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Autore: aleinad93    07/04/2016    3 recensioni
Conosceva Alexander e da quando erano arrivati a Londra, solo tre giorni prima, sembrava distratto. […] Alec era felice, anche troppo felice. Rideva, ma troppo forte come se dovesse dimostrare qualcosa a qualcuno e Magnus si sentiva quel qualcuno.
(Spoiler per chi non ha letto Tales from Shadowhunter Academy)
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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We will always be for each other


 
A Malec, che hanno creato una meravigliosa famiglia
Ai Lightwoods, che mi hanno accolta nella loro famiglia



«Perché hai quell’aria pensierosa, Fiorellino?»

Alec puntò gli occhi sul suo compagno, che aveva acceso la luce della camera e stava entrando in quel momento. Era tarda notte e Magnus doveva essere andato a portar in bagno Max, che aveva l’obbligo di chiamarli ogni volta che ci andava, soprattutto di notte.
Già una volta si era perso ed era finito a fare i propri bisogni in un ripostiglio che Magnus e Alec avevano creato con una tenda per tenere nascoste le armi da Cacciatore. Sicuramente la colpa era tutta loro, che viaggiavano molto e Max non riusciva più a orientarsi tra i vari appartamenti e alberghi.

Effettivamente quando erano a casa a New York, Max non aveva nessun problema a trovare il bagno e non li chiamava. Avevano provato anche a rimettergli il pannolone, ma il piccolo sbuffava contrariato, mostrando con le dita di avere cinque anni, e iniziava a produrre stelline gialle dalle mani.
Così Magnus e Alec si erano arresi ed era nato l’obbligo di chiamare uno o l’altro papà a supervisionare il tutto.

«Ti verrà un solco sulla fronte, se continui a pensare così intensamente.» Magnus si era messo a letto e guardava il suo compagno con aria preoccupata. «Ti amerei anche con il solco, beninteso. Forse ti amerei anche con quattro occhi e quattro braccia.»

«Sto bene.» Alec si sistemò meglio contro il cuscino, che aveva messo tra sé e la testiera, per evitare che la schiena gli facesse male.
Magnus sbuffò, non ci credeva proprio. Conosceva Alexander e da quando erano arrivati a Londra, solo tre giorni prima, sembrava distratto. Avevano scelto insieme di andarci per prendersi una piccola pausa dal lavoro e per mostrare al loro piccolo blueberry la capitale britannica, dove l’avevano già portato, ma era troppo piccolo per ricordare.
Alec era felice, anche troppo felice. Rideva, ma troppo forte come se dovesse dimostrare qualcosa a qualcuno e Magnus si sentiva quel qualcuno. Nei rari momenti di quiete, in cui Max dormiva, Alec si lasciava cadere sul divano e guardava il soffitto.

Magnus aveva pensato subito di risolvere la faccenda, chiedendogli cosa non andasse, ma aveva preferito aspettare. Sperava che fosse lo stesso Alec a parlare di sua spontanea volontà, ma ciò non era successo.

«Parli, o devo ricorrere a qualche tortura?» chiese Magnus, con voce maliziosa. «Ne conosco di davvero terribili, sai ho vissuto nell’epoca della Rivoluzione Francese...»

Alec arrossì alla parola tortura e pensò a un libro che Jace gli aveva raccontato nei minimi dettagli una mattina in armeria. L’aveva trovato in giro per New York, dopo aver visto la pubblicità in quella scatola nera, ovvero la tv, di Clary, e l’aveva letto. Aveva comprato anche gli altri due, nonostante Clary gliel’avesse impedito, definendoli “robaccia”, ma Jace li aveva nascosti all’Istituto e li aveva letti una sera che la sua dolce metà e Simon erano usciti per una delle loro serate “migliori amici”.
Aveva anche preso appunti e questo aveva inquietato e imbarazzato non poco Alec, mentre i disegni l’avevano quasi fatto ridere a crepapelle. Era pessimo a disegnare e Simon, che era entrato in armeria, aveva confermato, mormorando che Jace era talmente fissato con i demoni che era arrivato persino a disegnarli.
Isabelle e Clary avevano trovato lui e Simon che cercavano di non scoppiare a ridere davanti a Jace che li minacciava con uno spadone e gridava: «È una coppia nuda…»

