Mi
accendo una sigaretta nel buio, il mio volto illuminato per pochi secondi dalla
fiamma dell’accendino, che gli fa assumere un colorito rossastro. Mi vedo
riflesso nella finestra dinanzi a me; il mio corpo magro spoglio di vestiti,
sudato per la notte passata, i miei capelli scuri scompigliati e i miei occhi
neri infossati per il poco sonno. Solo un lenzuolo bianco mi copre le gambe
nude, come se volesse nascondere una parte di me.
Qualcosa accanto a me si muove, lentamente si sposta
respirando pesantemente. Non mi
volto per vedere la sagoma sdraiata nel letto accanto a me; uno sconosciuto,
incontrato per caso in un bar. Una delle tante ombre che incontri per la tua
strada, alla quale permetti di sforarti per alcune ore, allontanandoti dalla
realtà, per poi tornare al mondo reale appena tutto finisce. Prendete strade
diverse, tu e l’ombra, te ne dimentichi perché alla fine, quello che è accaduto
tra di voi non ha mai avuto importanza per te. Sono cose che capitano, dici.
Sospiro
e una nuvola di fumo lascia le mie labbra, offuscando l’immagine riflessa nel
vetro di quella vecchia stanza d’albergo. Mi alzo, il mio corpo nudo illuminato
dal tenue bagliore della luna, luccica come se fosse ricoperto da mille piccoli
cristalli. Socchiudo gli occhi e resto immobile, inspirando l’odore di sesso
che ancora regna nella stanza. Ripenso a quella persona che ora è con me, non
ricordo il suo nome, ne il suo volto. Una notte come
tante, nulla di speciale. Solo un’altra preda da aggiungere alla mia
collezione.
Si
alza anche lui, si riveste e prende la sua giacca, poi senza salutare si avvia
verso la porta, lasciandomi solo in quella stanza buia. Spengo la sigaretta nel
posacenere e mi dirigo verso il bagno, aprendo l’acqua calda nella doccia,
infilando mici.
Un
rumore insistente mi risveglia dal dormiveglia in cui ero appena caduto.
Allungo la mano verso il comodino, afferrando il cellulare che caparbio
continua a suonare, come se ne dipendesse la sua vita. Mi strofino gli occhi, e
accendendomi una sigaretta, rispondo alla chiamata.
-Aoi!
E’ la decima volta che ti chiamo! Dove sei finito? Abbiamo l’intervista tra
meno di mezz’ora!-, la voce di Kai è agitata, nervosa, lo sento che si sta
contenendo a stento per non esplodere in una delle sue sfuriate. In sottofondo
sento le voci di Reita e Uruha che ridono, e il piccolo vocalist che si lamenta
per uno scherzo subito. –Allora mi rispondi?!-
Sbuffo
e il fumo che avevo nei polmoni risale in aria, formando una densa nuvola
grigia. –Ti sento. Non devi urlare.-
Lo
sento che si sta agitando, ma ancora riesce a contenersi. E’un
buon leader, non c’è che dire. Sospira pesantemente.
-Vedi
di farti vivo per l’intervista.-, è scoraggiato.
Ridacchio
lievemente, ho voglia di sfidarlo. –E se decidessi di prendermi la giornata
libera?-
-Se
anche solo ci provi, vengo li a prenderti a calci in
culo e ti porto qui!-, è agitato, sono sicuro che stia tremando in questo
momento, le sue dolci labbra increspate e le orecchie rosse per la rabbia. Mi
lecco le labbra e sorrido soddisfatto.
-Ti
aspetto Kai-kun.-, non gli lascio il tempo di replicare e riaggancio, sicuro di
averlo fatto innervosire abbastanza.
Spengo
la sigaretta nel posacenere e mi rivesto in fretta, prendendo la giacca dalla
quale cadono egli occhiali da sole. Li guardo per un
attimo, poi decido di metterli, meglio non farsi riconoscere, soprattutto non
con delle occhiaie che ti fanno assomigliare ad un
panda ubriaco. Esco dalla stanza scontrandomi con la donna delle pulizie, che
mi guarda come se avesse appena visto un fantasma. Le restituisco lo sguardo,
scrollando le spalle e me ne vado per la mia strada, fuori dall’albergo, in strada, sotto la pioggia.
Un
cane randagio sotto la pioggia.
