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Autore: sil_c    03/04/2016    0 recensioni
Questa storia rappresenta la sesta serie del telefilm Covert Affairs così come la immagino io, dopo che ne è stata sospesa la produzione da parte dell'emittente televisiva americana USANetwork.
non possiedo né i diritti né i personaggi della serie, tranne alcuni personaggi secondari che mi sono serviti per raccontare la mia storia.
Annie è un ex agente opertivo della CIA, ora alle dipendenze di Ryan McQuaid, nella McQuaid Security. Sia Ryan che Annie partecipano personalmente a diverse missioni e servizi di scorta a personaggi politici importanti.
Durante una di queste missioni, il convoglio col quale viaggiano viene attaccato dai guerriglieri jihadisti, in Mali.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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~~Capitolo 3

Pioveva a dirotto ormai da cinque giorni.
Erano rinchiusi nel loro cottage da cinque lunghi, lunghissimi giorni.
“Hey.”
“Hey.” lo scimmiottò lei “Sai dire solo questo, Hey?”
Egli si girò nella sua direzione cercando di intuire il motivo del suo nervosismo.
“Non ne posso più! Cinque giorni! Cinque dannatissimi, interminabili giorni di pioggia!” Cominciò a camminare avanti e indietro impazientemente. “Voglio uscire da qui! Voglio andarmene.”
Si fermò davanti a lui, lo afferrò per le spalle quasi urlando “È come essere in prigione!”
Egli sorrise lievemente, le prese le mani e le tenne giunte tra le sue. Fece un profondo respiro e se le portò alle labbra ma non fece in tempo a baciarle perché lei si divincolò.
“Non ci provare Auggie! Non voglio! Non voglio che mi tratti come una bambina a cui hanno rotto il giocattolo nuovo! Voglio… HO BISOGNO di uscire, di camminare, di correre, di saltare, di bere.”
“Tash…”
“Smettila!” urlò lei “Non sopporto che mi tratti così!”
Auggie si alzò dalla poltrona e si diresse alla porta del cottage, uscendo nel patio. Meglio lasciarla sola, in momenti come questi.
L’aria era fresca e umida. Si concentrò sul rumore che la pioggia faceva battendo sul selciato. Respirò profondamente, godendo dell’intenso profumo di terra bagnata. Cinque giorni di pioggia provvidenziali, in quel periodo dell’anno, quando in Indonesia il clima era piuttosto secco. Per lui, finalmente, cinque giorni di riposo.
Si appoggiò alla parete, chiuse gli occhi e ripercorse mentalmente gli ultimi due anni della sua vita. Due anni. Infondo cos’erano cinque giorni se paragonati a due anni?
Non capiva la smania di vivere di Natasha. Da quando lui aveva lasciato la CIA, Auggie e Natasha avevano girato il mondo in lungo e in largo, dando fondo ai loro risparmi.
Non erano mai stati fermi in un posto per più di un mese o due. Giusto il tempo di riprendersi dal jet-lag. Quando erano a corto di soldi, lavoravano part-time o come stagionali, quel tanto che bastava per racimolare un po’ di denaro e ripartivano.
Auggie cominciava a desiderare di fermarsi, di mettere radici. Magari tornando in America.
La vita quasi da spericolati randagi che stavano facendo lo stava disorientando oltre misura, ma Natasha sembrava non averne mai abbastanza.
Era indubbio che l’esplosione dell’edificio di Grozny, dove avevano quasi perso la vita, li avesse segnati entrambi profondamente, anche se, ora se ne rendeva conto, in modo profondamente diverso.
I primi mesi si era divertito a conoscere gente nuova, ad assaporare cibi così diversi. Avevano visitato musei d’ogni sorta e pinacoteche dove vi erano riproduzioni tridimensionali dei quadri più famosi così che anche una persona cieca potesse vederli. Natasha voleva fare le cose più impensabili e pericolose: aveva iniziato con il freeclimbing, bungee jumping, base-jumping, base-climbing… senza contare le lunghe notti passate a girovagare tra i locali più rinomati bevendo e ubriacandosi fino a star male.
