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Autore: Ella Rogers    29/03/2016    4 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Dolore
 
Bisognava ammettere che Capitan America era figlio di un caso fortunato e irripetibile.
Nessuno sarebbe stato in grado di ricrearlo, perché era un pezzo unico, la cui nascita era dovuta ad un susseguirsi di eventi incidentali, contingenti, straordinari.
Non esistevano stampini capaci di riprodurlo, nonostante in molti ci avessero provato e ancora continuavano a tentare, incrociando le dita ogni qual volta si andava a testare l’ennesima formula, venuta fuori da anni di lavoro.
Quante versioni del siero del super soldato esistevano nell’odierno mondo? In quanti avevano lavorato alla riproduzione della luminosa perla nata dal genio di Abraham Erskine?
La genetica era una scienza certa, ma la manipolazione dei geni era un terno al lotto, era quasi come gettare svariati ingredienti in una pentola e mettere il tutto sul fuoco, ignorando il sapore, il colore e la forma di ciò che ne sarebbe venuto fuori alla fine. Tentativi, errori, intuizioni, avevano portato gli scienziati alla capacità di prevedere parzialmente gli esiti di determinate manipolazioni del codice genetico, ma niente era mai certo.
La modificazione cellulare era un tentativo di beffare le leggi della natura. Un tentativo di controllare la natura.
Erskine aveva dimostrato al mondo che stravolgere le leggi naturali era possibile, trasformando una malato ragazzino rachitico in una macchina da guerra, trasformando l’uomo in superuomo.
Da allora erano passati parecchi anni e nonostante le tecnologie più avanzate e le più accurate conoscenze anatomiche, continuava ad esserci un unico Steve Rogers, sul quale erano costantemente puntati occhi desiderosi di mettere le mani su un tale gioiello della scienza e del fato.
 
Ma se non potevi ricostruire da zero, perché non mettere insieme tutto il materiale buono che già si aveva a disposizione? Perché non costruire su fondamenta già solide?
 
Adam Lewis aveva accorpato in un’unica formula il meglio del meglio derivato dalla manipolazione genetica.
Non aveva riprodotto l’Arma Zero.
L’aveva superata.
Su quella perfetta torta di candida panna che rappresentava la sua formula, Lewis aveva avuto la premura di piazzare due rare e bellissime ciliegie: il siero di Erskine - amplificazione e stabilità  - e l’Extremis - pseudo immortalità. Naturalmente vi era anche un ingrediente segreto, quello più importante e decisivo.
Adesso, il dottore poteva compiacersi nell’osservare alcuni dei più importanti capi militari schiacciare quasi la faccia contro il vetro di protezione, rapiti dalle capacità della sua creazione.
E non avevano ancora visto niente.
Doveva ringraziare Schmidt, se finalmente stava raccogliendo i frutti di anni trascorsi confinato in laboratori. L’Hydra era stata una manna dal cielo, dopo la disastrosa sconfitta dei Demoni della Notte.
Nonostante una permanenza abbastanza lunga nelle prigioni dello SHIELD, la scomparsa del Padrone era stata una liberazione, una liberazione dal terrore di poter venire ucciso in ogni singolo momento. Il periodo passato al servizio di quel mostro, però, era stato scientificamente inestimabile, dato che gli aveva permesso di studiare un essere raro e geneticamente bellissimo. L’essere che, alla fine, Steve Rogers gli aveva sottratto, costringendo i Demoni della Notte e lo stesso Padrone ad uscire allo scoperto.
I Vendicatori avevano vinto, contro ogni aspettativa.
E la sua cavia prediletta aveva distrutto i rimasugli dell’organizzazione fondata dal demone folle, perché quel Rogers l’aveva contagiata con stupidi sentimentalismi e valori di giustizia.
Se da una parte odiava il Capitano, dall’altra riteneva di doverlo ringraziare, perché era merito suo se ora era lì, a gustarsi il successo perseguito per un’intera vita. Guardare quell’ingenuo ragazzino annaspare nella speranza di contrastare il nuovo super soldato era qualcosa di impagabile.
Poteva ritenersi soddisfatto della sua creazione, anche se la punta di diamante delle proprie sperimentazioni era altrove, ancora non del tutto idonea all’utilizzo sul campo. L’aiuto della promettente Kristen Myers gli apriva dinanzi ottime prospettive, se doveva essere sincero. Doveva solo far capire alla donna che non c’era posto per i sentimenti, non in quel lavoro.
Lewis voltò appena il capo, spiando la figura della Myers, ferma in un angolo al fianco di Rumlow. Le increspature sulla fronte della mora testimoniavano un turbamento del tutto fuori luogo, dato che la prova del nove procedeva egregiamente.
 
“Si difende bene, il ragazzo.”
Benson si era fatto più vicino e pareva non intenzionato a staccare gli occhi dal combattimento agguerrito tra i due super soldati.
 
“Signor Benson, mi sembrava giusto offrire al pubblico uno spettacolo che non avrebbe dimenticato facilmente. Stia tranquillo. Steve Rogers è finito.”
Adam sorrise e concentrò la sua attenzione su Capitan America.
‘Non ci sono i Vendicatori a guardarti le spalle, questa volta, piccolo bastardo’.
 
                                                            *
 
Non stava andando poi così male. Riusciva a contrastarlo. Era un combattimento ad armi pari, alla fine dei conti.
 
‘Ma chi vuoi prendere in giro, Rogers?’
 
Eccola, la consueta vocina, che avrebbe fatto meglio a tacere in certe situazioni, perché, davvero, non era un cretino. Sapeva di essere inferiore all’Ultra Soldato, ma autoconvincersi che poteva farcela era un buon stratagemma, per evitare di farsi massacrare.
L’Ultra Soldato era veloce, dannatamente forte, letalmente preciso e maledettamente bravo a fare breccia nelle sue difese.
 
Steve incassò l’ennesimo colpo, di nuovo diretto al costato sinistro, il lato che testardamente - stupidamente - continuava a lasciare scoperto, a causa della sindrome che Natasha aveva denominato DipendenzaDaScudo.
Questo suo handicap non era ovviamente passato inosservato all’avversario, che sembrava studiarlo con meticolosa cura, quasi come stesse elaborando il metodo migliore per fargli male, per annientarlo ma non ucciderlo.
L’Ultra Soldato era un calcolatore, non il concentrato di forza bruta ed istinto che aveva affrontato sull’Empire.
 
