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Autore: lawlietismine    13/04/2016    4 recensioni
Stiles lavora come fotografo per una famosa rivista, Derek Hale è il suo capo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi purtroppo non mi appartengono e questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ehggià!
Ogni tanto mi ricorto di scriverlo, lol. 
Note: beh, avevo pubblicato questa fic circa un anno e mezzo fa, ricordo che tenevo all'idea ma per la fretta e tutto ne era venuto fuori uno schifo assurdo diviso in due capitoli e non poi granché lungo. 
Ecco perché sono qui, dopo tutto questo tempo. 
In questi giorni l'ho ripresa, riletta, rielaborata e ci ho passato parecchio tempo visto che la mia classe è in gita (e io ovviamente al posto di studiare o pensare alla tesina, scrivo su questi due). 
Sono più di 6 mila parole, la miaOne-Shot più lunga per ora e spero che vi piaccia, che abbia senso visto quanto mi ha fatta dannare! 
Fatemi sapere cosa ne pensate ^^ 
Alla prossima, 

Lawlietismine
p.s: le long sono in pausa, almeno quelle recenti (per quelle vecchie see, nessuna speranza proprio!)ç.ç
p.p.s: le immagini che ho scelto e messo qui all'inizio del capitolo, mi hanno fatto venire un'idea assurda per un'altra OS. Probabilmente apparirà presto ^^
(Una OS tipo Derek uomo d'affari che si perde/gli si ferma la macchina in un posto sperduto e bussa alla porta di Stiles (????) Sì. Deciso.)

 


 

 

Oggi sono davvero carico, sono sicuro che riuscirò a ottenere un appuntamento con quella ragazza del terzo piano”

Stiles ruotò gli occhi al cielo, esasperato, mentre tentava in ogni modo possibile di non far cadere il telefono che teneva stretto malamente fra orecchio e spalla nel tentativo inutile di sistemare alcune scartoffie dentro la sua tracolla sciatta.
Quello era un tipico dejà vu ormai, parte integrante della sua incasinata routine, e per quanto volesse bene al suo migliore amico e gli augurasse di riuscirci davvero, ne dubitava seriamente: erano dei mesi che ci provava e che falliva.
Per quanto quel “ci provava” significasse in realtà che l’aveva tipo stalkerata come un maniaco cercando di restare il più possibile nell'ombra.
“Buona fortuna” soffiò solamente, risultando ancora meno credibile di quanto si sarebbe aspettato, ma l’altro non sembrò notarlo, troppo preso dai suoi assurdi piani, e allora “Io sto andando in ufficio, oggi devo scegliere i nuovi modelli per l’uscita del prossimo mese” aggiunse, sperando di distrarlo.

Scott dall’altra parte della chiamata sbuffò improvvisamente infastidito, senza neanche considerare il suo sbilenco tentativo.
Chi è quello?” sbottò fra i denti, facendo accigliare l’amico, che stava entrando proprio in quel momento nel vasto edificio sede della rivista per cui lavorava come fotografo.
Ma che… Ti richiamo dopo, fratello, un idiota sta parlando con Allison e devo scoprire chi diamine è” borbottò inferocito, per quanto Scott McCall riuscisse a esserlo, poi, riattaccando ancor prima di poter ricevere una risposta concreta.

Allison era la ragazza a cui andava dietro da qualche mese e che lavorava al terzo piano del palazzo dove si trovava la clinica veterinaria in cui era impiegato Scott, che se ne stava invece al piano terra: si erano incontrati una volta nell’ascensore, mentre lui cercava il suo capo, il dottor Deaton, per tutto l'edificio. L'aveva vista cercare incessantemente nella sua borsa una penna per chissà che cosa e lui, che ne aveva miracolosamente una con sé, gliel'aveva prestata: quando Allison gli aveva sorriso smagliante in modo riconoscente, spostandosi una ciocca scura di capelli dietro l'orecchio, Scott se ne era perdutamente innamorato.

Stiles, mettendosi di nuovo il telefono nella tasca dei jeans, sperò con il cuore che chiunque fosse il nuovo tipo – non si trattasse di un fidanzato, perché altrimenti avrebbe dovuto raccogliere tutti i pezzi e consolare il suo migliore amico per decenni, visto che sembrava alquanto preso da lei.

“Buongiorno, Stiles” Erica gli ammiccò maliziosa come ogni mattina, passandogli davanti con un carrello colmo di vestiti che probabilmente doveva portare in magazzino. Lui ricambiò con un cenno veloce e un po' frettoloso, come al solito vista l'ora tarda, sistemandosi i capelli rigorosamente spettinati con una mano e posando poi l'altra sulla sacra macchina fotografica appesa al suo collo, quasi a volersi assicurare che fosse sempre lì: dato il gesto abituale, la collega allontanandosi fulminea – sghignazzò divertita.

