Capitolo
12: ESSERE UMANI
«È assurdo
Rachel! Non puoi andare avanti in questo modo!»
sbottò Jennifer, mentre
camminava avanti e indietro nella stanza, di fronte al letto su cui la
corvina
era seduta. Si fermò di colpo, per poi premersi le mani sui
fianchi e abbassare
lo sguardo su di lei. «Ehi, ma mi stai ascoltando?!»
«No...»
Rachel sospirò, abbracciandosi le ginocchia.
«Potete andarvene ora?»
«Rachel,
noi siamo qui per te» disse Karen, osservandola preoccupata
dall’altra parte
della camera.
«Non ve
l’ho mai chiesto.»
«Dannazione
a te, Roth!» esclamò la rosa, afferrandola per le
braccia e scuotendola. «Ti
vuoi svegliare?! Sono due giorni che non esci da questa stanza, tre se
consideriamo che ormai sono le undici di notte, gli altri sono
preoccupati!
Anche Richard lo è!»
La corvina
si lasciò scuotere dalla rosa come un pupazzo di pezza,
senza reagire. Neppure
sentire il nome del ragazzo che aveva amato le fece effetto. Ormai era
completamente sprofondata nell’apatia. Non le importava
più di nulla e di
nessuno.
Jennifer
continuava a parlare, a dire che gli uomini erano tutti degli idioti, a
dirle
di reagire, di fare qualsiasi cosa che non riguardasse il restare in
quella stanza,
ma Rachel a malapena la udiva.
Le parole
scivolavano su di lei e cadevano a terra, come gocce d’acqua.
O lacrime.
Una
reazione. Una qualsiasi reazione chiedevano da lei. Positiva o negativa
che
fosse. Per loro probabilmente qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di
vederla
così incurante. Ma non serviva a nulla. Per Rachel in quel
collegio era sempre
esistita solo una persona. E per lei quella persona era appena morta. E
con
lei, qualsiasi barlume di emozione che avesse mai provato.
«Roth?
Roth!» la chiamò ancora Jennifer, per poi
sospirare esasperata. «Sai che ti
dico? Arrangiati! Non vuoi il nostro aiuto? Bene, resta qui a
marcire!»
La rosa si
diresse a passo pesante verso la porta. «Karen, tu
vieni?»
L’afroamericana
parve esitare. Osservò prima Rachel, poi l’altra
ragazza. Alla fine decise di
seguire Jennifer, salvo poi fermarsi sull’uscio e rivolgere
un ultimo sguardo
alla corvina. «Ci sono tanti altri ragazzi nel mondo, Rachel,
alcuni sono pure
meglio di Richard, devi credermi. Devi solo avere pazienza. Troverai
anche tu
la tua anima gemella, te lo posso garantire.» Un sorriso si
dipinse sul suo
volto, ma svanì non appena si rese conto che nemmeno quelle
parole avevano
smosso l’interlocutrice. A quel punto, sospirò.
«Beh... buonanotte.» E anche
lei uscì.
La porta
fece per richiudersi alle sue spalle. Finalmente Rachel credette di
aver
trovato quella pace che aveva desiderato dal momento stesso in cui le
altre due
ragazze erano entrate in camera sua, quando un braccio si frappose di
colpo,
tenendo la porta aperta.
Un ragazzo
biondo fece capolino nella camera. «Ehm...
permesso?»
Garfield
entrò senza aspettare la risposta. Risposta che tanto non
sarebbe arrivata in
ogni caso. «Tutto ok Rachel?» domandò
lui, mentre si chiudeva la porta alle
spalle.
La corvina
sospirò. Era stanca di sentire quella domanda.
«Non eri nel Neon, da Tara?»
domandò, senza nemmeno guardarlo.
«Ehm, sì,
ma...» Gar arrossì, probabilmente ripensando a
chissà quali porcate avesse
fatto assieme alla fidanzata. «... sono tornato poco
fa’...»
«Potresti
coprirti quel succhiotto imbarazzante, per piacere?»
Il biondo
si portò di scatto una mano sul collo, avvampando
ulteriormente. Solo che si
coprì il lato sbagliato, lasciando comunque in bella vista
quella specie di
morso di vampiro che aveva sotto al mento. Rachel scosse
impercettibilmente la
testa, in segno di disappunto.
