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Autore: Michiyo_chan    02/04/2009    5 recensioni
[Aoi&Ruki][oneshot] »Mi ero fatto abbindolare da quelle parole dolci, quelle carezze, le notti passate insieme, amandoci e promettendoci le stelle. Mi sono illuso di poter avere quello che ho sempre desiderato, di poter essere l’unica cosa importante per una persona, e invece, sono stato usato, maltrattato e scacciato, come un cane che ormai non è più ben accetto, rimpiazzato da un esemplare più giovane e interessante.»
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aoi, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi accendo una sigaretta nel buio, il mio volto illuminato per pochi secondi dalla fiamma dell’accendino, che gli fa assumere un colorito rossastro

Mi accendo una sigaretta nel buio, il mio volto illuminato per pochi secondi dalla fiamma dell’accendino, che gli fa assumere un colorito rossastro. Mi vedo riflesso nella finestra dinanzi a me; il mio corpo magro spoglio di vestiti, sudato per la notte passata, i miei capelli scuri scompigliati e i miei occhi neri infossati per il poco sonno. Solo un lenzuolo bianco mi copre le gambe nude, come se volesse nascondere una parte di me.

Qualcosa accanto a me si muove, lentamente si sposta respirando pesantemente. Non mi volto per vedere la sagoma sdraiata nel letto accanto a me; uno sconosciuto, incontrato per caso in un bar. Una delle tante ombre che incontri per la tua strada, alla quale permetti di sforarti per alcune ore, allontanandoti dalla realtà, per poi tornare al mondo reale appena tutto finisce. Prendete strade diverse, tu e l’ombra, te ne dimentichi perché alla fine, quello che è accaduto tra di voi non ha mai avuto importanza per te. Sono cose che capitano, dici.

Sospiro e una nuvola di fumo lascia le mie labbra, offuscando l’immagine riflessa nel vetro di quella vecchia stanza d’albergo. Mi alzo, il mio corpo nudo illuminato dal tenue bagliore della luna, luccica come se fosse ricoperto da mille piccoli cristalli. Socchiudo gli occhi e resto immobile, inspirando l’odore di sesso che ancora regna nella stanza. Ripenso a quella persona che ora è con me, non ricordo il suo nome, ne il suo volto. Una notte come tante, nulla di speciale. Solo  un’altra preda da aggiungere alla mia collezione.

Si alza anche lui, si riveste e prende la sua giacca, poi senza salutare si avvia verso la porta, lasciandomi solo in quella stanza buia. Spengo la sigaretta nel posacenere e mi dirigo verso il bagno, aprendo l’acqua calda nella doccia, infilando mici.

 

Un rumore insistente mi risveglia dal dormiveglia in cui ero appena caduto. Allungo la mano verso il comodino, afferrando il cellulare che caparbio continua a suonare, come se ne dipendesse la sua vita. Mi strofino gli occhi, e accendendomi una sigaretta, rispondo alla chiamata.

-Aoi! E’ la decima volta che ti chiamo! Dove sei finito? Abbiamo l’intervista tra meno di mezz’ora!-, la voce di Kai è agitata, nervosa, lo sento che si sta contenendo a stento per non esplodere in una delle sue sfuriate. In sottofondo sento le voci di Reita e Uruha che ridono, e il piccolo vocalist che si lamenta per uno scherzo subito. –Allora mi rispondi?!-

Sbuffo e il fumo che avevo nei polmoni risale in aria, formando una densa nuvola grigia. –Ti sento. Non devi urlare.-

Lo sento che si sta agitando, ma ancora riesce a contenersi. E’un buon leader, non c’è che dire. Sospira pesantemente.

-Vedi di farti vivo per l’intervista.-, è scoraggiato.

Ridacchio lievemente, ho voglia di sfidarlo. –E se decidessi di prendermi la giornata libera?-

-Se anche solo ci provi, vengo li a prenderti a calci in culo e ti porto qui!-, è agitato, sono sicuro che stia tremando in questo momento, le sue dolci labbra increspate e le orecchie rosse per la rabbia. Mi lecco le labbra e sorrido soddisfatto.

-Ti aspetto Kai-kun.-, non gli lascio il tempo di replicare e riaggancio, sicuro di averlo fatto innervosire abbastanza.