Tempo due secondi e Danny fu al suo fianco.

“Allora?” gli fece, guardando rigorosamente lo schermo del suo IPad mentre camminavano fianco a fianco, e “Pronto per le prossime due ore?” chiese più a presa in giro che altro. Infatti sapeva quanto Stiles odiasse quel periodo del mese, doversi mettere seduto a un tavolino per passare mezzora minimo a guardare con attenzione tutti i fascicoli sui candidati e poi il resto del tempo a sorbirsi le loro presentazioni e decidere i pochi prescelti che sarebbero stati stipendiati abbastanza abbondantemente.
Ma che poteva farci, il suo contratto a tempo fortunatamente indeterminato prevedeva anche quello.
Grugnì in risposta, varcando la soglia del suo discreto ufficio e andando a posare velocemente la borsa sulla scrivania incasinata, così da poter rianimare la sua povera spalla ormai già addormentata.
“Preferirei fare da assistente permanente all’idiota” rispose seccato in un'ammissione non poi così insolita, mentre lanciava un’occhiata all’orologio appeso sopra alla porta giusto per constatare il suo netto ritardo, e poi uscì di nuovo di lì per raggiungere la stanza dove si sarebbe tenuta in meno di dieci minuti la solita scelta straziante dei modelli per la nuova collezione.

Danny rise divertito, lasciandogli una comprensiva pacca sulla schiena per poi dileguarsi verso la sala computer.

L’idiota era il suo capo, un tipico figlio di papà poco più grande di lui che non sapeva tenersi un dannato assistente per più di due giorni – visto quanto pretendeva e quanti ordini sbottava fra un ringhio e l'altro – e che se ne stava tutto il giorno chiuso nel suo ufficio, probabilmente a contare tutti i suoi soldi e a farsi la sua ragazza, troppo importante per poter mettere il suo naso perfetto fuori e raggiungere quei poveri plebei dei suoi dipendenti.
Stiles non lo sopportava, o così diceva costantemente a tutti. Aveva la tremenda opportunità di vederlo più spesso del dovuto, viste le volte in cui doveva rimediargli del caffè a causa appunto dell'assenza costante di un dannato assistente e perché Erica aveva altro da fare che essere la sua schiava d'occasione, e altre in cui lo vedeva girovagare in modo sospetto nel suo settore: era bello, non poteva negare che avesse un certo fascino, ma aveva anche la tipica faccia da schiaffi, quello sguardo superiore e burbero che gli faceva ribollire il sangue nelle vene, quasi fosse il sovrano di un vasto impero.

Anche se, beh, l'Alpha Magazine poteva essere vista davvero come un vasto impero.

Bei tempi quando era sua madre il capo (cioè, a dire il vero lo era ancora, ma ora si occupava di questioni più importanti e mondiali e quindi il controllo dell'edificio e della rivista l'aveva lasciato al figlio, che doveva comunque rispondere a lei per le questioni grosse), una donna gentile, seria, rispettata e ben consapevole di come dovesse essere il rapporto fra capo e dipendenti: lui ancora si chiedeva con quale coraggio avesse lasciato la presidenza al figlio –anche se di sicuro lui non avrebbe mandato tutto in rovina, un minimo il suo lavoro sapeva farlo e almeno questo doveva concederglielo.
Stiles comunque prima di lui avrebbe preferito Laura come secondo capo, forse perché erano più o meno amici e in sintonia vista la loro somiglianza, caratterialmente parlando, ma lei era diventata una modella perciò , lavorava lì, ma purtroppo ricopriva un altro ruolo.

“Stiles!”

Il ragazzo si bloccò ancora prima di voltarsi verso Lydia, la sua ragazza preferita in quella gabbia di matti e compagna di torture in quelle prossime due ore, che gli stava correndo in contro chiusa in uno svolazzante vestito a tema floreale e straordinariamente non rallentata dai tacchi vertiginosi che aveva ai piedi, sventolando in modo frenetico un pacco di fogli di fronte a sé.
“I fascicoli dei modelli” lo avvertì una volta raggiunto, lasciandogli il materiale contro il petto “Io arrivo fra poco, Peter ha bisogno di me per alcune cose” e detto ciò, corse di nuovo via.

Peter Hale era lo zio dell’idiota e di Laura e vicepresidente della rivista: lui e Lydia avevano avuto una specie di storia segreta-non-poi-così-segreta in passato, che fortunatamente era finita, morta e sepolta, visto che ora lei stava con Jackson, un altro snervante figlio di papà che lavorava lì con loro e che Stiles riusciva straordinariamente a tollerare dopo anni di odio reciproco.