«Allora...
hai parlato con Richard?»
«Hai
imparato a farti gli affari tuoi, Logan?»
Il biondo
dischiuse le labbra, fece per replicare, ma poi si interruppe.
Abbassò il capo
e ridacchiò sommessamente.
Rachel lo
udì e strinse i pugni irritata. «Che
c’è di divertente?!»
«Niente,
niente...» Logan scosse la testa, tuttavia continuando a
sorridere. Sollevò lo
sguardo e piazzò i suoi occhi color foglia sulla corvina.
«È solo che... ci
manchi. Ci mancano le tue risposte seccate, ci manca la tua ironia, ci
manca il
tuo sarcasmo... il nostro gruppo non è più lo
stesso senza di te. Per favore
Rachel, devi uscire di nuovo... non puoi lasciarti abbattere
così per colpa di
una cottarella adolescenziale...»
«"Cottarella
adolescenziale"?!» domandò lei, tirandosi in piedi
serrando la mascella. «Pensi
che fosse solo questo?! Pensi che per colpa di una cottarella io mi
sarei
ridotta così?!»
«Penso solo
che il tuo modo di prendere la cosa sia sbagliato. Tutto
qui.» Gar si fece
serio all’improvviso. «Se avessi visto Tara baciare
un altro di fronte ai miei
occhi, non sarei rimasto fermo a piangermi addosso. Vuoi che Richard ti
noti?
Devi andare a parlargli, perché se pensi che sarà
lui a venire a cercarti
allora ti sbagli di grosso. Ormai per lui esiste solamente
Kori.»
«Ed è
proprio per questo che non ho intenzione di andare a
parlargli...» mormorò
Rachel, sedendosi di nuovo sconsolata, la rabbia di poco prima sfumata
nel
nulla all’improvviso. «Finirei solo con il sembrare
un’idiota...»
«Non puoi
saperlo finché non ci provi. Magari anche lui ti
ama.»
«Potrei
rovinare la nostra amicizia...»
«Esiste
ancora la vostra amicizia?»
Per la
prima volta da quando lo conosceva, Gar riuscì ad ammutolire
Rachel. La corvina
rimase interdetta. Osservò gli occhi del ragazzo,
realizzando che, per quanto
immaturo, era molto più sveglio di quello che sembrava.
«Ormai è
tardi, ma scommetto che domattina lo troverai a lezione»
disse ancora il
biondo, per poi voltarsi. «Fai la tua scelta. Ricordati solo
che, comunque
andranno le cose, tu hai ancora degli amici che ti vogliono
bene.»
E
senza dire altro, Logan uscì dalla stanza,
lasciandola sola con i suoi confusi pensieri.
Rachel non
seppe calcolare il tempo che passò rimanendo ad osservare la
porta chiusa della
sua camera. Fu solamente quando la stanchezza ebbe la meglio su di lei,
che
decise che mettersi a dormire era probabilmente l’unica cosa
sensata che le
rimaneva da fare in quel momento.
Lo scenario
cambiò all’improvviso.
La strada
era deserta. Il cielo arancione dava sfumature quasi inquietanti a
quell’ammasso gigantesco di mostri di cemento di fronte a
lui.
Procedeva
per la strada, zoppicando, mugugnando parole senza apparente
significato.
Teneva una bottiglia di alcolici avvolta in un sacchetto di carta in
una mano,
un coltello arrugginito nell’altra.
Empire non
era mai stata così deserta. Era irreale tutto quel silenzio.
Tutto ciò avrebbe
potuto essere parecchio turbante... se solo lui non fosse stato
così impegnato
ad essere arrabbiato.
«Branco di
idioti senza cervello...» rantolò con la sua voce
aspra, rivolto a tutti quei
cittadini che un tempo affollavano quelle strade. «... per
quale diavolo di
motivo sentivano tanto il bisogno di lasciare la città?
Tsk... che cosa ci sarà
di così bello, là fuori...»
