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Autore: LoveStoriesInMyHead    29/03/2016    1 recensioni
Due storie. Due coppie. Estremamente diverse ma legate dall'amicizia:
Erika era sempre stata una ragazza esuberante, spensierata e amichevole. La sua vita non poteva andare meglio: era contentissima di varcare la soglia della London High School, ma non sapeva che la sua felicità si sarebbe presto trasformata in qualcos'altro.
Conobbe Jason, un ragazzo a dir poco spaventoso e inquietante. Odiato da tutti e tenuto alla larga per il suo passato altrettanto oscuro.
Erika sarà l'unica in grado di avvicinarlo, capirlo, amarlo. Tenterà in tutti i modi di scoprire cosa si cela dietro quel misterioso ragazzo.
***
Samantha è la migliore amica di Erika. Hanno sempre condiviso tutto ed adesso si ritrovano a frequentare anche lo stesso liceo. Sam, come le piace farsi chiamare, è uno spirito libero e non ama molto stare alle regole. I suoi rapporti amorosi ne sono la prova. È innamorata perdutamente di Luke, un ragazzo che già frequenta l'università e che possiede una moto di tutto rispetto. Appartengono a due mondi separati, ma, proprio per questo, si completano. Intrighi, litigate, alcol e tante altre cose entreranno a fare parte della vita di Sam. Che esito avrà tutto ciò?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Erano le undici e trentadue quando il nostro treno cominciò a muoversi dalla stazione di London Bridge, diretto a Brighton. Ascoltavo distrattamente lo stridere delle ruote sui binari in acciaio, man mano che le immagini dal finestrino scorrevano davanti ai miei occhi. Lentamente, il treno acquistò velocità e mi ritrovai a stringere insistentemente il biglietto che avevo ancora in mano. Guardai Jason, che sedeva di fronte a me, e gli dissi quanto tempo sarebbe passato prima di arrivare alla località balneare di Brighton. Ci voleva solo un'ora per raggiungerla, così scivolai sul sedile e provai a rilassarmi. Poggiai il gomito sul bracciolo ed il mento era sorretto dal mio palmo. Osservai Jason con scrupolosa attenzione. Indossava dei jeans sgualciti ed una felpa grigia, che lasciava intravedere una maglia nera in cotone. Mi meravigliai di scoprire piccoli particolari dei quali non mi ero proprio accorta: appena sotto la clavicola destra, vi era una piccola voglia di un tono più scuro rispetto alla sua carnagione e poi, grazie ad un raggio di sole, scorsi una piccola cicatrice che attraversava il suo sopracciglio sinistro. Mi domandai come se la fosse procurata, forse qualche caduta da bambino o qualche rissa in uno di quei vicoletti bui e sudici. La sua mano, coperta per metà dal polsino della felpa, si mosse e con l'indice si toccò le labbra e si pizzicò il labbro inferiore. Si inumidì la bocca con la lingua e si grattò proprio la piccola cicatrice. Sospirò e poi esclamò:

"Hai intenzione di fissarmi per tutto il viaggio?"

Avvampai e mi ricomposi.

"Stavo solo osservando il piccolo segno che hai sul sopracciglio sinistro. Come te lo sei fatto?" dissi, incrociando le gambe sul sedile.

Sbuffò con un ghigno divertito sul volto e mi guardò. "Risale a dieci anni fa. Ero sullo scivolo e, scendendo giù, persi l'equilibrio e andai a sbattere contro una carrozzina. Mi procurai un taglietto proprio qui", si indicò il viso, "e dovettero mettermi tre punti" disse, mettendosi dritto. "Senza anestesia" aggiunse, come se avesse voluto vantarsi.

"Ti ci vedo nei panni di bambino spericolato" sorrisi, dando un'occhiata fuori.

"Lo ero eccome! Pensa che una volta avevo quasi rischiato di bruciare i capelli a mia madre! Hai presente quei programmi dove la prima avvertenza è quella di non ripeterlo a casa? Ecco, per me era più un 'Fallo, ci sarà da divertirsi'." Scoppiò a ridere e mi resi conto che era la prima volta che mi parlava della sua infanzia.