Stiles sospirò già distrutto e sfiancato, sfogliando velocemente quei fascicoli e incamminandosi di nuovo verso lo studio: per quanto non sembrasse così, il suo lavoro era davvero stancante, non aveva molto tempo libero e la cosa non era granché piacevole, perché in un modo o nell'altro veniva sempre riempito di cose da fare.
Non poteva semplicemente dire di no al suo capo – anche se non era proprio del tutto il suo capo – perché lui aveva bisogno del lavoro, non aveva mica i miliardi in tasca come gli Hale.

“Stilinski!”

Sbuffò esasperato, voltandosi per l’ennesima volta e lanciando un’occhiata sull'orlo della crisi a Boyd, il ragazzo di Erica con cui parlava una volta sì e tre no primo perché era abbastanza riservato e secondo perché... Non lo sapeva neanche lui il perché sinceramente, non ci aveva mai pensato molto. Conversavano delle volte, ma in realtà erano monologhi perché Stiles parlava e Boyd lo sopportava silenziosamente, ribattendo qualche volta in modo pungente e secco, quindi non sapeva come considerare le loro chiacchierate.
Stiles, la testa già fra le nuvole e l'insistente voglia di tornarsene a casa a occupargli i pensieri, non si sarebbe mai immaginato di sentire quello che gli disse, tanto che gli chiese un po’ perplesso di ripeterlo.

“Ti vuole il capo, ha bisogno di te”

E il ragazzo fu certo che la giornata non sarebbe potuta andare peggio.


Derek Hale non aveva mai bisogno di qualcuno, non esplicitamente, infatti scoprì bene che Boyd aveva semplicemente espresso male il concetto – forse di proposito – e, varcata la soglia dell’ampio ufficio, trovò l’altro alla sua scrivania, occupato a leggere qualcosa di lavoro. Neanche si degnò di guardarlo negli occhi, se non una veloce occhiata di sottecchi probabilmente per vedere chi fosse così coraggioso da disturbarlo. Era già tanto che un ringhio animalesco non gli avesse ripercorso la gola, conoscendolo. A volte si chiedeva se per caso non discendesse dai lupi invece che dalle scimmie.

“Siediti”

Stiles inarcò un sopracciglio, scettico ed esasperato, ma si avvicinò fino alla sedia di fronte a lui e ci si mise sopra con un tonfo.

, proprio non si poteva negare, Derek Hale era dannatamente bello e particolare, se non fosse stato così scorbutico e arrogante, probabilmente se ne sarebbe apertamente invaghito: gli occhi avevano una sfumatura verdastra chiara, quasi fine e dolce, profonda, totalmente in contrasto con il lieve strato di barba scura che gli dava un aspetto serio e misterioso. Per non parlare del suo fisico, Stiles era certo che sarebbe stato un modello perfetto se solo non avesse intrapreso la vita del presidente della rivista e avesse invece imitato la sorella maggiore. Guardato da un certo punto di vista, Derek era davvero perfetto e pareva nascondere mille misteri allo stesso tempo: Stiles non lo conosceva realmente, fuori di lì, ma per come si mostrava a lavoro, invece, pareva un completo idiota.
E non avrebbe mai riconosciuto né ammesso ad alta voce o a se stesso, neanche sotto tortura, che per conoscere tutte quelle sfumature del ragazzo, voleva dire che l'aveva osservato molto attentamente e con insistenza.

“Quindi?”

L’altro alzò lo sguardo un po’ perplesso, fissando un attimo il ragazzino che gli si era seduto di fronte come se non si fosse realmente accorto della sua presenza. Poi si riscosse e tornò ai suoi affari.
“Quella ragazzina era un'incapace” lo informò come niente fosse, riferendosi all'assistente che Stiles aveva precedentemente visto correre via da lì con gli occhi lucidi e la coda tra le gambe e iniziando così una conversazione non poi così nuova fra loro. Non ebbe neanche il tempo di continuare, che “Beh, ho i miei dubbi” lo interruppe Stiles con un borbottio spontaneo e indispettito: o tutti erano incapaci, o lui era uno stupido. Sinceramente parlando, optava per la seconda.

Lo sguardo inviperito che il capo gli rivolse, lo ammutolì.

“Prenderai il suo posto finché non ne avrò trovato un altro” probabilmente sentì il suo sconcerto anche senza guardarlo, perché “c’è del lavoro da fare ed Erica è impegnata” aggiunse a mo' di chiarimento.

Divertente, davvero divertente. Come se Stiles non ne avesse avuto già abbastanza di lavoro da fare, che probabilmente era il triplo di quello dell'amica tra le altre cose, e ora gli ci mancava solo di occuparsi dei suoi assurdi capricci. Certo, Erica, visto che era amica sua, col carattere che si ritrovava poteva rifiutarsi facilmente. Lui però non aveva quella fortuna.
“Chieda a qualcun altro, sono occupato con i modelli della prossima uscita almeno per due ore e poi nella settimana dovrò occuparmi del servizio fotografico e della scelta delle foto” lo avvisò, stringendo possessivamente la macchina fotografica fra le mani: Derek fissò un po’ il suo gesto, poi lo guardò dritto negli occhi in quel modo tutto suo.
Quel modo che gli faceva trattenere il respiro.