Si fermò
per appoggiarsi ad un muro con una mano e prendere un altro sorso di
alcol. Lo
assaporò in ogni sua goccia, per poi separarsi dal collo
della bottiglia con un
verso di approvazione. «Credono che il mondo sia diverso,
oltre i ponti della
città... credono che la vita sia migliore, altrove... certo,
come fa ad essere
migliore se il governo ha appena deciso che tutto quanto deve essere
sotto il
suo controllo, che tutti devono essere suoi dipendenti?! Quei pezzenti
in
giacca e cravatta hanno realizzato che la popolazione mondiale non era
più
intenzionata ad obbedire a loro e PUF, ecco che iniziano le esplosioni,
le
quarantene, gli omicidi...
«Primogeniti,
Spazzini, Mietitori, Conduit... tutto è andato secondo i
loro piani. È successo
esattamente quello che volevano che accadesse. Caos, fame,
disperazione...
cosicché le persone si mettessero in ginocchio a piangere e
a pregare,
appellandosi a quegli stessi bastardi che credono di poter giocare a
fare Dio...
bah...»
Sollevò la
bottiglia per bene un altro lungo sorso. In quei giorni non aveva fatto
altro
che bere. In quel momento stesso, aveva nelle vene più vodka
che sangue. Ma non
aveva alcuna intenzione di fermarsi.
«Ma non
finirà così, certo che no...» riprese,
ripulendosi le labbra con la manica. «...
qualcuno la fuori capirà,
è solo
questione di tempo... la realtà è sotto gli occhi
di tutti, ma tutti sono così
ciechi e disperati che non se ne rendono conto... la nostra vita
è stata appena
sottratta dalle persone a cui ora noi ci stiamo appellando... e se ce
la
restituiscono, allora noi li ringraziamo, perché noi uomini
non siamo altro che
un ammasso di idioti. E loro l’hanno capito.» Una
risata amara uscì dalla sua gola.
«Ohh, accidenti se loro l’hanno capito...
«Dopotutto,
sono riusciti a tagliare ogni collegamento con l’estero, con
le altre città,
non c’è più comunicazione tra una
metropoli e l’altra da anni a questa parte, e
nessuno si è mai chiesto il perché. Soltanto noi
conduit potevamo davvero
scoprire cosa stava accadendo... ma siamo stati talmente idioti da
approfittare
dell’occasione per arricchirci, per rubare, per stuprare...
hanno studiato
tutto a tavolino. Ci reputiamo più intelligenti degli
animali, ma non è così.
Dai una birra ed una bella donna ad un uomo e quello si
comporterà come un
cagnolino al guinzaglio. Oppure togligli cibo, elettricità e
uccidi tutta la
sua famiglia... e il risultato sarà lo stesso, ma con
effetti decisamente
migliori.
«Vizia un
uomo, e quello diventerà pigro e chiederà sempre
di più, fino a quando non
diventerà una seccatura. Spaventalo... e ti
obbedirà ciecamente senza fare
storie.
«E ora
hanno riaperto i posti di blocco. Siamo liberi di andarcene... ma
andarcene
dove? A Sub City? A New Maries? A Washington? All’estero, con
le contraeree
pronte ad abbattere qualunque mezzo? Terroristi... sì,
certo. Bel lavoro
America, ancora una volta sei riuscita a fregare tutti quanti... se
solo avessi
ancora i miei poteri... giuro che me ne occuperei personalmente... e ho
anche
finito la vodka, che cazzo!»
Il vecchio
scagliò a terra il sacchetto, la bottiglia di vetro al suo
interno esplose in
migliaia di frammenti. Si massaggiò poi una tempia,
grugnendo infastidito. Che
schifo di vita, pensava. Un povero vecchio decrepito come lui costretto
a
sorbire tutta quella merda.
Aveva
bisogno di un’altra bottiglia. Immediatamente.
Brontolando
come solo lui sapeva fare, continuò a barcollare, diretto
verso il primo luogo
in cui avrebbe potuto trovare ciò che cercava.
L’unico lato positivo di vivere
da soli ad Empire era che poteva saccheggiare quanto voleva.
Ma non fece
molti passi.
«Ma tu
guarda chi si vede...» fece una voce
all’improvviso, una voce che il vecchio
non aveva mai sentito prima... ma lei invece sì.
Si voltò. Alle
sue spalle era apparso un ragazzo praticamente dal nulla. Era giovane,
sulla
ventina, con i capelli castani e una giacca nera. Il vecchio parve
piuttosto
spaesato dalla sua presenza. Lei, invece, sentì il fiato
mancarle. Il che
poteva essere una cosa possibile quanto impossibile, per quello che ne
sapeva.
