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Autore: lapoetastra    05/04/2016    1 recensioni
< Dì a Mary di venire con noi, allora >, sbottò, come se fosse la scelta più ovvia al mondo.
La risata di Watson, però, fece crollare il muro delle sue certezze, un muro che in fin dei conti era costituito da mere e vane illusioni.
< E cosa le dovrei dire, mh? >, domandò John. < “Vieni con noi in giro per il mondo alla ricerca di una pazzo criminale che si è sparato in bocca ma che apparentemente non è morto?” Pensi che accetterà? > L’ironia nel suo tono era evidente.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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< Vieni con me, John. Ti prego. >
Non era facile sentire implorare il grande e famoso Sherlock Holmes.
Eppure ora stava accadendo.
Watson avrebbe voluto ordinargli di smetterla, di stare zitto, che tanto avrebbe sprecato soltanto fiato.
Che tanto non lo avrebbe convinto.
O forse sì?
No, doveva essere forte, e far valere le proprie ragioni, per una volta, la prima e sicuramente anche l’ultima.
< Mi dispiace, Sherlock. Io vorrei venire con te, ma non posso. Devo pensare a Mary, capisci? >
No, certo che Holmes non capiva.
Tutto ciò che l’investigatore pensava era al fatto che il suo collega di una vita – ed anche se non lo avrebbe mai ammesso, il suo migliore amico – lo stava abbandonando e tradendo.
< Dì a Mary di venire con noi, allora >, sbottò, come se fosse la scelta più ovvia al mondo.
La risata di Watson, però, fece crollare il muro delle sue certezze, un muro che in fin dei conti era costituito da mere e vane illusioni.
< E cosa le dovrei dire, mh? >, domandò John. < “Vieni con noi in giro per il mondo alla ricerca di una pazzo criminale che si è sparato in bocca ma che apparentemente non è morto?” Pensi che accetterà? > L’ironia nel suo tono era evidente.
Sherlock tacque, schiacciato dal peso della verità.
< E allora… allora vieni tu, John. Non staremo via molto, giusto il tempo necessario per sconfiggere Moriarty una volta per tutte. Poi torneremo alla nostra vita di sempre, e sarà tutto come prima. >
A Watson veniva da ridere, di fronte all’ingenuità di Sherlock.
< Credi davvero che sia così facile? Pensi che Moriarty sia lì fuori, ad aspettarti, e che basti solo uno scontro da un paio di match di intelligenza perché sia tutto finito? Perché tutto venga archiviato e dimenticato? >
Sherlock, nel rispondere, abbassò gli occhi, in un gesto non da lui che sorprese nuovamente John.
< Sì, io credo che sia così >, disse, ma era evidente che nemmeno lui lo pensava davvero.
John addolcì il tono: < Mi dispiace, Sherlock. Ma questa è una cosa che devi fare da solo, io non ci sto. Se davvero vuoi vagare senza meta alla ricerca di un fantasma, non sarò certo io ad impedirtelo. Ma per favore, non coinvolgermi più. Io resto qui. >
Era difficile parlare così a Sherlock, ed era ancora più difficile guardare il colore dissolversi dalle sue guance affilate parola dopo parola.
Ma John sapeva di aver preso la decisione giusta, per se stesso e per Mary, e ne era contento, in fondo, contento e soddisfatto di aver ascoltato il suo cervello, per una volta, e non il suo cuore, che era innatamente portato a seguire Sherlock ovunque andasse.
Holmes, intanto, pallido come la neve più pura, alzò lo sguardo, ed io suoi occhi di ghiaccio incontrarono il brillante verde racchiuso nelle pupille di John.
< Se non fosse stato per me, tu non saresti niente >, sussurrò l’investigatore, ed il tono querulo ed implorante era ora stato sostituito da una voce fredda ed impersonale, che John faticò a riconoscere come quella di Sherlock.
< Io… non capisco >, rispose il dottore, che forse non capiva davvero cosa volessero dire quelle dure parole, o che forse capiva ben più di quanto volesse ammettere a se stesso.
Sherlock ghignò. < Se non fosse stato per me, tu non saresti nulla >, ripeté. < Pensaci, John. Cos’eri prima di incontrare me? Nulla, solo un ex dottore zoppo e privo di qualsiasi misero scopo nella vita, sempre pronto a commiserarsi e mai disposto a fare nulla per modificare la propria povera condizione. Io, invece, ti ho reso qualcuno! Una persona che la gente riconosce ed ammira, un uomo che le donne desiderano. Ho creato io l’individuo che sei ora, Watson! >, terminò, quasi urlando.
Gli brillavano gli occhi, notò John.
 John, che non riusciva ad emettere alcun suono, ferito nel corpo e nell’anima dall’essere stato messo così inaspettatamente di fronte alla cruda verità, dalla quale per troppo tempo era scappato.
< Sherlock… io… >, balbettò confuso.
< Ti ho creato io >, ripeté Holmes, con il tono della certezza.
E se ne andò.
Via da Baker Street, via da John.
Scomparve per le vie affollate della città a bordo di un auto da lui stesso chiamata che già da tempo sostava sotto la loro finestra, con nulla di più di una valigia e l’ossessione di Moriarty ad incendiargli le vene.
John era solo, ora.
Solo, ad ascoltare il rombo del motore allontanarsi e perdersi nel caos mattutino, portando con sé il migliore investigatore dell’intero Stato.
Solo, ad udire ancora una volta l’ultima frase di Sherlock, che ancora aleggiava nell’aria tersa.
Solo, a notare che andandosene Holmes aveva perso qualcosa, che ora giaceva a terra, dove fino a pochi minuti prima c’erano i suoi piedi.
Era un foglietto di carta, uno di quelli utilizzati da Sherlock per prendere appunti durante un’indagine o per memorizzare riflessioni improvvise.
Lo aprì, e lesse ciò che v’era stato scritto con lo stile elegante ed appena un po’ storto di Sherlock.
Sarai sempre la mia migliore creazione”.
John sorrise.
Sorrise, e pianse un po’, ed uscì.
Uscì nella via brulicante di persone, ed iniziò a correre.
Aveva deciso di dare nuovamente ascolto al suo cuore, che in fin dei conti non lo aveva mai tradito.
Aveva deciso di lasciarsi nuovamente coinvolgere in una missione stravagante ed eccitante di Sherlock.
E sapeva che quella era la scelta giusta.
E ne era felice.
   
 
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