Alec si chiedeva ancora perché avesse acconsentito a diventare suo parabatai. Per una volta il suo cervello non aveva valutato in modo corretto la situazione, si era lasciato guidare dall’affetto per quel bambino di undici anni che era entrato dal cancello dell’Istituto con aria sicura e un sorriso da schiaffi, ma alla notte aveva rivelato i suoi incubi e le sue paure.
Alec ricordava la voce di sua madre che cantava alcune ninna nanne a Jace, quando dormiva in modo irrequieto. Ricordava di essersi alzato più volte per sentire se dormiva o restava sveglio a pensare al padre. Alcune volte Izzy voleva che stessero tutti insieme, proprio per evitare a Jace gli incubi, e organizzava delle cacce al tesoro per cercare oggetti che lei stessa aveva nascosto.
Max, il suo piccolo fratellino, riusciva a far tornare Jace il bambino che non era mai stato e non era così strano vederli giocare a volte sul tappeto del salone.

Toccò la Runa Parabatai senza scostare la maglietta e sentì lo sguardo di Magnus farsi penetrante. Alzando gli occhi si specchiò in quelli da gatto del compagno. La gelosia balenò un istante per lasciare posto alla preoccupazione pura e semplice.

«Alexander…»

Alexander, non Alec, non Fiorellino.

«Scusami, Magnus» disse Alec, massaggiandosi un attimo gli occhi. «Sì sono stato molto pensieroso in questi giorni e ho anche dormito male.»

«Il biondo sta correndo qualche pericolo? Non che poi sia così difficile…» Magnus gioì nel vedere Alec fare il primo vero sorriso da quando erano arrivati a Londra e si avvicinò di più, toccandogli una mano. «Alexander, sai che ti amo e sono sempre pronto ad ascoltarti. Se vuoi tornare a casa, basta chiederlo. Se Jace ti preoccupa, possiamo tornare a New York stasera stessa con un Portale.»

«No, no, Magnus. Tu e Max siete così felici qui e non voglio fare il guastafeste e poi non è che loro non stiano bene o ci siano delle reali preoccupazioni a casa…» Alec si diede dello stupido mentalmente e si voltò per nascondere il viso a Magnus, che si rabbuiò.

«Alexander, qual è il problema? Loro, chi? Pensavo parlassimo di Jace. Capisco che ti manchi e vi vediate poco ultimamente, ho visto dei parabatai che erano così legati tanto da non poter pensare di vivere separati per neanche un’ora del loro tempo.»

Alec si girò di scatto e disse: «Magnus, non sto pensando solo a Jace. Mi sento uno stupido e tu sei l’uomo migliore che possa avere al mio fianco. Mi dispiace di essere qua solo con una parte della testa e non lo meritate né tu né Max. Sono preoccupato per Jace, Izzy, mia madre e anche mio padre…»

«Pensi che ti abbiano taciuto qualcosa per lasciarti libero di venire via con me e Max?» chiese Magnus, mettendosi a sedere, mentre Alexander taceva. «L’altro giorno, quando siamo arrivati e li hai chiamati al cellulare, mi hai detto che era tutto tranquillo…»

«Vedi che sono io lo stupido!» lo interruppe Alec. «Non ho chiamato a casa.»

«Come non hai chiamato?» Magnus era davvero stupito. Si ricordava perfettamente che, appena erano entrati nell’appartamento, Alec aveva pensato di chiamare a casa per dire che stavano bene e che Max aveva cambiato colore al suo budino sull’aereo con somma soddisfazione di Magnus, che si era messo a saltellare felice. «Ma tu li hai chiamati, ti ho visto.»