 

Spengo la sigaretta nel posacenere e mi rivesto in fretta, prendendo la giacca dalla quale cadono egli occhiali da sole. Li guardo per un attimo, poi decido di metterli, meglio non farsi riconoscere, soprattutto non con delle occhiaie che ti fanno assomigliare ad un panda ubriaco. Esco dalla stanza scontrandomi con la donna delle pulizie, che mi guarda come se avesse appena visto un fantasma. Le restituisco lo sguardo, scrollando le spalle e me ne vado per la mia strada, fuori dall’albergo, in strada, sotto la pioggia.

Un cane randagio sotto la pioggia.

Mi stringo nelle spalle e mi incammino per quella strada trafficata, senza curarmi della pioggia che mi bagna i capelli, quelli tanto erano già rovinati. La parrucchiera mi prenderà a calci se vede come ho ridotto la sua bella acconciatura, ma non mi importa. Sono un randagio, faccio quello che mi pare e non mi pento delle mie decisioni, perché io non ho più nulla da perdere ora.

Tempo fa forse, avrei agito diversamente, sarei andato al lavoro senza troppe scuse e mi sei preoccupato del bene del gruppo. Ma ora, nulla poteva più convincermi a tornare sui miei passi; non sarei tornato indietro, avrei vissuto la mia vita alle spalle del mondo.

 

Passo davanti ad un bar e mi investe l’amaro profumo del caffè caldo. Entro e mi siedo ad uno dei tavolini, guardandomi intorno, senza però togliere gli occhiali da sole. Davanti a me, seduta ad uno dei tanti tavoli con due tazze di caffè posate dinanzi a loro, sono seduti una ragazza ed un ragazzo, si tengono per mano guardandosi negli occhi. Lui le accarezza la guancia, lei gli bacia le dita e con dolcezza gli dice che lo ama, lui esita, sospira e sorridendo le ripete le stesse parole. Lei gli scocca un sorriso raggiante e gli si fionda al collo, baciandolo.

-Buffoni.-, sospiro e accendo un’altra sigaretta.

-Signore, è vietato fumare in questo locale.-, la cameriera che mi si é avvicinata non deve avere più di trent’anni. E’ bassina e con un fisico snello, i suoi capelli biondi sono raccolti una coda che le ricade sulla spalla ed intorno ai suoi occhi chiari si estende un’esagerata linea di matita nera. Ha un accento strano.

-Signore mi ha sentita? può spegnere quella sigaretta? I clienti si stanno lamentando per il fumo.-, insiste. La guardo stralunato e spengo la sigaretta su tavolo, lasciandoci la bruciatura. Lei storce il naso indignata, ma non dice nulla per rimproverarmi. Peccato, speravo in una bella litigata mattutina.

-Cosa le porto?-, si fa di nuovo viva con quella vocina insopportabile. La guardo di sottecchi, cercando di capire come possa una creatura così piccola e insignificante, essere così maledettamente insopportabile.

-Mi va bene un caffè.-

Annuisce e si allontana, finalmente. Mi lascio cadere indietro sulla sedia, socchiudendo gli occhi. Sospiro pesantemente, passandomi una mano trai capelli. Sento ancora i mormorii della coppietta davanti a me che insiste con le smancerie, le promesse e le parole sdolcinate. Sento lo stomaco rigirarsi e un debole senso di nausea farsi largo dentro di me.

Eppure, tempo addietro anch’io ero così; innamorato, pieno di buoni propositi, amante della vita e delle sue dolcezze, ma soprattutto, fottutamente ingenuo.

 

Mi ero fatto abbindolare da quelle parole dolci, quelle carezze, le notti passate insieme, amandoci e promettendoci le stelle. Mi sono illuso di poter avere quello che ho sempre desiderato, di poter essere l’unica cosa importante per una persona, e invece, sono stato usato, maltrattato e scacciato, come un cane che ormai non è più ben accetto, rimpiazzato da un esemplare più giovane e interessante. Privato della vita che avevo, del futuro che nella mia mente era così nitido che ancora ora mi fa male ripensare a quegli attimi di pura beatitudine, quando tu mi dicevi che mi amavi, e che avresti dato la vita pur di vedermi sorridere. Tu che mi hai promesso la luna e le stelle, che mi hai accolto quando ero sull’orlo di un precipizio, e mi hai ridato una vita, un futuro, donandomi il tuo cuore, amandomi, proteggendomi, illudendomi.

