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Autore: Blablia87    03/04/2016    8 recensioni
"La gelosia, per sua stessa etimologia, definisce una bramosia, un desiderio.
Non è qualcosa di raro, o prezioso, né si lega in modo stretto ad un qualche tipo particolare di persona.
La gelosia è comune, quasi banale.
Un sentimento proprio dell’uomo, e in quanto tale una mera condizione cognitivo-affettiva, maggiormente persistente rispetto ad una semplice emozione.
Questo pensa Sherlock Holmes e, per tutti questi motivi, l’ha sempre ritenuta indegna della propria attenzione personale, se non per l’aspetto di movente (piuttosto comune e quindi - per lui - di poca attrattiva) per qualche crimine di minore importanza nella sua scala di valutazione.
Ciò nonostante, da qualche tempo la gelosia - nel suo aspetto più ordinario, più mentalmente svilente - si è imposta alla sua attenzione, al punto da togliergli la tranquillità ed il poco sonno che è solito concedersi."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A CreepyDoll.
Ogni promessa è un debito d’onore.
 
 
"Colui che è geloso non è mai geloso di ciò che vede; ciò che immagina è sufficiente."
(Jacinto Benavente)
 
 
 
 
La gelosia, per sua stessa etimologia, definisce una bramosia, un desiderio.
Non è qualcosa di raro, o prezioso, né si lega in modo stretto ad un qualche tipo particolare di persona.
La gelosia è comune, quasi banale.
Un sentimento proprio dell’uomo, e in quanto tale una mera condizione cognitivo-affettiva, maggiormente persistente rispetto ad una semplice emozione.
 
Questo pensa Sherlock Holmes e, per tutti questi motivi, l’ha sempre ritenuta indegna della propria attenzione personale, se non per l’aspetto di movente (piuttosto comune e quindi - per lui - di poca attrattiva) per qualche crimine di minore importanza nella sua scala di valutazione.
 
Ciò nonostante, da qualche tempo la gelosia - nel suo aspetto più ordinario, più mentalmente svilente - si è imposta alla sua attenzione, al punto da togliergli la tranquillità ed il poco sonno che è solito concedersi.
 
A renderlo agitato, particolarmente irritabile e soprattutto piuttosto sconcertato, sono un serie di pensieri affiorati alla propria coscienza durante avvenimenti o momenti della giornata che non avrebbe alcuna fatica a descrivere come insulsi.
 
Come se non bastasse, hanno tutti a che fare con John, come se improvvisamente il medico fosse divenuto il portatore sano di una malattia infettiva che Sherlock non è in grado di contrastare, rimanendo immobile, basito, in balia di qualcosa che lo sta traghettando verso la catastrofe.
 
Sherlock ha quindi deciso di stilare una lista.
L’ha buttata giù durante la notte appena trascorsa, dopo l’ultimo episodio, legato ad una “innocua” bottiglia di birra.
Trascrivere cosa abbia scatenato in lui certe… "pulsioni", si è detto, dovrebbe aiutare a liberare la mente, a non impantanarsi in continui ragionamenti che, finora, lo hanno solo portato a rimanere per ore immobile su la propria poltrona, violino in mano e sguardo scontroso.
 
John è uscito da poco, stanco di provare inutilmente a capire cosa agiti così tanto il proprio coinquilino, da giorni.
Ha preso la giacca, e con passo marziale è sceso per le scale, salutando la signora Hudson prima di chiudersi il portone di Baker Street alle spalle.
 
Sherlock, adesso solo, afferra il piccolo pezzo di carta nascosto tra il bracciolo e la seduta della poltrona e inizia a rileggere i cinque punti stilati qualche ora prima.
 
1 – Il maglione di John.
 