«Veramente ho fatto finta e poi se ben ricordi sono uscito sul balcone.»

«Ma ho sentito che salutavi tua sorella!» esclamò Magnus, sempre più confuso. «Hai parlato anche della faccenda del budino con tua madre!»

Alec fece un sorriso triste e mormorò: «Ho finto.»

Magnus spalancò i suoi occhi da gatto. Non capiva proprio perché Alexander avesse dovuto mentire, però doveva ammettere che era stato bravo. «Sono colpito dalla tua bravura come attore, amore. Non sapevo che ne saresti stato capace, ma posso chiedere, perché di grazia non hai chiamato la tua famiglia?
Se conosco appena i Lightwoods e la loro invadenza, ho paura di trovarmeli qui al gran completo tra dieci minuti.»

Alec appoggiò la fronte sulla spalla di Magnus, che lo strinse a sé, e si confidò: «Non li ho chiamati, perché non volevo essere soffocante. Ci vedremo meno per tante ragioni: la famiglia, i bambini, i viaggi, il lavoro. Sto cercando di dare un senso alla mia vita e anche loro devo dare un senso alla loro. È una fatica per me non preoccuparmi continuamente e ogni volta ci ricado. Iniziano a vorticarmi in testa mille domande: Izzy, dove sarà in questo momento? Jace, starà facendo a botte con qualcuno?
Sono qui e là allo stesso tempo e so che è già sbagliato, ma ci penso. Sono la mia famiglia, come te e Max. Sono assurdi e a volte sono impiccioni…»

«Questi sono sicuramenti aspetti che ti dovrebbero far passare la voglia di aiutarli» disse Magnus, ridendo, e ricevette un colpo al petto da Alec, che continuò il suo discorso. «Mi piace esserci per loro e ora sono oltre Oceano, tre settimane fa ero in Brasile, due mesi fa mi hai rapito per una luna di miele immaginaria… non siamo nemmeno sposati! E poi mi hai portato in Nuova Zelanda… Non sto dicendo che non mi sia piaciuto tutto, ma spesso ho pensato a casa. Loro sono assurdi, impiccioni e non facciamo commenti su mio padre che… bè non si è sempre comportato da padre…»

«Non lo lascerei stare, se non fosse un bravo nonno.» Magnus sorrise ricordando le risate di Robert al quarto compleanno di Max, quando il bimbo gli aveva fatto scoppiare un palloncino pieno d’acqua in faccia. Alec alzò appena il volto, sorrise e poi si accoccolò tra le braccia del suo compagno. «Mi mancano.»

 «Alexander, è normale. Sei sempre stato lì a guardar le spalle di Isabelle e Jace, forse del biondo anche qualcos’altro, ma non commenterò...»

«Magnus!»

«Scusa, discorso serio. È normale, li ami, anche se ti hanno ferito. Una volta dissi a tua sorella: -Amare come scegli di amare, quello sì che richiede forza- e tu, Alexander Lightwood, ne hai tanta di forza. Non è sempre facile voler bene alla propria famiglia…

«Sì, effettivamente spero che tuo padre non venga mai a farci visita.» mormorò Alec sentendo un brivido di terrore. Magnus si schiarì la voce, perciò lui alzò la testa e vide due occhi colmi di disapprovazione. «Scusa, non volevo interromperti. Continua pure, ma sono sicuro che neanche tu vuoi vedere tuo padre tanto alla svelta.»

«Non lo avrei mai voluto conoscere, in verità. Mi pento di essere stato tanto curioso. Comunque torniamo al nostro discorso…» Magnus si schiarì la voce, come al solito pensare al padre lo infastidiva. «Sono felice di aver finalmente compreso cosa ti passa per la testa. Ti amo, Alexander, e vederti preoccupare per chi ami, fa sì che io ti ami ancora di più. Chiama la tua famiglia anche tutti i giorni, se serve a farti sentire meglio. Se per te amare, vuol dire esserci, allora fai in modo di esserci per loro. Preoccupati, proteggili a distanza. Né io né Max ti fermeremo, nel caso potrebbero essere i tuoi parenti a non volerti sentire per parlare con nostro figlio e stare delle ore a vezzeggiarlo.»

