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Autore: Amy Pavlova    02/04/2016    1 recensioni
Liliana non si è mai spinta oltre l'Oceano per tanti, tantissimi anni, impaurita dall'ignoto cui avrebbe necessariamente dovuto far fronte. Eppure, quando conosce Luca, scopre che quell'ignoto, forse, vale la pena di conoscerlo...
Ed è così che, tra canti antichi e chiacchierate interminabili, i due diventeranno amici e poi qualcosa di più.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Liliana


Liliana si pettinava i lunghi capelli lucenti, seduta davanti a quello specchio infinito che è l’Oceano. Le onde le lambivano dolci la lunga coda. Intonava una melodia, distratta, che non sapeva di conoscere: forse l’aveva inventata, forse era la nenia che la mamma usava per farla dormire, non lo ricordava.
Seduta su di uno scoglio non troppo lontano dalla riva, riusciva a vedere la spiaggia vuota: la sabbia, pallidamente dorata, le ricordava il colore della sua coda. La scosse piano e alcune gocce d’acqua le volarono sul viso.
Amava l’acqua. Non che fosse una sorpresa: lì dentro, lei ci viveva e quale essere – sia esso umano o sirenide – non ama la propria casa? Tuttavia, anche la brezza della spiaggia non le dispiaceva: era come se l’acqua del mare avesse donato all’aria un po’ della sua bellezza e l’aria tentasse di restituirla, soffiando con delicatezza sulla superfice increspata dell’acqua.
Non si era mai spinta completamente all’asciutto, però. Alcune sue amiche e sorelle lo avevano fatto e le avevano raccontato quanto fosse strano avere delle gambe, le avevano persino detto di farlo, ma lei non aveva mai voluto. Aveva paura.
Si lasciò scivolare piano su uno scoglio più basso, così da coprire completamente la coda luminosa, e continuò a intonare quella nenia che, ormai, non le era più tanto estranea. Cantò ad occhi chiusi, mentre le dita giocavano con le punte dei lunghi capelli che, sciolti, le ricadevano sui piccoli seni.
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimase così e, se non avesse sentito qualcuno apostrofarla dalla spiaggia, probabilmente vi sarebbe rimasta ancora a lungo. Quando spalancò gli occhi, li fissò sull’umano, terrorizzata.
Non ne aveva mai visto uno, né da lontano e neanche, a maggior ragione, da vicino. Le avevano detto che loro non sapevano della loro esistenza, perché troppo ottusi e presuntuosi per accettare che esistesse qualcun altro, oltre loro, dotato di intelligenza, e lei, per questo motivo, se ne era sempre tenuta alla larga.
L’umano la chiamò più volte, ma Liliana voleva solo fingere non esistesse. Alla fine, quando lui si buttò per raggiungerla, lei scappò.
Mentre nuotava per raggiungerla, Luca vide qualcosa baluginare nella notte.
 
Liliana ripenso per un anno intero all’accaduto e durante tutto quel tempo non si avvicinò più alla spiaggia. Erano passati trecentonovantasette giorni quando, finalmente, decise di ritornarvici.
La Luna, alta nel cielo, era luminosa come lo era stata quel giorno e Liliana si risedette nello stesso scoglio basso dal quale era scappata dall’umano.
Non sapeva cosa sperava: che arrivasse, che non arrivasse, che qualcuno le dicesse che lo aveva solo immaginato, da sciocca qual era. Non lo sapeva, ma quando lo riconobbe nella notte si sentì sollevata. Si accorse solo in quel momento di come la curiosità la stesse assalendo da quel giorno e, senza neanche pensarci, si tuffò: questa volta, però, non scappava.
«Avevo pensato di averla immaginata…»
La voce che la accolse era calda e l’uomo a cui apparteneva si sedette sul bagnasciuga, accanto a Liliana.
«Per più di un anno, ho pensato di essere solo uno sciocco. Forse lo sono davvero…»
A Liliana piaceva il modo adorante e timidamente curioso con cui le guardava la coda: lei, d’altronde, non faceva altro che vantarsene, quando era a casa.
«È raro che siano di questo colore» gli spiegò. «Vuoi toccarla?»
La scosse con leggerezza, invitandolo a sfiorarla, e lui non se lo fece ripetere due volte: la sfiorò là dove in una donna ci sarebbero state le ginocchia. La sensazione che la pervase, però, la sorprese: non avrebbe saputo, in quel momento, descriverla in maniera adeguata e, spaventata dalla novità, si spinse in acqua e fuggì.
 