Il campanello d’allarme nella sua testa cominciò a
trillare senza sosta. Ma non
poteva fare nulla. Lei non era lì. Poteva solo osservare,
impotente.
«E tu chi
cazzo sei?» mugugnò il vecchio con voce stridula,
sorpresa. Sollevò il
coltello, puntandolo verso il nuovo arrivato. «Ti avverto, se
sei in cerca di
grane allora capiti nel momento sbagliato!»
Il ragazzo
parve trovarlo divertente, perché anziché
apparire intimorito ridacchiò. «Tranquillo,
non voglio guai. Dopotutto, non potrei mai attaccare briga un
gentiluomo del
tuo calibro, Hank.»
«Come sai
il mio nome?!»
«So molte
cose di voi Spazzini» spiegò il ragazzo,
sorridendo. Una strana luce tuttavia
balenò nei suoi occhi, scontrandosi nettamente con
l’aria rassicurante che
cercava di ostentare. «Tu eri uno dei pezzi grossi, secondo
solo al grande
Alden e pochi altri.»
«Beh...
grazie» rispose il vecchio, compiaciuto. Era sbronzo, ma i
complimenti riusciva
ancora a comprenderli bene.
«Dimmi, che
cosa ci fai ancora qui, in questa città dimenticata da
Dio?»
«Una
manciata di fatti miei» mugugnò Hank, tornando
immediatamente burbero. «Potrei
farti la stessa domanda!»
Un’altra
tenue risata provenne dalla gola del giovane. «Hai ragione.
Allora, permettimi di
domandarti un’altra cosa. Ho sentito il tuo splendido
monologo, sul serio, da
far invidia ai più grandi filosofi...»
«E allora?»
«... e mi è
parso di capire che sei rimasto senza i tuoi poteri, ho
ragione?»
«E allora?!»
ripeté Hank, agitando la lama arrugginita. «Posso
ripassarti a dovere anche
senza!»
«Sì, non ne
dubito.» Il ragazzo congiunse le mani, sorridendo al vecchio
quasi come se in
realtà lo trovasse buffo. «Volevo solamente
domandarti come mai non ce li hai
più. Li hai persi in qualche modo?»
«Ascolta
moccioso, perché non vai a comprarti una scatola di
preservativi, così puoi
andare a farti fottere in tutta sicurezza? Non ho alcuna intenzione di
perdere
altro tempo con te!»
Lo Spazzino
gli diede le spalle con l’intenzione di andarsene, ma non
appena si voltò si
ritrovò di fronte un altro ragazzo, questo con il cappello a
visiera e una
maglietta dalle maniche corte bianche. Sgranò gli occhi.
«Hai
fretta, Hank?» domandò quello, accendendosi una
sigaretta.
«E tu chi...»
«Ti ha
fatto una domanda, rispondi.» Lo interruppe quello, indicando
con la sigaretta
il castano con la giacca.
Hank si
voltò di nuovo. Guardò prima l’uno, poi
l’altro, spaesato. Non ci stavano
capendo più nulla, né lui, né lei.
«Tanto, che
altro hai da fare? Non c’è più molto di
interessante, in questo buco di città...»
proseguì Kevin, soffiando del fumo sogghignando.
«Se vuoi un po’ di dolce
compagnia, ti consiglio di visitare New Maries... là
sì che sanno come
spassarsela...»
Lo
Spazzino esitò. Strinse la presa attorno al
coltello, poi la allentò tutta ad un tratto.
Abbassò l’arma, per poi tornare a
guardare il ragazzo più alto. «Ma si
può sapere chi diavolo siete e che cosa
diavolo volete da un povero vecchio?!»
«Solamente
la risposta alla mia domanda» spiegò il castano,
pazientemente. «Hai idea di
come hai fatto a perdere i tuoi poteri?»
«No» sbottò
Hank, irritato. «So solo che prima di affrontare quei tre
marmocchi ancora ce
li avevo. Dopo nulla.»
«Mh...» Il
giovane si prese il mento, riflettendo. «Per caso i tre
marmocchi erano due
ragazzi e una conduit?»