«Ora che mi ci fai pensare, mia madre chiama più per sapere come sta Max che noi due.»

«La cara Maryse ama fare la nonna. Quando avrà la casa piena di nipotini urlanti, si sentirà davvero realizzata. La scorsa settimana ha chiesto a biscottino se lei e Jace avevano già messo in cantiere il primo figlio.» Magnus ghignò al ricordo del terrore negli occhi di Clary per quel discorso. «In ogni caso chiamali e accertati che stiano bene. Se non stanno bene, tu dimmi solo una parola e io ti porterò da loro.» Magnus mise una mano sotto il mento di Alec e portò i loro occhi alla stessa altezza. «Te lo prometto, Alexander, farò sempre in modo che tu possa correre da loro e se tu, per qualsiasi ragione, non potrai andare, ci andrò io.»

«Però…» Il tono di Alec suonava insicuro. «Non sarò un po’ troppo presente? Non voglio dare fastidio a nessuno, in fondo stavo nella retroguardia e non fiatavo. Osservavo tutto con gli occhi, intervenivo solo quando Jace o Isabelle stavano per compiere azioni davvero stupide, che avrebbero messo in pericolo le loro vite o li avrebbero fatti mettere nei guai con il Conclave.»

«Chiamali, perché anche loro chiameranno. Quando abbiamo fatto il primo viaggio insieme, ricordo che Jace ti mandava continuamente dei messaggi e tu gli mandavi tante nostre foto. Isabelle ogni tanto fingeva di aver fatto partire per errore una chiamata, sperando che tu ogni volta la richiamassi. Anche loro hanno bisogno di te. Sembrano più forti, un po’ menefreghisti, ma avranno sempre bisogno di te. E… com’è possibile che non si siano ancora fatti sentire? Se tu non li hai chiamati, loro avrebbero potuto mandare un messaggio o chiamare a loro volta, ma non l’hanno fatto.»

Alec sbuffò, perché sapeva che prima o poi Magnus avrebbe chiesto anche questo. «Mia madre mi ha chiamato dopo due ore che eravamo arrivati, poi Isabelle, mio padre e anche Clary. Izzy mi ha mandato anche un messaggio, in cui diceva che avrebbe contattato te se non le rispondevo. Allora le ho scritto di non chiamare né mandare messaggi dato che nel nostro appartamento c’è poco segnale. Penso abbia fatto girare la notizia.»

Magnus scosse la testa e tirò un orecchio ad Alec. «Che bugiardo! E poi dici a Max di essere sempre sincero. Mi meraviglio di te, Alexander. In ogni caso quello che hai appena detto conferma che ho ragione. Hanno bisogno di te tanto come tu di loro. Tu sei la sentinella dietro le loro spalle, si sentono scoperti come privi di un mantello che hanno avuto dalla nascita e non si sono mai tolti. Tu hai bisogno di proteggerli perché ti sei creato quel ruolo, te lo sei infilato addosso con una di quelle tute da Cacciatore piene di buchi, che ho cercato di buttare. La vita cambia, dovrai, anzi dovrete imparare a comunicare a distanza e trasmettervi ciò che avete nel cuore solo attraverso un cellulare o internet.
Ti posso dire che è più facile di quanto sembra. Sento poco Tessa, sai Tessa Gray, ma è come una sorella per me. Dovunque sia, sa che almeno una volta al giorno la sto pensando e io sono sicuro che lei stia pensando a me. Mi basta sentire Dickens e io penso a lei e con il pensiero la raggiungo.»

