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Autore: NonnaPapera    29/03/2016    1 recensioni
C’era da ammirarne la costanza, era da quando il soldato Sullivan era stato ricoverato che il sergente si presentava ogni notte per passare alcune ore ad osservarlo da lontano.
“Può entrare se vuole, non sarò certo io a fermarla” mormorò la donna osservando di sottecchi la reazione dell’altro a quella proposta.
L’uomo scosse il capo, “ A che scopo? Non posso fare nulla per lui”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Piccole Fiabe Moderne'
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 “Come sta?”
L’infermiera, che stava armeggiando con alcuni medicinali posti su un carrello nel corridoio del reparto, rispose:
“Nessun miglioramento, sergente”
Il militare osservò il corpo del suo collega steso inerme nel letto d’ospedale, sbuffò esasperato.
Era tardi, l’orario di visite era terminato da un pezzo ma Adela, l’infermiera del turno di notte, non gli fece notare che non avrebbe dovuto essere lì; erano due settimane che glielo ripeteva ogni sera ma il sergente Morris continuava imperterrito a fare la sua comparsa in quell’orario improbabile. Comunque non infastidiva nessuno, si limitava a rimanere fuori dalla porta della camera, osservando dal vetro il suo collega senza mai neppure accennare a voler entrare.
C’era da ammirarne la costanza, era da quando il soldato Sullivan era stato ricoverato che il sergente si presentava ogni notte per passare alcune ore ad osservarlo da lontano.
“Può entrare se vuole, non sarò certo io a fermarla” mormorò la donna osservando di sottecchi la reazione dell’altro a quella proposta.
L’uomo scosse il capo, “ A che scopo? Non posso fare nulla per lui”
Il tono rassegnato e soffocato del sergente Morris le fece stringere il cuore, “Ormai anche i muri sanno che parlare con i pazienti in coma può aiutarli nel risveglio, sentire il suono della voce di chi gli vuole bene spesse volte è miracoloso”
“Beh, allora a maggior ragione è meglio che rimanga qui, lontano da lui… se sentisse la mia voce potrebbe decidere di morire piuttosto che risvegliarsi”
Adela sollevò gli occhi basita e scrutò il volto del suo interlocutore; il sergente teneva ostinatamente il capo chino e si rifiutava di incontrare il suo sguardo.
“Non pensa davvero quello che ha appena detto!” sussurrò la donna avvicinandosi a lui e stringendogli una mano per rincuorarlo.
“Sì, invece”
Il sergente fece scivolare la mano fuori da quella minuta e calda dell’infermiera e si sedette su una delle poltroncine del corridoio, fissando uno sguardo vuoto sulla porta della camera dove giaceva Sullivan.
“Se non è affezionato a lui allora perché viene qui ogni santissima notte?”
Morris scosse il capo abbattuto, quella volta pareva molto diverso dal solito, forse era dovuto al fatto che non indossava l’uniforme ma pareva spaesato e terribilmente fragile.
Indossava una semplice maglia nera a maniche lunghe che gli aderiva in modo perfetto al fisico scolpito, in circostanze diverse Adela avrebbe passato deliberatamente interminabili istanti apprezzando il corpo scultoreo del sergente, però sapeva bene che sarebbe stato maledettamente fuori luogo e la sua etica professionale per lei era imprescindibile.
Si riteneva un’infermiera coscienziosa, non aveva studiato per anni solo per rimorchiare uomini distrutti dal dolore nelle corsie del suo reparto, così sospirò e si sedette nella poltroncina a fianco.
Rimasero in silenzio per svariati minuti, la presenza calma e assertiva della donna ebbe il potere di placare leggermente il tumulto che aveva nel cuore e tutti i pensieri che gli affollavano la testa.
“Non ho mai detto di non volergli bene, ho solo detto che lui non gradirebbe…” rispose infine alla domanda che era rimasta in sospeso.
“Come fa ad esserne certo?”
“Poche ora prima dell’incidente, io e lui abbiamo… avuto un diverbio, se così si può dire”.
Estrasse dalla tasca un pacchetto di sigarette e ne tirò fuori  una per metterla in bocca:
“Siamo in un ospedale, ricorda?”
Morris sbuffò fece una smorfia sghemba e poi rimise la sigaretta nel pacchetto.
Adela continuava a fissarlo in cerca di qualche indizio rivelatore, il sergente era un uomo molto introverso, e quella in realtà era la prima volta che scambiavano più di due parole.
“Oh” esclamò ad un certo punto, un pensiero le aveva appena attraversato la mente: “Non crederà mica che la colpa dell’incidente e del conseguente coma sia sua?!”
Il sergente non rispose, si limitò semplicemente a reclinare la testa all’indietro appoggiandola al muro chiudendo gli occhi.