“Rimanda”

E per quanto non sembrasse una richiesta e neanche un che di lontanamente amichevole, gli venne istintivamente da lasciarsi a un leggero sbuffo di risata con la testa teatralmente all'indietro, come se avesse sentito una barzelletta davvero simpatica.
“Non è proprio possibile, per quanto mi piacerebbe” ammise “e poi il mio lavoro è quello, temo che abbia la precedenza sul resto”.
L’altro ignorò totalmente il sarcasmo: Stiles era fatto così, ma con lui non pareva funzionare mai tanto bene, per quando a volte lo portasse al limite della sopportazione.
“Temo di essere io il capo” ribatté infatti, rivolgendogli un’occhiata intimidatoria che gli fece scrollare la spalle.
“Non ne dubito” rispose il più giovane, abbandonando la sua macchina fotografica per incrociare le braccia al petto “Ma non possiamo rimandare, ahimè, perciò penso che dovrà chiedere a qualcun altro”.

Derek rimase un attimo a fissarlo in silenzio, con una penna stretta tra le mani e un sopracciglio inarcato, pensieroso e come in cerca di un compromesso soddisfacente.

Stiles non sapeva capacitarsi di questa cosa, aveva migliaia di persone in quell’edificio e tutte le volte invece toccava a lui sopportare i suoi rimproveri, doverselo sorbire più del dovuto, come se si divertisse a punirlo: a volte questo sovrastava e oscurava il suo desiderio di fotografarlo, di predisporre per lui un intero album, un catalogo, perché era certo che Derek Hale sarebbe stato comunque il suo modello perfetto, il suo animo di fotografo sembrava richiederlo a gran voce, poi però veniva messo a bada dalla sua estrema arroganza, che gli faceva sempre storcere il naso.

“O lo fai adesso, o lo fai stasera”

Stiles rimase stordito, con la bocca schiusa e gli occhi spalancati: ma che problema aveva? Gli ci mancava fare gli straordinari. Però non poteva davvero secondo il suo già scarso senso del dovere – mollare tutto il lavoro a Lydia, perché era lui il fotografo, non la ragazza, ed era compito suo occuparsi dei modelli.

Restò in silenzio qualche minuto, mentre Derek firmava qualche foglio, poi sbuffò per l'ennesima volta nel poco tempo da quando era arrivato in ufficio quella mattina.
“Stasera, se proprio devo – e direi che potrebbe essere visto come sfruttamento, tanto per dire, eh! – lo farò stasera”

L'altro alzò lo sguardo sorpreso e per un attimo Stiles tornò a stringere ancora di più la macchina fotografica, cercando di trattenersi dal catturare quel momento, quell’espressione un istante persa e sotto sotto da cucciolo come rarissime altre volte gli era capitato di vedere, espressione che un secondo dopo però tornò seria.
Derek annuì.

“D’accordo” acconsentì, ignorando totalmente il sarcasmo dell’altro come al solito “Ci vediamo qui alla chiusura, devo restare anche io”.

E detto ciò, lo lasciò libero di andare.

Stiles se lo sentiva: lui e Derek Hale chiusi nello stesso ufficio di notte a lavorare? Non sarebbe andata bene e per un secondo non seppe se per il fatto che sarebbe stato snervante, o invece per un certo impulso che sotto sotto – lo pervadeva più volte di quanto avrebbe voluto ammettere nell’averlo intorno.
In entrambi i casi era sicuro che avrebbe dovuto farsi tanta forza per trattenersi dal fare qualcosa di azzardato.

***

Stiles l’avrebbe definita la giornata più estenuante della sua vita, perché da quando era arrivato non aveva avuto un solo attimo di pace: fra Scott al telefono (che aveva scoperto il nome del tipo, Isaac, ma non aveva capito la sua connessione con Allison e quindi aveva deciso di tartassare lui in cerca di ipotesi prive di senso), l'idiota Hale con le sue maledette occhiatacce del malumore, i servizi fotografici – in aggiunta ai colleghi che gli chiedevano favori ogni due minuti – e l'altra Hale, Laura, che aveva trovato seduta sulla sua scrivania nel suo ufficio a bere una cappuccino e leggere una rivista e che gli aveva tenuto compagnia per il resto del tempo, aveva decisamente solo voglia di buttarsi dal punto più alto del palazzo.
Oppure prendere la sua bambina, la Jeep, e fuggire via da lì: non era da escludere che l’avrebbe fatto.
In ogni caso arrivò a fine giornata stremato, ma evidentemente non ancora del tutto visto che lo aspettava ancora qualche ora di lavoro con il capo: avrebbe preferito un’altra sessione di provini per scegliere altri modelli, sinceramente, sarebbe stato comunque meno da suicidio.
Il ricordo di Laura, che alla notizia del compito che gli aveva assegnato il fratello era parsa più divertita del dovuto e non lo aveva più lasciato in pace con quei suoi sorrisetti ambigui e assurdi, gli provocò l'ennesima smorfia.