Tu, che dopo mesi di passione e parole dolci, un giorno sei tornato a casa e mi dicesti di andarmene, di sparire. Mi indicasti la porta senza dire addio, lasciandomi così, sotto la pioggia, come un cane abbandonato in autostrada. Tu, che quando ti chiesi spiegazioni, alzasti le spalle e senza guardarmi dicesti “è meglio così”.

Tu, Kai, che prima mi donasti la vita per poi togliermela, condannandomi alla mia esistenza da cane randagio.

 

-Stai dormendo, Aoi-chan?-

Apro gli occhi di colpo, ritrovandomi faccia a faccia con quel nanetto dai capelli color oro. Il mio cuore fa un balzo, e a stento trattengo un urlo di spavento, mentre lui semplicemente si mette a ridere, guardandomi con i suoi occhi azzurri.

-Allora sei vivo! Sembravi morto..-, ridacchia e si siede sullo sgabello accanto, poggiando la testa sul tavolino senza togliere gli occhi da me. Sospiro per ritrovare la calma, e allungo la mano verso la tazza, notando con disgusto che è vuota. Lo guardo sospettoso, e lui, innocente, si lecca le labbra. –Era buono.-

Scuoto la testa e riappoggio la tazza sul tavolino. –Ti manda Kai?-

Lui mi guarda con i suoi occhi innocenti che mi ricordano quelli di un cucciolo che chiede le carezze al padrone. –Kai è tornato a casa dopo che ti ha chiamato, ha detto che sei uno stronzo e che per lui puoi anche andartene al diavolo, sempre che all’inferno ci sia posto per uno come te.-, gioca con una briciola trovata sul tavolino. –Sembra arrabbiato.-

Sorrido divertito a quest’ultima affermazione. Non solo sembrava, lo era di certo. Ero riuscito a far incavolare per bene il leader sempre calmo e ragionevole, mi meriterei una medaglia per questo. Annuisco soddisfatto, tornando a guardare il botolo. –Perché sei qui?-, faccio per afferrare una sigaretta, ma ci ripenso non appena noto lo sguardo severo della cameriera.

Ruki dondola la testa, arricciando le labbra. –Passavo di qui e ho visto la tua testona dalla vetrina, così ho deciso di entrare e scroccarti la seconda colazione.-, sorride ampiamente scoprendo i denti giallastri per il fumo. Scuoto la testa incredulo; quel nano farebbe di tutto per un po’di cibo, come un cagnolino da salotto. Sorrido mentre guardandolo piú attentamente, noto le sue somiglianze con un cagnolino.

-Va bene. Ti offro la colazione, botolo.-, sorrido addolcito dal suo sguardo felice e il suo urlo acuto che lancia in preda alla gioia, facendo sussultare mezzo locale e mettendo in allarme le cameriere. Avrebbero avuto un bel da fare, quelle rompiscatole – ben gli sta.

 

Guardo il mio portafogli sentendo una fitta al cuore, mentre quel nano dalla testa di paglia saltella felice per la strada, ruttando in giro, incurante degli sguardi dei passanti sconcertati.

-Ruki fai schifo!-, gli urlo mentre rimetto apposto il portafogli dimagrito di parecchie banconote.

Lui si gira verso di me, si avvicina e mi guarda negli occhi con sguardo interrogativo, prima di esprimersi in un rutto che sembra far tremare le mura delle palazzine intorno a noi. –Dici?`-, mi sorride di nuovo, scoprendo i dentini.

Lo guardo impressionato, dandogli una pacca su quella testa vuota. –Stavi per far crollare tutti i palazzi! Sei peggio di un terremoto e una tromba d’aria messi insieme!-, scoppio in una fragorosa risata vedendo i suoi occhioni azzurri inumidirsi e il suo labbro tremare preannunciando un’imminente attacco di pianto isterico.