"Tu invece? Dimmi qualcosa."

Sobbalzai per l'assestamento del treno sulle rotaie. "Be', non c'è molto da sapere. Ero piuttosto noiosa da bambina." Sapevo che stava per fare qualche commento sarcastico sul mio comportamento al quanto 'normale' per lui, così mi affrettai ad aggiungere: "Però una volta, all'età di sei anni, caddi dalla bicicletta e mi sbucciai un ginocchio. Da quel momento in poi, non sono più salita su una bici, tantomeno imparare ad andarci" dissi, vergognandomi subito dopo. Certe volte, pensavo io stessa di essere una stupida.

Non rise, ma i suoi occhi mi lasciarono intendere che dentro la sua testa c'erano parecchi commenti sarcastici e poco carini per me. Mi limitai a lasciare scorrere e mi girai verso il vetro, osservando l'aeroporto che ci accingevamo a superare.

Poco dopo mi appisolai. Jason mi svegliò verso le dodici e mezzo con una leggera scrollatina. Alzai il capo e guardai il quadrante del mio orologio, poi gli chiesi se eravamo arrivati. Jason mi aiutò a sollevarmi dal sedile e prese la mia borsa.

Con un rumore metallico ed automatico le porte si spalancarono ed ondate di persone scesero dalla carrozza. Ci facemmo strada tra la piccola folla, sussurrando scuse, e ci ritrovammo baciati dai raggi del sole. Mi tolsi della polvere immaginaria dai pantaloni rossi e presi la borsa. Mi guardai intorno, ma non vidi il mare.

"Jason, dove siamo?" gli chiesi, sbadigliando e sistemandomi la giacca. Ero ancora un po' intontita.

"Siamo alla Brighton Railway Station" disse, facendo mezzo giro su stesso. "Per raggiungere la spiaggia, dovremo percorrere questa strada fino in fondo" aggiunse indicando la Queens Road. Misi la borsa sotto il braccio e gli feci cenno di andare.

Mi prese la mano e mi fermò. Da qui la strada non sembrava molta, ma Jason mi informò che era poco più di un chilometro e mezzo di distanza. Gli chiesi allora con quale mezzo avrebbe preferito raggiungerla e mi indicò soddisfatto una fila di biciclette e tandem dall'altro lato della strada. Lo guardai riluttante e mi ostinai a dirgli di no, ma alla fine mi convinse. Pagammo la quota per un paio di ore e ci avvicinammo ad un tandem di un colore blu metallico, leggermente arrugginito dagli agenti esterni.

"Tu non dovrai fare niente. Dovrai solo stare attenta a non farci cadere" ridacchiò aiutandomi a salire sul secondo sellino. "Metti i piedi su questa barra di ferro e appoggia le mani sul manubrio. Al resto ci penserò io."

Strinsi più forte che potevo il manubrio ricoperto di gomma e lo guardai con un leggero filo di timore cucito nel mio sguardo. "Sta' tranquilla" mi rassicurò, baciandomi la fronte.

Mi guardò divertito e si mise sul sellino, poggiò i piedi sui pedali e partì. Avvertii una fitta alla bocca dello stomaco e strinsi ancora di più le dita attorno al manubrio. Le mie nocche diventarono bianche.

"È tutto a posto?" mi chiese, girando leggermente la testa per guardarmi con la coda dell'occhio. Feci cenno di sì e lo invitai a guardare la strada che divoravamo ad una velocità spedita.

Una leggera brezza ci scompigliava i capelli e mi costringeva a ridurre gli occhi a due fessure. Il sole si era momentaneamente nascosto dietro una grande nuvola.

Lentamente, potei cominciare a scorgere l'orizzonte ed un velo di mercurio che si estendeva per chilometri. Il mare era calmo e potevo intravedere qualche gabbiano qua e là, alla ricerca di qualcosa da mangiare.