«Sì, loro!»
esclamò il vecchio, pestando un piede a terra. «La
sgualdrina con il fucile, il
bastardo pulcioso e la stronza che si trasformava in uccello! Avevo
assemblato
un automa con la telecinesi, poi l’hanno fatto saltare in
aria! Dopo volevo
fargliela pagare, ma...»
«Sì, ho
capito...» lo interruppe il ragazzo, con un gesto secco della
mano. «Nient’altro?
Non hai proprio nessuna teoria? Niente di niente?»
«Diamine,
sei sordo o cosa? Ho appena detto che l’unica cosa che so
è che...»
«Va bene,
va bene, non serve ripeterlo.» Il ragazzo sospirò,
scuotendo leggermente il
capo. Per la prima volta, parve quasi irritato. «E
com’è successo? Come hanno
fatto a distruggere il tuo automa?»
«La
ragazzina conduit» borbottò il vecchio,
cacciandosi un dito nell’orecchio. «Ha
sovraccaricato
l’armatura con i suoi poteri fino a farla collassare... devo
ammettere che è
stata sveglia, nessun altro ha mai usato questa strategia per... ehi,
mi stai
ascoltando o no?»
Il castano
si era preso il mento, per riflettere, e sembrava non prestare
più alcuna
attenzione alle parole dello Spazzino. «Mh...
interessante...» commentò, per
poi alzare lo sguardo. «Grazie vecchio, sei stato
d’aiuto.»
«Ora posso
andarmene?» domandò lo Spazzino, per poi sollevare
il coltello. «Oppure devo
usare le maniere forti?!»
Il castano
lo ignorò bellamente, spostando lo sguardo sul suo compare.
«Con lui abbiamo
finito Kev, sai cosa fare.»
Il vecchio sgranò
gli occhi. Udì un rumore provenire dalle sue spalle. Si
voltò verso il
ragazzino con il cappello, per poi ritrovarsi una pistola puntata
addosso. «Ma che
diav...»
«Nulla di
personale, nonno. Ci vediamo.»
Lo sparo fu
assordante.
***
Rachel si
svegliò di soprassalto, portandosi d’istinto una
mano sul
petto.
Abbassò
lo sguardo, annaspando. Allargò il colletto della maglietta
e
si esaminò, cercando tracce si sangue e un foro che
naturalmente non potevano
esserci. E quando realizzò ciò, si
lasciò ricadere sul materasso con un enorme
sospiro.
«Cazzo...»
mugugnò, esausta.
L’ultima
cosa che avrebbe mai chiesto... l’aveva avuta. Altri sogni
strani. Altri incubi, per meglio dire.
E questa
volta non riguardavano solamente i suoi flashback o le sue
strane visioni. Di nuovo lui. Di nuovo Kevin, e questa volta anche
quell’altro.
Com’era possibile tutto ciò?
Come
diavolo ci era arrivato Kevin ad Empire, se da Sub City non si
poteva uscire? E perché erano andati proprio da quello
Spazzino? E perché lei
sognava di essere proprio nel corpo dello stesso Spazzino?!
Vedeva
dai suoi occhi, udiva dalle sue orecchie, percepiva le sue
emozioni. Era come se si fosse trovata nella sua testa. Aveva sentito
alla
perfezione la rabbia da lui provata mentre era immerso nel suo
monologo, la
sorpresa quando aveva incontrato i due ragazzi e per finire la paura
quando si
era ritrovato puntato contro la pistola. Non era stato molto bello, per
lei,
vivere quest’ultimo attimo. Quando quel sogno si era
interrotto, insieme allo
sparo, la corvina si era sentita come se qualcosa dentro di lei si
fosse
spezzato. Tutto ciò le infondeva una profonda inquietudine.
Le venne
da piangere. Avrebbe pagato qualsiasi cifra pur di sapere che
cosa diavolo le stava succedendo. Di una cosa, tuttavia, era abbastanza
sicura:
non avrebbe più sognato di impersonare quell’Hank.
Chiuse
gli occhi e sospirò, cercando di calmarsi. Forse era giunta
l’ora di parlare con qualcuno di ciò che aveva
appena visto. Forse. Con tutto
quello che era successo nelle ultime ventiquattro ore, dubitava che
fosse la
cosa migliore da fare. Con la storia degli Underdog, dei Visionari, di
Dreamer,
di tutto quanto, l’ultima cosa che ci voleva erano ulteriori
grattacapi.
