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Autore: Sabaku No Konan Inuzuka    08/04/2016    2 recensioni
{ One shot | Stiles!centric | 5a stagione | Missing Moments | lievissimi accenni pre-Slash }
"Pensa che sua madre aveva ragione, che nonostante tutti le dicessero che si stava sbagliando, in realtà Claudia ci aveva visto giusto. Solo per una stupida condizione, nessuno le aveva creduto. Magari a quest’ora oggi Stiles sarebbe stato addirittura un adolescente normale, ma no. E’ dovuto succedere l’inevitabile, per far capire quanto sua madre in realtà abbia avuto ragione anche in procinto di una malattia degenerativa.
Come la capisco.
Ed è più forte di lui scoppiare in una risata amara, tetra, che di allegro non ha neanche l’ombra. Adesso capisce che forse il non essere creduto fino all'ultimo è una cosa genetica."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Stiles Stilinski
Note: Missing Moments, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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NdAutriceEhilà! :3 Eccomi tornata, già. Per questo non ho scuse. Quindi togliamoci il dente di "non volevo" e passiamo avanti... Allora: questo progetto è in cantiere da un po', e finito da ormai qualche mese, ma non ho mai avuto il coreggio di prenderlo a due mani, correggerlo e pubblicarlo. Ma oggi, siccome è il compleanno di MissObrechlin, ho pensato che potevo fare un tentavio e pubblicare! Mi ha ispirata perché... Boh, sinceramente non lo so ma mi è venuta vogliah :3 Quindi colgo l'occasione per farle gli auguri ancora e niente... è il mio secondo tentativo al presente, help. C'è un'ombra Sterek in tutto ciò, è più che marginale ma, che dire, è la mia OTP, c'è, è istinto xD Ma è tranquillamente leggibile anche per chi non apprezza ciechi, indegni, insensibili, e nulla, questo... spero solo di non aver fatto una gran cagata. Recensioni sia positiva che negative sono ben accette, fatemi sapere! :3
Baci
Konan



 


Ad Eva, visto che è il suo compleanno.
e ad Angelica perché sì,
e ad Agry. perché è mia moglie e non le ho fatto niente a San Valentino.









I’m not a hero

 
 
Stiles non è un eroe.
Lo sa, lo ha sempre saputo ma ora più che mai è convinto che non potrà neanche provare a diventarlo, perché è semplicemente la cosa opposta. Le sue mani sono pulite, pallide e immacolate come sempre, eppure continua a lavarle sotto il getto gelido che gli atrofizza i muscoli perché le vede sporche, perché fa male e perché sente il bisogno di farlo. E anche se sa che quel gesto non basta a lavare via anche i suoi peccati, i suoi movimenti frenetici e meccanici non accennano a diminuire.
Continua a strofinare forte con il sapone nella speranza che Scott non senta l’odore di ciò che avverte solo lui, che gli altri non vedano quelle macchie rosse che a quanto pare sono solo nella sua testa. Le ginocchia gli tremano e le mani chiedono pietà, chiedono calore come immagina avrebbe fatto Donovan a qualcuno se solo ne avesse avuto il tempo. A chiunque. Chiunque tranne lui, ovvio.
Il peso pressante e doloroso che ha al centro del petto si sposta in gola, mentre gli occhi diventano lucidi e le labbra tremano appena.
L’hai ucciso, Stiles.
Si ripete, perché la scena che continua a rievocare tra i ricordi non gli basta, perché non l’ha detto a nessuno e ha troppa paura per provarci. Si nasconde nell’ombra, proprio come un assassino.
Tu sei un assassino.
E lo sa che è vero, perché ha agito nella stessa maniera in cui avrebbe fatto uno di quei tanti pazzi che ha sempre disprezzato e, ironicamente, adesso è anche uno di loro. Non ha il coraggio di guardarsi allo specchio: ha paura di ciò che potrebbe vedere. E sa che odierebbe la sua immagine, lo sa perciò evita, e fugge. Fugge perché ha paura, fugge perché è patetico.
Quasi non si accorge dell’acqua gelida che ancora gli fa del male alle mani, e gli arti che tremano, la voce incrinata mentre ripete in un sussurro quella tetra cantilena:
Assassino.
Assassino.
Assassino.
Neanche a farlo apposta, proprio in quel momento gli tornano in mente quei tristi anni passati a destreggiarsi tra la vita giornaliera di un gioioso bimbo di dieci anni e quella da figlio con la madre malata e un padre sempre occupato, se per alcool, lavoro o visite ospedaliere poco importa. E gli sembra ironico, quasi divertente il fatto che già allora Claudia avesse intuito ciò che un giorno sarebbe diventato.