-Non mi vuoi bene!-, piagnucola con una vocina che farebbe sciogliere anche il piú grosso degli iceberg. Sento una fitta al cuore, e gli accarezzo la testa cercando le parole per scusarmi. –No, Ruki non piangere..non volevo farti male..-

Il nano mi guarda ancora con i suoi occhi da cucciolotto triste, facendomi sentire in colpa per quello scappellotto di prima, poi inaspettatamente si alza in punta di piedi e posa le sue labbra sulla mia guancia, baciandola dolcemente. –Perdonato, ma solo perché mi hai offerto la pappa!-

Si allontana sorridendo, e io resto immobile a fissarlo, portandomi una mano alla guancia e sfiorandola con la punta delle dita sul punto dove le sue labbra l’hanno sfiorata. Uno strano calore si fa largo in me, un torpore che stento a ricordare. Alzo gli al cielo, guardando le pesanti nubi nere; almeno ha smesso di piovere.

 

-Guarda Aoi-chan!-, indica una vetrina spalmandosi sul vetro per vedere meglio i prodotti esposti. Il suo indice punta un oggetto piccolo e quadrato, ornato da dolci disegni dipinti a mano; un carillon. La scatoletta non è più grande della mano di Ruki, e la sua superficie di legno liscia e lucida rispecchia gli occhioni del nanetto, che lo guarda sognante. Sui lati dell’oggetto sono dipinte delle barchette, con un tramonto arancione tra di loro, all’interno ci sono due pupazzetti, due marinai che volteggiano seguendo le note della musica, avvicinandosi ad un punto certo, quasi a sfiorarsi per poi allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Non posso sentire la musica della scatoletta, ma sono certo che le note prodotte siano di una bellezza unica.

Mi volto verso il piccolo vocalist, ancora perso nei suoi sogni mentre osserva quell’oggetto, e senza esitare mi dirigo verso l’entrata del negozietto. L’interno del locale è scuro e vi regna una strana aria pesante e calda, che mi fa sudare, togliendomi il respiro per un attimo. Un vecchio signore alza lo sguardo al tintinnio dei campanellini posti sopra la porta d’entrata. Saluta cordialmente e io ricambio, indicandogli l’oggetto a cui era dedicato il mio interesse. Felice di poter vendere qualcosa, il nonnetto si affretta a prender il piccolo cofanetto, quasi inciampando sulle sue gambette magre. Sorrido divertito.

-Un ottimo oggetto, è molto antico. Mia nonna ne aveva uno simile, peccato che si sia rotto..-, racconta mentre impacchetta l’oggetto, io semplicemente annuisco senza interessarmi realmente alle sue storie, e mi guardo intorno, nervoso. Nota il mio sguardo, e scoprendo i pochi denti che gli restano, sorride indicando la vetrina, dalla quale Ruki mi osserva con i suoi occhi grandi e curiosi. -E’ un regalo per una persona speciale?-

Lo guardo confuso, senza capire quello che intende. –Speciale?-, ripeto e seguo il suo sguardo incrociando quello di Ruki, appiccicato sul vetro della vetrina. Arrossisco abbassando lo sguardo all’improvviso e poso i soldi sul bancone del vecchietto, senza attendere che mi calcoli il resto  mormoro un debole ringraziamento, mentre barcollo verso l’uscita.

Gli porgo il pacchetto in silenzio, senza guardarlo. Lui lo prende, lo scarta eccitato e fissa il carillon con un’espressione tra l’incredulo e lo stupido, con gli occhi di nuovo umidi.

-Se non ti piace lo restituisco.-, mi accendo una sigaretta tenendo lo sguardo basso, ma prima che possa fare il primo tiro, me lo ritrovo attaccato al collo che mi abbraccia stritolandomi e togliendomi il respiro. Lascio cadere a terra la sigaretta, sbuffando a disagio. –Grazie Aoi-chan! E’ bellissimo!-, mi posa un altro bacio sulla guancia e io arrossisco. Maledico il mio corpo per quella reazione stupida, e cerco di restare impassibile, mentre lui torna a guardare il piccolo cofanetto. Abbasso lo sguardo su quell’oggetto, e ripenso alle parole del vecchio. Una persona speciale.

