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Autore: edoardo811    02/04/2016    3 recensioni
Il mondo è finito. Come reagiresti se sentissi tu queste parole? Come reagiresti se potessi accertarti con i tuoi stessi occhi che queste parole sono vere?
Questo è ciò con cui Rachel è costretta a convivere ogni giorno. Quando vede la gente morire di fame per strada, quando vede l'ennesima banda di tagliagole generare il caos, quando è costretta a combattere fino allo stremo per la propria vita e per quella delle poche persone care che le sono rimaste.
Per quanto tempo può la volontà di una persona riuscire a resistere alle crudeltà che la vita riserva?
Si dice che l'ultima candela sia sempre quella che impiega più tempo a spegnersi, ma cosa potrebbe accadere quando anche la speranza cessa di esistere?
Rachel con i suoi poteri potrebbe distruggere l'intero creato. Che cosa se ne farà?
Li userà per aiutare il mondo... o per aiutare semplicemente sé stessa?
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Robin, Slade
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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Capitolo 12: ESSERE UMANI

 

 

«È assurdo Rachel! Non puoi andare avanti in questo modo!» sbottò Jennifer, mentre camminava avanti e indietro nella stanza, di fronte al letto su cui la corvina era seduta. Si fermò di colpo, per poi premersi le mani sui fianchi e abbassare lo sguardo su di lei. «Ehi, ma mi stai ascoltando?!»

«No...» Rachel sospirò, abbracciandosi le ginocchia. «Potete andarvene ora?»

«Rachel, noi siamo qui per te» disse Karen, osservandola preoccupata dall’altra parte della camera.

«Non ve l’ho mai chiesto.»

«Dannazione a te, Roth!» esclamò la rosa, afferrandola per le braccia e scuotendola. «Ti vuoi svegliare?! Sono due giorni che non esci da questa stanza, tre se consideriamo che ormai sono le undici di notte, gli altri sono preoccupati! Anche Richard lo è!»

La corvina si lasciò scuotere dalla rosa come un pupazzo di pezza, senza reagire. Neppure sentire il nome del ragazzo che aveva amato le fece effetto. Ormai era completamente sprofondata nell’apatia. Non le importava più di nulla e di nessuno.

Jennifer continuava a parlare, a dire che gli uomini erano tutti degli idioti, a dirle di reagire, di fare qualsiasi cosa che non riguardasse il restare in quella stanza, ma Rachel a malapena la udiva.

Le parole scivolavano su di lei e cadevano a terra, come gocce d’acqua. O lacrime.

Una reazione. Una qualsiasi reazione chiedevano da lei. Positiva o negativa che fosse. Per loro probabilmente qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di vederla così incurante. Ma non serviva a nulla. Per Rachel in quel collegio era sempre esistita solo una persona. E per lei quella persona era appena morta. E con lei, qualsiasi barlume di emozione che avesse mai provato.

«Roth? Roth!» la chiamò ancora Jennifer, per poi sospirare esasperata. «Sai che ti dico? Arrangiati! Non vuoi il nostro aiuto? Bene, resta qui a marcire!»

La rosa si diresse a passo pesante verso la porta. «Karen, tu vieni?»

L’afroamericana parve esitare. Osservò prima Rachel, poi l’altra ragazza. Alla fine decise di seguire Jennifer, salvo poi fermarsi sull’uscio e rivolgere un ultimo sguardo alla corvina. «Ci sono tanti altri ragazzi nel mondo, Rachel, alcuni sono pure meglio di Richard, devi credermi. Devi solo avere pazienza. Troverai anche tu la tua anima gemella, te lo posso garantire.» Un sorriso si dipinse sul suo volto, ma svanì non appena si rese conto che nemmeno quelle parole avevano smosso l’interlocutrice. A quel punto, sospirò. «Beh... buonanotte.» E anche lei uscì.

La porta fece per richiudersi alle sue spalle. Finalmente Rachel credette di aver trovato quella pace che aveva desiderato dal momento stesso in cui le altre due ragazze erano entrate in camera sua, quando un braccio si frappose di colpo, tenendo la porta aperta.

Un ragazzo biondo fece capolino nella camera. «Ehm... permesso?»