“E’ assurdo”
“Ma è la verità”
Adela a quel punto si alterò, non sapeva quali fossero i problemi tra loro ma quell’auto commiserazione doveva finire, anche perché non portava a niente.
“So come è andata, stava partecipando ad un’esercitazione, mentre scalavano un muro la corda cui era appeso ha ceduto e lui è caduto”
“E’ sempre stato bravo in queste cose, se non fosse stato distratto dall’alterco che avevamo avuto, certamente si sarebbe reso conto che la fune era difettosa”
“Questa è la stronzata più grossa che abbia sentito nell’ultimo anno… e credimi, io di idiozie ne sento parecchie!”
L’infermiera si sollevò dalla poltrona, aveva gli occhi stretti a fessure, il volto rosso per la furia ma il tono di voce era gelidamente basso.
Era passata dal lei al tu e non cercava neppure di dissimulare la rabbia che aveva in volto, il sergente la fissò sorpreso senza sapere come comportarsi.
“Ora ascoltami bene! Io passo le mie notti a vigilare su corpi inermi, passo le notti ad accudire esseri umani che CERTAMENTE non si sveglieranno mai più. Passo i giorni a fissare i volti straziati dal dolore di famigliari e amici dei pazienti che ogni volta mi pregano di lasciarli rimane qualche minuto in più da passare con loro. Passo i giorni e vedere qualcuno di loro non farcela senza dare il tempo alle persone che li amano di salutarli adeguatamente… Tu sei fortunato! Lui non è in pericolo di vita, prima o poi si sveglierà e vederti commiserarti in modo così ridicolo è un insulto a tuti quelli che avrebbero motivo di maledire Dio eppure non lo fanno! Puoi passare del tempo con lui e non lo fai. Allora sai cosa? Non hai alcun diritto di rimanere qui, non te lo meriti. Dici di volergli bene ma sei troppo vigliacco per fare qualcosa esclusivamente per il suo bene. Se è del rifiuto che hai paura, quello caro mio non dipende da te, se deve arrivare arriverà sia che tu rimani qui a compiangerti sia che alzi quel bel sedere sodo ed entri in quella stanza. L’unica cosa che dipende da te è la volontà di fare tutto il possibile per aiutare il tuo amico e fino ad ora hai sempre fatto la scelta sbagliata!”
Adela riprese fiato senza distogliere lo sguardo mentre il sergente la osservava con occhi sgranati e la bocca socchiusa per la sorpresa.
Era una donna formosa sulla quarantina, non brutta ma neppure particolarmente vistosa, pareva un’infermiera un poco annoiata ma con un buon cuore, di certo vederla così infervorata e prolissa aveva cambiato radicalmente l’opinione iniziale che si era fatto di lei.
Per alcuni istanti un silenzio teso fu l’unica cosa che aleggiò nel corridoio semi buio, poi il sergente sorrise imbarazzato: “Certo che quando ti incazzi fai paura” sussurrò grattandosi i capelli castani.
Adela non cambiò espressione si limitò a domandare con lo stesso tono gelido:
“Come ti chiami?”
“Oh, già… io sono Dave, piacere” rispose allungando la mano per stringere quella della donna.
Adela non fece nemmeno segno di aver notato il gesto,
“Bene Dave. Se vuoi restare entra in quella stanza, diversamente chiamerò la sicurezza e non ti permetterò più di rimanere qui la notte fuori dall’orario di visita” detto questo si voltò e si allontanò nel corridoio per fare un giro di controllo.
Sperava davvero che l’uomo di desse una mossa e decidesse di fare la cosa più giusta.
Dave scosse la testa desolato fissando il punto in cui si era allontanata l’infermiera.
pensò  per farsi coraggio.
Prese un respiro profondo e si strofinò i palmi sudati delle mani sui jeans blu, non era mai stato bravo a prendere decisioni, procrastinava fintanto che qualcosa diventava inevitabile ecco perché l’esercito gli si addiceva così bene ma ecco anche perché non era mai diventato nulla più di un semplice sergente, lui doveva solo eseguire gli ordini senza porsi troppe domande e questo gli andava benissimo. Infine però si decise, allungò la mano destra e abbassò la maniglia della porta.
Rimase per un tempo infinito a fissare tutti i macchinari che con suono costante monitoravano i parametri vitali dell’altro.
Sospirò a mezza bocca e fece qualche passo portandosi più vicino al letto.
“Ciao Mark… sono io, Dave”
Prese tutto il coraggio che aveva e si decise a sedersi sul bordo sinistro del letto.
“Mi dispiace”
Osservò Mark respirare sperando e pregando che da un momento all’altro aprisse gli occhi.