 

-Ruki, ti va se andiamo al mare?-, la butto li così, senza rifletterci, mi esce all’improvviso, meravigliando anche me. Lui mi guarda confuso, girando la testa di lato. –Al mare? Ma…-

Scrollo le spalle e soffio in aria il fumo della sigaretta che mi riempie i polmoni. –Si, solamente tu ed io.-, alzo lo sguardo al cielo, notando le nubi che tornano ad addensarsi. –Partiamo adesso e ce ne andiamo.-

Noto che è sul punto di replicare, e gli poso una mano sulla testa dorata. –Torneremo prima che si accorgano che non ci siamo, te lo prometto. Facciamo solo un giretto, tu ed io, insieme.-, mi suonano strane quelle parole, come se dopo tanto tempo fossi riuscito a far sciogliere quel cuneo di ghiaccio che mi perforava il cuore. Traggo un profondo respiro cancellando i ricordi che minacciano di tornare a galla. Lui annuisce, e sorride felice stringendo a se il mio regalo. Rispondo sorridendo e ci incamminiamo verso la mia macchina, con il piccolo vocalist che mi stringe il braccio come un bambino affettuoso. Continuo a sorridere anch’io. Una piccola fuga, insieme a quel nanetto mi avrebbe fatto bene; una semplice fuga dai ricordi, dalla quotidianità, nulla di più.

 

Ho gli occhi puntati sulla strada, meravigliandomi del poco traffico che c’è oggi, godendomi il panorama che mi scorre vicino. Ci siamo lasciati la città alle spalle da almeno un ora e mezza, attraversando la campagna e proseguendo verso una piccola località balneare  poco distante. Un luogo tranquillo, poco frequentato di questa stagione. Il tempo continua a mutare umore, schiarendosi per poi ricoprirsi di nubi quasi subito, ma fortunatamente la pioggia non dava più noia.

Mi volto a guardare il botolo stranamente silenzioso, notando che ha gli occhi schiusi, raggomitolato sul sedile accanto a me e con il carillon tra le braccia, premuto al petto. Sorrido addolcito, tornando a guardare l’asfalto.

Ricordo il tempo in cui andavo su quella piccola baia con Kai, divertendoci come matti mentre cercavamo di affogarci a vicenda, giocando tra le onde e sdraiandoci poi sulla sabbia a fine giornata, l’uno accanto all’altro mentre guardavamo il sole morire all’orizzonte. Ricordo come iniziava a parlare guardando il cielo, fermandosi di colpo senza più continuare, e io mi voltavo a vedere cosa gli prendesse, e lo trovavo li, gli occhi chiusi e un sorriso sulle labbra, addormentato. Ricordo il bacio salato che posavo sulle labbra, appoggiando la testa al suo petto, ascoltando il suo cuore, quel cuore che, allora, ancora batteva per me.

Sento le lacrime pungermi gli occhi e mi passo il dorso della mano sul viso, sospirando mesto.

-Sei triste Aoi-chan?-, lo sento mormorare mentre piano si sveglia e appoggia la testa alla mia spalla. Scuoto la testa cercando di controllare il tremito nella mia voce. –No, stavo solo pensando.-

Annuisce e torna a sedersi sul suo sedile, aprendo il coperchietto del carillon, che emette una melodia dolce e soave che ondeggia per la macchina con note leggere e aggraziate, riempiendo l’aria. Scaccia i ricordi, lasciandoli dissolvere tra le sue note e con loro se ne va la malinconia che mi attanagliava il cuore. Sorride e si avvicina di nuovo a me, appoggiando la testa alla mia spalla, socchiudendo gli occhi per ascoltare il tenero suono che proviene dal cofanetto.

 

Parcheggio la macchina sotto un albero poco distante dalla spiaggia e scendo stiracchiandomi. Il nano biondo balza fuori dalla macchina girando su stesso mentre fissa estasiato la spiaggia che si estende davanti a noi, cadendo poi in una distesa grigio-bluastra, mossa dalle onde. Scuoto la testa, incapace di capire come possa un ragazzo della sua età avere in se una dolcezza ed un’innocenza tanto pura, simile solo a quella di un bambino.