Si vide arrivare in contro Lydia, illuminata da un sorriso raggiante mentre stringeva al petto chissà che documenti, poi lei gli si bloccò davanti e gli sorrise ancora di più, ricacciando indietro una ciocca di lunghi capelli studiatamente in disordine.
“Giornata coi fiocchi, no?” Stiles non seppe dire se fosse seria o se – ormai a conoscenza dei suoi piani – lo stesse prendendo in giro “Due dei modelli di stamani mi hanno lasciato il numero” proseguì, facendo capire all’altro il perché della sua affermazione, o almeno in parte visto che, dopotutto, lei era già occupata.
Poi gli porse due foto e “chi preferisci dei due?” gli chiese con un sorrisetto ambiguo.
Stiles le guardò un attimo, prima di alzare gli occhi al cielo e muovere una mano davanti al volto come se stesse scacciando una mosca.
“Ci vediamo domani, Lyd” la salutò, scuotendo esasperato la testa, e lei rise divertita prima di ricambiare e andarsene.

“Vado anch’io, Stilinski” gli ammiccò in lontananza Erica, con Boyd e Danny al seguito, ricevendo in risposta un cenno del capo, poi anche loro uscirono da quella prigione.

Era rimasto praticamente solo lì nell’atrio, Stiles, quando notò con la coda dell'occhio Derek poggiato allo stipite della porta del suo ufficio, occupato a fissarlo con le braccia incrociate al petto in attesa di vederlo darsi una mossa: lui nel notarlo avrebbe voluto afferrare la spillatrice che aveva lì accanto così da lanciargliela in testa e poi svignarsela, ma poi decise che non era il caso e gli andò in contro. Semplicemente avrebbe voluto andarsene a casa, accendere la play, ordinare una pizza e buttarsi a peso morto sul suo caro divano, prima di farsi una lunga dormita, ma si limitò a sedersi da una parte, attendendo di sentire l’altro dirgli cosa doveva fare di così importante da non poter mettere in atto la sua volontà e il suo dolce rientro.

Quel dannato di un Hale non fiatò, si posizionò rigido come un pezzo di ghiaccio alla sua scrivania, senza guardarlo minimamente, e dopo qualche attimo lanciò malamente sul ripiano uno o due fascicoli per fargli intendere che si sarebbe dovuto occupare di quelli, prima di iniziare a concentrarsi sulle sue cose.

Che ansia, per la miseria, Derek Hale era la persona meno socievole che Stiles avesse mai incontrato in tutta la sua vita, gli dava l’idea un po’ del bello ma dannato di ogni tipica storia, quello affascinante e sexy che però se ne stava sempre nel suo, con il muso e il suo caratteraccio, tenendo il mondo fuori per paura di essere ferito, o forse solo per strafottenza, anche se – non sapeva spiegarsi il perché – sotto sotto sentiva che per lui valeva la prima.

Era una sensazione, così, a pelle.

Derek Hale sfiorava la perfezione – sfiorava, perché lo era fisicamente senza dubbio, ma caratterialmente non pareva così facile – e forse era proprio quel suo non raggiungerla appieno a renderlo ancora più intrigante ai suoi occhi: era dannatamente bello, i suoi occhi erano ghiaccio e allo stesso tempo scioglievano, nascondevano un mondo, le sue labbra quasi sempre serrate erano morbide a vedersi, Stiles avrebbe potuto giurarlo, eppure erano l’immagine di un carattere apparentemente duro.
Aveva due spalle che facevano invidia al più allenato nuotatore, il giovane Stilinski avrebbe voluto strappargli via la stoffa che le copriva e osservarle meglio, prima di fotografarle e appendere ogni singola immagine per i corridoi dell’azienda, per le strade della città.

O forse solo in casa sua, come un segreto.

E quelle mani, Stiles avrebbe scommesso che fossero calde e forti, come le braccia, ma allo stesso tempo capaci di lasciare un tocco leggero e rassicurante.
Era bravo, lui, a catalogare le persone, gli piaceva osservare e capire, e Derek Hale era davvero un ottimo soggetto, ma scosse la testa riprendendosi dagli ennesimi pensieri stupidi, per poi avanzare, prendere il materiale e sedersi all'altra scrivania poco distante dopo un attimo di immobilità, dandogli quasi totalmente le spalle.