Mi
stringo nelle spalle e mi incammino per quella strada
trafficata, senza curarmi della pioggia che mi bagna i capelli, quelli tanto
erano già rovinati. La parrucchiera mi prenderà a calci se vede come ho ridotto
la sua bella acconciatura, ma non mi importa. Sono un
randagio, faccio quello che mi pare e non mi pento delle mie decisioni, perché io
non ho più nulla da perdere ora.
Tempo
fa forse, avrei agito diversamente, sarei andato al lavoro senza troppe scuse e
mi sei preoccupato del bene del gruppo. Ma ora, nulla
poteva più convincermi a tornare sui miei passi; non sarei tornato indietro, avrei
vissuto la mia vita alle spalle del mondo.
Passo
davanti ad un bar e mi investe l’amaro profumo del
caffè caldo. Entro e mi siedo ad uno dei tavolini,
guardandomi intorno, senza però togliere gli occhiali da sole. Davanti a me,
seduta ad uno dei tanti tavoli con due tazze di caffè
posate dinanzi a loro, sono seduti una ragazza ed un ragazzo, si tengono per
mano guardandosi negli occhi. Lui le accarezza la guancia, lei gli bacia le
dita e con dolcezza gli dice che lo ama, lui esita, sospira e sorridendo le
ripete le stesse parole. Lei gli scocca un sorriso raggiante e gli si fionda al
collo, baciandolo.
-Buffoni.-,
sospiro e accendo un’altra sigaretta.
-Signore,
è vietato fumare in questo locale.-, la cameriera che mi
si é avvicinata non deve avere più di trent’anni. E’ bassina e con un fisico
snello, i suoi capelli biondi sono raccolti una coda che le ricade sulla spalla
ed intorno ai suoi occhi chiari si estende
un’esagerata linea di matita nera. Ha un accento strano.
-Signore
mi ha sentita? può spegnere
quella sigaretta? I clienti si stanno lamentando per il fumo.-,
insiste. La guardo stralunato e spengo la sigaretta su tavolo, lasciandoci la
bruciatura. Lei storce il naso indignata, ma non dice nulla per rimproverarmi.
Peccato, speravo in una bella litigata mattutina.
-Cosa
le porto?-, si fa di nuovo viva con quella vocina insopportabile. La guardo di
sottecchi, cercando di capire come possa una creatura così piccola e
insignificante, essere così maledettamente insopportabile.
-Mi
va bene un caffè.-
Annuisce
e si allontana, finalmente. Mi lascio cadere indietro sulla sedia, socchiudendo
gli occhi. Sospiro pesantemente, passandomi una mano trai capelli. Sento ancora
i mormorii della coppietta davanti a me che insiste con le smancerie, le
promesse e le parole sdolcinate. Sento lo stomaco rigirarsi e un debole senso
di nausea farsi largo dentro di me.
Eppure,
tempo addietro anch’io ero così; innamorato, pieno di
buoni propositi, amante della vita e delle sue dolcezze, ma soprattutto,
fottutamente ingenuo.
Mi
ero fatto abbindolare da quelle parole dolci, quelle carezze, le notti passate
insieme, amandoci e promettendoci le stelle. Mi sono illuso di poter avere
quello che ho sempre desiderato, di poter essere l’unica cosa importante per
una persona, e invece, sono stato usato, maltrattato e scacciato, come un cane
che ormai non è più ben accetto, rimpiazzato da un esemplare più giovane e
interessante. Privato della vita che avevo, del futuro che nella mia mente era così
nitido che ancora ora mi fa male ripensare a quegli attimi di pura beatitudine,
quando tu mi dicevi che mi amavi, e che avresti dato
la vita pur di vedermi sorridere. Tu che mi hai promesso la luna e le stelle,
che mi hai accolto quando ero sull’orlo di un precipizio, e mi hai ridato una vita,
un futuro, donandomi il tuo cuore, amandomi, proteggendomi, illudendomi.
Tu,
che dopo mesi di passione e parole dolci, un giorno sei tornato a casa e mi
dicesti di andarmene, di sparire. Mi indicasti la
porta senza dire addio, lasciandomi così, sotto la pioggia, come un cane
abbandonato in autostrada. Tu, che quando ti chiesi spiegazioni, alzasti le
spalle e senza guardarmi dicesti “è meglio così”.