Il biondo ruotò rapido il bacino, evitando un diretto nello stomaco, e rispose con un calcio indirizzato al volto dell’avversario, calcio che fu prontamente intercettato e parato con un braccio. Fu così costretto a retrocedere, ma l’Ultra Soldato fu più svelto e lo afferrò per le spalle, per poi piazzargli una ginocchiata in pieno petto.
Strinse i denti, Steve, impedendo all’aria di abbandonare i polmoni, perché ‘Non lasciare mai che un colpo ti mandi in debito d’aria, Rogers’ gli aveva sempre ripetuto la Vedova Nera.
Niente aria equivaleva a zero lucidità e pessimo equilibrio. In altre parole, ‘sei morto, Rogers’. Natasha era solita accompagnare quell’affermazione con uno sguardo glaciale e il movimento del pollice destro che percorreva la giugulare come ulteriore avvertimento.
Nonostante la sensazione di avere lo sterno non del tutto apposto e le mani dell’avversario strette ancora sulle spalle, il Capitano staccò entrambi i piedi da terra, raccolse le ginocchia al petto e poi stese le gambe in orizzontale con forza. L’Ultra Soldato, questa volta, subì il colpo: le suole degli stivali di Rogers si schiantarono contro il suo addome e gli regalarono un volo di alcuni metri, a cui rimediò con una perfetta capriola all’indietro, non appena la schiena toccò il pavimento.
I due super soldati cominciarono a muoversi in circolo, l’uno attendendo la mossa dell’altro, o meglio, Steve ne approfittava per recuperare le forze, mentre l’avversario - per nulla stanco - era già pronto a saltargli alla gola.
 
“Niente pausa, eh?”domandò sarcasticamente Rogers, quando il soldato tornò all’assalto, più veloce e brutale di prima.
 
Si scambiarono una serie di colpi rapidi e precisi, ma presto Steve si vide costretto ad assumere un comportamento di difesa, perché l’uomo dai capelli scuri aveva totalmente stravolto l’iniziale ritmo dello scontro e pareva non volergli lasciare alcuna possibilità di contrattaccare.
 
‘Cambio di tattica’ si disse il biondo, risoluto.
 
Lasciò volontariamente che un calcio lo colpisse sul fianco destro e la potenza del colpo fu tale da farlo cadere e ruzzolare abbastanza lontano dal nemico. Ignorò le fitte di dolore alle costole e, prima che l’Ultra Soldato lo raggiungesse, scattò in piedi e verso di lui, prendendolo in contropiede. Lo afferrò per i fianchi e lo sbatté contro la prima parete disponibile, beandosi del suono sofferente che uscì dalla bocca della macchina assassina che non prova dolore, vero Lewis?
Tenne l’uomo bloccato contro il muro e gli rifilò una scarica di ginocchiate dirette allo stomaco, esultando interiormente nel vedere il viso del nemico, prima freddo ed inespressivo, sfigurato dal dolore. Infine, gli piazzò una testata sul setto nasale e poté sentire distintamente il crack dell’osso che si spezzava. Fiotti di sangue scuro e denso macchiarono la faccia dell’Ultra Soldato, i cui occhi di ghiaccio si erano spalancati all’inverosimile.
 
Steve si tirò indietro e lasciò andare l’avversario. Respirava con una certa fatica e l’adrenalina gli impediva di sentire dolore, nonostante le botte prese. Gli fece pena quell’uomo al quale l’Hydra aveva sottratto l’anima, per trasformarlo in una macchina priva di sentimenti.
Peccato che i sentimenti fossero la vera fonte della forza degli uomini. Autoconservazione, rabbia, disperazione, odio, amore, vendetta, volontà di proteggere, qualsiasi sentimento poteva darti la forza di non mollare e di combattere, anche quando tutto sembrava già perduto.
Steve aveva appena dimostrato agli sciacalli lassù, riparati dietro il vetro, che non si sarebbe piegato di fronte a niente e nessuno. Sì, potevano buttarlo giù, calpestarlo anche, ma mai lo avrebbero visto piegare il capo ed arrendersi.
Il giovane Capitano alzò il capo ed intercettò lo sguardo di Schmidt, la cui espressione rimaneva impassibile.
 
“Signori, adesso inizia il vero spettacolo” annunciò improvvisamente Lewis, rivolgendo a Rogers un ghigno enigmatico.
 
“Ma che diavolo!”
Steve si ritrovò ad osservare, incredulo, gli occhi dell’Ultra Soldato trasformarsi in due tizzoni ardenti, mentre la pelle del suo viso sbrilluccicava in modo alquanto sinistro. L’osso visibilmente deviato del naso tornò al suo posto, integro, mentre tagli e lividi evaporavano nel giro di pochi secondi.
Quell’uomo stava letteralmente diventando incandescente. Sembrava bruciare dall’interno.
Ma qualcos’altro fece nascere in Steve un moto incontrollato di paura.
La pelle del potenziato, di colpo, cominciò ad assumere una colorazione diversa e spaventosamente familiare, un orribile nero violaceo, mentre numerose vene gonfie e pulsanti emergevano dall’epidermide mutata.
Il Capitano si sorprese a indietreggiare, colpito da ricordi fisicamente dolorosi. Artigliò con forza la propria spalla destra, laddove si trovava l’unica e sola cicatrice che il siero di Erskine non era riuscito a far sparire. L’unica e sola prova rimasta della sua pseudo morte.
Quando il potenziato alzò lo sguardo su di lui, il cuore di Steve mancò un battito.
Un paio di occhi rossi come il sangue presero a sondarlo con maniacale attenzione e parevano quasi irriderlo.
 
NoNoNoNoNoNoNo!
 
“Cosa hai fatto, Lewis?”
La voce di Steve era un misto di panico e rabbia e disgusto. Continuava a indietreggiare, sotto lo sguardo vermiglio di un uomo che di umano non aveva più nulla.
 
“Ammirate. Adesso possiamo competere con gli dei.”
Nessuno osò spiccicare parola alcuna, perché nessuno ne ebbe la forza. Ciò che era appena avvenuto andava oltre ogni aspettativa dei presenti.
Solo Schmidt, Rumlow e Kristen non si scomposero nell’ascoltare l’annuncio trionfante di Adam.
 
Intanto, un sempre più sconvolto Steve Rogers aveva ormai smesso di indietreggiare, perché la schiena aveva incontrato una delle pareti della stanza. La sua mente continuava a ripetere No! come una mitraglietta impazzita.
Non ricordava di aver mai provato un tale panico, prima di allora. La sensazione di essere tornato un rachitico ragazzino malato gli si appiccicò addosso, mentre l’eco di parole lontane risuonava violenta nelle sue orecchie.
 
“È tempo che tu muoia, Steve Rogers.”
 
Doveva muoversi, difendersi, combattere. Doveva mantenere la calma, respirare e ‘Dannazione, Rogers! Respira perdio!’.
 
“Ragazzi, dove siete? Ho disperatamente bisogno di voi.”
 
 
 
                                                    ***
 
 
 
“Vuoi dell’acqua? Una coperta? Un cuscino? Oppure vuoi stenderti sul divano?”
“Clint, smettila immediatamente. Sto bene, okay?”
 