Garfield entrò senza aspettare la risposta. Risposta che tanto non sarebbe arrivata in ogni caso. «Tutto ok Rachel?» domandò lui, mentre si chiudeva la porta alle spalle.

La corvina sospirò. Era stanca di sentire quella domanda. «Non eri nel Neon, da Tara?» domandò, senza nemmeno guardarlo.

«Ehm, sì, ma...» Gar arrossì, probabilmente ripensando a chissà quali porcate avesse fatto assieme alla fidanzata. «... sono tornato poco fa’...»

«Potresti coprirti quel succhiotto imbarazzante, per piacere?»

Il biondo si portò di scatto una mano sul collo, avvampando ulteriormente. Solo che si coprì il lato sbagliato, lasciando comunque in bella vista quella specie di morso di vampiro che aveva sotto al mento. Rachel scosse impercettibilmente la testa, in segno di disappunto.

«Allora... hai parlato con Richard?»

«Hai imparato a farti gli affari tuoi, Logan?»

Il biondo dischiuse le labbra, fece per replicare, ma poi si interruppe. Abbassò il capo e ridacchiò sommessamente.

Rachel lo udì e strinse i pugni irritata. «Che c’è di divertente?!»

«Niente, niente...» Logan scosse la testa, tuttavia continuando a sorridere. Sollevò lo sguardo e piazzò i suoi occhi color foglia sulla corvina. «È solo che... ci manchi. Ci mancano le tue risposte seccate, ci manca la tua ironia, ci manca il tuo sarcasmo... il nostro gruppo non è più lo stesso senza di te. Per favore Rachel, devi uscire di nuovo... non puoi lasciarti abbattere così per colpa di una cottarella adolescenziale...»

«"Cottarella adolescenziale"?!» domandò lei, tirandosi in piedi serrando la mascella. «Pensi che fosse solo questo?! Pensi che per colpa di una cottarella io mi sarei ridotta così?!»

«Penso solo che il tuo modo di prendere la cosa sia sbagliato. Tutto qui.» Gar si fece serio all’improvviso. «Se avessi visto Tara baciare un altro di fronte ai miei occhi, non sarei rimasto fermo a piangermi addosso. Vuoi che Richard ti noti? Devi andare a parlargli, perché se pensi che sarà lui a venire a cercarti allora ti sbagli di grosso. Ormai per lui esiste solamente Kori.»

«Ed è proprio per questo che non ho intenzione di andare a parlargli...» mormorò Rachel, sedendosi di nuovo sconsolata, la rabbia di poco prima sfumata nel nulla all’improvviso. «Finirei solo con il sembrare un’idiota...»

«Non puoi saperlo finché non ci provi. Magari anche lui ti ama.»

«Potrei rovinare la nostra amicizia...»

«Esiste ancora la vostra amicizia?»

Per la prima volta da quando lo conosceva, Gar riuscì ad ammutolire Rachel. La corvina rimase interdetta. Osservò gli occhi del ragazzo, realizzando che, per quanto immaturo, era molto più sveglio di quello che sembrava.

«Ormai è tardi, ma scommetto che domattina lo troverai a lezione» disse ancora il biondo, per poi voltarsi. «Fai la tua scelta. Ricordati solo che, comunque andranno le cose, tu hai ancora degli amici che ti vogliono bene.»

 E senza dire altro, Logan uscì dalla stanza, lasciandola sola con i suoi confusi pensieri.

Rachel non seppe calcolare il tempo che passò rimanendo ad osservare la porta chiusa della sua camera. Fu solamente quando la stanchezza ebbe la meglio su di lei, che decise che mettersi a dormire era probabilmente l’unica cosa sensata che le rimaneva da fare in quel momento.

Lo scenario cambiò all’improvviso.

La strada era deserta. Il cielo arancione dava sfumature quasi inquietanti a quell’ammasso gigantesco di mostri di cemento di fronte a lui.

Procedeva per la strada, zoppicando, mugugnando parole senza apparente significato. Teneva una bottiglia di alcolici avvolta in un sacchetto di carta in una mano, un coltello arrugginito nell’altra.

Empire non era mai stata così deserta. Era irreale tutto quel silenzio. Tutto ciò avrebbe potuto essere parecchio turbante... se solo lui non fosse stato così impegnato ad essere arrabbiato.