Corre sulla spiaggia, inciampando per via delle scarpe, che toglie sbuffando e imprecando contro i calzini, che poi butta per aria insieme alle scarpe, riprendendo a correre verso la distesa d’acqua, restando immobile a fissarla. Rido divertito, togliendomi a mia volta le scarpe per seguirlo, raggiungendolo e restando li, a guardare il mare davanti a noi, in silenzio, come se le parole potessero distruggere quel momento di pace. Chiudo gli occhi e mi lascio cadere indietro sulla spiaggia, affondando leggermente nella sabbia. Ruki mi guarda, ride e mi si butta addosso, ricoprendomi di sabbia il ventre e infilandomela ovunque. Impreco e cerco di levarmelo di dosso, rivoltandolo e ritrovandomi io sopra di lui. Mi sento strano, il cuore che batte forte e la gola secca, mentre lui continua a sorridermi innocente, avvicinandosi al mio volto e posando le sue labbra sulle mie, intrappolandole in un tenero bacio. –Ti voglio bene.-, sussurra leccandomi la guancia.

Lo guardo allarmato,  mordendomi le labbra; qualcosa in me urla di prenderlo, di farlo mio all’istante senza tregue, un’altra preda da aggiungere alla lista, un altro divertimento, uno svago, un gioco. Non voglio. Non voglio fargli del male, non a lui. Non voglio cancellare l’innocenza dai suoi occhi. Sospiro e mi rialzo, allontanandomi verso la macchina, sento il suo sguardo che mi segue, triste, deluso. Non posso voltarmi, non posso tornare indietro; lui non merita di dover soffrire per colpa mia, non lui, innocente, un cucciolo, mentre io non sono altro che un cane randagio che vaga per il mondo in cerca di nuove prede, nuovi giocattoli.

 

Mi accendo un’altra sigaretta, la quinta in meno di un quarto d’ora. Sono nervoso, agitato, con uno strano senso d’angoscia dentro di me. Dopo essere fuggito dalla spiaggia mi sono rintanato in un piccolo bar, scuro e poco frequentato, mi sono nascosto in un angolo buio, io, la mia sigaretta e il bicchiere di birra che non ho toccato da quando la barista me l’ha portato. Sono avvolto da un nube grigiastra di fumo puzzolente che mi nasconde, tenendo alla larga ospiti indesiderati. Nessuno si avvicina a me, come se riuscissero a fiutare il pericolo che rappresento.

La porta del locale si apre, facendo risuonare un campanellino. Entrano tre uomini, alti e robusti, uno con la barba incolta, il secondo con un cappellino nero in testa e il terzo con i capelli rasati e un sigaro in bocca. Si siedono al bancone e rozzamente ordinano da bere, ridendo per delle battute che solo loro capiscono. Distolgo lo sguardo, disgustato.

Fuori la luce è calata, anche se sono appena le cinque del pomeriggio. Sento i tuoni riecheggiare fuori dal locale, facendo tremare la terra con ogni rombo, come leoni che si battono fino allo stremo per contendersi un pezzo di carne avariata. Mi chiedo che fine abbia fatto il piccoletto, se ha trovato un riparo, o se ancora è sulla spiaggia, fradicio e solo. Soffio in aria il fumo, e in quel momento la porta si riapre ed entra una sagoma piccola, i capelli bagnati incollati al viso gracile. Si avvicina al bancone, guardandosi in giro spaesato e timido chiede un pacchetto di sigarette, che la padrona del locale gli passa, un po’ troppo lontana da lui che si deve sporgere per raggiungerla, e accidentalmente urta il bicchiere del tipo con i baffi. L’uomo impreca, si volta verso il piccoletto, che cerca di scusarsi con voce tremante.

-Guarda come mi hai ridotto, pidocchio!-, lo afferra per la collottola alzandolo da terra, e al contempo alza il pugno sinistro pronto a colpirlo. Il nano biondo chiude gli occhi, spaventato e continua a scusarsi, ma il grassone non lo ascolta e con precisione affonda il colpo sul naso del piccolo, che ruzzola a terra sanguinante e mugolante per il dolore. Ridono e si avvinano a lui, non ancora soddisfatti, lo prendono a calci facendolo urlare dal dolore.