Natasha tirò un lungo e stanco sospiro, mentre con una mano riassestava la chioma rossa. Era seduta su una delle sedie poste intorno al tavolo della cucina, circondata da tre crocerossini improvvisati.
Scambiò uno sguardo con Virginia, seduta dalla parte opposta del tavolo e decisamente divertita dalla situazione. La ramata scosse il capo con rassegnazione e le regalò un sorrisetto di sostegno.
“Ho bisogno della vostra più completa attenzione” affermò la Vedova, sospirando per l’ennesima volta.
Quello che aveva visto nella sezione sotterranea del Pentagono, luogo a dir poco impenetrabile, era stato un violento colpo al cuore.
La battaglia del Brooklyn Bridge scottava ancora nella sua memoria. Ripercorrere quegli eventi era come camminare su brace ardente.
Natasha aveva davvero creduto che quel giorno sarebbe morta, insieme a tutti i suoi compagni. La Terra aveva rischiato di scomparire per sempre. Se chiudeva gli occhi, poteva ancora vedere nitidamente il corpo senza vita di Steve.
La figura di Daskalos le aveva fatto visita spesso nel sonno, nei primi mesi dopo la conclusione di quella sanguinosa battaglia.
I pensieri le scivolarono inevitailmente su Anthea. Una egoistica nostalgia le pervase l’animo, quando si ritrovò a sperare che la ragazza tornasse per aiutarli e, soprattutto, per aiutarlo.
Inspirò ed espirò lentamente un’ultima volta, prima di iniziare a parlare. Con o senza l’oneiriana, i Vendicatori avrebbero comunque lottato, anche se le possibilità di uscirne vivi continuavano a ridursi giorno dopo giorno.
 
Natasha riferì ai compagni ciò che Ross le aveva detto, senza trascurare alcun dettaglio. Parlò della presenza di un collaboratore esterno, degli alleati temporanei con i quali il Consiglio della Sicurezza era sceso a patti e della possibilità che anche Thor fosse in serio pericolo.
“Quando ho chiesto di più, Ross mi ha portata in una specie di bunker sotterraneo e il suo discorso ha preso una piega diversa. Mi ha ripetuto di nuovo che non gli era dato sapere tutto, ma la lingua gli si è sciolta parecchio, quando ha cominciato a parlare delle nuove armi che i temporanei alleati stanno costruendo, se così si può dire, dato che si tratta di uomini potenziati.”
 
“Rogers-”
 
“Stark, lasciami finire. Sotto il Pentagono c’è Bruce, c’è il Tesseract e c’è lo scettro di Loki. Per ora, quindi, siamo all’oscuro della collocazione di Steve, Thor e della terza arma aliena, quella che alla fine dei conti ci ha attirato sull’Empire, per poi sparire nel nulla. Ma chi sono i temporanei alleati, di cui Ross non conosce l’identità?”
“Hydra” convenne Barton all’istante.
“Bene. E su questo dovremmo essere d’accordo.”
Tony e Sam annuirono in direzione della Vedova, invitandola a proseguire.
“Il generale ha affermato che il Tesseract e lo scettro erano nelle mani dei collaboratori, cioè dell’Hydra. L’Hydra li ha ceduti al Consiglio, in cambio di immunità, libertà di azione e Capitan America. Il Tesseract, però, è tornato momentaneamente all’Hydra, perché noi lo trovassimo e lo portassimo alla Tower. Ed è stato il nuovo capo dell’Hydra ad insegnare alla task force di Ross il modo per creare piccoli portali, usando il Cubo, modo alquanto semplice, da quello che il generale mi ha spiegato.”
 
“Ecco come quei bastardi sono arrivati ai laboratori senza alcuna difficoltà! Hanno preso Banner alla sprovvista e bloccato Hulk in tempo. Poi hanno riattraversato il varco, portando con loro il nostro dottore e il Tesseract, non prima di aver mandato a fuoco il laboratorio, però. Quei fottuti …”
La venuzza sulla tempia destra di Tony si era gonfiata parecchio, ora che il quadro della situazione si era fatto un tantino più chiaro.
 
“Ottima ricostruzione, Sherlock, ma c’è anche un’altra cosa da sottolineare. Il nuovo capo dell’Hydra sa come usare il Tesseract, quindi è lui ad essere in diretto contatto con l’Esterno, che ha riportato sulla Terra il Cubo e che, molto probabilmente, ha poi atteso il prevedibile ritorno di Thor su Asgard. L’Esterno è Daskalos, no?” azzardò Clint, appoggiato al davanzale delle finestra.
 
Natasha però scosse il capo, guadagnandosi sguardi stralunati da parte di Barton e Stark.
Sam, dal canto suo, aveva perso già da un po’ il filo del discorso. Gli sembrava che stessero discutendo di un’orgia pazzesca, perché davvero! quanta gente era implicata in quell’immenso complotto? E c’erano anche degli extraterrestri - sfortunatamente non innocui come il caro vecchio ET -, che dovevano essere parecchio annoiati, se trovavano divertente complicare la già complicata esistenza dei terrestri.
 
“Ho detto di aver visto Daskalos, è vero. Ma è un guscio vuoto, un corpo artificialmente creato da uno scienziato dell’Hydra. E non chiedetemi come sia stata possibile una cosa del genere, perché non lo so. L’Esterno rimane un’incognita.”
 
“Allora, ricapitoliamo. L’Esterno è in contatto con il capo dell’Hydra, che ha Steve e la terza arma aliena e che a sua volta è in contatto con il Consiglio attraverso Henry Benson, ovvero l’uomo che ci ha screditati in diretta tv e che gestisce le risorse dell’esercito americano, tra i cui comandati troviamo un Ross che sa poco e niente, ma si accontenta del fatto che presto avrà a disposizione un esercito di super soldati, oltre che la possibilità di dissezionare Bruce, che è al Pentagono con Tesseract e scettro di Loki. In più c’è la versione moderna di Victor Frankenstein, intenzionata a dare la vita a un mostro pericolossissimo ed assetato di sangue. Ho dimenticato qualcosa?”
Clint aveva il fiatone e anche il mal di testa, dopo il riassunto veloce di una situazione assurda e ‘facciamo prima a buttarci dalla finestra, ragazzi’.
 
Elementare, Watson. Peccato che adesso siamo punto e a capo. Assalto al Pentagono? Voglio vendicare la mia piccola sfortunata Torre, per favoreee!”
 
Una forchetta si piantò sulla superficie lignea del tavolo, a un centimetro dalla mano di Tony, che borbottò un “Permalosa” in direzione della Vedova, dopo ovviamente essersi ripreso dallo shock.
 
“Se anche riuscissimo ad arrivarci, ci rimarremmo dentro a quel dannato bunker. Ross mi ha orgogliosamente detto che è stato costruito con una lega di acciaio e vibranio, perciò nemmeno Hulk potrebbe tirarci fuori, se ci imprigionassero lì. Sfortunatamente, noi non abbiamo frammenti di energia del Tesseract per indurre quel maledetto Cubo ad aprire un portale, Stark.”
 
Ciò che accadde nei secondi successivi fu memorabile.
Gli occhi di Tony si spalancarono all’inverosimile ed una luce sinistra accese le sue iridi ambrate. Slanciò con talmente tanta forza le braccia verso l’alto per esultare, che cadde all’indietro con tutta la sedia e, da steso sul pavimento, cominciò ad alternare insulti con canti di gioia molto coloriti.
Pepper lasciò cadere la testa sul tavolo, in paziente attesa che il suo fidanzato smettesse di fare il cretino. Avrebbe contato fino a trenta, prima di provvedere lei stessa a farlo smettere, utilizzando le maniere forti.
 