«Branco di idioti senza cervello...» rantolò con la sua voce aspra, rivolto a tutti quei cittadini che un tempo affollavano quelle strade. «... per quale diavolo di motivo sentivano tanto il bisogno di lasciare la città? Tsk... che cosa ci sarà di così bello, là fuori...»

Si fermò per appoggiarsi ad un muro con una mano e prendere un altro sorso di alcol. Lo assaporò in ogni sua goccia, per poi separarsi dal collo della bottiglia con un verso di approvazione. «Credono che il mondo sia diverso, oltre i ponti della città... credono che la vita sia migliore, altrove... certo, come fa ad essere migliore se il governo ha appena deciso che tutto quanto deve essere sotto il suo controllo, che tutti devono essere suoi dipendenti?! Quei pezzenti in giacca e cravatta hanno realizzato che la popolazione mondiale non era più intenzionata ad obbedire a loro e PUF, ecco che iniziano le esplosioni, le quarantene, gli omicidi...

«Primogeniti, Spazzini, Mietitori, Conduit... tutto è andato secondo i loro piani. È successo esattamente quello che volevano che accadesse. Caos, fame, disperazione... cosicché le persone si mettessero in ginocchio a piangere e a pregare, appellandosi a quegli stessi bastardi che credono di poter giocare a fare Dio... bah...»

Sollevò la bottiglia per bene un altro lungo sorso. In quei giorni non aveva fatto altro che bere. In quel momento stesso, aveva nelle vene più vodka che sangue. Ma non aveva alcuna intenzione di fermarsi.

«Ma non finirà così, certo che no...» riprese, ripulendosi le labbra con la manica. «... qualcuno la fuori  capirà, è solo questione di tempo... la realtà è sotto gli occhi di tutti, ma tutti sono così ciechi e disperati che non se ne rendono conto... la nostra vita è stata appena sottratta dalle persone a cui ora noi ci stiamo appellando... e se ce la restituiscono, allora noi li ringraziamo, perché noi uomini non siamo altro che un ammasso di idioti. E loro l’hanno capito.» Una risata amara uscì dalla sua gola. «Ohh, accidenti se loro l’hanno capito...

«Dopotutto, sono riusciti a tagliare ogni collegamento con l’estero, con le altre città, non c’è più comunicazione tra una metropoli e l’altra da anni a questa parte, e nessuno si è mai chiesto il perché. Soltanto noi conduit potevamo davvero scoprire cosa stava accadendo... ma siamo stati talmente idioti da approfittare dell’occasione per arricchirci, per rubare, per stuprare... hanno studiato tutto a tavolino. Ci reputiamo più intelligenti degli animali, ma non è così. Dai una birra ed una bella donna ad un uomo e quello si comporterà come un cagnolino al guinzaglio. Oppure togligli cibo, elettricità e uccidi tutta la sua famiglia... e il risultato sarà lo stesso, ma con effetti decisamente migliori.

«Vizia un uomo, e quello diventerà pigro e chiederà sempre di più, fino a quando non diventerà una seccatura. Spaventalo... e ti obbedirà ciecamente senza fare storie.

«E ora hanno riaperto i posti di blocco. Siamo liberi di andarcene... ma andarcene dove? A Sub City? A New Maries? A Washington? All’estero, con le contraeree pronte ad abbattere qualunque mezzo? Terroristi... sì, certo. Bel lavoro America, ancora una volta sei riuscita a fregare tutti quanti... se solo avessi ancora i miei poteri... giuro che me ne occuperei personalmente... e ho anche finito la vodka, che cazzo!»

Il vecchio scagliò a terra il sacchetto, la bottiglia di vetro al suo interno esplose in migliaia di frammenti. Si massaggiò poi una tempia, grugnendo infastidito. Che schifo di vita, pensava. Un povero vecchio decrepito come lui costretto a sorbire tutta quella merda.

Aveva bisogno di un’altra bottiglia. Immediatamente.

Brontolando come solo lui sapeva fare, continuò a barcollare, diretto verso il primo luogo in cui avrebbe potuto trovare ciò che cercava. L’unico lato positivo di vivere da soli ad Empire era che poteva saccheggiare quanto voleva.

Ma non fece molti passi.