John ha una quantità sconvolgente – almeno agli occhi del detective – di maglioni, tutti egualmente brutti, a detta non solo sua, ma di quasi ogni loro conoscente.
Larghi, ingombranti, con rifiniture dozzinali.
Sherlock li detesta, li odia con tutto se stesso. Il medico sembra perennemente goffo, più in carne di quanto in realtà non sia, sottotono. Le poche volte che il detective lo ha potuto osservare con qualcosa di meno “rozzo” addosso, si è sorpreso nello scoprire quanto molto più atletico e superbo appaia, carico di quel fascino che solo un uomo sicuro di sé può avere, se aiutato dal giusto abbigliamento.
Ad ogni modo, il medico continua imperterrito ad indossare quegli stupidi pullover, e ne indossa uno (particolarmente anonimo) anche la sera di circa due settimane prima quando, seduto sul divano con un libro in mano, si permette di compiere il gesto che dà inizio a tutto il domino emotivo che adesso Sherlock sente crollargli addosso.
Lo accarezza.
Ci passa una mano sopra, distrattamente, su e giù, una coccola emotiva di accompagnamento alla lettura.
Sherlock, poco più in là, violino alla mano, lo osserva compiere quel gesto più e più volte, totalmente assorto dalle pagine di quel romanzo che ha provato per giorni - con insistenza quasi fastidiosa e risultati pressoché nulli – a leggergli.
Il detective guarda la mano di John, poi il maglione che si stira, pigro, sotto le sue dita.
Ed eccola lì. La gelosia.
Quello stupido ammasso di lana intrecciata avvolge il medico, e Sherlock  ha l’impressione che lo derida.
“È mio, mi ha appositamente scelto, nel negozio.” Sembra dirgli.
 
Il detective esce dalla stanza, senza dire una parola, lasciando John ed il suo stupido amico lanuto con uno sguardo confuso sul viso.
 
2 – La cassiera di Tesco.
 
Piccola, insulsa, ordinaria cassiera del Tesco.
Sherlock odia fare la spesa, ma John lo ha costretto sotto minaccia di non fargli più avere sigarette da nessun tabaccaio del quartiere.
“Il frigo è vuoto.” Dice il medico, come se questo bastasse a giustificare una fatica come quella di perdere tempo prezioso in fila ad una cassa, dopo tre ottuagenari che impiegheranno una media di dieci minuti a testa per pagare, naturalmente tutto in monetine.
Sherlock ha passato ogni secondo a lamentarsi, riducendo la propria protesta, alla fine, ad un mutismo ostinato ed un violento rifiuto di aiutare l’altro a sistemare i prodotti sul rullo.
John, dopo avergli gettato un’occhiata furente, inizia la propria personale battaglia contro il silenzio improvviso del detective.
Inizia a parlare. Molto. Senza alcun senso logico, oltretutto. Di banalità così basse da risultare ridicole persino in bocca sua, pensa il detective, acido.
Ma non lo fa con Sherlock. No. Con la cassiera.
Il detective la osserva ridere alla battuta più misera mai concepita da un essere umano, e sporgersi verso John con negli occhi un segnale equivocabile di disponibilità a continuare il discorso idiota che stanno facendo (senza alcuna considerazione per le sue povere orecchie ed i suoi neuroni) davanti ad una birra sgasata, magari proprio del Tesco.
Per la seconda volta in pochi giorni, la condizione cognitivo-affettiva svantaggiosa si ripresenta davanti a Sherlock, imponendosi alla sua attenzione sotto forma di un invisibile pugno ben assestato all’altezza del plesso solare.
 
Il detective supera John con una spinta, diretto all’uscita del supermercato, lasciando lui ed il suo stupido flirt con uno sguardo confuso sul viso.
 
3 – L’ex commilitone
 
Sherlock sta letteralmente contando i secondi.
Sono 75, per essere precisi.
75 secondi che John tiene stretto tra le braccia quell’uomo, parlicchiando al suo orecchio.
Indecente come un potenziale omicida passi in secondo piano nelle attenzioni del suo collega, se casualmente si imbatte per strada in un vecchio compagno d’armi.
“Abbiamo da fare.” Tenta Sherlock, aspettandosi che John molli la presa, saluti e si allontani con lui, preferibilmente in meno di tre secondi da quel preciso momento.
Invece il medico si stacca, ma mantiene una mano sulla spalla dell’altro, ridendo di cuore al ricordo di qualcosa che Sherlock non saprà mai.
C’è tutto un mondo, prima che si conoscessero, del quale John parla raramente e che al detective non è dato conoscere.
Il pensiero -  mentre guarda i due uomini parlare di cose senza alcuna familiarità, per lui - inizia a farsi ingombrante, fino a diventare un nodo stretto attorno alla gola.
Quella persona conosce un John che lui non potrà mai incontrare.
Il nodo diviene una voragine all’altezza del petto.
Ancora, l’emozione di lunga durata che comunemente viene definita gelosia, batte sulla spalla del detective, con fare derisorio.
Sherlock alza il bavero del cappotto e si allontana a grandi passi, incurante della voce di John che prova a richiamarlo.
 
Che resti pure lì, insieme al rozzo bellico.
 
4 – G. Lestrade (nome non pervenuto).
 
