei loro cugini.

Quando arrivarono alla balconata che si era prefissato di raggiungere, Findekáno venne colto quasi di sorpresa e improvvisamente il suo cuore ricominciò a battere più veloce. Appoggiò i gomiti alla balaustra di pietra e si soffermò per un attimo ad ammirare il panorama che si stendeva davanti a loro.

La pianura riverberava debolmente di un tenue bagliore, ma all'orizzonte l'argentea luce era così intensa da riuscire a malapena a distinguere la sagoma dell'albero che la irradiava. Findekáno sentì la presenza di Nelyo accanto a lui e decise che era il momento. Raccolse tutto il suo coraggio e si preparò a esporre il suo discorso. Si morse un labbro, strinse forte le mani sulla balaustra, trasse un profondo respiro e si voltò verso il cugino.

E capì di aver fatto il più terribile degli errori.

Il volto di Nelyo, o più precisamente, il volto perfetto di Nelyo, illuminato dai raggi di Telperion, sembrava risplendere di luce propria, i suoi capelli sciolti, insolitamente in disordine, brillavano come braci tra i carboni, e i suoi meravigliosi occhi grigi sprigionavano vivaci scintille. E come se non bastasse, sfoggiava quel sorriso raro, quello che dedicava a lui soltanto, e che lo rendeva più bello di quanto un cuore potesse sopportare.

Findekáno si sentì mancare la terra sotto i piedi. Si afferrò ancor più saldamente alla balaustra e cercò di fare il punto della situazione. Non ottenne un risultato confortante: capacità di ragionare, zero. Capacità di usare il linguaggio: evaporata. Capacità di ricordare un discorso che fino a pochi istanti prima avrebbe definito come il più importante della sua vita: meno di nulla.

Eru, doveva essere illegale quel sorriso, aveva il potere di spappolare il cervello.

– Mi chiedevo quando me l'avresti detto – esordì Nelyo, di punto in bianco.

Cosa?! Findekáno ci mise un istante a capire che la sua bocca non aveva emesso alcun suono.

– Cosa? – ripetè ad alta voce, sforzandosi di recuperare almeno il dono della parola.

– Quello che stai per dirmi – continuò Nelyo, con sguardo chiaramente allusivo.

– Co… cosa? – balbettò ancora Findekáno, i cui sforzi si stavano rivelando chiaramente inutili.

– E dai, Fin – continuò il cugino con l'aria di chi la sapeva lunga, – lo so che hai parlato con Tyelko.

 Findekáno arrossì fino alla radice dei capelli. Eru santissimo… allora Nelyo sapeva… sapeva tutto!

– È inutile che cerchi di nasconderlo – continuò il cugino, cambiando leggermente di posizione.

Findekáno spalancò gli occhi. Valar tutti… Nelyo si era forse piegato verso di lui? Aveva avvicinato una mano alla sua? Incapace di interpretare ciò che stava accadendo, Findekáno brancolò alla ricerca della cosa giusta da fare. O di quella sbagliata. Di una cosa qualsiasi, insomma.

Piano B! Piano B! Urlava nella sua testa la voce di sua sorella, mentre lui cercava freneticamente un modo per tirarsi fuori da quella situazione.

Findekáno, dannato codardo, bacialo e falla finita. 

Findekáno sganciò coraggiosamente una mano dalla balaustra, si voltò verso il cugino e fece per alzarsi sulle punte dei piedi.

– Stai per dirmi che hai finalmente deciso chi invitare alla Festa – concluse Nelyo, apparentemente ignaro del tumulto che stava imperversando all'interno dell'amico.

No, maledetto idiota. Stavo per dirti che è una vita intera che non riesco a pensare che a te. Findekáno cominciò a domandarsi se Eru non si divertisse nel donargli quel desiderio, per poi guardarlo mentre si rovinava la vita nel tentativo di soddisfarlo.

Distratto da uno dei pensieri più blasfemi che mai avesse formulato, riuscì a distogliere lo sguardo dal cugino, e con gli occhi ben fissi sull'orizzonte si concentrò sul proprio respiro. Piano, si disse. Una cosa alla volta.

– Cosa ti ha detto Tyelko? – domandò alla pianura davanti a sé.

– Mi ha fatto capire che eri venuto a capo dei tuoi sentimenti... – rispose Nelyo, mostrandosi per la prima volta incerto.

– Ecco, in un certo senso – gemette Findekáno con voce troppo bassa per essere udita.

– … quindi ho pensato che si riferisse a una fanciulla – concluse il cugino.

– No, Nelyo – Findekáno, sconsolato, lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e scosse la testa, – nessuna fanciulla.

Nelyo sospirò, e lui capì di essere ben lungi dal recuperare la presa sulla realtà, perché alle sue orecchie suonò come un sospiro di sollievo.

Il cugino restò in silenzio per qualche istante, poi si voltò verso la sorgente di luce e, come se stesse seguendo il corso di pensieri noti a lui soltanto, riprese a parlare.

– Sai, c'è un gran fermento in casa mia per il matrimonio di Makalaurë… e io… non posso fare a meno di pensare che si aspettassero che sarei stato io, il primo a sposarmi… voglio dire, normalmente è così che accade.

Findekáno maledisse dentro di sé quel 'normalmente', che sembrava fare di tutto per rovinargli la vita. Poi maledisse il desiderio del cugino di fare sempre ciò che ci si aspettava da lui. Quello sì che avrebbe finito davvero per rovinargli la vita, se Nelyo si fosse ostinato ad andare fino in fondo con quel tipo di ragionamento.