«Ma tu guarda chi si vede...» fece una voce all’improvviso, una voce che il vecchio non aveva mai sentito prima... ma lei invece sì.

Si voltò. Alle sue spalle era apparso un ragazzo praticamente dal nulla. Era giovane, sulla ventina, con i capelli castani e una giacca nera. Il vecchio parve piuttosto spaesato dalla sua presenza. Lei, invece, sentì il fiato mancarle. Il che poteva essere una cosa possibile quanto impossibile, per quello che ne sapeva. Il campanello d’allarme nella sua testa cominciò a trillare senza sosta. Ma non poteva fare nulla. Lei non era lì. Poteva solo osservare, impotente.

«E tu chi cazzo sei?» mugugnò il vecchio con voce stridula, sorpresa. Sollevò il coltello, puntandolo verso il nuovo arrivato. «Ti avverto, se sei in cerca di grane allora capiti nel momento sbagliato!»

Il ragazzo parve trovarlo divertente, perché anziché apparire intimorito ridacchiò. «Tranquillo, non voglio guai. Dopotutto, non potrei mai attaccare briga un gentiluomo del tuo calibro, Hank.»

«Come sai il mio nome?!»

«So molte cose di voi Spazzini» spiegò il ragazzo, sorridendo. Una strana luce tuttavia balenò nei suoi occhi, scontrandosi nettamente con l’aria rassicurante che cercava di ostentare. «Tu eri uno dei pezzi grossi, secondo solo al grande Alden e pochi altri.»

«Beh... grazie» rispose il vecchio, compiaciuto. Era sbronzo, ma i complimenti riusciva ancora a comprenderli bene.

«Dimmi, che cosa ci fai ancora qui, in questa città dimenticata da Dio?»

«Una manciata di fatti miei» mugugnò Hank, tornando immediatamente burbero. «Potrei farti la stessa domanda!»

Un’altra tenue risata provenne dalla gola del giovane. «Hai ragione. Allora, permettimi di domandarti un’altra cosa. Ho sentito il tuo splendido monologo, sul serio, da far invidia ai più grandi filosofi...»

«E allora?»

«... e mi è parso di capire che sei rimasto senza i tuoi poteri, ho ragione?»

«E allora?!» ripeté Hank, agitando la lama arrugginita. «Posso ripassarti a dovere anche senza!»

«Sì, non ne dubito.» Il ragazzo congiunse le mani, sorridendo al vecchio quasi come se in realtà lo trovasse buffo. «Volevo solamente domandarti come mai non ce li hai più. Li hai persi in qualche modo?»

«Ascolta moccioso, perché non vai a comprarti una scatola di preservativi, così puoi andare a farti fottere in tutta sicurezza? Non ho alcuna intenzione di perdere altro tempo con te!»

Lo Spazzino gli diede le spalle con l’intenzione di andarsene, ma non appena si voltò si ritrovò di fronte un altro ragazzo, questo con il cappello a visiera e una maglietta dalle maniche corte bianche. Sgranò gli occhi.

«Hai fretta, Hank?» domandò quello, accendendosi una sigaretta.

«E tu chi...»

«Ti ha fatto una domanda, rispondi.» Lo interruppe quello, indicando con la sigaretta il castano con la giacca.

Hank si voltò di nuovo. Guardò prima l’uno, poi l’altro, spaesato. Non ci stavano capendo più nulla, né lui, né lei.

«Tanto, che altro hai da fare? Non c’è più molto di interessante, in questo buco di città...» proseguì Kevin, soffiando del fumo sogghignando. «Se vuoi un po’ di dolce compagnia, ti consiglio di visitare New Maries... là sì che sanno come spassarsela...»

 Lo Spazzino esitò. Strinse la presa attorno al coltello, poi la allentò tutta ad un tratto. Abbassò l’arma, per poi tornare a guardare il ragazzo più alto. «Ma si può sapere chi diavolo siete e che cosa diavolo volete da un povero vecchio?!»

«Solamente la risposta alla mia domanda» spiegò il castano, pazientemente. «Hai idea di come hai fatto a perdere i tuoi poteri?»

«No» sbottò Hank, irritato. «So solo che prima di affrontare quei tre marmocchi ancora ce li avevo. Dopo nulla.»