C’era cascato all’inizio, la prima volta che l’aveva visto arrivare in ufficio e aveva pensato di lui tutto quello che si era rivelato sbagliato con il tempo, o meglio, tutto quello che Derek aveva cercato di smentire con il suo atteggiamento, poi Stiles aveva imparato a lasciar perdere, lasciar perdere la sensazione stupida di essere osservato, per poi invece vedersi rivolgere quasi un ringhio sprezzante, lasciar perdere la speranza nel vederlo vagare nel suo reparto, la speranza che andasse lì sotto sotto per lui, aveva lasciato perdere tante cose immaginarie, cose che la sua mente aveva autonomamente creato, complicandogli la vita.

Aveva lasciato perdere soprattutto quando aveva capito, quando aveva visto quella Paige tirargli fuori reazioni diverse e inaspettate e sparire nell’ufficio di Derek quasi per ore.

La serata passò nel silenzio totale, mentre Stiles ogni tanto lo scrutava di sfuggita e il suo cervello gli faceva brutti scherzi, dandogli l'assurda idea di essere osservato ogni tanto a sua volta. Ognuno fece il suo lavoro senza proferir parola e le ore passarono velocemente senza che nessuno di loro se ne rendesse particolarmente conto: Stiles alla fine notò con la coda dell'occhio Derek lanciare casualmente un'occhiata all'orologio costoso al suo polso, prima di guardare lui e farlo sobbalzare per l'essere stato beccato a sbirciare.
Tornò frettolosamente al suo lavoro con falsa nonchalance, dannandosi mentalmente, prima di sentire la voce roca dell'altro.
“Continuerai domani, va' a casa” e detto ciò, Derek tornò a concentrarsi su tutto tranne che lui: Stiles lo fissò un attimo sbigottito, chiedendosi fino a quanto avesse intenzione di starsene lì in un ufficio, poi alla fine si decise, prese le suo cose, lo salutò piano senza ricevere risposta e se ne andò finalmente a casa. Uno strano senso di indecisione a stuzzicargli la coscienza.

***

“Siete rimasti in silenzio” ripeté Laura, un sopracciglio inarcato e le braccia strette al petto, l'espressione totalmente scettica, mentre lo seguiva da una parte all'altra fra il cambio dello zoom e lo spostamento delle luci: Stiles mugugnò qualcosa in risposta, inginocchiato in avanti, un occhio chiuso e l'altro vicino alla macchina. Scattò qualche foto, poi fece un cenno alla modella che stava da una parte, così da farle intendere che era il momento di fare qualche scatto in coppia. Lei si mise in pose e lui riprese il suo frenetico lavoro.
“Non vi siete detti niente” si lamentò ancora, come se non credesse a niente di quello che l'altro le aveva detto poco prima.
“Niente di niente, nada, non mi sono ridicolizzato” borbottò Stiles, evitando di aggiungere il particolare per cui in effetti sì, si era ridicolizzato un po', ma non a parole: se le avesse fatto sapere che il fratello l'aveva colto in fragrante mentre lo fissava di nascosto, non gli avrebbe dato più pace. Sospettava che sapesse qualcosa su la sua giustificata attrazione per l'altro.
“Non che mi sorprenda il fatto che lui non abbia detto nulla, ma tu...” si interruppe, allargando teatralmente le braccia, mentre Stiles si spostava per fare il suo dannato lavoro, e “tu no, non stai mai zitto” puntualizzò con un'improvviso sorriso ferino a delinearle le labbra tinte di rosso, prima che i loro sguardi si incontrassero e che lui rabbrividisse dalla testa ai piedi: assolutamente, la strega sapeva assolutamente della sua attrazione.
Sapeva in fondo che non era così perfida da spifferarlo proprio a Derek, ma sapeva per certo che lo era abbastanza da tormentarlo in eterno, magari insieme a Lydia.
“No, Lydia?” disse infatti, senza deludere le sue aspettative, voltandosi furba verso la ragazza che da una parte si occupava del trucco e che naturalmente stava ascoltando la loro conversazione. La diretta interessata applicò un altro po' di blush sulle guance della modella che le stava seduta davanti, poi ridacchiò complice fra sé e sé, come se lei e Laura sapessero perfettamente cosa stava succedendo.
“Sono peggio di ragazzine nel mezzo dell'adolescenza” aggiunse esasperata e Stiles desiderò arrivare il prima possibile alla fine di quella giornata.

Fra le occhiate delle due streghe, che sghignazzavano a ogni occasione, che fossero insieme quando lo incontravano o meno, e un po' di risate con Danny ed Erica, riuscì a passare il tempo e giunse di nuovo il momento di salutare tutti e lavorare per il capo, che – al contrario del giorno prima – non lo aspettò poggiato allo stipite della porta del suo ufficio, ma direttamente seduto alla sua scrivania.