Tu,
Kai, che prima mi donasti la vita per poi togliermela, condannandomi alla mia
esistenza da cane randagio.
-Stai
dormendo, Aoi-chan?-
Apro
gli occhi di colpo, ritrovandomi faccia a faccia con
quel nanetto dai capelli color oro. Il mio cuore fa un balzo, e a stento trattengo un urlo di spavento, mentre lui semplicemente si
mette a ridere, guardandomi con i suoi occhi azzurri.
-Allora
sei vivo! Sembravi morto..-, ridacchia e si siede
sullo sgabello accanto, poggiando la testa sul tavolino senza togliere gli
occhi da me. Sospiro per ritrovare la calma, e allungo la mano verso la tazza,
notando con disgusto che è vuota. Lo guardo sospettoso, e lui, innocente, si
lecca le labbra. –Era buono.-
Scuoto
la testa e riappoggio la tazza sul tavolino. –Ti manda Kai?-
Lui
mi guarda con i suoi occhi innocenti che mi ricordano quelli di un cucciolo che
chiede le carezze al padrone. –Kai è tornato a casa
dopo che ti ha chiamato, ha detto che sei uno stronzo e che per lui puoi anche
andartene al diavolo, sempre che all’inferno ci sia posto per uno come te.-, gioca con una briciola trovata sul tavolino. –Sembra
arrabbiato.-
Sorrido
divertito a quest’ultima affermazione. Non solo sembrava, lo era di certo. Ero
riuscito a far incavolare per bene il leader sempre calmo e ragionevole, mi
meriterei una medaglia per questo. Annuisco soddisfatto, tornando a guardare il
botolo. –Perché sei qui?-, faccio per afferrare una sigaretta, ma ci ripenso
non appena noto lo sguardo severo della cameriera.
Ruki
dondola la testa, arricciando le labbra. –Passavo di qui e ho visto la tua
testona dalla vetrina, così ho deciso di entrare e scroccarti la seconda
colazione.-, sorride ampiamente scoprendo i denti giallastri per il fumo.
Scuoto la testa incredulo; quel nano farebbe di tutto
per un po’di cibo, come un cagnolino da salotto. Sorrido mentre guardandolo piú attentamente, noto le sue
somiglianze con un cagnolino.
-Va
bene. Ti offro la colazione, botolo.-, sorrido addolcito dal suo sguardo felice
e il suo urlo acuto che lancia in preda alla gioia, facendo sussultare mezzo
locale e mettendo in allarme le cameriere. Avrebbero avuto un bel da fare,
quelle rompiscatole – ben gli sta.
Guardo
il mio portafogli sentendo una fitta al cuore, mentre quel nano dalla testa di
paglia saltella felice per la strada, ruttando in giro, incurante degli sguardi
dei passanti sconcertati.
-Ruki
fai schifo!-, gli urlo mentre rimetto apposto il
portafogli dimagrito di parecchie banconote.
Lui
si gira verso di me, si avvicina e mi guarda negli occhi con sguardo
interrogativo, prima di esprimersi in un rutto che sembra far tremare le mura
delle palazzine intorno a noi. –Dici?`-, mi sorride di nuovo, scoprendo i
dentini.
Lo
guardo impressionato, dandogli una pacca su quella testa vuota. –Stavi per far
crollare tutti i palazzi! Sei peggio di un terremoto e
una tromba d’aria messi insieme!-, scoppio in una fragorosa risata vedendo i
suoi occhioni azzurri inumidirsi e il suo labbro tremare preannunciando
un’imminente attacco di pianto isterico.
-Non
mi vuoi bene!-, piagnucola con una vocina che farebbe sciogliere anche il piú grosso degli iceberg. Sento
una fitta al cuore, e gli accarezzo la testa cercando le parole per scusarmi.
–No, Ruki non piangere..non volevo farti male..-
Il
nano mi guarda ancora con i suoi occhi da cucciolotto triste, facendomi sentire
in colpa per quello scappellotto di prima, poi inaspettatamente si alza in
punta di piedi e posa le sue labbra sulla mia guancia, baciandola dolcemente.