«Mh...» Il giovane si prese il mento, riflettendo. «Per caso i tre marmocchi erano due ragazzi e una conduit?»

«Sì, loro!» esclamò il vecchio, pestando un piede a terra. «La sgualdrina con il fucile, il bastardo pulcioso e la stronza che si trasformava in uccello! Avevo assemblato un automa con la telecinesi, poi l’hanno fatto saltare in aria! Dopo volevo fargliela pagare, ma...»

«Sì, ho capito...» lo interruppe il ragazzo, con un gesto secco della mano. «Nient’altro? Non hai proprio nessuna teoria? Niente di niente?»

«Diamine, sei sordo o cosa? Ho appena detto che l’unica cosa che so è che...»

«Va bene, va bene, non serve ripeterlo.» Il ragazzo sospirò, scuotendo leggermente il capo. Per la prima volta, parve quasi irritato. «E com’è successo? Come hanno fatto a distruggere il tuo automa?»

«La ragazzina conduit» borbottò il vecchio, cacciandosi un dito nell’orecchio. «Ha sovraccaricato l’armatura con i suoi poteri fino a farla collassare... devo ammettere che è stata sveglia, nessun altro ha mai usato questa strategia per... ehi, mi stai ascoltando o no?»

Il castano si era preso il mento, per riflettere, e sembrava non prestare più alcuna attenzione alle parole dello Spazzino. «Mh... interessante...» commentò, per poi alzare lo sguardo. «Grazie vecchio, sei stato d’aiuto.»

«Ora posso andarmene?» domandò lo Spazzino, per poi sollevare il coltello. «Oppure devo usare le maniere forti?!»

Il castano lo ignorò bellamente, spostando lo sguardo sul suo compare. «Con lui abbiamo finito Kev, sai cosa fare.»

Il vecchio sgranò gli occhi. Udì un rumore provenire dalle sue spalle. Si voltò verso il ragazzino con il cappello, per poi ritrovarsi una pistola puntata addosso. «Ma che diav...»

«Nulla di personale, nonno. Ci vediamo.»

Lo sparo fu assordante.

 

***

 

Rachel si svegliò di soprassalto, portandosi d’istinto una mano sul petto.

Abbassò lo sguardo, annaspando. Allargò il colletto della maglietta e si esaminò, cercando tracce si sangue e un foro che naturalmente non potevano esserci. E quando realizzò ciò, si lasciò ricadere sul materasso con un enorme sospiro.

«Cazzo...» mugugnò, esausta.

L’ultima cosa che avrebbe mai chiesto... l’aveva avuta. Altri sogni strani. Altri incubi, per meglio dire.

E questa volta non riguardavano solamente i suoi flashback o le sue strane visioni. Di nuovo lui. Di nuovo Kevin, e questa volta anche quell’altro. Com’era possibile tutto ciò?

Come diavolo ci era arrivato Kevin ad Empire, se da Sub City non si poteva uscire? E perché erano andati proprio da quello Spazzino? E perché lei sognava di essere proprio nel corpo dello stesso Spazzino?!

Vedeva dai suoi occhi, udiva dalle sue orecchie, percepiva le sue emozioni. Era come se si fosse trovata nella sua testa. Aveva sentito alla perfezione la rabbia da lui provata mentre era immerso nel suo monologo, la sorpresa quando aveva incontrato i due ragazzi e per finire la paura quando si era ritrovato puntato contro la pistola. Non era stato molto bello, per lei, vivere quest’ultimo attimo. Quando quel sogno si era interrotto, insieme allo sparo, la corvina si era sentita come se qualcosa dentro di lei si fosse spezzato. Tutto ciò le infondeva una profonda inquietudine.

Le venne da piangere. Avrebbe pagato qualsiasi cifra pur di sapere che cosa diavolo le stava succedendo. Di una cosa, tuttavia, era abbastanza sicura: non avrebbe più sognato di impersonare quell’Hank.

Chiuse gli occhi e sospirò, cercando di calmarsi. Forse era giunta l’ora di parlare con qualcuno di ciò che aveva appena visto. Forse. Con tutto quello che era successo nelle ultime ventiquattro ore, dubitava che fosse la cosa migliore da fare. Con la storia degli Underdog, dei Visionari, di Dreamer, di tutto quanto, l’ultima cosa che ci voleva erano ulteriori grattacapi.