“Io non ci ho capito un fico secco di tutta quella roba su contatti, rapporti e mostri. Ma una cosa è certa. Stark ha il nostro pass per arrivare al bunker” asserì Sam, che intanto aveva raggiunto il miliardario per porgergli una mano e rimetterlo in piedi.
 
“Grazie, Wilson. La nostra New Entry ha detto bene. Volevo scoprire se l’energia del Tesseract fosse compatibile con i reattori delle armature e ne ho presa un po’. Questa è lungimiranza, miei cari.”
Tony si era illuminato come un albero di Natale ed evitata di saltellare, solo perché gli faceva male l’osso sacro per lo schianto sul pavimento.
 
“Questo è culo, Stark, altro che lungimiranza! E che culo!”
 
“Nah, Occhio Lesto. È lungimiranza. Ho infatti l’armatura con il potere dell’invisibilità giù nel Van, così posso arrivare alla Tower in poco tempo, prendere il nostro pass, che ho preventivamente lasciato in officina e non in laboratorio e, per finire, tornare qui. Non visto e indisturbato. Bruce, Tesseract e scettro. Tre piccioni con una fava. Ma quanto sono Genio?
 
Questa volta Natasha non mancò il bersaglio, perché il tacco dodici delle scarpe abbinate all’elegante tailleur colpì in piena fronte il miliardario e lo rispedì a terra.
 
“Meno parole e più fatti, Genio spudoratamente fortunato.
 
 
 
                                                ***
 
 
 
“Tirati su, avanti!”
 
Niente. Il corpo non dava segno di volergli obbedire.
Ad ogni respiro, stilettate di dolore percorrevano il petto, l’addome e la schiena. Si chiese se almeno una costola fosse ancora intera e se il pubblico fosse soddisfatto dello spettacolo, perché non era certo di poter concedere il bis.
Percepiva la famigliare sensazione della calda umidità del sangue sulla nuca. Gocce di liquido vermiglio scivolavano dalla fronte spaccata e gli finivano negli occhi.
Grumi di sangue gli ostruivano la gola, ma tossire non era una buona idea, perché sarebbe andato in mille pezzi, molto probabilmente. La pelle bruciava fastidiosamente, a causa dei tentativi del mostro di scioglierlo come gelato al sole, perciò il pavimento freddo - che doveva essere stato cosparso di colla, perché non riusciva a staccarsi da lì per rimettersi in piedi - gli dava un po’ conforto.
 
Ma ehi! Anche se adesso era tutto rotto, c’era il siero che scorreva nelle sue vene. Sarebbe guarito velocemente, no? Quindi non c’era da preoccuparsi.
 
‘Sei davvero patetico, Rogers’ berciò la vocina, indignata, riportandolo alla fredda realtà.
Sì, perché la realtà era che Steve avrebbe desiderato morire in quell’esatto momento. Il dolore era troppo da sopportare. Non era solo il corpo a gridare sofferente, ma anche la sua instabile mente.
Era un incubo. Un maledetto incubo maledettamente reale.
Tra poco si sarebbe svegliato e puf!
E puf! un bel niente.
 
Una morsa si chiuse attorno alla sua caviglia destra, interrompendo il flusso irregolare e ‘vatti a far curare, Rogers’ dei pensieri.
Il potenziato prese a strascinarlo sul duro pavimento senza alcuna gentilezza, strappandogli versi di protesta, molto simili a lamenti agonizzanti.
L’adrenalina stava scemando in fretta, tanto che il biondo cominciò a percepire distintamente ogni ferita, a causa dell’efficientissima trasmissione di impulsi dolorosi, meglio definita come la più disastrosa falla del siero di Erskine, grazie alla quale Steve sentiva il dolore esponenzialmente di più dei comuni mortali. Okay, era più difficile infliggergli ferite gravi, perché la resistenza e la forza da super soldato erano una protezione efficace e difficilmente scalfibile, ma quando veniva ferito in modo serio malediva il giorno in cui si era arruolato - se avesse avuto la possibilità di tornare indietro, l’avrebbe comunque rifatto.
Quello era uno di quei momenti in cui odiava il siero con tutto sé stesso.
La percezione sensoriale era talmente elevata e raffinata, che poteva sentire sfrigolare l’epidermide ustionata, i muscoli gemere per l’impossibilità di tendersi ancora e le ossa ... beh era meglio non parlare delle ossa.
Sentiva il sangue riversarsi nell’addome e pregò le cellule di sbrigarsi a riparare quel danno, prima che l’emorragia interna lo uccidesse.
Il mostro smise di usarlo come straccio per pulire il pavimento e, con sempre poca grazia - Andiamo! Hai già infierito abbastanza, no? - lo abbandonò al centro della sala.
Rogers fu costretto ad ascoltare l’applauso degli sciacalli lassù e tutte le stucchevoli congratulazioni - leccaculo! - che rivolsero al dottor Lewis e a Schmidt, colui che aveva reso possibile il miracolo scientifico che avrebbe rivoluzionato il mondo.
 
“Fanculo a tutti!” fu l’urlo interiore che non riuscì a tirare fuori, perché già respirare faceva abbastanza male e quindi non gli sembrava il caso di mettersi a gridare ingiurie a squarcia gola, nonostante avesse tanto voluto prendere a male parole quei bastardi.
Da quando era diventato così volgare? Al diavolo!
 
Forte solo di una testardaggine senza pari, Steve costrinse tutte le parti ancora funzionanti del proprio corpo a sostenerlo nell’impresa di sollevarsi da terra.
Di colpo tornò il silenzio nella stanza e il giovane si rese conto di avere tutti gli occhi puntati addosso. Era riuscito a tirarsi su, alla fine, anche se non del tutto.
Un ginocchio era ancora a terra, mentre l’altra gamba lo sorreggeva appena. Il pugno destro era puntellato sul pavimento, mentre la mano sinistra era poggiata sull’addome dolorante e livido, nascosto parzialmente dalla maglia sbrindellata.
 
Non era completamente da buttare, in fin dei conti.
 
 
 
 
 
 
“È un folle. Perché non rimane giù?”
Kristen strinse fra i denti l’unghia laccata del pollice destro, mentre osservava Rogers tirarsi su a fatica.
Il mostro che lei stessa aveva contribuito a creare era di nuovo pronto a scagliarsi sulla preda. Doveva fermare quello scempio. Fece per muoversi, intenzionata a raggiungere Schmidt, l’unico in grado di fermare il potenziato.
Rumlow, però, la afferrò tempestivamente per un braccio e le rivolse uno sguardo parecchio eloquente, come se le avesse letto nel pensiero. La donna tentò di divincolarsi, ma le parole di Teschio Rosso bloccarono ogni sua iniziativa e le fecero tirare un sospiro di sollievo.
 