L’ispettore è lievemente sopra la media di inettitudine completa che pervade Scotland Yard, che Sherlock trova sconvolgente, neanche l’incapacità di svolgere le indagini più basilari fosse un’abilità richiesta per accedere tra le sue fila.
Alle volte Sherlock resta sorpreso che Lestrade arrivi a capire cosa gli stia dicendo con solo uno scarto medio di tre secondi rispetto a John, di per sé già piuttosto lento, anche se perspicace (a tratti).
In più, qualche dote nascosta (sulla quale il detective non vuole soffermarsi neanche un secondo) deve averla, se suo fratello ha abbandonato la propria torre d’avorio per lui.
Nonostante questo, l’ispettore ha la cattiva abitudine di uscire spesso con John, circa due volte la settimana.
Sherlock immagina che la necessità di una bevuta ogni tanto, forte sia nel medico che il Lestrade, sia qualcosa alla né lui né suo fratello potrebbero soddisfare, in alcun modo.
Personalmente, Sherlock considera i pub sempre troppo affollati, e le analisi delle persone sedute al bancone piuttosto ripetitive e scontate.
Insomma, John non gli chiede mai di andare con loro, e Sherlock gli è grato, per questo.
Ma, nell’ultima settimana, vedere il medico prepararsi per uscire con Lestrade ha iniziato ad avere su di lui una qualche presa emotiva, che non riesce a spiegarsi.
Dev’essere il fatto che i maglioni che indossa per quelle uscite sono i “meno peggio” che possiede. O il fatto che è sempre allegro, quando rientra, e si senta in dovere di ammorbarlo con la cronaca dettagliata di tutto quello che si sono detti lui e Lestrade, o che è accaduto nel locale.
O forse ha a che vedere con quello sguardo impaziente che John gli punta addosso ogni volta che sta per andarsene, come a dire: “Non vedo l’ora di essere fuori di qui, in un posto dove possa davvero divertirmi.”
Sherlock non è certo che il significato di quello sguardo sia esattamente quello, ma non vuole mai perdere tempo ad analizzarlo con più attenzione.
John lo ha sempre avuto?
Il detective non se lo ricorda, né gli interessa. O almeno finge sia così.
Il problema si ripropone con più forza, indesiderato, in una delle ennesime sere che il medico e l’ispettore hanno deciso di trascorrere assieme. Si materializza mentre Sherlock osserva il medico stringersi la sciarpa attorno al collo, pronto ad uscire.
La gelosia è di nuovo lì, e vorrebbe far dire al detective qualcosa che, per lui, va oltre l’irrazionale, rasentando la follia pura: “Resta a casa. La birra puoi berla sul divano accanto a me, guardando tv spazzatura che tanto ti piace, Dio solo sa perché.”
 
Nella realtà il detective rimane in silenzio, e John lo saluta ed esce, lasciando lui e la sua beffarda compagna con un’espressione triste sul volto.
 
5 – La birra.
 
Sherlock non beve. La birra, in particolare, gli è particolarmente odiosa a livello papillare e digestivo, quindi la evita, disgustato.
Ma hanno appena risolto un caso impegnativo, e John ha la fastidiosa tendenza a voler festeggiare con un brindisi i risultati positivi della loro carriera.
Quindi, rincasando, hanno comprato un paio di bottiglie, che sia John che Sherlock sanno perfettamente verranno consumate per intero dal medico.
John decide comunque, come sempre fa, di stapparle insieme, e ne porge una al detective, in modo che possano almeno brindare assieme.
Come da prassi, fanno tintinnare i fondi delle bottiglie, e poi John si siede sul divano, soddisfatto.
Sherlock tergiversa un po’, alla fine si accomoda accanto a lui, la birra ancora stretta tra le mani.
“Che vogliamo guardare in televisione, stasera?” Chiede il medico, portandosi il collo della bottiglia alla bocca, e Sherlock si blocca ad osservare come le sue labbra si flettano all’indietro sotto la spinta del vetro.
Un pensiero, agghiacciante, gli attraversa la mente: “Quella birra è fortunata.”
Il solo aver formulato una frase di siffatta struttura, lo congela in un secondo di orrore puro.
Lentamente, con il fare guardingo di chi si attende di venir attaccato da un animale feroce nel giro di pochi attimi, si alza dal divano e si dirige in cucina, mentre la “falla” nel suo sistema celebrale prende le dimensioni di una voragine, facendogli affiorare alla coscienza una seconda frase, ancora più sconvolgente: “Vorrei essere quella bottiglia.”
Frastornato, un po’ ondeggiante, Sherlock lascia la sua birra su tavolo della cucina e si dirige in camera sua, lento, dondolando.
Dev’esserci qualcosa di profondamente sbagliato in lui, se cose del genere forano la parete del suo raziocinio con tanta facilità.
John, dal salotto, lo chiama, un po’ allarmato.
Sherlock si chiude la porta della camera alle spalle, senza proferire una parola.
 