Non passò un anno, questa volta, prima che Liliana si facesse rivedere. Erano passate appena alcune settimane prima che si decidesse di tornare alla spiaggia e, quando tornò, l’uomo era già lì ad aspettarla.
Le disse di chiamarsi Luca e di avere ventitré anni. Aveva studiato medicina e chirurgia sino all’anno precedente – Liliana neanche sapeva cosa fosse, la chirurgia – ma aveva mollato quando sua padre, che seguiva i tirocinanti, aveva deciso di lasciare la moglie per una che aveva l’età del figlio – Luca, appunto.
Liliana non fiatò mentre lo ascoltava, rapita dal suono della sua voce e intristita dalle lacrime che il ragazzo cercava di ricacciare indietro. Avrebbe voluto allungare una mano per sfiorargli uno zigomo, ma non sapeva come un umano avrebbe potuto reagire al contatto con qualcuno.
«E tu… Cioè, cosa fai? Studi, lavori…?»
Liliana scosse il capo e produsse una risata somigliante ad un leggero sbuffare. «Non penso che da noi le cose funzionino come da voi…»
«E come funzionano?»
«Non penso neanche di potertelo dire, Luca.»
E Luca non insistette. Le chiese altro, quanti anni avesse e quanto numerosa fosse la sua famiglia; il nome della sua migliore amica e quando aveva imparato che le reti dei pescatori sono pericolose. E Liliana rispose: aveva novantasette anni, che nel mondo delle sirene sono davvero pochi, ed era la più piccola di cinque sorelle e sette fratelli. Era la più piccola, la più timida e la più coccolata dal papà, un simpatico tritone di quasi cinquecento anni che si occupava dell’allevamento degli ippocampi. La sua mamma, invece, insegnava alle piccole sirene e ai piccoli tritoni – oh, erano tutti così dolci! La sua migliore amica era Nina: aveva la stessa età e…
E parlarono un sacco. Era quasi l’alba quando Liliana si rituffò tra le onde.
Andarono avanti così per mesi – i miei si sono conosciuti al liceo; i miei si conoscono sin da piccoli; mi piacerebbe saper disegnare; vorrei visitare i mari del Nord; da piccolo volevo fare il supereroe; anni fa sono stata nei mari d’Australia; io vorrei andare in Norvegia
«La mia prima ragazza si chiama Irene. Avevo diciassette anni e mi ha lasciato per il mio migliore amico… Ci rimasi malissimo!»
«E poi?»
«E poi ho capito che non ne valeva la pena… Arrabbiarsi per così poco, intendo. Ho persino battezzato la loro prima figlia.»
Liliana non sapeva cosa volesse dire battezzare, ma immaginò fosse una sorta di rito che usavano gli umani per accogliere i nuovi nati. Sicuramente era importante: Irene e il migliore amico di Luca, altrimenti, non avrebbero scelto una persona tanto importante per la loro bambina, no? Altrimenti chiunque avrebbe potuto battezzarla, no?
«Domani ci sarai, Liliana?»
Prima di sparire tra le onde, Liliana annuì.
 