“La dimostrazione è terminata. Riposo, soldato.”
 
Il potenziato smise di concentrarsi sul Capitano e parve come spegnersi. Rimase rigidamente ritto sul posto, con le mani allacciate dietro la schiena e lo sguardo rosso sangue puntato dinanzi a sé.
Schmidt fece segno a Rumlow di occuparsi di Rogers e invitò le eminenti personalità a seguirlo in un luogo più confortevole, dove avrebbero potuto discutere di affari.
Anche Lewis seguì il corteo di sciacalli, non nascondendo affatto la soddisfazione per l’esito positivo del test.
Una volta che le illustri signorie furono scomparse nell’ascensore posto sulla zona sopraelevata, Rumlow ordinò ai suoi sottoposti di riportare il potenziato nei laboratori, mentre lui raggiungeva il Capitano.
Kristen lo affiancò prontamente.
 
“Da quando ti preoccupi per lui?”
La domanda di Rumlow la freddò, tanto da farla boccheggiare per qualche secondo.
“Non è così.”
Brock ridacchiò e si fermò a metà della scala in ferro. Si voltò per guardare la donna in viso e lei sostenne il suo sguardo.
“Sai cosa ti avrebbe fatto Schmidt se-”
“Evitiamo di parlarne, okay? Ho sbagliato, lo so, e ti ringrazio per avermi fermata” gli confessò, anche se la sua voce non suonava del tutto convinta.
Rumlow, comunque, lasciò cadere il discorso e riprese a muoversi, portandosi così dinanzi al Capitano, ancora mezzo inginocchiato, ma abbastanza lucido da irrigidirsi alla vista dell’ex compagno.
 
“Ti vedo piuttosto sofferente, Rogers.”
 
Steve roteò gli occhi, con fare palesemente seccato, del tipo ‘non mettertici anche tu’.
In risposta, Rumlow lo afferrò per un bracciò e lo strattonò verso l’alto, costringendolo in piedi.
Il biondo si morse l’interno della guancia, per trattenere le grida di dolore. La gamba sinistra non riusciva a sostenerlo e pareva che nell’addome qualcuno avesse appiccato un incendio. Ebbe un momento di buio totale e, se non ci fosse stato Brock a sorreggerlo, sarebbe crollato al suolo, regalando al suo corpo sfinito l’ennesima botta.
Crossbones emise un verso scocciato e iniziò a camminare, tirandosi dietro il ragazzo, ma dovette fermarsi dopo un paio di passi, perché si accorse di star trascinando un peso morto.
“Datti una mossa, Rogers.”
“Ma per favore, Rumlow!”
Steve si ritrovò piegato in due, scosso da colpi di tosse, tutto perché si era sforzato a gridare contro quel traditore, che intanto se la rideva.
 
“Che c’è che non va, eh Stellina?”
 
“Smettila, Brock. Sei irritante.”
Kristen si portò al fianco di Rogers e gli passò un braccio intorno alla vita, così da offrirgli un minimo di sostegno. Con la mano libera alzò i resti della maglia nera e imprecò tra i denti.
“Hai un’emorragia interna. Respira piano e non parlare.”
La donna diede un’ultima occhiata all’addome livido del super soldato, prima di rivolgersi a Rumlow.
“Adesso, tu smetti di fare il cretino e mi aiuti a farlo arrivare fino all’infermeria ancora vivo. O vuoi che Schmidt ci uccida entrambi, per aver perso la fonte principale del nuovo serio?”
La mora, per un istante, credette che Rumlow l’avrebbe picchiata per quell’affronto, ma l’uomo scosse semplicemente il capo, ghignando.
“Come vuoi tu, dolcezza” convenne e, con un gesto del tutto imprevisto, fece scivolare una mano dietro la schiena del Capitano e l’altra dietro le sue gambe, per poterlo sollevare da terra.
Steve, sconvolto, aveva spalancato gli occhi talmente tanto, che l’azzurro dell’iride si era fatto vitreo.
“Oh, non fare quella faccia. So anche essere gentile, principessa. E non sforzati di esprimere la tua gratitudine. Hai sentito la dottoressa, no? Non devi parlare.”
Naturalmente, Steve non riuscì a lasciar correre e, in un flebile ma ben udibile lamento, riuscì a comunicare il sentimento di cui il suo cuore si era riempito, grazie alle esperienze squisitamente distruttive degli ultimi giorni.
 
“Ti odio.”
 
Brock, dal canto suo, non poteva concedere l’ultima parola al ragazzino.
 
“Ti amo anch’io, principessa.”
 
E Kristen si chiese se Rumlow fosse sempre stato così lunatico, oltre che pazzo. Durante il test era rimasto in silenzio, senza commentare - il che era strano, molto strano -, avvolto in un’aura di oscura rabbia, quasi volesse esserci lui al posto del potenziato. Lo aveva visto fremere come un bambino, ogni qual volta Rogers aveva subito un colpo.
Adesso, lo sguardo livido di rabbia era stato sostituito da quello ‘come amo prenderti per il culo’, che Rumlow sfoggiava quando era particolarmente euforico.
La Myers ancora si stupiva, nonostante lavorasse con lui da mesi.
Pazzo lunatico.
Da quando poi aveva messo le mani sul Capitano, sadismo e follia avevano raggiunto picchi preoccupanti.
C’era un particolare che a questo punto non riusciva più ad ignorare. Il sadico pazzo lunatico aveva un occhio di riguardo per lei, perché era l’unica che poteva permettersi di contraddirlo, senza guardarsi una pallottola in testa. Non era certa della motivazione, ma questo riguardo non le dispiaceva ed era pronta a sfruttarlo, quando si presentava l’occasione buona.
 
“Perché non baci la principessa, Brock? I baci fanno miracoli.”
 
Mentre entravano nello sgangherato ascensore, Rumlow per poco non si soffocò con la sua stessa saliva e Steve emise un laconico verso disgustato.
 
“Se vi vergognate, posso chiudere gli occhi” celiò ancora la donna, trattenendo a stento il sorriso beffardo che tentava di piegarle le labbra.
 
“Va’ al diavolo” fu la risposta sincronizzata dei due ex colleghi, cosa che li pietrificò entrambi sul posto, mentre Kristen sogghignava compiaciuta.
 
Perché, ci si poteva chiedere.
Perché alcune volte sembrava di assistere ad uno sketch stupido e non molto sensato?
La fredda razionalità non era sufficiente, quando sulla carta d’identità, nella casella riguardante la professione, c’era inserita la voce supereroe o assassino provetto o spia o dottore con problemi a gestire la rabbia o aspirante dominatore del mondo o anche sexy genio (Tony Stark lo aveva fatto davvero).
Bisognava essere almeno un po’ folli per sopravvivere, altrimenti sarebbe stato come andare a fare la guerra senza fucile.
Era assurdo, ma la follia preservava la loro sanità mentale, che altrimenti avrebbe fatto le valigie di corsa, per scappare il più lontano possibile.
 