<< Sta cercando di uccidermi! >>
<< Ha dieci anni, Claudia >>
Le parole della madre irrompono prepotenti nella sua testa, mentre la replica del padre sembra solo una debole eco che riecheggia nei meandri ora spiacevolmente vuoti della sua mente, solitamente sempre piena e caotica. I medici dicevano che era per via della malattia, che la demenza l’aveva resa quasi paranoica e decisamente non lucida, altro modo per dire pazza, ma Stiles ormai ha capito come stanno davvero le cose.
Ci sono persone che credono che i pazzi siano resi tali dal fatto di essere più recettivi, si crede che queste persone siano scese a contatto con qualcosa di così grande e potente da non essere sopportato bene dall’essere umano, e che quindi i pazzi sappiano, ma non possano comunicare. Un paradosso che rende giustizia a Gorgia, che forse di assurdo ha ben poco.
Per dirla in un’altra maniera, Stiles sa che alcune persone – tra cui addirittura scienziati, psicologi e filosofi esperti – sono convinte che i pazzi sappiano la verità universale, ma che la possano comunicare solo in vaghe, vaghissime pillole. I parascienziati associano inoltre questo fenomeno alla chiromanzia e chiaroveggenza, e quindi per Stiles è inevitabile fare due più due.
Pensa che sua madre aveva ragione, che nonostante tutti le dicessero che si stava sbagliando, in realtà Claudia ci aveva visto giusto. Solo per una stupida condizione, nessuno le aveva creduto. Magari a quest’ora oggi Stiles sarebbe stato addirittura un adolescente normale, ma no. E’ dovuto succedere l’inevitabile, per far capire quanto sua madre in realtà abbia avuto ragione anche in procinto di una malattia degenerativa.
Come la capisco.
Ed è più forte di lui scoppiare in una risata amara, tetra, che di allegro non ha neanche l’ombra. Adesso capisce che forse il non essere creduto fino all’ultimo è una cosa genetica.
In un gesto nervoso chiude il rubinetto e afferra con forza i bordi del lavandino, facendo sbiancare le nocche su cui aprono piccoli tagli. La pelle gelida e bagnata chiede pietà, ma le mani tremano così tanto che teme un attacco di panico. Prende respiri profondi ripassando mentalmente le istruzioni per respirare, ma tutto ciò a cui riesce a pensare è quella parola, ancora lì, imponente e irremovibile, dolorosa come poche.
Assassino.
Assassino.
Assassino.
Però adesso la voce che lo tormenta non è più la sua, non è più quella di suo padre, né di Melissa, Lydia o chiunque altro. E’ di sua madre, e questo non fa altro che farlo stare peggio. Deglutisce, ancora, e prende respiri profondi fino a che non sente il battito del cuore rallentare e gli unici rumori rimanenti sono il suo respiro e i sensi di colpa. Solo con se stesso, come è giusto che sia. Non merita Scott, non merita il branco, non merita suo padre, non merita niente e lo sa, lo sa fin troppo bene, ma purtroppo è umano. E’ solo un dannatissimo e debolissimo umano e non può farci niente, non ha artigli, non ha sensi sviluppati e in quel momento non aveva armi. Anzi, una ce l’aveva, ma sconfiggere qualcuno con il solo ingegno non è affatto facile. Specialmente se l’unica via d’uscita che vede è uccidere, come nel caso di Donovan. Stiles è umano e non può farci niente, ha bisogno delle persone attorno a sé, anche se sa che non lo merita.
Con le mani ancora bagnate, all’improvviso comincia a spogliarsi, incurante a tutto ciò che avrebbe portato fastidio e, senza remora alcuna, si infila sotto la doccia. Chiude la cabina, e tanto per cambiare regola il getto più freddo che c’è. Non si prende la briga nemmeno di trasalire, non ne sente il bisogno. Semplicemente inclina la testa e lascia che il gelo che sente dentro si esterni anche fuori.
Void.
Così lo aveva definito la madre di Kira. Vuoto, nullo, un involucro per uno spirito malvagio che altro non faceva che indossarlo, come fosse un vestito. Si è sempre chiesto perché proprio lui, tra tanti. Aveva calato ipotesi come quella di essere l’unico umano, che fosse il Nemeton ad averlo segnalato come potenziale corpo usa-e-getta, ma la verità è un’altra. La stessa che ha sempre saputo e che ha sempre volutamente ignorato: lui è debole, dannatamente debole. E’ un semplice umano e non importa quanto si impegni, ci sono cose con cui non può fare nulla, soprattutto con quella inutile quanto patetica mazza da baseball, da cui comunque non vuole separarsi.
Sentirsi impotente, inutile o addirittura un peso. Questa è una cosa che non ha mai mandato giù, e forse la causa di tutti i suoi problemi. Ed era a questo che si era aggrappato in Nogitsune, gli aveva dato ciò che non aveva: potere. E lui, inconsciamente guidato dalle sue debolezze, non era stato abbastanza pronto per combatterlo quanto basta per dare un’occasione in più ai suoi amici.