E passarono ancora i mesi.
Avevano finito le cose da dirsi, ormai, e, complice l’arrivo dell’estate, stavano per ore seduti sul bagnasciuga. Alcune volte Liliana intonava canti che quelli della sua razza tramandavano di generazione in generazione: erano canti che narravano di gesta eroiche e di amori impossibili, di splendenti età dell’oro e di guerre e dei loro strascichi di morte e distruzione.
A Luca piaceva ascoltarla e si lasciava cullare dalla dolcezze della sua voce. Solo di rado azzardava qualche domanda sulle storie che la sirena gli cantava, ma Liliana non rispondeva mai: continuava a cantare, fingendo di non averlo sentito nonostante il sorriso divertito rivelasse il contrario.
E fu come essere ammesso a qualcosa di speciale e magico, qualcosa di importante e misterioso che avrebbe sempre portato con sé, serbandone gelosamente il ricordo. Era, si disse, come essere ammessi alla tavola dei grandi e rimanere affascinati dai complessi e incomprensibili discorsi che facevano.
«Perché vieni ogni sera?»
Liliana si interruppe bruscamente, sorpresa da quella domanda tanto scomoda. La verità era che neanche lei sapeva cosa la spingesse sul bagnasciuga ogni volta che il Sole cedeva il proprio posto alla Luna e scoprirlo, forse, sarebbe stato difficile e doloroso. Liliana lo sapeva, e lo sapeva anche Luca, perché cantava così spesso di amori tra uomini e sirene naufragati insieme alle navi sulle quali i primi si imbarcavano per raggiungere le loro amate.
E Liliana, allora, riprese a cantare: Narrano le storie / di vicende e di memorie / e di come sospinse l’uom l’amore / che per i mari andava cercando / l’amata sua sposa, donna / ma con la coda / e di come egli la trovò in fondo al mare / quando ormai non poteva più sentirla cantare…
 
