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Autore: Paradise36    07/04/2016    0 recensioni
Chissà se un giorno riuscirai ancora a ricordare come cambiava di colpo il mio sguardo quando cambiavo te.
Avevo gli occhi intrisi di quella voglia disperata di chi voleva te sopra ogni cosa.
Nessuno ti guarderà mai più così. In tanti altri modi magari sì, ma mai più così.
Genere: Comico, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ho iniziato a scrivere questa storia per gioco ma, se vi va, fatemi sapere se vi piace o meno. E ovviamente se volete che continui ;)
Un bacio e buona lettura, Anna. 



CAPITOLO 1



«Siete disgustosi», borbotto, una volta arrivata in salotto. La scena che ho davanti è ormai quasi sempre la stessa da ormai due settimane: la mia migliore amica e il suo fidanzato seduti sul divano, abbracciati, con un film strappalacrime e romantico davanti gli occhi e... popcorn. E per di più di domenica.
La mia migliore amica Sara ride, mentre il fidanzato antipatico Andreas non si smuove. 
Vado verso l'attaccapanni per recuperare il giubbotto di pelle che devo indossare. 
«Ma devi sempre rompere tu?», mi chiede Sara sorridente. 
«Lo sai, se non lo faccio non sono io. Ma non vi annoiate?» 
«No... Come si fa ad annoiarsi con lui?» 
Che sdolcinati del cazzo. Ora lei gli sta stampando un bacio sulla guancia. Cammino con i miei tacchi rumorosi e alti verso la ciotola di popcorn che ha tra le mani Andreas. Mi piazzo davanti a lui. 
«Puoi concedermene due o sono solo per la tua fidanzata?» 
Non risponde. Mi porge la ciotola e ne prendo una manciata. Io e lui non siamo mai andati d'accordo. Sono due mesi che stanno insieme e ogni volta che mette piede in casa mia mi innervosisco. È antipatico, scorbutico e non si fa mai una risata. Non potrebbe essere il mio tipo, anche perché sono troppo diversa da Sara. Se lei preferisce un film alla discoteca, io sono il contrario. E se lui è come lei... beh, è bello, ma non se ne parla. 
Stampo un bacio sulla guancia di Sara sporcandola di rossetto e scombino i capelli ad Andreas, che mi fulmina con lo sguardo. Gli rivolgo uno dei miei tanti sorrisi malefici e mi avvio alla porta. 
«Buona serata piccioncini e fate i bravi. Non riesco ad immaginare il mondo sopportare un piccolo Andreas.»
Chiudo la porta alle mie spalle e arrivo alla mia auto. Salgo, esco dal cancello e in quel momento accendo anche la radio. Quindici minuti e sono già fuori la mia discoteca preferita: il Revolution. 

Ad Atlanta, tutti mi conoscono. Non perché ho fatto qualcosa di particolare, ma quando arrivai tre anni fa, riuscii a farmi conoscere da tutti. Sono quella più spietata al college (perché sì, frequento il college e quest'anno dovrei laurearmi), quella senza peli sulla lingua e più sincera. Sì, forse per questo. Non vivo ai dormitori perché l'esperienza della prima settimana in camera con una ragazza lesbica che ci provava con me, mi fece subito cambiare idea. Non mi feci problemi a dirlo al rettore, così dopo quella storia cominciai ad essere un po' più popolare. Ora vivo con Sara da due anni e mezzo. Frequentiamo gli stessi corsi e siamo amiche per la pelle. Ho imparato a conoscerla, ed è davvero magnifica. Lei era già abbastanza conosciuta, e forse questo mi ha aiutata. 
Sono stata con molti ragazzi. Non sono una troia, ma non sono mai stata fidanzata. Voglio divertirmi, essere libera e fuggire in discoteca quando mio padre dice che non è orgoglioso di me. In fondo, perché dovrebbe esserlo?
Sono nata a Nashville, in Tennessee. Lì vivono mio padre e i miei due fratelli. Mia mamma non l'ho mai conosciuta, non bene, morì per una malattia quando avevo tre mesi. Quindi sono cresciuta insieme a tre maschi, e vi lascio immaginare. La mia età aumentava ogni anno e di conseguenza aumentavano pure i servizi da svolgere in casa. Una volta diplomata con un anno di ritardo, perché fui bocciata in seconda liceo, fuggii di casa. Li amo, amo i miei fratelli e mio padre, amo la famiglia che siamo diventata nonostante una mancanza che si faceva sentire, ma dovevo andarmene. Fuggire dalla vita da mammina di sedici anni e vivermi come si deve la vita da universitaria, in santa pace, lontana da loro e da quella città. Volevo cambiare vita, e ci sono riuscita. Cambiai taglio di capelli, cominciai a tatuarmi piccoli significati sulla pelle e ora sono quella che sono. 
Quando lo dissi a loro, li spiazzai. Chi avrebbe cucinato? Chi avrebbe spazzato? Chi avrebbe lavato e stirato le camicie? 
Per questo, mi odiarono e mi odiano. Non mi sento con i miei fratelli da quando sono partita e mio padre mi chiama una volta al mese. Mi spedisce qualche soldo al mese solo perché è un suo diritto, altrimenti non so se lo farebbe. Per questo lavoro tre pomeriggi a settimana come commessa in un negozio di scarpe. Non mi pagano molto, però sommati ai soldi che arrivano da mio padre, non mi lamento. Solo Sara sa di questa debolezza che mi porto dentro, per il resto, tutti mi conoscono come la ragazza forte, bella e popolare. 