Nel silenzio calato improvvisamente all’interno della cabina in lenta salita, Steve rivide la mutazione del potenziato. Rivide la pelle violacea. Rivide gli occhi rossi come il sangue.
E due canini acuminati affondavano nella sua spalla destra, condannandolo a morte.
Ecco, dover stare in braccio a Rumlow non sembrava più così terrificante, adesso.
 
 
 
 
 
 
Kristen dovette - a malincuore - lasciare i due ex compagni da soli nell’infermeria, perché lei non era un medico e lì serviva un medico, al più presto. Prima di scomparire oltre la porta, però, si premurò di perforare Rumlow con uno sguardo che parlava da sé.
 
L’infermeria era una piccola stanza dalle pareti bianche, che accentuavano la luminosità delle lampade al led ancorate al soffitto. Alla parete dirimpetto l’ingresso stanziava un grande armadio di metallo, dentro il quale c’era l’occorrente necessario per un pronto soccorso. Nel mezzo c’era un lettino ricoperto da un’imbottitura grigia, su cui Rumlow depositò Steve.
 
“Avresti dovuto chiuderti a riccio, dopo i primi dieci colpi andati a segno. Invece hai preferito mantenere un atteggiamento di attacco e questo ti ha esposto troppo. Sei fortunato, se non ti ha spezzato tutte le costole.”
 
Brock gli strappò di dosso gli ultimi resti della maglia nera, rimanendo spiazzato per qualche attimo nello scoprire completamente la chiazza violacea che si estendeva sull’addome del giovane.
 
“Mi stai rimproverando? E comunque non mi sono esposto perché volevo provare l’ebbrezza di essere spezzato come un grissino.”
 
Steve faticava a tirare fuori ogni singola parola, ma non sembrava preoccuparsi delle proprie condizioni. Il dolore lo stava stordendo talmente tanto, da spingerlo verso l’abbraccio dell’incoscienza.
Stranamente, Rumlow non replicò e il silenzio si fece soffocante.
 
“Non prendere anche il nuovo siero.”
Per la prima volta da quando si erano rincontrati, Rogers vide Rumlow perdere la sua compostezza. Ciò spinse il super soldato a racimolare gli ultimi brandelli di forza, in modo da poter portare avanti il discorso.
“Credevi che non me ne fossi accorto? È da quando hai impedito che cadessi dall’Empire, che ho capito che eri stato potenziato. Sei stato troppo veloce e mi hai tirato su, come se non pesassi nulla. Le protesi meccaniche sono solo un’ulteriore arma, non è così?”
“Rogers-”
“Non prendere anche l’altro maledetto siero.”
Il traditore scoppiò a ridere ed era freddo il suono della sua risata.
“Non ho bisogno dei tuoi inutili consigli. E poi non ho intenzione di diventare un mostro viola. Sei più tranquillo adesso?”
“Io-”
“Tu cosa, Rogers? Non ti capisco. Non ti capirò mai. Dopo tutto quello che è successo, ti preoccupi per me? Hai paura che diventi troppo forte? Oppure sei solo un povero pazzo disperato?”
Brock aveva alzato parecchio la voce. Quel ragazzino riusciva a farlo andare in escandescenza con fin troppa facilità.
“Se non ti uccido è solo perché ci servi. Ti è chiaro questo, stupido moccioso?”
 
Il biondo si tirò su a sedere con estrema lentezza. Puntò gli occhi azzurri in quelli scuri dell’altro, sfidandolo ancora una volta, incurante delle proteste del suo corpo.
“Sei stato tu a tradirmi, non io. Quello che è successo è colpa tua. Hai scelto la parte sbagliata.”
E questo fu un colpo duro per Crossbones, tanto che Steve si ritrovò ad annaspare, con una mano dell’uomo stretta intorno alla gola.
“Sta’ zitto. Mi hai fatto crollare addosso un grattacielo e se non fosse stato per il siero ricavato dal sangue del Soldato d’Inverno, sarei paralizzato in un letto adesso.”
Rumlow non sembrava intenzionato a lasciar respirare il super soldato, privo della forza di dibattersi. Aveva la sua vita stretta fra le dita e avrebbe potuto spezzarla hic et nunc, ma, in fondo, a quello stupido ragazzino restava un giorno, ormai.
L’indomani di Steve Rogers non ci sarebbe rimasta traccia alcuna.
Schmidt aveva piani precisi e nessuno lo avrebbe fermato.
 
“Buona notte, Cap.”
 
                                                         *
 
Fu il suono ritmico prodotto dall’elettrocardiogramma a ricondurlo tra le grinfie della realtà.
Il suono del suo cuore. Un cuore che, nonostante tutto, continuava a sostenerlo in quella vita tramutatasi in un cammino verso la totale autodistruzione.
Era colpa sua.
Un ingenuo che si era lasciato pilotare, fin dal momento del suo risveglio. Un inconsapevole burattino nelle mani dei potenti. Un’arma che avrebbe dovuto rimanere tra i ghiacci dell’Artico.
Lui era tutto questo.
Il suo sangue aveva dato vita ai nuovi super soldati, mostri potenti abbastanza da mettere il mondo in ginocchio.
Dov’era Capitan America adesso?
Legato ad un dannato letto, tenuto in vita da flebo e a corto di idee.
Aveva perso la cognizione del tempo.
Gli altri erano vivi? Lo stavano ancora aspettando?
 
“Sei sveglio.”
 
Steve voltò il capo verso destra ed incontrò gli occhi verdi di Kristen, avvolta nel suo solito camice bianco. Era visibilmente turbata.
 
“Da quanto sono rinchiuso in questa maledetta base?”
 
La donna sorrise, mentre gli sfilava l’ago della flebo dal braccio. Scansò di un poco il candido lenzuolo e gli tastò l’addome contuso, storcendo il naso, quando vide il ragazzo contrarre la mascella e serrare gli occhi.
 
“Tre giorni. Sei a metà del quarto, per la precisione. Ma la tua permanenza qui non durerà ancora molto.”
 
Qui dove?”
 
Il silenzio di Kristen durò diversi minuti.
Steve la osservò liberarlo dalle restrizioni che lo costringevano disteso. Le tremavano appena le mani e fin troppe ciocche sfuggivano all’elastico rosso che raccoglieva la chioma scura.
“C’è una specie di bagno lì” cominciò la Myers, indicando una porta alle spalle del biondo.
“Hai dieci minuti. Troverai asciugamani e anche un cambio di vestiti. Una mossa falsa e mando in tilt il tuo sistema nervoso. Se tenti di rimuovere il meccanismo, sarà anche peggio, ti avverto.”
Portò una mano dietro il collo, in modo da ricordare al Capitano la presenza della sanguisuga meccanica. Non lo guardò mai negli occhi, nemmeno per un istante.
 