Sputo la sigaretta e mi alzo, mi avvicino all’uomo baffuto e gli poso una mano sulla spalla. Si volta e prontamente si ritrova un pugno sul grugno. Sento il suo naso rompersi sotto al mio colpo con un sonoro crack. Barcolla indietro, fino al bancone, impreca per il cazzotto preso e il sangue perso, e torna all’attacco. Mi preparo, pronto a prenderlo a botte e rompergli il muso, ma sento due braccia che mi afferrano da dietro, trattenendomi. Il colpo del baffuto arriva deciso all’addome, facendomi piegare su me stesso, gemendo e sputando saliva. Ridono divertiti dalla mia espressione dolorante, e in tre iniziano a prendermi a pugni e calci, colpendomi ovunque, aprendomi ferite e lividi su tutto il corpo. Solo quando ormai non riesco più a muovermi loro sembrano soddisfatti, ridono e si allontanano, solo il baffuto resta a fissarmi con un sorriso soddisfatto. –La prossima volta pensaci, prima di fare l’eroe!-, mi sputa in faccia e si congeda con un ultimo calcio all’addome.

 

Sento il corpo dolorante, devo avere qualche costola rotta e il naso frantumato, ma non importa. Cerco di rialzarmi, aiutato da due braccia esili che mi sorreggono, rivelandosi più forti del previsto. Alzo lo sguardo e incrocio gli occhi annebbiati di lacrime di Ruki, il suo labbro che trema, arrossato per sangue perso. Sorrido. –Sembri un pagliaccio..-

Scuote la testa e dalle sue labbra esce un singhiozzo. –Sei uno stupido! Volevi farti ammazzare?!-, mi stringe a se, provocandomi un dolore insopportabile alle costole. Gemo e mi mordo le labbra. –No, ma se non stai attento mi ucciderai tu..-, cerco di sorridere, ma quello che mi appare sulle labbra è solo un a smorfia contorta per il dolore.

Allenta l’abbraccio, guardandomi negli occhi. Non c’è innocenza nel suo sguardo, solo preoccupazione e paura, un tremendo terrore. Rabbrividisco alla vista di quegli occhi intrisi di dolore.

 

-Mi spiace.-, mormoro allontanandomi da lui e uscendo dal locale, ritrovandomi sotto la pioggia, come un cane randagio, ferito e indebolito. Calde gocce mi scendono lunghe le guance mischiandosi alla pioggia incessante che mi bagna i capelli, facendoli appiccicare al mio volto. Ho la vista annebbiata per la pioggia e le lacrime che continuano a scendere. Mi sento in colpa. Pur non volendolo l’ho ferito, gli ho fatto del male.

Ripenso alle parole del vecchio nel negozio. Una persona speciale. Si, lo é. Speciale e unico. Un cucciolo che mi sento in dovere di proteggere con tutte le mie forze, che non voglio lasciare andare via, che non voglio ferire. Sorrido sotto la pioggia, rendendomi conto di quello che inizio a provare per quel piccolo impiastro, il mio piccolo impiastro.

 

-Aoi aspetta!-, dei passi riecheggiano sotto la pioggia, facendomi voltare per ritrovarmi davanti quel ciuffo color oro, che ora, sotto quella cascata aveva preso un colore giallo sporco. Mi guarda preoccupato, ancora triste. I suoi occhi sono rossi per le lacrime versate, non riesco a capire se ancora piange o se sono solo le gocce di pioggia, quelle gli rigano il viso. Abbasso lo sguardo, evitando di guardarlo. –Che vuoi?-

Scuote la testa mesto, avvicinandosi a me in punta di piedi e catturando le mie labbra in un bacio dolce e profondo. Le sue labbra sono salate, sento il sapore delle sue lacrime, o forse sono le mie che macchiano anche il suo volto. Lo avvolgo con le braccia e rispondo al bacio, lungo, profondo e dolce. Un bacio diverso, una sensazione che da troppo tempo non sentivo. Mi stacco, lo guardo e gli accarezzo la guancia. –Non posso..-

Mi guarda con i suoi occhioni, quasi trapassandomi con lo sguardo. –Si che puoi, possiamo stare insieme. Io voglio stare con te Aoi!-, altre lacrime gli scendono lungo le guance mischiandosi alla pioggia. Mi mordo le labbra.

-Non posso, Ruki! Io sono un cane randagio! Ti farei del male! Giro per il mondo in cerca di nuovi giocattoli, come un cane che gira in cerca di prede! Non sono fatto per legarmi, non sono più un cucciolo..-, mi tappa la bocca con un altro bacio, mordendomi il labbro, poi si sposta e si toglie la catenina che porta al collo, legandola intorno al mio. Sorride dolcemente, il volto ancora rigato dalle lacrime.

 

–Ora, sei il mio cucciolo.-

 

 

  
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