Allison.
Aiden.
Heater.
Quei nomi perennemente stampati a fuoco nella sua mente accanto a quello di Claudia, fulcro costante dei suoi pensieri e ulteriore peso aggiuntivo sulla sua coscienza.
Scott.
Ethan.
Isaac.
Chris.
Le persone che hanno sofferto a causa della sua debolezza, che più di tutti hanno accusato il colpo, rimanendo orfani di qualcosa. Senza più una famiglia, o senza più un amore, poco importa. Molto è cambiato da quanto è stato posseduto.
Melissa.
Papà.
Rafael.
Derek.
Loro invece, hanno sentito chiaro e tondo il contraccolpo. Suo padre più di tutti. Derek semplicemente aveva ricevuto l’ennesima palla di cannone alla sua torre, in piedi per miracolo. Forse un colpo non così possente come gli altri, ma comunque doloroso.
Derek.
Ed è qui che vertono i suoi pensieri, automaticamente. Se Derek fosse qui, avrebbe capito. Forse avrebbe anche agito allo stesso modo.
D.H.
E Stiles vorrebbe avere la sua forza morale, perché è quello che più ammira in quel lupo brontolone. Restare in piedi dopo tutto ciò che ha passato, dopo quell’assurdo e ingiustificato accanimento nei suoi confronti da parte della vita… Derek gli manca, dannazione, e lo vorrebbe lì anche solo per presenza. Gli basterebbe. Perché non sarebbe l’unico ad avere il peso di vite, innocenti o meno, sulle spalle, perché sa che Derek l’avrebbe, seppur indirettamente, aiutato. Derek avrebbe capito, accidenti. Più di quanto Scott – soprattutto Scott – e chiunque altro avrebbe mai potuto fare o farà. Ed è ironico pensare che l’unica persona a cui l’avrebbe confidato immediatamente, l’unica che avrebbe saputo spiegargli nel dettaglio perché si sentisse in quel modo strano, fosse a chilometri di distanza da lui. Forse è un segno, forse è semplicemente nato sfigato. Ha paura di dirlo persino a Malia, anche se sa che lei non ci vedrebbe nulla di male, ma le darebbe il cattivo esempio, e questo non può permetterselo. Ci tiene davvero a Malia, e ha lavorato duramente per aiutarla e darle delle istruzioni morali. Dopo tutto anche lei è forte tanto quanto Derek, ha solo bisogno di qualcuno che le indichi la direzione, e quel qualcuno è Stiles. O meglio, lui ha preso le veci di quel ruolo, ma a quanto pare è stato un errore. Molto di ciò che ha fatto è stato un errore.  E tutto ciò lo riporta a quella parola, quella dannata parola.
Sbagliato.
Tutto questo è dannatamente sbagliato. Forse non c’è mai stato qualcosa che andasse per il verso giusto con lui. Era sbagliato il suo modo iperattivo di comportarsi quando era bambino, era sbagliato che sua madre si ammalasse così presto, erano sbagliati i momenti in cui gli venivano gli attacchi di panico, era stato sbagliato trascinare Scott nel bosco a cercare la metà superiore del cadavere di Laura Hale, era stato sbagliato buttarsi a capo fitto nella situazione armato solo di sarcasmo e mazza da baseball, era stato tremendamente sbagliato aver lasciato che il Nogitsune lo possedesse, e permettergli di fare tutto che aveva fatto; c’era qualcosa di sbagliato anche nel cadavere di Allison inerme tra le braccia di Scott, c’era qualcosa di sbagliato nel guardare suo fratello in lacrime, c’era qualcosa di sbagliato nell’addio di Ethan ed Aiden, c’era qualcosa di sbagliato nel suo fare costantemente sospettoso, c’era stato qualcosa di sbagliato nell’uccidere Donovan ed è tremendamente sbagliato ciò che prova ora. Lui è sbagliato. Perché non c’è altro modo per definire questa cosa: Bene. Lui non si sente in colpa per aver ucciso Donovan, si sente più sicuro nell’averlo fatto… Ma non è questa l’orrenda sensazione che gli sporca la coscienza e gli attanaglia la gola. E’ il suo sentirsi più forte che lo spaventa. Ha già ceduto una volta al potere, non vuole che accada ancora.
Nel mentre però, la sua volontà non conta: Donovan è morto, e resterà morto. O almeno, lo spera.
Hai ucciso una persona, Stiles.
Come troverai di nuovo il coraggio di guardarti allo specchio?
Non ce la farà, sa già che non ce la farà. Qualsiasi immagine gli restituirà lo specchio, sa già che la odierà. Perché così come non può perdonare una simile azione a se stesso, non può farlo neanche al suo riflesso. E’ diviso tra due fuochi, ragione e sentimento, testa e cuore, e sa che da solo non ne verrà mai a capo, ma sa anche che c’è un punto comune su cui si trovano concordi: E’ un azione sbagliata. Immorale, sbagliata. Sbagliata come lui. E comincia a credere che sia destino.