Magnus evocò un bicchiere d’acqua e bevve un sorso prima di continuare sotto lo sguardo attento di Alec, che in quel momento sembrava un bambino davanti all’esperienza dell’altro. «Ragnor e Raphael mi dicevano sempre che era importante tenere le comunicazioni tra gli immortali, ma sono stato sempre uno spirito libero e chiamavo solo nel momento del bisogno. Però loro c’erano. Non importa la lontananza o la vicinanza, perché puoi essere vicino anche quando sei lontano e essere più lontano che mai, a galassie di distanza, quando sei proprio seduto accanto a una persona.»

Alec baciò di impeto Magnus, facendolo sbattere contro la testiera del letto. Arrossì violentemente, ma in fondo era quello che voleva e di cui aveva bisogno in quel momento.

 
************
 
«Fiorellino, faremo tantissimi discorsi seri, se poi mi salti addosso in quel modo.»

Alec ridacchiò contro il cuscino e Magnus aggiunse: «Le guance rosse ti donano e mi piace vedere i tuoi occhi azzurri diventare scuri per il piacere…»

«Magnus, stai diventando vecchio e ripetitivo.»

«Vecchio? Io sarei vecchio? Me lo lego al dito questo commento e forse non ti sposerò.» Magnus punzecchiò il fianco di Alec, che si spostò indietro di scatto e quasi finì giù dal letto. «Sarai anche un Nephilim, ma quando sei con me sei il peggiore degli sbadati. Ricordo ancora quando al nostro primo appuntamento ti sei rovesciato addosso il cocktail. Certo che già dal primo momento ho potuto ammirare i tuoi pettorali, quindi ringrazierò Raziel tutti i giorni per la sbadataggine che ti ha donato.»

Alec alzò gli occhi al cielo, ma li abbassò velocemente vedendo la porta spalancarsi e andare a sbattere con vigore contro il muro.
Max apparve con la faccia timida, ma decisa di chi ha fatto qualcosa che non voleva fare, ma andava assolutamente fatto. Magnus si alzò da letto e andò dal loro bambino. «Max, mirtillino, ti ho già spiegato che è meglio se spingi la porta con le mani e non usi la magia…»

«Dad, dad, dad.» Max non lo ascoltò e corse in avanti, buttandosi sul letto e contro Alec, che si era messo seduto. «Dad, c’è qualcosa che devi vedere…»

Alexander cercò di calmare Max, ma il bambino gli tirava prima una mano e poi l’altra e non voleva stare fermo. «Vieni, vieni, vieni.» Magnus, che aveva controllato la porta e il muro in caso di danni, si voltò e chiese: «Cosa ti succede, Max? Non ci sono i demoni sotto il letto, te l’ho già spiegato e anche papà Alec ti ha detto che…»

«No, c’è lo zio Jace» mormorò Max, mettendosi finalmente calmo con le gambe incrociate accanto ad Alec.

«Lo zio Jace sotto il letto effettivamente fa molta più paura dei demoni» commentò Magnus, ricevendo un’occhiataccia dal suo compagno, che disse: «Non ascoltare, papà Magnus. Lo zio Jace è all’Istituto con la zia Isabelle e la nonna…»

«No.» Max quasi urlò. «Sono fuori dalla mia finestra.»

«Fuori dalla finestra?» ripeté Alec, deglutendo. Si voltò di scatto verso Magnus, che sogghignava con la faccia da “te l’avevo detto io”, e mormorò: «Non saranno davvero… cioè non posso essere…»

«Sì, dad, zio e zia sono fuori dalla finestra. Te l’ho già detto.» Max era soddisfatto che finalmente il padre gli avesse dato credito, ma anche leggermente spazientito. «Zio e zia mi hanno detto “Max, facci entrare, devi girare la maniglia”, ma io sono piccolo e non ci sono arrivato e sono venuto da voi.»

Magnus scoppiò a ridere e abbracciò Max di slancio, caricandoselo sulle spalle, mentre lui scalciava divertito. «Blueberry, sei davvero un bravo bambino, mentre Alexander verrà sgridato presto dagli zii.»

«Perché papà verrà sgridato?» chiese il piccolo confuso, guardando Alec che si alzava velocemente dal letto, prendeva la vestaglia di Magnus per coprire il suo petto nudo e correva fuori dalla camera.