I raggi
del sole mattutino filtravano dalla finestra, illuminando la
stanza in cui si trovava, un vecchio ufficio con scaffali, archivi e
scrivanie
vuote, in cui aveva portato uno dei materassi che Ryan e Tara avevano
trovato.
Si
rannicchiò sotto la coperta firmata UDG, sbadigliando.
Nonostante
fosse giorno, aveva ancora una gran voglia di dormire. Non
perché fosse pigra,
lei non lo era mai stata, era semplicemente esausta.
Dopo la
sera prima, dopo aver sconfitto gli Underdog e dopo aver
scaricato il furgone e portato al magazzino tutta la roba, si era
praticamente
buttata su quel giaciglio, senza più l’apparente
intenzione di alzarsi. Era a
pezzi.
Ma per
quanto ci provasse, il sonno non sembrava intenzionato a
tornare.
Improvvisamente
le ritornò in mente la discussione avuta con Logan,
nel sogno. Un profondo senso di amarezza la investì quando
ripensò a quelle
parole. Anzi, non solo. Anche quando ripensò a come si era
comportata dopo aver
ricevuto l’enorme delusione da Richard. Quando Jennifer e
Karen cercavano di
consolarla e lei per ringraziarle non dava loro alcuna considerazione.
Quando
aveva fatto preoccupare i suoi amici a tal punto che erano andati a
prenderla
quasi di forza, e lei aveva comunque rifiutato di uscire con loro.
Ci aveva
messo almeno una settimana per superare quel momentaccio. Che
stupida.
Garfield,
Victor, le ragazze, loro volevano soltanto il suo meglio. E
lei li aveva sempre rifiutati. Solamente dopo averli persi
nell’esplosione
aveva realizzato quanto importanti fossero per lei.
Hai ancora
degli amici che ti vogliono bene.
Queste
erano state le parole di Logan. Queste erano state le stesse
parole di cui mai aveva capito il vero valore. Le parole che avrebbe
per sempre
ricordato e rimpianto.
Per colpa
di Richard lei aveva... no, non era stata solo colpa di
Richard. Era stata anche colpa sua. Non avrebbe mai dovuto passare
tanto tempo
a piangersi addosso, avrebbe dovuto sfruttare ogni singolo istante
della sua
permanenza al collegio con i suoi amici. Avrebbe dovuto goderseli,
sorridere
più spesso, ridere, più spesso.
Trovare
un altro ragazzo, come Karen le aveva suggerito, magari.
Quello l’avrebbe aiutata parecchio.
E
invece... non aveva fatto altro che pensare all’unica persona
che in
quel momento costituiva una delle tante minacce in cui lei e i suoi
compagni di
viaggio avrebbero potuto incontrare.
La sera
prima, il bagliore blu che aveva visto. Non ne era sicura al
massimo, ma era abbastanza certa che fosse una delle scie luminose che
i
Mietitori conduit si lasciavano dietro. E quella era un’altra
delle cose
peggiori che potessero accadere.
Se
Richard e i suoi fossero arrivati a Sub City a loro volta
probabilmente si sarebbe avverato uno degli scenari più
sgradevoli che Rachel
avrebbe mai potuto immaginare.
Come se
non bastasse, anche le parole di Hank, prima che ci lasciasse
le penne, l’avevano lasciata basita. Poteva semplicemente
essere stato il
delirio di un uomo sbronzo, il suo, tuttavia... non sembravano solo
parole
campate all’aria.
Non lo
sapeva, ora che lo Spazzino era morto probabilmente non lo
avrebbe mai saputo. Forse non lo avrebbe mai saputo in ogni caso. Di
una cosa
era certa, però: qualunque cosa era successa ad Empire,
riguardava molte più
persone di quante ne potesse immaginare. Qualcosa che non riguardava
solo la
sua città o Sub City, qualcosa che forse... riguardava il
mondo intero.
Le
tornò in mente la telefonata che Tara aveva fatto al
fratello,
giorni prima, alla quale non aveva avuto risposte. Se non ricordava
male, la
famiglia della Markov viveva all’estero. E suo fratello era
irraggiungibile.
Che fossero davvero stati tagliati tutti i mezzi di comunicazione tra
America e
gli altri continenti? O era solo una coincidenza? L’ennesima,
coincidenza?