I raggi del sole mattutino filtravano dalla finestra, illuminando la stanza in cui si trovava, un vecchio ufficio con scaffali, archivi e scrivanie vuote, in cui aveva portato uno dei materassi che Ryan e Tara avevano trovato.

Si rannicchiò sotto la coperta firmata UDG, sbadigliando. Nonostante fosse giorno, aveva ancora una gran voglia di dormire. Non perché fosse pigra, lei non lo era mai stata, era semplicemente esausta.

Dopo la sera prima, dopo aver sconfitto gli Underdog e dopo aver scaricato il furgone e portato al magazzino tutta la roba, si era praticamente buttata su quel giaciglio, senza più l’apparente intenzione di alzarsi. Era a pezzi.

Ma per quanto ci provasse, il sonno non sembrava intenzionato a tornare.

Improvvisamente le ritornò in mente la discussione avuta con Logan, nel sogno. Un profondo senso di amarezza la investì quando ripensò a quelle parole. Anzi, non solo. Anche quando ripensò a come si era comportata dopo aver ricevuto l’enorme delusione da Richard. Quando Jennifer e Karen cercavano di consolarla e lei per ringraziarle non dava loro alcuna considerazione. Quando aveva fatto preoccupare i suoi amici a tal punto che erano andati a prenderla quasi di forza, e lei aveva comunque rifiutato di uscire con loro.

Ci aveva messo almeno una settimana per superare quel momentaccio. Che stupida.

Garfield, Victor, le ragazze, loro volevano soltanto il suo meglio. E lei li aveva sempre rifiutati. Solamente dopo averli persi nell’esplosione aveva realizzato quanto importanti fossero per lei.

Hai ancora degli amici che ti vogliono bene.

Queste erano state le parole di Logan. Queste erano state le stesse parole di cui mai aveva capito il vero valore. Le parole che avrebbe per sempre ricordato e rimpianto.

Per colpa di Richard lei aveva... no, non era stata solo colpa di Richard. Era stata anche colpa sua. Non avrebbe mai dovuto passare tanto tempo a piangersi addosso, avrebbe dovuto sfruttare ogni singolo istante della sua permanenza al collegio con i suoi amici. Avrebbe dovuto goderseli, sorridere più spesso, ridere, più spesso.

Trovare un altro ragazzo, come Karen le aveva suggerito, magari. Quello l’avrebbe aiutata parecchio.

E invece... non aveva fatto altro che pensare all’unica persona che in quel momento costituiva una delle tante minacce in cui lei e i suoi compagni di viaggio avrebbero potuto incontrare.

La sera prima, il bagliore blu che aveva visto. Non ne era sicura al massimo, ma era abbastanza certa che fosse una delle scie luminose che i Mietitori conduit si lasciavano dietro. E quella era un’altra delle cose peggiori che potessero accadere.

Se Richard e i suoi fossero arrivati a Sub City a loro volta probabilmente si sarebbe avverato uno degli scenari più sgradevoli che Rachel avrebbe mai potuto immaginare.

Come se non bastasse, anche le parole di Hank, prima che ci lasciasse le penne, l’avevano lasciata basita. Poteva semplicemente essere stato il delirio di un uomo sbronzo, il suo, tuttavia... non sembravano solo parole campate all’aria.

Non lo sapeva, ora che lo Spazzino era morto probabilmente non lo avrebbe mai saputo. Forse non lo avrebbe mai saputo in ogni caso. Di una cosa era certa, però: qualunque cosa era successa ad Empire, riguardava molte più persone di quante ne potesse immaginare. Qualcosa che non riguardava solo la sua città o Sub City, qualcosa che forse... riguardava il mondo intero.

Le tornò in mente la telefonata che Tara aveva fatto al fratello, giorni prima, alla quale non aveva avuto risposte. Se non ricordava male, la famiglia della Markov viveva all’estero. E suo fratello era irraggiungibile. Che fossero davvero stati tagliati tutti i mezzi di comunicazione tra America e gli altri continenti? O era solo una coincidenza? L’ennesima, coincidenza?