Rogers, spiazzato e confuso, decise di seguire le istruzioni ricevute.
Una volta in piedi, avvolse il lenzuolo intorno al corpo, perché lo avevano praticamente lasciato con addosso solo i boxer - cosa diamine avrebbe detto a Stark, ora che dell’uniforme aveva perso tutti i pezzi? -, e si diresse verso il bagno, zoppicando appena.
Prima che si chiudesse la porta alle spalle, la flebile voce di Kristen lo richiamò un’ultima volta.
 
“Sotto le macerie del Triskelion, Steve. Ecco dov’è qui.”
 
 
 
Più passavano i minuti e più la tattica dello sfondamento alla cieca lo allettava.
Si era fatto una doccia veloce, ripulendosi dai residui di sangue, mentre aveva cercato di indovinare quale sarebbe stata la prossima mossa di Teschio Rosso.
Dalle parole di Kristen, avevano intenzione di trasferirlo. Era a Washington, ora.
Dove volevano portarlo?
 
Quando tornò nell’infermeria, con addosso un paio di pantaloni cargo neri e una maglietta del medesimo colore, aveva i capelli ancora umidi. Gli abiti che gli avevano fornito stonavano parecchio con gli stivali marroni della sua uniforme - almeno un pezzo glielo avevano lasciato quindi.
Ad attenderlo non trovò Kristen, ma Adam Lewis.
 
“Fai una mossa fal-”
“Lo so. Quante volte avete intenzione di ripetermelo?”
 
Lewis sorrise e invitò il biondo a seguirlo fuori dalla stanza. Camminarono per i corridoi in silenzio, almeno fin quando Rogers non decise di averne abbastanza.
 
“Avete bisogno di altro sangue? No, perché non credo me ne rimanga molto.”
 
Il dottore si fermò dinanzi ad una porta a vetri, dietro la quale Steve intravide Schmidt, Rumlow, Kristen e Benson. C’erano, inoltre, un paio di uomini in camice bianco, che stavano lavorando ad un computer, posto vicino una strana sedia di metallo.
 
“Divertiti finché puoi, perché tra poco userai la lingua solo per dire ‘Come lei comanda, Sir’ e nient’altro.”
 
Le porte a vetri si spalancarono, lasciandoli passare, e Steve cominciò a sentire una strana agitazione muoversi nello stomaco. C’era qualcosa nella sua memoria che cercava di raggiungere la coscienza e l’urgenza di afferrare quel ricordo fuggevole lo mise sulla difensiva, soprattutto quando Schmidt gli venne incontro fin troppo contento.
Fu Teschio stesso a mettergli delle manette luccicanti intorno ai polsi, mentre Lewis gli rimuoveva la sanguisuga dietro il collo.
Ma cosa?
 
“Siamo pronti per la procedura di cancellazione, Sir.”
 
Nella stanza scese un gelido silenzio.
E Rogers comprese. Gli occhi azzurrissimi scintillarono consapevoli, mentre il corpo si irrigidiva, sotto gli sguardi dei presenti.
Riconobbe il macchinario che aveva visto sulle foto contenute nel fascicolo di Bucky, quello che Natasha aveva recuperato per lui tempo prima, e le parole di Schmidt assunsero spaventosa consistenza.
“Voglio toglierti tutto, anche te stesso.”
Volevano fargli il lavaggio del cervello. Volevano cancellarlo.
 
“Mi sembrava di aver detto di non fare parola della procedura” berciò Teschio Rosso, fulminando con un’occhiataccia lo scienziato che si era lasciato scappare una parola di troppo. Spostò poi l’attenzione sul Capitano, immobile e apparentemente perso.
“Avanti, ragazzo. Sarà una cosa veloce.”
Ma quando lo prese per un braccio, intenzionato a trascinarlo sulla macchina mangia anima, Rogers lasciò che il panico e la rabbia gli offuscassero la ragione.
 
E ci fu il caos più totale.
 
Il super soldato assestò una testata a Schmidt, stordendolo. Gli bastò poi una spallata per liberarsi di Lewis e correre verso la porta.
Fu però placcato da dietro e finì disteso sul pavimento, con Rumlow sulla schiena. Cominciò a dibattersi e a strisciare verso l’uscita, intenzionato a non fermasi.
“Smettila, Rogers!” gli urlò Crossbones, che perse la presa su di lui e venne sbalzato all’indietro da un potente colpo di reni.
Risuonarono le urla stridenti dei vetri della porta che andavano in frantumi, quando Steve si gettò contro di essi con violenza e rotolò nel corridoio.
Una fitta intensa all’addome lo fece rannicchiare in posizione fetale.
Prima che riuscisse a rimettersi in piedi, Rumlow e Schmidt lo artigliarono per le gambe e lo trascinarono di nuovo nella stanza, ignorando le sue grida di rabbia e i tentativi di divincolarsi. Sembrava un povero pesciolino finito disgraziatamente nella rete del pescatore.
 
“Ci hai provato, ma ti è andata male” lo schernì Teschio Rosso, una volta che il super soldato fu bloccato sulla maledetta sedia, con polsi e caviglie intrappolati in morse di vibranio.
 
“Vogliamo cominciare, Sir?” chiese Lewis, con tono avvelenato. Il super soldato aveva osato regalargli un volo terminato contro una parete della stanza. Non vedeva l’ora di trasformarlo in un burattino privo di volontà.
 
“Non potete farlo” ringhiò Rogers, ancora con il fiato corto e la tremarella come effetto collaterale della crescente agitazione.
Doveva tornare dai suoi compagni. Doveva ancora ritrovare Bucky.
Non poteva finire così. Non voleva che finisse così.
 
‘Eppure hai perso. Non puoi fare più niente. Sei finito’ sibilò la voce della sua coscienza, freddandolo.
 
L’ira.
La frustrazione.
L’umiliazione.
Il terrore.
Era troppo da sopportare. Troppo da tenere dentro.
Era giunto ad un punto di rottura e tornare indietro, ormai, era impossibile. C’era solo un baratro oscuro ad accoglierlo, nient’altro. Poteva vederlo, poteva sentirne il richiamo suadente, mentre la sua ferrea volontà si sgretolava come morbida creta.
 
La prima lacrima scivolò fuori dall’occhio destro, sfuggendo al suo controllo. Lenta e silenziosa, gli carezzò lo zigomo e la guancia. Poi, senza che potesse far nulla per evitarlo, altre gocce scintillanti di dolore si unirono alla prima.
Abbassò la testa, odiandosi per la debolezza esternata dinanzi a coloro che non aspettavano altro, se non di vederlo crollare. Trattenne a stento i singhiozzi, contraendo la mascella con rabbia.
Gli avrebbero tolto tutto. Gli avrebbero portato via l’anima.
Sapeva che lo stavano osservando. Era calato un silenzio surreale ed assordante.
Se solo fosse riuscito a liberarsi, molto probabilmente avrebbe attuato una strage. Avrebbe ucciso senza provare vergogna o sensi di colpa.
 
Teschio Rosso si abbassò sulle ginocchia, portando il volto alla sua stessa altezza. Gli prese il mento tra le dita guantate e lo costrinse a sollevare il capo, assaporando la visione di quegli occhi azzurri ora liquidi e vacui.
 