Avrebbe
dovuto chiedere alla stessa Tara se aveva ancora avuto notizie
di Brion. Se non altro, si sarebbe tolta uno dei tanti fastidi che la
tormentavano.
Lo
stomaco le brontolò all’improvviso, facendo
nascere una smorfia sul
suo volto. Poi si ricordò che di cibo ce n’era in
abbondanza, dopo la sera
precedente. A quel punto si sentì più serena.
Visto che
dormire era fuori discussione ormai, decise di alzarsi per
andare a fare colazione.
Ringraziò
di essersi portata quello zainetto con i cambi di vestiti,
mentre si spogliava, sostituendo il pigiama improvvisato con i suoi
classici
jeans e felpa.
Si
assicurò di avere con sé la fotografia di sua
madre e il cellulare,
poi scese le scale, giungendo al piano di sotto. Non appena
girò l’angolo per
dirigersi all’area relax, rimase a bocca aperta.
Vide
Amalia e Tara in piedi, poco lontane la lei. La mora si trovava
dietro alla bionda e le stava tenendo una mano su un fianco e
l’altra sotto la
coscia, sorridendo.
Per un
momento la corvina pensò che la stesse palpando, o che
stesse
comunque facendo un qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione, poi
notò la
pistola che Tara stringeva fra le mani, puntata verso un bersaglio
immaginario.
«Ecco,
ora piega un po’ di più le gambe» disse
intanto Komand’r,
facendo una leggera pressione sul ginocchio della bionda.
«Aspetta, sei troppo
tesa, rischi di farti male se spari in questa posizione»
proseguì, correggendo
ancora una volta la sua postura. «Ok, ora va meglio. Distendi
anche un po’ le
braccia...»
A quel
punto Rachel capì. Amalia stava semplicemente illustrando
alla
Markov come si impugnava correttamente una pistola. Forse Tara aveva
deciso di
volersi finalmente mettere in gioco, e stava apprendendo un
po’ di nozioni
base.
«Quando
stai mirando, trattieni il fiato. Così ridurrai
l’oscillazione
del corpo causata dalla respirazione e sarai più
precisa» disse ancora la mora.
«Non appena vedi il bersaglio esattamente in mezzo alle due
stanghette, e la
stanghetta in mezzo sul bersaglio, premi il grilletto e sarai certa di
non
sbagliare. Ovviamente il contraccolpo sarà forte, per te che
non hai mai
sparato soprattutto. Ti sconsiglio pistole come la Magnum o la Desert
Eagle.
Potresti romperti un braccio impugnandole nel modo sbagliato. Come dico
sempre
io, sparare la prima volta è come perdere la
verginità: più la pistola è
grossa, più c’è il rischio di farsi
male.»
A Tara
scappò una risata quando udì quelle parole.
Spostò lo sguardo
sulla compagna, senza modificare tuttavia la sua postura. «Ho
afferrato...»
Anche
Amalia ridacchiò per un breve momento, per poi tornare ad
immergersi nelle sue spiegazioni. «La M9 è una dei
migliori compromessi tra
stabilità, precisione, danno e capienza» disse,
indicando la pistola nera tra
le mani della Markov. «Quella te la puoi tenere, se vuoi.
Tanto ne ho altre...»
«Capito.
Grazie» rispose la bionda, abbassando l’arma e
assumendo una
posizione più normale. Sorrise poi alla sorella di Ryan.
«Certo che ne sai
parecchie tu, eh?»
La mora
scrollò le spalle, anche se parve comunque compiaciuta da
quell’affermazione. «Ho imparato un paio di cose,
sì... sai com’è, dopo
l’esplosione o ti adattavi, o tiravi le cuoia. Io ho
preferito adattarmi, e
sono felice che anche tu abbia deciso di farlo.» Diede un
colpetto alla spalla
della Markov, sorridendo a sua volta. «Mi sarebbe dispiaciuto
vederti crepare
per prima...»
«Non
succederà. Ho una buona insegnante» rispose la
bionda,
strizzandole l’occhio.
Amalia
diede una spintarella scherzosa alla compagna. «Smettila,
così
mi fai arrossire...»
«Ma
è la verità» rispose l’altra
ragazza, dandole un pizzicotto su un
fianco.