–Perdonato, ma solo perché mi hai offerto la pappa!-
Si
allontana sorridendo, e io resto immobile a fissarlo,
portandomi una mano alla guancia e sfiorandola con la punta delle dita sul
punto dove le sue labbra l’hanno sfiorata. Uno strano calore si fa largo in me,
un torpore che stento a ricordare. Alzo gli al cielo,
guardando le pesanti nubi nere; almeno ha smesso di piovere.
-Guarda
Aoi-chan!-, indica una vetrina spalmandosi sul vetro per vedere meglio i
prodotti esposti. Il suo indice punta un oggetto piccolo e quadrato, ornato da
dolci disegni dipinti a mano; un carillon. La scatoletta non è più grande della
mano di Ruki, e la sua superficie di legno liscia e lucida rispecchia gli
occhioni del nanetto, che lo guarda sognante. Sui lati dell’oggetto sono
dipinte delle barchette, con un tramonto arancione tra di loro, all’interno ci
sono due pupazzetti, due marinai che volteggiano seguendo le note della musica,
avvicinandosi ad un punto certo, quasi a sfiorarsi per
poi allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Non posso sentire la musica della
scatoletta, ma sono certo che le note prodotte siano di una bellezza unica.
Mi
volto verso il piccolo vocalist, ancora perso nei suoi sogni mentre osserva
quell’oggetto, e senza esitare mi dirigo verso l’entrata del negozietto.
L’interno del locale è scuro e vi regna una strana aria pesante e calda, che mi
fa sudare, togliendomi il respiro per un attimo. Un vecchio signore alza lo
sguardo al tintinnio dei campanellini posti sopra la porta d’entrata. Saluta
cordialmente e io ricambio, indicandogli l’oggetto a
cui era dedicato il mio interesse. Felice di poter vendere qualcosa, il
nonnetto si affretta a prender il piccolo cofanetto, quasi inciampando sulle
sue gambette magre. Sorrido divertito.
-Un ottimo
oggetto, è molto antico. Mia nonna ne aveva uno
simile, peccato che si sia rotto..-, racconta mentre impacchetta l’oggetto, io
semplicemente annuisco senza interessarmi realmente alle sue storie, e mi
guardo intorno, nervoso. Nota il mio sguardo, e scoprendo i pochi denti che gli
restano, sorride indicando la vetrina, dalla quale
Ruki mi osserva con i suoi occhi grandi e curiosi. -E’ un regalo per una
persona speciale?-
Lo
guardo confuso, senza capire quello che intende. –Speciale?-, ripeto e seguo il
suo sguardo incrociando quello di Ruki, appiccicato sul vetro della vetrina.
Arrossisco abbassando lo sguardo all’improvviso e poso i soldi sul bancone del
vecchietto, senza attendere che mi calcoli il resto mormoro un debole ringraziamento,
mentre barcollo verso l’uscita.
Gli
porgo il pacchetto in silenzio, senza guardarlo. Lui lo prende, lo scarta
eccitato e fissa il carillon con un’espressione tra l’incredulo e lo stupido,
con gli occhi di nuovo umidi.
-Se
non ti piace lo restituisco.-, mi accendo una sigaretta tenendo lo sguardo
basso, ma prima che possa fare il primo tiro, me lo ritrovo attaccato al collo
che mi abbraccia stritolandomi e togliendomi il respiro. Lascio cadere a terra
la sigaretta, sbuffando a disagio. –Grazie Aoi-chan! E’ bellissimo!-, mi posa
un altro bacio sulla guancia e io arrossisco. Maledico
il mio corpo per quella reazione stupida, e cerco di restare impassibile,
mentre lui torna a guardare il piccolo cofanetto. Abbasso lo sguardo su
quell’oggetto, e ripenso alle parole del vecchio. Una persona speciale.
-Ruki,
ti va se andiamo al mare?-, la butto li così, senza
rifletterci, mi esce all’improvviso, meravigliando anche me. Lui mi guarda
confuso, girando la testa di lato. –Al mare? Ma…-
Scrollo
le spalle e soffio in aria il fumo della sigaretta che mi riempie i polmoni. –Si, solamente tu ed io.-, alzo lo
sguardo al cielo, notando le nubi che tornano ad addensarsi. –Partiamo adesso e
ce ne andiamo.-
Noto
che è sul punto di replicare, e gli poso una mano sulla testa dorata.