Quando arrivammo in prossimità della spiaggia, Jason mi fece scendere per prima, per evitare di perdere l'equilibrio. Mi sistemai la maglia e lo guardai sollevare una gamba e ruotare lievemente il busto. Assicurò il tandem con una grossa catena ad un palo della luce sul marciapiede del lungomare e mi tese la mano. La strinsi e scendemmo dei gradini che ci diedero accesso alla spiaggia. Non c'era la sabbia, bensì vi era un'infinita superficie di ciottoli di varie dimensioni. Avanzammo ancora un po', con il rumore dei ciottoli da sottofondo e lo scrosciare delle onde che si infrangeva sulla battigia. Il verso di un gabbiano squarciò l'aria ed una brezzolina marina mi accarezzò il viso. Strinsi le dita attorno alla mano di Jason e feci un lungo respiro. "Fermiamoci qui" dissi infine.

Mi accovacciai sui ciottoli e mi lasciai avvolgere dal suo braccio, che si andò a posare sul mio bacino. Appoggiai la testa sulla sua spalla e gli accarezzai una coscia, coperta dal jeans sbiadito. Respirai il suo profumo e mi meravigliai di quanta bellezza mi stava intorno.

"Non sono mai stato qui con una ragazza" disse con voce rauca, come se si fosse appena svegliato da un lungo letargo. Rimasi in silenzio, nell'attesa che continuasse.

"Questo posto lo conosciamo solo io e Ben. Andiamo qui le rare volte che mi permettono di portarlo via dall'ospedale. È sempre felice di venirci. Probabilmente perché gli ricorda le volte che ci andavamo con tutta la famiglia."

Fece una breve pausa, come se stesse cercando le parole adatte da dirmi. "Fu qui che appresi la notizia del divorzio dei miei. Erano convinti che portarmi in un luogo spensierato, potesse attutire la brutta notizia. Purtroppo per loro, non ha fatto altro che coprire tutti i bei ricordi che avevo."

Un groppo alla gola mi impediva di deglutire. La sua mascella si serrò e potei vedere nei suoi occhi un'ombra che gli rabbuiò lo sguardo. Con la mano libera, raggiunsi il suo braccio e gli afferrai le dita e le allacciai alle mie. "Mi dispiace" riuscii a sussurrare. La voce mi uscì tremolante ed insicura. Poi mi presi di coraggio e gli chiesi:

"Allora perché mi hai portata qui?"

"Oggi è un giorno molto importante per me. Ha segnato la fine e l'inizio di tutto e ci tenevo che tu ne facessi parte. Ti ho fatto conoscere Ben e ti ho portata qui semplicemente per dimostrarti che, per quanto possa sembrare il contrario, ci tengo a te e non farei mai niente per farti soffrire" sussurrò queste parole al mio orecchio ed ad ogni sospiro, il mio cuore si sciolse. Lo abbracciai e sorrisi contro il tessuto della sua felpa. Lui mi passò una mano tra i capelli e mi baciò la chioma dorata. Poi la sua mano corse lungo la mia schiena e si venne a depositare di nuovo sui miei fianchi.

"Grazie" dissi un secondo prima di baciarlo.

"Erika?"

"Mmh" mugugnai.

"Raccontami qualcosa di bello" disse.

Quando incrociai il suo sguardo, mi resi conto che i suoi occhi nascondevano una lieve commozione. Mi intenerii a quella vista e scavai nella mia mente per trovare qualcosa da dirgli.

Gli raccontai di me, di una giovane ed insicura ragazza che si era innamorata del vicino di casa scorbutico. Di lui e dei suoi modi bruschi, ma che nascondevano una grandissima tenerezza. Di noi e delle nostre litigate, dei guai combinati e di quella magica sera dalla quale tutto era cominciato.

Mentre parlavo, si spostò e poggio la testa sul mio grembo e con calma iniziai ad accarezzagli i capelli. Sarei rimasta in quella posizione per il resto della mia vita. Volevo assorbire ogni singola sensazione che provavo solo per ricordarmi quanto ero stata fortunata ad incontrare quel fantastico ragazzo che adesso avevo il piacere di stringere tra le mie braccia.

   
 
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