“Fa male, Steve?”
 
Glielo chiese con un tono tale da sembrare dispiaciuto, scandendo con meticolosità il suo nome. Con il pollice della mano intenta a tenergli fermo il viso, Schmidt asciugò una lacrima rimasta in stasi sulla guancia arrossata e sorrise compiaciuto.
Per un secondo, Steve ebbe la malsana idea di supplicare.
Un flebile “Non farmi questo” gli scappò dalle labbra, prima che potesse ricacciarlo dentro.
Le emozioni lo stavano stordendo, tanto che faticava ad ascoltare i suoi stessi pensieri.
 
Schmidt rise piano, scuotendo il capo.
“Ragazzo mio, avresti dovuto pensare alle conseguenze delle tue azioni sconsiderate. Ormai è tardi per tornare indietro” disse con calma, dando l’impressione di avere a che fare con un bambino duro di comprendonio.
“Chissà come reagiranno i tuoi amici, quando ti manderò ad ucciderli” aggiunse poi e quanto velenoso sadismo c’era nei suoi occhi infossati.
Lasciò andare il giovane, riacquistando la posizione eretta, e si rivolse a Rumlow, la cui espressione si era fatta imperscrutabile.
“Mettigli il paradenti. Non voglio che si faccia del male, durante la procedura. Mi serve sano.”
Brock si mosse immediatamente e questo provocò in Steve un’agitazione maggiore.
 
“Affrontami Schmidt! Affrontami da uomo!” gridò forte, nel più puro ed intenso panico. Panico che andava ben oltre la vista di occhi rosso sangue.
Non avevano il diritto di prendersi la sua vita.
Il solo pensiero di poter fare del male ai suoi compagni gli dava la nausea.
Teschio Rosso, che gli dava le spalle, ignorò le parole di sfida.
 
“Affrontami!” ripeté allora il biondo, disperato, mentre Rumlow gli si avvicinava.
 
L’ex compagno, senza alcuna gentilezza, gli infilò il paradenti in bocca e Steve gemette, percependo bruciare l’orgoglio ferito - fatto a pezzi.
“Addio, Rogers” lo salutò freddamente Brock, prima di tornare al suo posto, al fianco di Benson, nel cui sguardo c’era la smania di veder cancellato definitivamente il problema Capitan America.
 
La diabolica macchina mangia anime emise stridii laconici, mentre lo schienale metallico della sedia scendeva lentamente e un paio di bracci meccanici andavano a far chiudere una morsa d’acciaio ai lati del viso del super soldato. La visione dell’occhio sinistro fu oscurata da quella trappola infernale e il collo cominciò a dolergli, a causa della posizione forzata.
Steve lottò ancora contro le restrizioni in vibranio. I polsi scricchiolarono rumorosamente, mentre con i denti mordeva forte quel corpo estraneo nella bocca, per soffocare la voglia di gridare come un dannato.
Schmidt si voltò finalmente a guardarlo, forse attirato dal suono delle ossa sul punto di spezzarsi, e Steve lo sfidò ancora, perforandolo con un’occhiata di fuoco.
 
“Non renderti le cose più difficili. Tra poco sarà tutto finito.”
Appena Teschio Rosso terminò quello che voleva essere un consiglio spassionato, giunse la prima scarica di elettricità, che oscurò per un istante la già dimezzata visione del giovane.
 
“Risposta cerebrale ottimale. Possiamo procedere, Sir” decretò Lewis, assistito da altri due scienziati, oltre che da una mentalmente assente Kristen.
 
“Bene. Mi avvisi quando lo ha spezzato, dottore.”
Schmidt fece cenno a Benson di seguirlo ed anche Rumlow si accodò, dopo aver lanciato un’ultima occhiata in direzione di Rogers, conscio di aver già assistito a una scena simile, quando al comando c’era ancora Pearce.
 
Nella stanza rimasero solo i dottori e due guardie armate, sopraggiunte poco prima.
 
“Continuiamo” ordinò Lewis ai suoi sottoposti, dopo aver controllato sul monitor i parametri vitali del ragazzo.
 
Kristen scivolò silenziosa di fianco la macchina e, non vista, posò delicatamente una mano sul braccio di Rogers, che spostò la pupilla dell’unico occhio disponibile su di lei.
 
E arrivò la seconda scarica, seguita dalla terza e la quarta.
 
Steve si fece forza, imponendosi di rimanere lucido. Si attaccò ai suoi ricordi con tutta la disperazione che aveva in corpo, vertendo i pensieri sulle cose più importanti che aveva al mondo.
 
La sua squadra. I suoi amici. La sua famiglia.
 
‘È colpa mia. Ho commesso un errore madornale e imperdonabile, perché sono stato troppo avventato.
Mi dispiace.
Non sono abbastanza. Non lo sono mai stato.
Sam, evita di fare quel che faccio io, ti faresti solo del male.
Bucky. Perdonami. Non sono stato in grado di salvarti.’
 
I pensieri sbiadivano velocemente, mentre l’elettricità continuava a torturargli il cervello.
Gli parve di sentire lunghe dita fredde arpionare la sua anima e tirare. Tirare forte.
Immagini, suoni, sensazioni, tutto. Tutto si stava tramutando in un mare denso e nero.
 
Anthea. Vide l’immagine di Anthea sfumare.
 
Ancora una scarica. Più prolungata.
Poi, un suono sordo ed indistinto lo raggiunse, nonostante fosse sull’orlo dell’incoscienza.
 
Una mano fredda si strinse attorno al suo braccio con forza, strappandolo al buio.
 
“Sta’ sveglio, Steve.”
 
 
 
 
 
Note
Ciao!
Premetto che ho preso in prestito lo Scudo di Cap, perché così, se avrete voglia di lanciarmi addosso pietre o bombe a mano, almeno non ci rimarrò secca.
Dal prossimo capitolo si svolta, ragazzi miei! Evviva!
 
Che dire, invece, di questo capitolo? Nulla, che è meglio *si nasconde ancora dietro lo Scudo*.
 
Voglio assolutamente salutare le New Entry che hanno scelto di inserire la storia in una delle speciali liste: Mary Grifondoro, the little strange elf (come promesso!),  _Abyss_, TheMonstersAreHuman e Ravinpanica (a te devo un ringraziamento speciale! Ti aspetto!)
Spero di non aver dimenticato nessuno o mi getto da una finestra!
 
Grazie alla mia Sister Ragdoll_Cat (ce l’ho fatta alla fine! Giuro che rispondo alla tua recensione appena posso! Grazie per il supporto, mia cara! Ti vendicherai, dunque? ♥ ) e alla piccola Eclisse Lunare (per oggi, Fragolina Caramellata! ♥ ), per le dolci recensioni.
 
Naturalmente, ringrazio con tutta me stessa voi coraggiosi che continuate a seguirmi e a leggermi.
Verso l’infinito e oltre! (cosa c’entra non lo so >.< ).
Un abbraccio grandissimo ♥
Alla prossima!
 
Ella
   
 
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