«Ha detto una bugia» spiegò Magnus allegro, oltrepassando la porta e vedendo Alec entrare nella cameretta di Max. «Mirtillino, ricorda che le bugie non si dicono. Si possono solo dire alcune bugie a fin di bene, per esempio “La tua tuta da Cacciatore, Papà Alec, è molto bella” o “Zia Izzy, grazie per il buon cibo”. I Lightwoods sono degli esseri umani delicati.»

«Zia Izzy fa un cibo che è bleah.»

«Non si dice “bleah”. Max si dice che non ti piace.» Lo corresse Magnus, tossicchiando per mascherare il riso.

«Max, ti hanno influenzato?» Isabelle Lightwood apparve in tutta la sua bellezza e fascino sulla porta della cameretta del nipote. «Vieni dalla zia e fatti coccolare.»

«Zia!» esclamò Max contento, chiedendo a Magnus di farsi mettere a terra. Isabelle si abbassò e lo abbracciò, tenendo quel corpicino contro il suo petto. Gli stampò anche un bacio sulla guancia e il bimbo rise sentendo i capelli della zia che gli solleticavano la pelle.

Dalla cameretta giunse l’inizio di una conversazione piuttosto concitata, ma i due dialoganti cercavano di non alzare la voce. Jace stava strigliando ben bene Alec e il fatto era insolito. Solitamente era il contrario, quindi Magnus e Isabelle si scambiarono un’occhiata significativa e si avvicinarono alla porta aperta.

«Non voglio dire che tu debba chiamarmi ogni minuto. Posso stare anche tre giorni senza sentirti, anche se preferirei almeno un messaggio. Per esempio, “Ciao Jace, mi sto divertendo” oppure “Ciao Jace, stai tranquillo, sono vivo”. Mi fa piacere sentirti…» Stava dicendo Jace e all’espressione probabilmente di stupore, che doveva aver fatto Alec, aggiunse. «Sì, riesco ad ammettere che mi fa piacere. Non fare quella faccia! Alec, sono sempre stato abituato ad averti nella stessa stanza o nella stanza a fianco mi sembra normale che ogni tanto voglia sentire se stai bene. Non potevo, anzi nessuno poteva credere che in tutta la città non ci fosse campo. Per l’Angelo, sei tu quello intelligente di solito.»

«Non... non credevo, vi preoccupaste» mormorò Alec e Magnus sorrise, sentendolo così incerto. «Vi ho detto che stavamo bene.»

«Maryse e Robert volevano sentire Max e le sue impressioni su Londra, che in fondo è stata un po’ la città natale dei Lightwoods da quello che dice il vostro libro di famiglia.» Il tono di Jace era deciso e Magnus ne fu felice. Era necessario che Alexander capisse fino in fondo che la sua famiglia impicciona aveva bisogno che lui fosse impiccione quanto loro. «Isabelle ha scagliato il cellulare contro il muro, quando ha letto il tuo messaggio e per miracolo non si è rotto. Io ci ho pensato insieme a Clary e la storia mi è sembrata leggermente strana, per cui ho rubato l’agenda del capo dell’Istituto e ho cercato il numero di…»

«Hai rubato l’agenda di mia madre?»

Isabelle sbuffò e mormorò: «Che melodrammatico!»

«In realtà no, ma serviva per abbellire il racconto. Tua madre ha chiamato Catarina e lei ci ha mandato qui.» spiegò Jace.

Ci fu un attimo di silenzio, in cui Magnus e Isabelle si guardarono e lei fece per entrare, ma lo stregone la trattenne. Max si mordicchiava un dito con gli occhi vitrei: presto si sarebbe addormentato.
Poi Jace cauto domandò: «Non dici niente?»

Una risata cristallina e rara ruppe il silenzio.

«Alec, Alec, sei impazzito? Stai bene?» La voce di Jace si alzò, mentre la risata continuava. «Alec, per quale cazzo di ragione stai ridendo?»