«Andiamo a prendere qualcosa da bere?», mi urla all'orecchio Evan, un ragazzo del college che ci prova con me già da un po'. Annuisco. Mi prende per mano e lo seguo verso il bar. Il ragazzo che sta dietro è un mio carissimo amico. Ci sono uscita tre volte, ma poi gli dissi che non era il mio tipo. Per fortuna il rapporto di amicizia è rimasto, e ora che mi vede sorride. 
«Ciao Grace», urla sorridendo. Sorrido, alzandomi sulle punte e sporgendomi per baciargli una guancia. Poi ritorno dov'ero a fianco ad Evan. 
«Sex on the beach come il solito», urlo a Ben. Lui annuisce. Evan ordina qualcosa che non riesco a capire e mi siedo su uno sgabello libero mentre attendo. Evan è sempre di fianco a me e mi stampa un bacio sulla guancia. Profuma tantissimo. È carino (perché non mi farei rimorchiare da uno brutto), ma mi sa che sarà solo un'uscita rapida, poi gli dirò che me ne sono pentita. 
Arriva il mio cocktail e lo sorseggio un po' più veloce di quanto faccio di solito, solo perché so che sono già le tre di notte e devo tornare a casa. Domani è lunedì e l'Università mi attende con una lezione di storia con il professore più odioso di tutti. 
Spiego ad Evan la situazione e lui annuisce, ma si offre di accompagnarmi alla macchina. 
Dei miei dieci amici più stretti, riesco a salutarne solo tre. Per il resto, tutte queste pecore mentre cammino mi salutano e io ricambio. A differenza di altre, nonostante sia molto conosciuta, non me la tiro. Saluto tutti se loro mi salutano. 
Arrivo fuori la discoteca con Evan al mio fianco, che si accende una sigaretta. Ne vorrei una anche io, ma evito. Ho già bevuto e non dovevo: devo guidare. 
La mia macchina non è tanto lontana, però i piedi mi fanno male. La gola mi brucia per l'alcol che ho bevuto. 
«Eccoci», dico, appoggiandomi. So che vuole baciarmi e se lo farà non mi tirerò indietro, ma non lo so se ha il coraggio. 
«Dovremmo uscire qualche volta, che ne dici?» 
«Certo, volentieri», mormoro. Non è vero, ti appenderò. 
Si avvicina di più a me, ma mi abbraccia soltanto. Ridacchio quando mi dà un pizzicotto sulla pancia. Si stacca e rimaniamo tre secondi a guardarci negli occhi: sono belli, ma non mi trasmettono niente. Gli guardo le labbra che piano si avvicinano alle mie e sento finalmente il contatto. La sua lingua calda scivola nella mia bocca e non si ferma più. Bacia bene, ma devo andarmene. Mi stacco gentilmente e piano, stampandogli un atro bacio a stampo. Lui sorride soddisfatto e io falsa ricambio. 
«Ci vediamo domani», mi dice. Mi stampa un bacio a stampo e mi sorride. 
«Va bene.»
«Ciao.» 
Mi siedo sul sedile e mi specchio. Sono sempre carina, anche dopo cinque ore di puro sballo. Esco dal parcheggio e guido velocemente verso casa, mentre controllo anche i messaggi sul cellulare. Ce ne sono tre di Sara, ma decido di non rispondere: starà sicuramente dormendo. 

Parcheggio la macchina al mio solito posto e cammino verso la porta di ingresso. Attraverso la veranda dove mi tolgo i tacchi e apro la porta, facendo attenzione a non fare rumore. Con tanta sorpresa vedo che la luce della cucina è accesa. Sarà sicuramente Sara che sta bevendo, come fa di solito alle tre e mezza di notte. Mi sfilo il giubbotto di pelle e lo appendo all'attaccapanni. Cammino a piedi scalzi sul pavimento freddo della mia casa. Arrivo in cucina e proprio mentre sto entrando nella stanza sbatto contro qualcuno. Spalanco gli occhi e noto che è Andreas. Tiro un sospiro di sollievo mentre lui sorride come un ebete. 
«Mi hai fatto cagare sotto.»
 
 
   
 
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