Che John, le sue stupide labbra e la sua stupida birra se ne restino in salotto.
 
 
 
 
Sherlock rilegge i cinque punti della lista un paio di volte, richiamando alla mente ogni piccolo particolare degli ultimi avvenimenti, in cerca di una spiegazione razionale.
Se non fosse tanto sconvolto, gli apparirebbe piuttosto facile trovare il motivo di tanto scompiglio: lo ha analizzato così tante volte come movente, da esser diventato un automatismo, durante le risoluzioni dei casi: i crimini passionali, sono mossi da gelosia.
Ma, al momento, questo banale collegamento sfugge alle sue sinapsi, anche se non è del tutto nascosto al suo cuore, che batte contro lo sterno con una forza che Sherlock reputa inadatta ed eccessiva, per la sua posizione di assoluta immobilità.
Per cercare di nascondersi anche questa evidenza, si alza, iniziando a girare irrequieto per la stanza, le mani dietro la schiena e l’aria assorta.
Gira così veloce, così preso, da non accorgersi che John è di nuovo sulla soglia del loro appartamento, e lo sta fissando, confuso.
Quando alla fine il medico decide di chiamarlo - strappandolo al suo mondo di riflessioni - lo stupore che si dipinge sul viso del detective, accompagnato da un forte rossore di imbarazzo, è talmente evidente che non riesce a nasconderlo con la dovuta velocità.
Boccheggia un attimo, paonazzo, incapace di elaborare una scusa credibile in un tempo idoneo.
“Va tutto bene?” Chiede John, e Sherlock fa un passo indietro per bilanciare quello avanti appena compiuto dal medico.
“Certo.” Risponde, con il cuore ancora incastrato sotto la gola, tenace.
“Sono giorni che sei strano.” Ripete John, in una cantilena che accompagna le loro giornate da almeno una settimana e mezzo.
“Come ho già avuto modo di risponderti…” Inizia il detective, ma si blocca subito, la testa inclinata da un lato e gli occhi fissi sull’espressione che ora agita i lineamenti dell’altro.
Sherlock dovrebbe riconoscerla, perché fa parte del suo lavoro dare voce ai segni su i volti altrui.
Se non fosse così impegnato a dirsi che no, non è possibile, la catalogherebbe di certo, in pochi attimi: dolcezza. Sentimento.
Per un attimo ha l’istinto di girarsi indietro, per controllare che realmente non ci sia nessun’altro nella stanza. Solitamente John dedica certe espressioni alle donne.
Alle cassiere del Tesco, per esempio.
Forse anche ai commilitoni.
O a Lestrade.
Probabilmente anche ai maglioni.
Quasi certamente anche alle birre.
Sherlock scuote la testa e, stranamente, riacquista un qualche barlume della sua lucidità. Le birre sono decisamente troppo, persino per una mente offuscata come la sua in quel momento.
E, ad ogni modo, non ha mai visto John guardare qualcuno in quel modo, in realtà.
Mentre il medico, coraggioso, si avvicina sempre più al suo viso, Sherlock scopre con stupore una sesta cosa della quale è geloso: il sorriso, meraviglioso, che si allarga radioso sul volto dell’altro, in una gioia che gli accende anche gli occhi, calda, rassicurante.
 
Ed è così, con le labbra di John a sfiorare le sue, che a Sherlock si palesa un altro tipo di gelosia: il desiderio che nessun’altro al mondo veda del medico o provi per lui ciò che il detective sta vedendo e provando in quel preciso istante, stretto tra le sue braccia.
 
 
Angolo dell’autrice:

Questo non è il mio genere, non lo è affatto, e temo che si veda (anche parecchio). XD
Chiedo venia.
Mi sono comunque divertita a scrivere questa piccola storia, un po’ perché amo le sfide, un po’ perché scrivere per un’altra persona è sempre una cosa meravigliosa.
Spero di aver fatto cosa gradita a CreepyDoll (so che in realtà intendevi tutt’altro, quando hai detto “gelosia”… Perdono. Non ho saputo far meglio. XD) e spero che possa essere stata di piacevole lettura anche per voi, che siete giunti fino a qui.
 
Un abbraccio.
B.
 
 
   
 
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