–Torneremo prima che si accorgano che non ci siamo, te lo prometto. Facciamo
solo un giretto, tu ed io, insieme.-, mi suonano strane quelle parole, come se
dopo tanto tempo fossi riuscito a far sciogliere quel cuneo di ghiaccio che mi
perforava il cuore. Traggo un profondo respiro cancellando i ricordi che
minacciano di tornare a galla. Lui annuisce, e sorride felice stringendo a se
il mio regalo. Rispondo sorridendo e ci incamminiamo verso la mia macchina, con
il piccolo vocalist che mi stringe il braccio come un bambino affettuoso.
Continuo a sorridere anch’io. Una piccola fuga, insieme a quel nanetto mi
avrebbe fatto bene; una semplice fuga dai ricordi, dalla quotidianità, nulla di
più.
Ho
gli occhi puntati sulla strada, meravigliandomi del poco traffico che c’è oggi,
godendomi il panorama che mi scorre vicino. Ci siamo lasciati la città alle
spalle da almeno un ora e mezza, attraversando la
campagna e proseguendo verso una piccola località balneare poco distante. Un luogo tranquillo, poco
frequentato di questa stagione. Il tempo continua a mutare umore, schiarendosi
per poi ricoprirsi di nubi quasi subito, ma
fortunatamente la pioggia non dava più noia.
Mi
volto a guardare il botolo stranamente silenzioso, notando che ha gli occhi
schiusi, raggomitolato sul sedile accanto a me e con il carillon tra le
braccia, premuto al petto. Sorrido addolcito, tornando a guardare l’asfalto.
Ricordo
il tempo in cui andavo su quella piccola baia con Kai, divertendoci come matti
mentre cercavamo di affogarci a vicenda, giocando tra le onde e sdraiandoci poi
sulla sabbia a fine giornata, l’uno accanto all’altro
mentre guardavamo il sole morire all’orizzonte. Ricordo come iniziava a parlare
guardando il cielo, fermandosi di colpo senza più
continuare, e io mi voltavo a vedere cosa gli prendesse, e lo trovavo li, gli
occhi chiusi e un sorriso sulle labbra, addormentato. Ricordo il bacio salato
che posavo sulle labbra, appoggiando la testa al suo petto, ascoltando il suo
cuore, quel cuore che, allora, ancora batteva per me.
Sento
le lacrime pungermi gli occhi e mi passo il dorso della mano sul viso,
sospirando mesto.
-Sei
triste Aoi-chan?-, lo sento mormorare mentre piano si sveglia e appoggia la
testa alla mia spalla. Scuoto la testa cercando di controllare il tremito nella
mia voce. –No, stavo solo pensando.-
Annuisce
e torna a sedersi sul suo sedile, aprendo il coperchietto del carillon, che
emette una melodia dolce e soave che ondeggia per la macchina con note leggere
e aggraziate, riempiendo l’aria. Scaccia i ricordi, lasciandoli dissolvere tra
le sue note e con loro se ne va la malinconia che mi attanagliava il cuore.
Sorride e si avvicina di nuovo a me, appoggiando la testa alla mia spalla,
socchiudendo gli occhi per ascoltare il tenero suono che proviene dal
cofanetto.
Parcheggio
la macchina sotto un albero poco distante dalla spiaggia e scendo
stiracchiandomi. Il nano biondo balza fuori dalla macchina girando su stesso
mentre fissa estasiato la spiaggia che si estende davanti a noi, cadendo poi in
una distesa grigio-bluastra, mossa dalle onde. Scuoto la testa, incapace di
capire come possa un ragazzo della sua età avere in se una dolcezza ed un’innocenza tanto pura, simile solo a quella di un
bambino.
Corre
sulla spiaggia, inciampando per via delle scarpe, che toglie sbuffando e
imprecando contro i calzini, che poi butta per aria insieme alle scarpe,
riprendendo a correre verso la distesa d’acqua, restando immobile a fissarla.
Rido divertito, togliendomi a mia volta le scarpe per seguirlo, raggiungendolo e
restando li, a guardare il mare davanti a noi, in silenzio, come se le parole
potessero distruggere quel momento di pace. Chiudo gli occhi e mi lascio cadere
indietro sulla spiaggia, affondando leggermente nella sabbia. Ruki mi guarda,
ride e mi si butta addosso, ricoprendomi di sabbia il ventre e infilandomela
ovunque. Impreco e cerco di levarmelo di dosso, rivoltandolo e ritrovandomi io
sopra di lui. Mi sento strano, il cuore che batte forte e la gola secca, mentre
lui continua a sorridermi innocente, avvicinandosi al mio volto e posando le
sue labbra sulle mie, intrappolandole in un tenero bacio. –Ti voglio bene.-,
sussurra leccandomi la guancia.