Liliana, nei mesi successivi, non si era ripresentata. Luca dovette aspettare la nuova estate per vederla tornare.
Era felice, lei, coi bei capelli lunghi intrecciati con tante piccole perline e conchiglie. Sembrava quasi rinata, come se non avesse mai cantato per Luca di amori impossibili e di uomini seppelliti nei fondali dell’Oceano. Gli raccontò che aveva finalmente visto i mari del Nord e che aveva conosciuto altre sirene, laggiù, e che non vedeva l’ora di tornarci.
«Quando ci tornerai?»
L’entusiasmo divenne gelido ghiaccio e il sorriso sul volto di Liliana, dapprima congelato, si sbriciolò. Se la sarebbe dovuta aspettare, quella domanda, eppure quando udì quelle poche parole iniziò a boccheggiare come il pesce fuor d’acqua che lei era…
«Presto» soffiò. Lo disse talmente piano, che sarebbe stato facile confonderlo con un sospiro stanco, ma Luca lo udì forte come uno pugno sullo stomaco.
Non volle sapere quanto presto sarebbe partita. Non volle sapere più niente e fu quasi tentato di alzarsi e andarsene per primo, ma non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Le chiese solo se l’avrebbe mai più rivista.
«No…» Liliana scosse la testa e guardava Luca dritto negli occhi. «Non tornerò più, dopo che sarò partita. Mia nonna è molto vecchia: è per lei che ce ne andremo, per farla tornare nei Mari della sua giovinezza, e rimarremo lì finché non morrà.»
«Accadrà presto?» Era stato indelicato, forse, ma le parole erano uscite dalle sue labbra prima che lui potesse capirne il significato.
«Per noi, ma non per voi umani.»
Luca recepì in maniera distorta quelle parole, e sentì qualcosa di simile ad un arrivederci. Oppure non sentì niente, e osservò soltanto le labbra di Liliana muoversi: le osservava sempre quando lei cantava, e gli piaceva come si muovevano: gli davano l’impressione di star assaporando le parole una ad una, lettera per lettera, affinché la canzone risultasse gustosa anche per chi l’ascoltava.
Ed era evidentemente perso in questi pensieri, perché altrimenti non l’avrebbe mai baciata. Eppure, tremante a dispetto del caldo estivo, Luca si sporse verso di lei sino a quando non avvertì il respiro di Liliana mischiarsi col suo e decise che mai avrebbe assaggiato niente di più delizioso, perché niente sarebbe stato all’altezza.
Le incorniciò il volto con le mani, quasi temesse fuggisse ancora e per sempre, e rimasero incollati per le labbra per un tempo che a entrambi parve infinito. Poi, la mano di Luca scese lentamente sul seno di Liliana – Luca si sarebbe aspettato un sussulto che però non arrivò – e, sdraiati sulla spiaggia, esplorano i loro corpi come i naviganti che cercano nuove terre.
E il sussulto che Luca aveva atteso prima, finalmente arrivò: le squame della lunga e muscolosa coda si stavano ritirando dentro la pelle di Liliana, lasciando il posto alla nuda pelle luminescente. E apparvero le cosce, le ginocchia, le caviglie…
«Cosa…» Ma Luca non seppe terminare la frase.
«Non lo so, non so perché sia accaduto.»
Contemplarono per diversi minuti le gambe di Liliana, così normali eppure così strane se indossate da lei. In punta di dita, Luca ne tracciò i contorni: fianco, coscia, ginocchio… e poi di nuovo su sino al fianco.
Fu Liliana, questa volta, a baciare Luca.
Quando si separarono era ormai quasi l’alba. Sciogliersi dall’abbraccio fu doloroso per entrambi, e la consapevolezza che non sarebbero mai stati così uniti li avrebbe annientati se solo vi si fossero abbandonati. Ciò che sarebbe rimasto loro erano i ricordi di quel dolce annegare l’uno nel corpo dell’altra, di quel rincorrersi di sospiri e del delizioso trovarsi, alla fine, l’uno negli occhi dell’altra.
Non sapevano cosa sarebbe accaduto quando si sarebbero separati per sempre, non potevano e non volevano immaginare cosa sarebbero diventate le loro vite. Sarebbero stati certamente felici ancora e a lungo, di questo erano certi, ma non lo sarebbero stati insieme.
Liliana camminò verso le onde e, non appena sentì le squame spuntare nuovamente dai piedi, si tuffò. La coda ci mise poco a tornare al suo posto e, sirena di nuovo e sirena forse per sempre, Liliana sorrise a Luca.
 
§
 
«Mamma, perché mi hai portata qui?»
Una bambina di circa otto anni, il cui volto era incorniciato dai dei biondissimi capelli, si guardava intorno con aria stranita.
«La nonna ci ha detto di stare attente…» pigolò, mentre si guardava intorno spaventata. Non era mai stata in mezzo agli umani e, del resto, era difficile ci portassero bambine così piccole.
Liliana la tranquillizzò e la fece sedere su una sedia di paglia intrecciata. «Sai, quando ero giovane la spiaggia non aveva tutti questi… locali. C’era solo la sabbia…»
«E la Luna!» esclamò la bambina, tirando i pugnetti per aria, presa da un inspiegabile moto di entusiasmo. «Ma venivi da sola?»
«C’era un amico con me, ma lui non era come noi» le sussurrò, e le fece cenno di non parlarne ad alta voce. «Era come loro…» le svelò.
Liliana poggiò la schiena alla sedia e si godette la faccia stupita della figlia che, lo sapeva, stava tentando di mettere insieme tutti i pezzi del puzzle.
«È il mio papà?»
Lei annuì e, allontanando lo sguardo verso la spiaggia, vide un uomo solo guardare verso l’orizzonte. Una donna gli si avvicinò e lo cinse da dietro. L’uomo sobbalzò e, nel girarsi, posò lo sguardo su Liliana: l’aveva riconosciuta.
Si sorrisero timidamente e nessuno – se non il Mare, unico testimone del loro amore – se ne accorse.
  
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