“Non avrei dovuto baciarti, ho rovinato tutto ma al momento mi era parsa una buona idea. Ci metto sempre una vita prima di decidermi a fare qualcosa e l’unica volta che seguo l’istinto faccio un casino pazzesco”
Allungò la mano destra e la portò sulla fronte dell’altro accarezzandolo con dolcezza e facendo scorrere leggermente le dita tra i capelli corvini dal suo amico.
“Te ne sei andato via senza dirmi nulla, suppongo che la tua reazione sia da interpretare come un rifiuto. Non hai apprezzato, probabilmente tu mi vedi solo come amico… Ma cerca di capirmi, dovevo tentare non ce la facevo più a nascondertelo”
Mark respirava da solo non aveva bisogno di ausili artificiali e questa cosa lo straziava ancora di più, pareva semplicemente che dormisse non che fosse in coma da più di due settimane.
“Per favore svegliati”
Rimase così, ad osservarlo per quasi venti minuti tenendogli la mano e di tanto in tanto accarezzandogli i capelli; parlò del più e del meno saltando da un argomento all’altro senza un filo logico.
Ora che era entrato e gli stava parlando non riusciva neppure a capire come avesse fatto a rimanere fuori da quella stanza per due intere settimane; pensò che prima di andarsene avrebbe dovuto ringraziare l’infermiera per la lavata di capo che gli aveva fatto.
Osservò l’orologio e si accorse che erano le due di notte passate.
“E’ tardi, devo andare, tornerò domani come sempre” mormorò e non riuscendo a trattenersi si chinò sopra l’altro baciandogli delicatamente le labbra.
La sveglia suonò come sempre alle sei di mattina, Dave si strofinò gli occhi stiracchiandosi esausto. La notte prima era entrato nella camera di Mark e ora si sentiva come svuotato, si era sempre tenuto alla larga come se potesse cristallizzare il tempo.
Era convinto che una volta svegliatosi Mark lo avrebbe allontanato, probabilmente avrebbe potuto accettare che lui fosse gay ma che fosse pure innamorato e che lo avesse baciato… Dave era sicuro che questo fosse troppo anche per una persona equilibrata ed abituata a prendere decisioni folli nel giro di pochi minuti come lo era Mark, soprattutto visto che i sentimenti che provava non erano ricambiati. Perciò era rimasto ad osservarlo da lontano, per quanto terribile fosse temeva che l’altro uscisse dal coma; una volta sveglio la vita sarebbe andata avanti e la loro amicizia si sarebbe inevitabilmente rovinata.
Prese il cellulare e lo accese.
Cinque chiamate perse! Erano i genitori di Mark.
Preso dall’ansia si vestì con gli abiti abbandonati per terra della sera prima, saltò i tre gradini d’ingresso e, senza prendersi neppure il tempo di chiudere la porta di casa, si precipitò in macchina e giudò come un pazzo fino all’ospedale.
Che era successo? Tentò di richiamare la madre di Mark ma il telefono era staccato.
Sperava si fosse svegliato… ma il fatto che nessuno rispondesse alle sue chiamate iniziò a convincerlo che fosse successa una tragedia.
Arrivò nel reparto correndo, trafelato e con la preoccupazione dipinta in volto.
Adela lo intercettò fermando la sua corsa.
“Non siamo ad Indianapolis, qui non si corre!”
“Che è successo? Ho trovato le chiamate perse…”
La donna gli sferrò un pugno sul braccio che lo fece sobbalzare un po’ per la sorpresa e un po’ per il dolore.
“Ahi”
“Figurati se ti ho fatto male, e poi te lo meriti. Se avessi saputo quello che sarebbe successo la conversazione che abbiamo avuto ieri sera sarebbe avvenuta molto prima!”
“E’ sveglio?” domandò il sergente con gli occhi pieni di aspettativa.
“Sì” si limitò a dire l’altra.
Dave osservò la porta della stanza di nuovo titubante sul da farsi, era terrorizzato di incontrare lo sguardo dell’altro.
“Oh santo cielo! Non ricomincerai con il dilemma dell’entro o non entro!” borbottò Adela incredula fissandolo con un sopracciglio alzato.
“Io… non so se avrà piacere a vedermi”
“Di certo no, è per questo che da quando si è svegliato non fa altro che chiedere di te!”
Dave spalancò gli occhi sorpreso osservando il sorriso aperto dell’infermiera che si fece da parte per farlo entrare.
Mark stava steso esattamente come lo aveva lasciato, gli occhi erano chiusi e per un istante pensò ad uno scherzo di cattivissimo gusto, pareva ancora in coma.
Adela batté le mani due volte e con un tono di voce abbastanza alto disse:
“Ehi, bell’addormentato, guarda chi è venuto a trovarti!”