Spegne l’acqua con un gesto lento e strisciato, incurante delle labbra violacee e del freddo pungente che gli tortura la pelle come lame affilate. Non fa neanche caso a come sanguinano le sue nocche, mentre esce per asciugarsi. Ed è solo dopo essersi vestito, che decide di medicarsi brevemente. Non c’è energia nei suoi gesti, non c’è emozione nel suo sguardo. E’ così perso nei suoi pensieri da dimenticare tutto all’infuori di se stesso, ed è quando il telefono squilla che la realtà gli ripiomba addosso prepotente. Le mani ancora rigide e gelide, il corpo scosso da brividi, le nocche doloranti e un improvviso scoppio di energia nel corpo. Risponde: è Scott.
Cerca di imbastire il suo solito modo di fare frenetico mentre gli parla, quando dentro di lui vuole solo urlare e implorare il suo perdono. Non fa niente di tutto ciò, semplicemente annuisce, conscio che Scott non può vederlo, e attacca una volta terminata la chiamata. Esita un momento fissando la lavagna, poi scuote la testa e afferra la giacca caracollando giù dalle scale, i suoi movimenti nuovamente troppo goffi e frenetici, come se nulla fosse accaduto.
Come se non avessi posto fine ad un’esistenza.
Vai avanti con la tua vita dopo averne fermata un’altra.
Fingi bene, esattamente come un bravo assassino. Ma non ti fai schifo?
Ingoia il groppo alla gola e scaccia via ogni brutto pensiero scuotendo la testa. Si concentra sul da farsi, mentre mette in moto la Jeep, e la sua mente vola rapida alla ricerca di una soluzione che sa già non troverà, perché è ancora troppo presto per poterci capire qualcosa. Vuole solo liberarsi la mente, lasciando la coscienza sporca di rosso da parte per un attimo. Cerca di scacciare l’amarezza che prova nel capire quanto sia sbagliato tutto questo, quanto sia sbagliato non avere Derek accanto, quanto sia sbagliato temere il giudizio di suo padre e Scott, le due persone che ha di più care al mondo, e cerca di vedere il solo ed unico vero sbaglio di quella situazione, uno sbaglio che, purtroppo, come tutti ha commesso anche lui: Theo Reaken. Non lo convince. Deve fare in fretta e liberarsi di quella nota rossa dal registro, quel tipo sa ed ora Stiles ha un fottuto debito da pagare, non può permetterselo. Specialmente ora, vuole solo che non causi problemi ai suoi amici, ed è disposto a tutto purché non accada.
Smettere di pensarci non ti aiuterà.
Non puoi scappare per sempre, tutti i nodi vengono al pettine.
Ed è inutile che tenti di fare ciò che non puoi, non riusciresti comunque a salvarli, guardati: Non sei un eroe.
Non sei niente.
Ed è vero. Non ha mai fatto nulla di eroico, lui stesso non ha nulla di eroico. Ma questo lo sa già, non è mai stata una novità per lui, che se lo ripete praticamente ogni giorno quando si guarda – guardava – allo specchio.
Lascia che il sapore acre della verità gli impasti la bocca e soffoca ogni dubbio nella sua testa, abbastanza per apparire calmo dinanzi ai sensi di Scott e gli occhi di tutto il Branco. Non è mai stato un eroe, non lo è sicuramente ora e mai lo sarà. Questa è la sua unica certezza, ma ciò non significa che non possa provarci. Fa schifo, il pensiero che una cosa simile passi per la testa ad uno come lui – uno indegno –, gli dà la nausea, ma questo è il massimo che può permettersi di fare per come si trova ora. Provarci, anche se è sbagliato.
Stiles lo sa bene, cos’è un eroe. Ha sempre amato i supereroi sin da quando era bambino, che smaniava dalla voglia di imitare uno dei tanti gesti acrobatici di Capitan America. Quello è un eroe, Batman è un eroe, un vigile del fuoco è un eroe, un missionario magari… Loro sacrificano se stessi per la gente – anche quella della peggior specie –, loro aiutano davvero e sono forti, forti come nessun’altro, loro non cedono mai… E Stiles, che forse non è neanche all’altezza delle loro suole, non può paragonarsi a loro. Solo non può.
Non sono un eroe.
E, con questo mantra, riprende ad affrontare la vita lottando silenziosamente tra sé come ogni giorno. Fino a che anche quel nodo non verrà al pettine. Fino a che non avrà più scampo, fino a che anche suo padre non sarà costretto ad ammetterlo: Stiles non è un eroe, non lo è mai stato e mai lo sarà.
  
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