Avrebbe dovuto chiedere alla stessa Tara se aveva ancora avuto notizie di Brion. Se non altro, si sarebbe tolta uno dei tanti fastidi che la tormentavano.

Lo stomaco le brontolò all’improvviso, facendo nascere una smorfia sul suo volto. Poi si ricordò che di cibo ce n’era in abbondanza, dopo la sera precedente. A quel punto si sentì più serena.

Visto che dormire era fuori discussione ormai, decise di alzarsi per andare a fare colazione.

Ringraziò di essersi portata quello zainetto con i cambi di vestiti, mentre si spogliava, sostituendo il pigiama improvvisato con i suoi classici jeans e felpa.

Si assicurò di avere con sé la fotografia di sua madre e il cellulare, poi scese le scale, giungendo al piano di sotto. Non appena girò l’angolo per dirigersi all’area relax, rimase a bocca aperta.

Vide Amalia e Tara in piedi, poco lontane la lei. La mora si trovava dietro alla bionda e le stava tenendo una mano su un fianco e l’altra sotto la coscia, sorridendo.

Per un momento la corvina pensò che la stesse palpando, o che stesse comunque facendo un qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione, poi notò la pistola che Tara stringeva fra le mani, puntata verso un bersaglio immaginario.

«Ecco, ora piega un po’ di più le gambe» disse intanto Komand’r, facendo una leggera pressione sul ginocchio della bionda. «Aspetta, sei troppo tesa, rischi di farti male se spari in questa posizione» proseguì, correggendo ancora una volta la sua postura. «Ok, ora va meglio. Distendi anche un po’ le braccia...»

A quel punto Rachel capì. Amalia stava semplicemente illustrando alla Markov come si impugnava correttamente una pistola. Forse Tara aveva deciso di volersi finalmente mettere in gioco, e stava apprendendo un po’ di nozioni base.

«Quando stai mirando, trattieni il fiato. Così ridurrai l’oscillazione del corpo causata dalla respirazione e sarai più precisa» disse ancora la mora. «Non appena vedi il bersaglio esattamente in mezzo alle due stanghette, e la stanghetta in mezzo sul bersaglio, premi il grilletto e sarai certa di non sbagliare. Ovviamente il contraccolpo sarà forte, per te che non hai mai sparato soprattutto. Ti sconsiglio pistole come la Magnum o la Desert Eagle. Potresti romperti un braccio impugnandole nel modo sbagliato. Come dico sempre io, sparare la prima volta è come perdere la verginità: più la pistola è grossa, più c’è il rischio di farsi male.»

A Tara scappò una risata quando udì quelle parole. Spostò lo sguardo sulla compagna, senza modificare tuttavia la sua postura. «Ho afferrato...»

Anche Amalia ridacchiò per un breve momento, per poi tornare ad immergersi nelle sue spiegazioni. «La M9 è una dei migliori compromessi tra stabilità, precisione, danno e capienza» disse, indicando la pistola nera tra le mani della Markov. «Quella te la puoi tenere, se vuoi. Tanto ne ho altre...»

«Capito. Grazie» rispose la bionda, abbassando l’arma e assumendo una posizione più normale. Sorrise poi alla sorella di Ryan. «Certo che ne sai parecchie tu, eh?»

La mora scrollò le spalle, anche se parve comunque compiaciuta da quell’affermazione. «Ho imparato un paio di cose, sì... sai com’è, dopo l’esplosione o ti adattavi, o tiravi le cuoia. Io ho preferito adattarmi, e sono felice che anche tu abbia deciso di farlo.» Diede un colpetto alla spalla della Markov, sorridendo a sua volta. «Mi sarebbe dispiaciuto vederti crepare per prima...»

«Non succederà. Ho una buona insegnante» rispose la bionda, strizzandole l’occhio.

Amalia diede una spintarella scherzosa alla compagna. «Smettila, così mi fai arrossire...»

«Ma è la verità» rispose l’altra ragazza, dandole un pizzicotto su un fianco.

«Ah! Questa me la paghi!»

Cominciarono entrambe a ridacchiare e a punzecchiarsi a vicenda, ignare di essere osservate dagli occhi increduli di Rachel.

Corvina non credeva di aver mai visto qualcuno così... sereno, dopo tutto quello che era successo in quei mesi. Non riusciva davvero a spiegarsi come facessero quelle due ragazze a divertirsi in quel momento.