«Scu… scusa…ahahah…» Alec non sembrava voler smettere. «Voi… voi… oddio…»

«Alec, datti un contegno.» La voce di Jace suonava spazientita e molto irritata. «Per una volta che faccio un discorso serio… mi ascoltavi di più quando eri ubriaco nel regno infernale.»

Si sentì un colpo e sicuro Jace doveva aver colpito il suo parabatai. Isabelle fece segno a Magnus di spostarsi dalla porta, mentre continuava a coccolare Max, che si stava appisolando. Poteva addormentarsi davvero dappertutto e per quel comportamento assomigliava tantissimo al fratello di Isabelle e Alexander.
Non ci poteva essere nome più azzeccato.

«Allora vedo che qui va tutto bene» affermò Izzy, andandosi a sedere sul divano.

«Sì, tutto perfettamente in ordine.» Magnus aveva condotto Isabelle nel soggiorno, così da non fare la figura degli spioni. «Tuo fratello aveva imbrogliato anche me, giuro che l’ho punito.»

«Posso immaginare.» Isabelle fece un’espressione maliziosa e poi scoppiò a ridere, cercando di non svegliare il nipote. Gli posò una mano sulla massa selvaggia di capelli blu, tra le due piccole corna che spuntavano, mentre Max ronfava e si accoccolava meglio contro il corpo della zia.

Alec e Jace li raggiunsero poco dopo chiacchierando in modo tranquillo e scherzando. Non abbassarono più di tanto la voce, dato che Max non si sarebbe comunque svegliato ora che aveva ripreso a dormire così profondamente. Magnus li osservò e chiese: «Avete finito di fare il Rito di Riconciliazione Parabatai?»

«Non c’è nessun rito, solitamente gli do una stretta di mano e un bacio sulle labbra» ironizzò Jace, facendo ridere Isabelle e indignare Magnus, che lo minacciò facendo comparire delle piccole fiammelle blu sulle sue dita. Alec spinse di lato il suo parabatai e si accomodò sulla poltrona più vicina al divano.

Jace, dopo un’occhiataccia, si mise sul pouf vicino al finestrone e tirò fuori il cellulare dalla tasca. «Clary, dice che lei e Simon hanno trovato un hotel.»

«Ci sono anche loro?» chiese Alec, stupito.

Magnus in realtà non lo era affatto. Si ricordava bene la notte successiva al ritrovamento di Max, quando tutti i Lightwoods erano corsi e avevano messo in sicurezza l’appartamento per il bambino.
Come non poteva nemmeno dimenticarsi di quel pomeriggio in cui Alec e Max si erano ammalati e Maryse aveva portato il brodo caldo, Jace era venuto con Clary e aveva iniziato a distribuire mascherine ai sani e ai due malati, Isabelle aveva fatto portare a Simon un orso gigante per consolare Max, mentre lei aveva acquistato le caramelle per la gola per Alexander.
Alla sera si era presentato anche Robert che aveva abbracciato a lungo il nipote, cantandogli una ninna nanna, che piaceva sempre ad Alec quando era piccolo. Sotto lo sguardo stupito di Magnus erano crollati tutti e tre e Robert il giorno dopo era uscito starnutendo da casa loro.

Magnus doveva ammettere che senza i Lightwoods tante volte sarebbero stati spacciati. C’erano anche Lily o Maia che spesso e volentieri li aiutavano, ma la famiglia di Alec era imbattibile ad apparire neanche un istante dopo aver schiacciato lo spegnimento di chiamata.

In passato Magnus aveva detestato la famiglia Lightwood, a parte qualche componente, che si poteva giusto contare sulle dita di una mano. L’aspetto fisico non aiutava molti di loro: avevano degli insopportabili capelli castani e gli occhi di un verde viscido, che gli ricordavano un serpente.
Per non parlare dell’aria di pomposa superiorità che amavano adottare davanti ai Nascosti o qualunque essere vivente che ritenessero inferiore. I quaderni neri della famiglia Lightwood dovevano essere pieni di nomi.