Lo
guardo allarmato,
mordendomi le labbra; qualcosa in me urla di prenderlo, di farlo mio
all’istante senza tregue, un’altra preda da aggiungere alla lista, un altro
divertimento, uno svago, un gioco. Non voglio. Non voglio fargli del male, non
a lui. Non voglio cancellare l’innocenza dai suoi occhi. Sospiro e mi rialzo,
allontanandomi verso la macchina, sento il suo sguardo che mi segue, triste,
deluso. Non posso voltarmi, non posso tornare
indietro; lui non merita di dover soffrire per colpa mia, non lui, innocente,
un cucciolo, mentre io non sono altro che un cane randagio che vaga per il
mondo in cerca di nuove prede, nuovi giocattoli.
Mi
accendo un’altra sigaretta, la quinta in meno di un quarto d’ora. Sono nervoso,
agitato, con uno strano senso d’angoscia dentro di me. Dopo essere fuggito
dalla spiaggia mi sono rintanato in un piccolo bar,
scuro e poco frequentato, mi sono nascosto in un angolo buio, io, la mia
sigaretta e il bicchiere di birra che non ho toccato da quando la barista me
l’ha portato. Sono avvolto da un nube grigiastra di
fumo puzzolente che mi nasconde, tenendo alla larga ospiti indesiderati.
Nessuno si avvicina a me, come se riuscissero a fiutare il pericolo che
rappresento.
La
porta del locale si apre, facendo risuonare un campanellino. Entrano tre
uomini, alti e robusti, uno con la barba incolta, il secondo con un cappellino
nero in testa e il terzo con i capelli rasati e un sigaro in bocca. Si siedono
al bancone e rozzamente ordinano da bere, ridendo per delle battute che solo
loro capiscono. Distolgo lo sguardo, disgustato.
Fuori
la luce è calata, anche se sono appena le cinque del pomeriggio. Sento i tuoni
riecheggiare fuori dal locale, facendo tremare la terra con ogni rombo, come
leoni che si battono fino allo stremo per contendersi un pezzo di carne
avariata. Mi chiedo che fine abbia fatto il piccoletto, se ha trovato un
riparo, o se ancora è sulla spiaggia, fradicio e solo. Soffio in aria il fumo,
e in quel momento la porta si riapre ed entra una sagoma piccola, i capelli
bagnati incollati al viso gracile. Si avvicina al bancone, guardandosi in giro
spaesato e timido chiede un pacchetto di sigarette, che la padrona del locale
gli passa, un po’ troppo lontana da lui che si deve sporgere per raggiungerla,
e accidentalmente urta il bicchiere del tipo con i baffi. L’uomo impreca, si
volta verso il piccoletto, che cerca di scusarsi con voce tremante.
-Guarda
come mi hai ridotto, pidocchio!-, lo afferra per la collottola alzandolo da
terra, e al contempo alza il pugno sinistro pronto a
colpirlo. Il nano biondo chiude gli occhi, spaventato e continua a scusarsi, ma
il grassone non lo ascolta e con precisione affonda il colpo sul naso del
piccolo, che ruzzola a terra sanguinante e mugolante per il dolore. Ridono e si
avvinano a lui, non ancora soddisfatti, lo prendono a calci facendolo urlare dal
dolore.
Sputo
la sigaretta e mi alzo, mi avvicino all’uomo baffuto e gli poso una mano sulla
spalla. Si volta e prontamente si ritrova un pugno sul grugno. Sento il suo
naso rompersi sotto al mio colpo con un sonoro crack.