Laura e Lydia a modo loro avevano ragione, lui non stava mai zitto, nemmeno quando era in imbarazzo, anzi, in quei momenti blaterava ancora di più, e infatti all'inizio era stato così, le prime volte in cui Derek aveva iniziato a lavorare lì era tutto un continuo scannarsi a vicenda: aveva irritato il capo fino a livelli inimmaginabili con il suo sarcasmo e la sua parlantina, tanto che ringraziava di essere ancora vivo, solo perché ne era attratto e non riusciva a controllarsi. Poi però con il tempo le cose fra loro erano cambiate, forse perché erano spesso insieme fra un ordine e l'altro, ed erano passati dall'attaccarsi con occhiatacce e sarcasmo pungente, al sopportarsi, capaci di stare accanto anche in silenzio, o perfino parlare civilmente, quando Stiles gli consigliava o gli organizzava gli impegni, cercando di rendergli ogni cosa meno pesante e senza mai lamentarsi. Non con lui, almeno.
Perché stando in silenzio Stiles pensava tanto e lo osservava, facendo lavorare incontrollatamente la sua testa su ogni dettaglio, movimento e respiro di Derek Hale.

Ogni volta che era sul punto di ammettere a se stesso che non era vero che lo odiava e che non era più una semplice attrazione, che in fondo lo rispettava e in un certo senso ormai lo conosceva, il vero lui nascosto sotto tutti quei grugniti, si malediva e si distraeva, perché si ricordava della ragazza che entrava e usciva dal suo ufficio in continuazione, che a volte lo faceva perfino sorridere e che probabilmente lui amava.

Automaticamente prese alcuni fascicoli e andò a sedersi all'altra scrivania, poi come il giorno prima il tempo iniziò a scorrere.

“Quindi…” iniziò piano l’altro con un tono asettico a un certo punto, interrompendo il silenzio e i suoi dannati pensieri e facendolo sobbalzare leggermente per la sorpresa, e “tu e Mahealani…?” chiese dal nulla, forse riferendosi a quando li aveva beccati quel pomeriggio – quando era passato misticamente da davanti il suo ufficio per andare chissà dove – in atteggiamenti che potevano sembrare apparentemente intimi a occhi sconosciuti, ma che in realtà riflettevano solo Stiles e la sua solita invadenza mentre prendeva in giro Danny. Derek gli rivolse un’occhiata criptica di sfuggita, subito spostando lo sguardo nel notare l’altro bloccarsi a quelle parole prima di guardarlo con un sopracciglio inarcato con scetticismo: lo prese come un celato sì.
L’espressione di Derek si fece pian piano sprezzante e nauseata.

“Sei…” quasi bisbigliò, come se qualcosa gli impedisse di continuare “Tu...?”

Stiles alzò entrambe le sopracciglia di scatto per la sorpresa e lo sconcerto: gay? Intendeva questo? E dalla sua faccia sembrava anche che la possibilità lo disturbasse molto. Per un attimo si sentì quasi crollare completamente il mondo sotto i piedi e insieme l'immagine idealizzata che aveva di lui. Un brivido gli ripercorse la schiena, perché sì, non si era mai illuso – o forse nei recessi della sua mente sì? – che Derek potesse accorgersi di lui e magari essere almeno bisessuale, ma non avrebbe mai detto che fosse omofobo, non il Derek che pensava di conoscere lui: la cosa gli causava dei problemi? Era davvero quel tipo di persona? Questo era decisamente sfuggito alla sua analisi: avrebbe detto tutto di lui, tranne che fosse infastidito da queste cose.

“Questi non sono affari suoi” sbottò solamente fra i denti, offeso da tale freddezza, deluso dal suo errore di calcolo e ferito perché invece sì, la sua mente si era illusa che fosse almeno bisessuale e che prima o poi si sarebbe accorto di lui, poi chinò di nuovo lo sguardo e tornò a concentrarsi su quello stupido lavoro, che ora più che mai non vedeva l’ora di finire per potersene tornare a casa. E affogare tutto nei fumetti e nel gelato.

E ancora calò il silenzio fra i due, un silenzio decisamente spiacevole e carico di tensione, che portò Stiles a stringere i denti pur di non fare altri commenti indispettiti e pungenti contro l’altro, e Derek a scrutarlo di tanto in tanto come se stesse rimuginando e cercando di capire qualcosa.
Stiles sobbalzò nel sentire il telefono vibrare nella tasca e di riflesso lanciò una veloce occhiata disinteressata all’altro oltre la spalla sinistra per poi tornare ai suoi fogli, cercando di ignorare il rumore che si sentiva impercettibilmente: era Scott, ci avrebbe scommesso!
Poi finalmente chiunque lo stesse chiamando, ci rinunciò.
, prima di riprovarci, per ben due volte.
Stiles sentiva i circuiti del cervello di Derek in frenetico movimento, per quanto non ne capisse il motivo, ma se era per il suo telefono, dopo l’uscita sull’essere o no gay e il crollo delle sue aspettative, poco gli importava.