«Ah!
Questa me la paghi!»
Cominciarono
entrambe a ridacchiare e a punzecchiarsi a vicenda,
ignare di essere osservate dagli occhi increduli di Rachel.
Corvina
non credeva di aver mai visto qualcuno così... sereno, dopo
tutto quello che era successo in quei mesi. Non riusciva davvero a
spiegarsi
come facessero quelle due ragazze a divertirsi in quel momento.
Improvvisamente,
ebbe una visione. Al posto di Amalia e Tara, c’erano
Jennifer e Karen che ridevano. Erano loro, lì, di fronte a
lei. Come se
l’esplosione non le avesse mai portate via, come se il mondo
non fosse crollato
di fronte ai suoi occhi.
A quel
punto capì.
Tara e
Amalia erano due ragazze tanto quanto Karen e Jennifer.
Potevano vivere in situazioni, mondi, completamente differenti, ma la
loro
natura era comunque la stessa.
Potevano
sembrare entrambe tese, preoccupate, a causa di ciò che
avevano vissuto ad Empire. Ma erano comunque delle adolescenti.
Ridevano,
scherzavano, sorridevano. Erano esseri umani. Erano persone.
E in quanto tali, non rinnegavano ciò che erano solo a causa
di un periodo buio
delle loro vite.
Avevano
avuto un piccolo momento di pace, e lo avevano accolto a
braccia aperte. Per pochi minuti, avevano semplicemente deciso di
essere loro
stesse, di dimenticare ciò che era accaduto e ciò
che le aveva costrette a
trovarsi in quel magazzino, in una città ostile, costrette a
lottare per
vivere.
Non erano
come Rachel. Non pensavano solo al lato negativo delle cose.
E avevano pienamente ragione a fare ciò. E lei avrebbe
dovuto prendere esempio.
«Ehi,
ma tu sei ancora qui?» le domandò Amalia
improvvisamente, quando
la notò dopo aver preso un attimo di tregua dagli attacchi
di Tara. «Non dovevi
andare via con Rosso?»
Corvina
sgranò gli occhi. Era rimasta così presa dalle
sue riflessioni
che si era dimenticata di essersi messa d’accordo con il
ragazzo la sera prima
per andare a fare un giro di perlustrazione della città con
lui, quel mattino.
Inoltre
Lucas aveva detto di aver scoperto un bel po’ di cose mentre
rubava quel furgone degli UDG, e che gliele avrebbe spiegate proprio
durante la
loro ronda.
La
conduit frenò all’ultimo
un’imprecazione, maledicendosi per essere
stata così sbadata, poi corse nella sala relax per mettere
qualcosa nello
stomaco al più presto.
In particolare il monologo da vecchio alcolizzato e complottaro di Hank, quella è stata la parte che più mi ha divertito mentre la scrivevo.
A proposito di Hank, questo Spazzino era un personaggio su cui avrei voluto puntare un po' di più, mi sarebbe piaciuto dargli un ruolo più rilevante, magari perfino aggiungerlo al gruppo dei Teen Titans 2.0., ma forse sarebbe stato un po' fuori luogo.
Un vecchio rimbambito ci sta sempre bene in un gruppo di personaggi/protagonisti, però questo forse non era il caso. In alternativa, mi sarebbe piaciuto fargli fare un bel ritorno di fiamma verso le fasi finali della storia, schierato dalla parte dei buoni, ma sarebbe risultato un po' forzato, quindi ho deciso di eliminarlo e via. Ma questo dopo aver aperto due ulteriori quesiti: perché Corvina sogna(va) di essere dentro il suo corpo? Perché ha perso i poteri? Perché Dom e Kev lo cercavano proprio per quel motivo? Ha ragione sul fatto che le esplosioni sono state proprio opera del governo? E così via discorrendo, insomma.
In conclusione, spero di aver fatto sorgere ulteriori dubbi in voi cari lettori. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, spero di non aver dimenticato di correggere qualche orrore ortografico e per finire, sì, il titolo "essere umani" è scritto volutamente così. Giusto per.
Un saluto e un grazie ad Eustrass_Sara, Calimetare e Corvina che hanno recensito l'ultimo capitolo. E uno anche a Nanamin, che so che c'è, ma non ha tempo per farsi sentire.
A presto!