Per fortuna i tempi cambiavano in meglio e nella stanza aveva quattro ottimi esempi. In realtà due di loro non erano pienamente Lightwood: Jace e Max.  
Jace aveva scelto di essere un Herondale, di portare avanti quel cognome che senza di lui sarebbe decaduto, ma in fondo al cuore restava legato alla sua famiglia di adozione, che era l’unica e vera famiglia che avesse mai conosciuto.
Max era suo figlio, un Bane, e ancora si stupiva che ci fosse qualcuno oltre a lui ad avere il suo cognome. Non aveva mai pensato seriamente di poter essere un padre, come di avere un compagno che volesse sposarlo e facesse dei seri progetti con lui.
Max era un Bane, ma anche un Lightwood. Più cresceva e più Magnus vedeva qualcosa di Alexander in quel piccolo mirtillo: la sua testardaggine e la sua timidezza.

Se, anni prima, qualcuno gli avesse detto che si sarebbe trovato in una stanza con quattro Lightwood a cui voleva bene, probabilmente avrebbe pensato che era la miglior battuta del mondo e ci avrebbe riso fino alle lacrime. Poi si sarebbe dato all’alcol per cancellare la scena dalla sua mente.
Mentre ora era lì con loro e pensò che non era affatto male, anche se non l’avrebbe mai ammesso.

«Preferirei ve ne tornaste tutti a casa vostra» esclamò Magnus sotto lo sguardo truce di Isabelle e Jace e quello attento di Alexander. «Ma siccome siamo tutti svegli, chiama anche Simon e Clary e falli venire qui. Facciamo colazione!»

Isabelle ne fu entusiasta. Regalò a Magnus un bellissimo sorriso e portò Max nella sua cameretta, così che potesse dormire tranquillo. Jace fece un cenno del capo, nascondendo un ghigno soddisfatto. Si girò verso la vetrata e chiamò Clary.

«È notte!» mormorò Alec, con puro spirito di contraddizione. Si alzò dalla poltrona e si avvicinò al suo compagno. «Direi le quattro o le cinque del mattino. Dovremmo tutti dormire…»

Magnus si alzò a sua volta e gli disse: «Non berremo alcol, se hai paura di questo. Una semplice colazione con caffè e qualsiasi cosa vogliate mangiare.»

Alec alzò gli occhi alla parola alcol e cercò di non sorridere alla proposta di Magnus. «È comunque notte…»

«Vorrei sottolineare, Fiorellino, che siamo tutti svegli per le tue bugie.» ribatté lo stregone divertito.

Alec arrossì appena e poi lasciò scappare il sorriso, che cercava di nascondere. «Sono felice che siano qui.»

«Stranamente anch’io. Non mi è venuta neanche l’orticaria a vedere il tuo parabatai.»

Alec rise e appoggiò il viso contro la spalla di Magnus. «Dovrò abituarmi a non averli sempre intorno, ma per ora sono felice che siano qui.»

«Sono felice anch’io.» Magnus diede un bacio ad Alec, che sospirò soddisfatto.
 
 

Questa OS è pronta da tanto nella cartella dei Documenti, ma non aveva un titolo e non riuscivo a trovarglielo fino a stasera quando una persona che vive nel disagio con me ha pensato di trovarglielo. Se ho pubblicato, è grazie a lei. Se non sono a sbavare su Daddario e sto pubblicando, è sempre grazie a lei.
Grazie R, sempre e di tutto.
Dato che l’ho scritta ai tempi della Preistoria, non tiene conto di quello che è successo in Lady Midnight, ovviamente. Per esempio, manca solamente Rafael… che volete che sia… sono una pessima persona e spero un giorno di rimediare con una raccolta!
La OS è nata dalle paranoie di Alec, che amo moltissimo, poi ho inserito Magnus e poi tutto è degenerato. 
Grazie a chi la leggerà.
Dany
   
 
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