Barcolla indietro, fino al bancone, impreca per il cazzotto preso e il sangue
perso, e torna all’attacco. Mi preparo, pronto a prenderlo a botte e rompergli
il muso, ma sento due braccia che mi afferrano da dietro, trattenendomi. Il
colpo del baffuto arriva deciso all’addome, facendomi piegare su me stesso,
gemendo e sputando saliva. Ridono divertiti dalla mia espressione dolorante, e
in tre iniziano a prendermi a pugni e calci, colpendomi ovunque, aprendomi
ferite e lividi su tutto il corpo. Solo quando ormai non riesco più a muovermi loro sembrano soddisfatti, ridono e si allontanano, solo il
baffuto resta a fissarmi con un sorriso soddisfatto. –La prossima volta
pensaci, prima di fare l’eroe!-, mi sputa in faccia e si congeda con un ultimo
calcio all’addome.
Sento
il corpo dolorante, devo avere qualche costola rotta e il naso frantumato, ma
non importa. Cerco di rialzarmi, aiutato da due braccia
esili che mi sorreggono, rivelandosi più forti del previsto. Alzo lo sguardo e
incrocio gli occhi annebbiati di lacrime di Ruki, il suo labbro che trema,
arrossato per sangue perso. Sorrido. –Sembri un pagliaccio..-
Scuote
la testa e dalle sue labbra esce un singhiozzo. –Sei uno stupido! Volevi farti
ammazzare?!-, mi stringe a se, provocandomi un dolore
insopportabile alle costole. Gemo e mi mordo le labbra. –No, ma se non stai attento mi ucciderai tu..-, cerco di sorridere, ma quello
che mi appare sulle labbra è solo un a smorfia contorta per il dolore.
Allenta
l’abbraccio, guardandomi negli occhi. Non c’è
innocenza nel suo sguardo, solo preoccupazione e paura, un tremendo terrore.
Rabbrividisco alla vista di quegli occhi intrisi di dolore.
-Mi
spiace.-, mormoro allontanandomi da lui e uscendo dal locale, ritrovandomi
sotto la pioggia, come un cane randagio, ferito e indebolito. Calde gocce mi
scendono lunghe le guance mischiandosi alla pioggia incessante che mi bagna i
capelli, facendoli appiccicare al mio volto. Ho la vista annebbiata per la
pioggia e le lacrime che continuano a scendere. Mi sento in colpa. Pur non volendolo l’ho ferito, gli ho fatto del male.
Ripenso
alle parole del vecchio nel negozio. Una
persona speciale. Si, lo é. Speciale e unico. Un
cucciolo che mi sento in dovere di proteggere con tutte le mie forze, che non
voglio lasciare andare via, che non voglio ferire.
Sorrido sotto la pioggia, rendendomi conto di quello che inizio a provare per
quel piccolo impiastro, il mio piccolo impiastro.
-Aoi
aspetta!-, dei passi riecheggiano sotto la pioggia, facendomi voltare per
ritrovarmi davanti quel ciuffo color oro, che ora, sotto quella cascata aveva
preso un colore giallo sporco. Mi guarda preoccupato, ancora triste. I suoi
occhi sono rossi per le lacrime versate, non riesco a capire se ancora piange o
se sono solo le gocce di pioggia, quelle gli rigano il viso. Abbasso lo sguardo,
evitando di guardarlo. –Che vuoi?-
Scuote
la testa mesto, avvicinandosi a me in punta di piedi e
catturando le mie labbra in un bacio dolce e profondo. Le sue labbra sono
salate, sento il sapore delle sue lacrime, o forse sono le mie che macchiano
anche il suo volto. Lo avvolgo con le braccia e rispondo al bacio, lungo,
profondo e dolce. Un bacio diverso, una sensazione che da troppo tempo non
sentivo. Mi stacco, lo guardo e gli accarezzo la guancia. –Non posso..-
Mi
guarda con i suoi occhioni, quasi trapassandomi con lo sguardo. –Si che puoi, possiamo stare insieme. Io voglio stare con te Aoi!-, altre
lacrime gli scendono lungo le guance mischiandosi alla pioggia. Mi mordo le
labbra.
-Non
posso, Ruki! Io sono un cane randagio! Ti farei del
male! Giro per il mondo in cerca di nuovi giocattoli, come un cane che gira in
cerca di prede! Non sono fatto per legarmi, non sono più un cucciolo..-, mi tappa la bocca con un altro bacio, mordendomi il
labbro, poi si sposta e si toglie la catenina che porta al collo, legandola
intorno al mio. Sorride dolcemente, il volto ancora
rigato dalle lacrime.
–Ora,
sei il mio cucciolo.-