Mark a quelle parole aprì gli occhi con fatica ma quando si accorse della presenza di Dave sorrise felice.
“Te la sei presa comoda sta mattina” mormorò il soldato facendo un cennò con la mano ed indicando una sedia accanto al suo letto.
“Senti chi parla, tu dormi da due settimane”
Rimasero a fissarsi per alcuni istanti e alla fine il sergente si sedette sulla sedia sospirando felice.
“Sono contento che tu ti sia svegliato” mormorò “ quando è successo?”
“Stanotte… Un risveglio strano…”
Dave lo fissò senza capire e così l’altro decise di fornirgli qualche dettaglio in più.
“Mi hai baciato” sussurrò.
Il sergente sussultò e sfuggì gli occhi dell’altro senza sapere cosa dire.
“Mi dispiace” si risolse a bisbigliare alla fine.
Mark si mise a ridere.
“Ti spiace che mi sia svegliato?”
“No, di dispiace aver rovinato tutto tra noi. Due settimane fa non avrei dovuto baciarti, te ne sei andato senza dire una parola… immagino fossi davvero furioso”
Il soldato lo squadrò sorpreso.
“Quindi non era la prima volta che mi baciavi?”
“Come, di che parli?”
Mark sorrise lievemente.
“Non ricordo nessun avvenimento accaduto nel giorno dell’incidente, perciò se davvero mi hai baciato allora mi spiace ma non lo ricordo”
“Se hai appena detto che…”
“Intendevo ieri notte”
Dave rimase per un momento annichilito cercando di fare chiarezza tra i mille pensieri che gli affollavano la testa.
“Vorresti farmi credere che tu, insomma che io… che il bacio che ti ho dato ieri sera ti ha fatto uscire dal coma?”
Mark rise di gusto e annuì per confermare.
“E’ assurdo”
“Concordo ma è proprio andata così, ti ho sentito mentre ti chinavi su di me e poi ti allontanavi, ero come in un sogno e l’unica cosa che volevo era richiamarti e chiederti di rimanere. Però non riuscivo a parlare; il primo ricordo coerente e reale che ho è quello della tua schiena e della porta della stanza che si richiude alle tue spalle”.
Dave lo fissava incredulo e Mark gli sorrise rilassato.
“Quindi non mi odi!” esclamò colto da un lampo di felicità improvviso.
“Odiarti? E perché dovrei?”
“Il fatto che ti amo… che ti ho baciato”
Mark lo guardò sorpreso e poi allungò una mano per catturare quella di Dave.
Il sergente la prese e la strinse forte “Anche tu provi qualcosa per me?” domandò poi titubante Dave.
Mark sbuffò sornione:
“Sinceramente, boh. Insomma ti voglio bene ma se me lo avessi chiesto prima di oggi probabilmente ti avrei detto di no. Però non posso negare che sia stato il tuo bacio a farmi riprendere… come nelle favole” rise di gusto al paragone pensando davvero che era una cosa assurda, Mark era fatto così non si poneva troppe domande accettava le novità sempre con entusiasmo e con curiosità, in questo lui e Dave erano davvero agli antipodi.
Dave allora disse serissimo:
“Esatto, il bacio del vero amore”
“Da quando sei romantico?”
“Non lo sono, sono solo oggettivo” sussurrò Dave avvicinandosi piano al volto dell’amico, di modo da permettergli di allontanarlo se non avesse gradito il gesto.
Mark rimase esattamente dov’era permettendo così al sergente di posare nuovamente le labbra sulle sue.
Questa volta non fu un bacio casto, fu proprio Mark ad approfondirlo visto che Dave esitava ad andare oltre; il soldato infilò la lingua nella bocca del suo amico, passandola sui denti, inseguendo quella dell’altro e dando vita ad uno scontro dolce e curioso.
Erano ancora lì intenti a baciarsi, la mano destra di Dave che stringeva leggermente il polso sinistro di Mark accarezzandone l’interno morbido con il pollice, quando Adela si schiarì la voce.
Mark sussultò e Dave si allontanò da lui in un balzo.
“Ok principe azzurro, devi staccarti, il tuo bell’addormentato deve fare un sacco di esami, visite e controlli” così dicendo tolse i blocchi alle ruote del letto e cominciò a sospingerlo verso la porta.
“Sarà meglio che tu ti faccia ritrovare qui al mio ritorno” disse Mark sventolando una mano.
“Ovviamente” rise Dave e poi, quando ormai l’altro non era più a portata d’orecchio, aggiunse: “Non c’è altro posto al mondo in cui vorrei stare se non in questa stanza con te”.



 
 
 
Storia partecipante al contest di Disegni e Parole Ispirata alla storia della bella addormentata nel bosco.
   
 
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