Non è mai stato così in alto.
Guarda per un attimo in giù, verso il basso, verso il terreno che sembra distare centinaia di chilometri e che sussurra il suo nome con voce suadente, cercando di convincerlo ad abbandonare quella folle impresa ed a lasciarsi cullare dall’aria settembrina, che gli accarezza il volto arrossato e si infila tra le dita facendogli il solletico, tentando insistentemente di fargli mollare la presa.
Ma lui deve essere coraggioso, e deve farcela.
Sale ancora un po’, e trema sempre di più.
Non si ferma.
Guarda in alto, ora, e ciò che vede è la molla che lo spinge a non arrendersi.
Sale, e sale, ed ormai è quasi in grado di vedere le stelle da vicino, e forse anche di toccarle.
Eccole lì, due stelle.
Le più brillanti che abbia mai visto.
Due stelle luminose racchiuse in palpebre di viola.
< Hai paura, Quattro? >, sorride ironica Tris, che si è appena voltato verso di lui, ed i suoi occhi cangianti sono l’unica luce nella notte sempre più buia.
Quattro vorrebbe risponderle a tono, magari con una battuta arguta, ma non può.
Sta guardando le stelle, ora.
Ma quelle stelle si oscurano in fretta, e scompaiono, veloci come un pensiero.
Tris si è voltata, e sta continuando a salire, allungando maggiormente la distanza tra loro.
Quattro rimane immobile, ma solo per un attimo.
Non pensa.
Non pensa al fatto che è sospeso a metri e metri d’altezza, su una ruota panoramica ormai ferma da anni, potendo contare unicamente sulla forza delle proprie braccia che hanno già iniziato a formicolare ed a dolere.
Non pensa al fatto che le vertigini potrebbero causargli uno svenimento da un momento all’altro, donandolo così all’insaziabile Morte.
Quattro non pensa.
Quattro semplicemente continua a salire.
Quattro vuole solo rivedere le stelle, le due stelle più belle del firmamento, che sono gli occhi di Tris.