Improvvisamente, ebbe una visione. Al posto di Amalia e Tara, c’erano Jennifer e Karen che ridevano. Erano loro, lì, di fronte a lei. Come se l’esplosione non le avesse mai portate via, come se il mondo non fosse crollato di fronte ai suoi occhi.

A quel punto capì.

Tara e Amalia erano due ragazze tanto quanto Karen e Jennifer. Potevano vivere in situazioni, mondi, completamente differenti, ma la loro natura era comunque la stessa.

Potevano sembrare entrambe tese, preoccupate, a causa di ciò che avevano vissuto ad Empire. Ma erano comunque delle adolescenti.

Ridevano, scherzavano, sorridevano. Erano esseri umani. Erano persone. E in quanto tali, non rinnegavano ciò che erano solo a causa di un periodo buio delle loro vite.

Avevano avuto un piccolo momento di pace, e lo avevano accolto a braccia aperte. Per pochi minuti, avevano semplicemente deciso di essere loro stesse, di dimenticare ciò che era accaduto e ciò che le aveva costrette a trovarsi in quel magazzino, in una città ostile, costrette a lottare per vivere.

Non erano come Rachel. Non pensavano solo al lato negativo delle cose. E avevano pienamente ragione a fare ciò. E lei avrebbe dovuto prendere esempio.

«Ehi, ma tu sei ancora qui?» le domandò Amalia improvvisamente, quando la notò dopo aver preso un attimo di tregua dagli attacchi di Tara. «Non dovevi andare via con Rosso?»

Corvina sgranò gli occhi. Era rimasta così presa dalle sue riflessioni che si era dimenticata di essersi messa d’accordo con il ragazzo la sera prima per andare a fare un giro di perlustrazione della città con lui, quel mattino.

Inoltre Lucas aveva detto di aver scoperto un bel po’ di cose mentre rubava quel furgone degli UDG, e che gliele avrebbe spiegate proprio durante la loro ronda.

La conduit frenò all’ultimo un’imprecazione, maledicendosi per essere stata così sbadata, poi corse nella sala relax per mettere qualcosa nello stomaco al più presto.


 

Di solito quando al fondo di un capitolo leggo le note dell'autore penso: "Wow, le note dell'autore, sicuramente avrà qualcosa di interessante da dire!"

Non è questo il caso. Ma vabbé, se volete continuare a leggere fate pure.

Questo capitolo apre la trilogia dei capitoli un po' più lenti, prima del famoso degenero di cui già avevo parlato, spero vi sia piaciuto.
In particolare il monologo da vecchio alcolizzato e complottaro di Hank, quella è stata la parte che più mi ha divertito mentre la scrivevo.
A proposito di Hank, questo Spazzino era un personaggio su cui avrei voluto puntare un po' di più, mi sarebbe piaciuto dargli un ruolo più rilevante, magari perfino aggiungerlo al gruppo dei Teen Titans 2.0., ma forse sarebbe stato un po' fuori luogo.
Un vecchio rimbambito ci sta sempre bene in un gruppo di personaggi/protagonisti, però questo forse non era il caso. In alternativa, mi sarebbe piaciuto fargli fare un bel ritorno di fiamma verso le fasi finali della storia, schierato dalla parte dei buoni, ma sarebbe risultato un po' forzato, quindi ho deciso di eliminarlo e via. Ma questo dopo aver aperto due ulteriori quesiti: perché Corvina sogna(va) di essere dentro il suo corpo? Perché ha perso i poteri? Perché Dom e Kev lo cercavano proprio per quel motivo? Ha ragione sul fatto che le esplosioni sono state proprio opera del governo? E così via discorrendo, insomma.

In conclusione, spero di aver fatto sorgere ulteriori dubbi in voi cari lettori. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, spero di non aver dimenticato di correggere qualche orrore ortografico e per finire, sì, il titolo "essere umani" è scritto volutamente così. Giusto per.

Un saluto e un grazie ad Eustrass_Sara, Calimetare e Corvina che hanno recensito l'ultimo capitolo. E uno anche a Nanamin, che so che c'è, ma non ha tempo per farsi sentire.

A presto!


   
 
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