 “Voglio sentirmi viva, Auggie.” gli aveva risposto un giorno.
“Ma tu SEI viva, Tash.”
“No, Auggie. Passare le giornate al sole o a visitare musei mi sta uccidendo. Tanto valeva morire in quell’esplosione. Voglio sentire il brivido dell’adrenalina che mi scorre nelle vene.”
In questi tour cittadini, inizialmente Auggie l’aveva seguita. Ma poi aveva cominciato ad annoiarsi. In fondo c’era ben poco che un cieco potesse fare in una pista da ballo superaffollata e, certo, non poteva seguire Tash nel praticare sport estremi senza mettere a repentaglio la sua sicurezza e quella di chi lo accompagnava. La confusione di gente e di musica lo disorientavano talmente tanto da farlo star male fisicamente. Quando lo disse a Tash lei gli rispose seccata “Stattene pure in albergo. Ci vado da sola.” Auggie rimase in silenzio e, come in un flash, un pensiero salì alla sua mente “Annie non l’avrebbe fatto” ma lo scacciò scuotendo la testa.
Quando tornava dalle sue pericolose escursioni e gli raccontava cosa aveva fatto, Natasha aveva la voce carica di eccitazione.
“Dovresti provare anche tu.” gli disse un giorno “Così capiresti cosa vuol dire essere vivi.”
“Tash, io SONO vivo. Ho te e questo mi fa sentire più vivo che mai.”
“Tu non vuoi capire Auggie. Non ci provi nemmeno, a capire.” e con questo chiuse la conversazione.
Ogni giorno Tash aveva qualcosa da fare, doveva aver qualcosa da fare. L’adrenalina che si scatenava nel suo corpo ogni volta, era diventata la sua droga.
Lui, invece, dall’esplosione, aveva imparato a godere della tranquillità di giornate di pioggia, della lettura di un buon libro, del vento, di una camminata sulla spiaggia.
Sì, l’esplosione li aveva irrimediabilmente segnati. In modo completamente diverso l’uno dall’altra.
Dopo qualche mese, Auggie cominciò a sentirsi un po’ messo da parte, sentiva che la sua cecità stava diventando un peso per la sua compagna. Ma non le disse mai come lo faceva sentire. Lui l’amava e per lei avrebbe sopportato tutto questo. In fondo lo aveva già fatto per Annie, tempo addietro. L’aveva sempre aiutata e coperta in ogni sua missione, in ogni sua mancanza. Era il suo gestore, doveva farlo. Voleva farlo.
Annie.
Era ancora appoggiato alla parete del patio, con gli occhi chiusi ad assaporare l’odore della pioggia. La sua mente ancora vagava nei ricordi di questi mesi trascorsi con Natasha quando si rese conto senza volerlo che sempre più spesso paragonava lei, Annie, a Tash. C’era un abisso.
Forse Annie non l’avrebbe mai lasciato volutamente solo per fare sport estremi o per ballare e ubriacarsi.
In quello che sembrava un tempo lunghissimo, Auggie rivide i cinque anni trascorsi lavorando con Annie fianco a fianco. Rivide mentalmente ogni sua singola missione, quando, come suo gestore, era costantemente in contatto con lei. Ripensò al sorriso che sentiva nella sua voce, al suo passo. Si sorprese a pensare a quanto, in fondo, gli mancasse la vita all’Agenzia.
Riaprì lentamente gli occhi, continuando a pensare ad Annie. Non l’aveva più sentita da allora, da quando, quasi due anni prima, si recò da lei per dirle della sua decisione di lasciare la CIA.
Cosa starai facendo ora, Annie?” pensò sporgendosi in avanti e appoggiandosi alla ringhiera “Dove sarai?”
La voce di Tash alle sue spalle lo sorprese, quasi facendolo sentire colpevole di pensare ad un’altra donna.
“Sei sordo oltre che cieco?” disse seccatamente lei “Il tuo telefono squilla da un po’ ormai.”
“Grazie Tash.” rispose Auggie, ma lei era già rientrata nel cottage.
Auggie toccò il display e una voce metallica comunicò “numero sconosciuto”
Chi poteva cercarlo a quell’ora del mattino? Rispose alla chiamata.
“Pronto?”
“Buonasera Auggie, o forse dovrei dire Buongiorno? Non so che ore siano dove ti trovi. Né so dove ti trovi in effetti.”
“Joan?” chiese sorpreso.
“Già. È bello sentirti dopo tanto tempo.”

   
 
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