Infatti, nemmeno a dirlo, il cugino proseguì: – Tu non credi che il mio compito sarebbe quello di cercare una ragazza… – lasciò la frase in sospeso, come in attesa di una risposta.

Findekáno si domandò dove avesse sbagliato. Doveva guidare la conversazione in una direzione ed erano arrivati esattamente dalla parte opposta.

– Nelyo… – cominciò, – ehm… io credo che non dovresti fare proprio niente, se non sono cose che ti senti di fare… credo che quando troverai una persona che corrisponde a ciò che desidera il tuo cuore, lo capirai…

Si sforzò di guardarlo di nuovo in viso e di resistere alla visione di quel profilo perfetto. Scoprì che Nelyo in versione 'incerto e confuso' era ancora più seducente di Nelyo nel consueto atteggiamento sicuro di sé.

– Quando troverai qualcuno che condivide i tuoi interessi – continuò imperterrito, con la speranza che il cugino leggesse tra le righe, – che a sua volta ti ama profondamente… credo lo riconoscerai all'istante.

Si trattenne dal prendere Nelyo per un braccio e farlo voltare con la forza. Il cugino sembrava risoluto nel guardare ovunque tranne che verso di lui.

Maledizione, era andato tutto storto! Il suo piano non aveva funzionato. Non aveva funzionato il suo discorso, che non era nemmeno riuscito a pronunciare, né i suoi stupidi vestiti, né le sue stupidissime trecce dorate, che Nelyo non aveva neppure notato!

– Forse hai ragione – mormorò il cugino, lo sguardo ancora perso sull'orizzonte argentato.

Forse invece non ho proprio capito nulla! pensò Findekáno.

All'improvviso si sentì sconfitto. Non aveva più voglia di insistere, non aveva voglia di affrontare il fatto che il suo desiderio non sarebbe mai stato appagato. Non voleva pensare che un giorno Nelyo, per fare ciò che ci si aspettava da lui, si sarebbe sposato e che il loro rapporto si sarebbe trasformato in qualcosa di molto meno importante di quello che era adesso. 

– Torniamo a casa – disse.

Nelyo annuì e voltò le spalle alla terrazza, prese posto alla sua sinistra, come di consueto, e i due amici cominciarono a camminare lungo il vicolo, fianco a fianco, vicini al punto che la spalla di Findekáno ogni tanto sfiorava il braccio del cugino.

Findekáno era un ribollire di rabbia e di delusione, ben celate dietro un incedere disinvolto. Prima ancora di giungere all'incrocio con la strada principale, prese una decisione irrevocabile: mai in tutta la vita sarebbe tornato sull'argomento. Quella era stata la prima e sarebbe stata l'ultima volta! Dal giorno seguente sarebbe andato alla ricerca di qualcun altro, per allontanare la sua ossessione. Avrebbe trovato una persona interessante, dotata di fascino, e possibilmente con la quale non avesse alcun grado di parentela, e con lei avrebbe voltato pagina.

Non sembrava un'impresa troppo difficile, in una terra popolata da esseri perfetti.

Poi, ad un tratto, il cugino parlò: – Solo tu potevi trasformare un esperimento mal riuscito in qualcosa di meraviglioso.

Nelyo si fermò un istante, prese una treccia di Findekáno e se la fece scorrere tra le dita.

– Ti stanno molto bene, Fin – mormorò. Senza attendere risposta, gli circondò le spalle con un braccio e, insieme, ripresero il cammino verso casa.

In un attimo, la decisione irrevocabile di Findekáno si squagliò come una scheggia di ghiaccio al calore della fiamma, lasciando dietro di sé un'unica certezza.

Quel maledetto idiota, non avrebbe mai smesso di amarlo.

 

 

 

______________________________

 

Note finali

01.
Grazie a tutti per aver letto. E grazie a Kan per avermi spinto a scriverla… è stato un vero delirio!!!

02.
Quenya - Sindarin
Kanafinwë (Makalaurë) = Maglor
Fëanáro = Fëanor
Fëanárioni = figli di Fëanor
Tyelkormo, qui chiamato anche Tyelko = Celegorm
Moryo = Caranthir
Nolofinwë = Fingolfin
Irissë = Aredhel

03.
Per Maglor ho scelto di usare Kanafinwë invece di Káno, che è il nome con cui (secondo me) Findekáno si riferiva a lui, perché nel narrato l'alternarsi dei termini Káno e Findekáno creava confusione.
Per Celegorm ho scelto di usare Tyelko invece di Turko, perché ho l'idea che lui, fin da giovanissimo, si facesse chiamare Tyelkormo e non Turkafinwë.

04.
È stato scritta un po' di fretta, ma per vari motivi non volevo rimandare la pubblicazione. Vi sarei grata se mi segnalaste eventuali errori, così da poterli correggere.

Credits

01.
I poeti di Valinor si esprimono con parole incredibilmente rassomiglianti a quelle di un sonetto di Shakespeare.

02.
Non credo di essere io la prima a sostenere che le parole di Fingon, nello scoprire che Maedhros aveva già avuto esperienze sentimentali, siano state: "E io dov'ero?". Ma sinceramente non ricordo dove l'ho letto, se qualcuno volesse citarmi la (o le) autrice in questione, sarò ben felice di inserirla nelle note.

  
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