“Puoi…” lo sentì mugugnare a un certo punto con voce bassa e roca, per poi schiarirsela “Puoi rispondere, nessun problema” lo avvertì, sempre rigorosamente senza guardarlo, se non una veloce occhiata per controllare la situazione.
Stiles lo ignorò.

Era una sorta di rebus, ripensandoci, quello stupido di un Hale: cambiava costantemente idea su di lui, ma in effetti non sapeva neanche perché ce le avesse delle idee a riguardo.
Era un mistero, a volte gli sembrava un vero idiota, un menefreghista, un arrogante viziato, altre gli sembrava fragile, incompreso, così umano.
C’erano quelle volte che voleva prenderlo a pugni con tutto se stesso, e quelle in cui avrebbe voluto solo stargli accanto, o chiuderlo in una stanza, da soli, per fotografarlo, per fotografare e scoprire il vero Derek Hale, senza veli e maschere a coprirgli il volto, quello che pensava e celatamente si vantava di conoscere, a questo punto probabilmente sbagliando.
Lo mandava in tilt, e a Stiles faceva impazzire l’idea che qualcuno, che neanche faceva davvero parte della sua vita, avesse una tale controllo su di lui, sul suo umore.

Era anche lontanamente possibile?

Era così preso che neanche si rese conto di essere fissato.
“Non volevo farmi gli affari tuoi” evidentemente voleva fare innervosire e abbattere Stiles ancora di più “riguardo Mahealani” aggiunse, mentre l’altro cercava di trattenersi “Cioè, non sapevo che voi due…”

Fu normale, per Stiles, perdere la pazienza e il controllo di sé.

“Sì!” sbottò, alzandosi di scatto e sbattendo le mani sulla scrivania, e “sono gay! E no, non sapevi che stavamo insieme perché non è vero!” gli ringhiò contro, improvvisamente a un palmo dal suo viso, tanto vicino e preso che non si accorse neanche di quanto fosse spaesato di fronte alla sua reazione “E non mi interessa se ti crea problemi, che c’è, vuoi licenziarmi per questo?!”

Ecco, avrebbe catalogato quello come uno dei momenti in cui lo avrebbe preso volentieri a pugni. Se per la rabbia o la delusione, ancora non lo sapeva.

Poi prese un profondo respiro, afferrò malamente la sua roba – che dal tremore nervoso continuava a scivolargli di mano – e fece per andarsene, prima che la mano di Derek lo bloccasse fulminea.
Stiles lo guardò male, cercando di trasmettergli quello che non voleva aggiungere ad alta voce, ma l’altro era spaesato, sollevato, desolato e nervoso allo stesso tempo, per quanto lui non riuscisse a vederlo tanto era furioso.
“No” soffiò senza controllarsi, impedendogli di andare “Non intendevo…” si bloccò, come se neanche lui sapesse come continuare, agitato dallo sguardo di Stiles.
“Pensavo…” si interruppe ancora, pensieroso “pensavo fosse ovvio.”

Stiles inarcò scettico un sopracciglio.

“Non sono bravo…” riprese in un borbottio, senza neanche accorgersi di star stringendo un po’ di più il braccio del ragazzo “…in queste cose” ammise, grattandosi nervoso la nuca con la mano libera e distogliendo per un attimo lo sguardo, mentre l’altro decisamente cercava di capirci qualcosa.

“Pensavo fosse ovvio” sbottò in modo più duro di quanto forse avrebbe voluto.

Poi lo lasciò andare, continuando però a guardarlo in quel modo profondo e forse un po' coinvolgente, quasi in attesa di qualcosa, come se la sua testa fosse altrove o come se volesse ucciderlo nel peggiore dei modi, cosa che faceva ogni volta rabbrividire l'altro –se dalla paura o da altro non ne era completamente certo.

“Volevo chiederti di prendere un caffè”

Soffiò ricordando i consigli non richiesti di Paige, in seguito alle chiacchiere inevitabili su Stiles che gli avevano strappato più volte un sorriso di troppo, e perfino di quella ficcanaso di Laura, che sapeva sempre tutto, per poi ammutolirsi.

Stiles inarcò ancora un sopracciglio, poi fece per andarsene di nuovo: gli veniva da ridere, l’idiota non si era mai fatto tanti problemi per spedirlo a prendergli uno stupido caffè, perché ora dovesse fare quella sceneggiata proprio non lo capiva, si chiese se per caso avesse preso una testata da qualche parte. Magari era per quello che si stava comportando da imbecille fra le sue insinuazioni fuori luogo e quelle occhiate che per poco non gli leggevano dentro.
Con poche parole gli aveva praticamente ferito i sentimenti che nessuno dei due sapeva che provava nei suoi confronti, ma niente di che, no?

Ma “Dove vai?” lo fermò ancora, riafferrandolo di slancio, stavolta un po’ più forte e brusco.

Stiles sbuffò, tornando a guardarlo decisamente esasperato e forse anche amaramente deluso da tutto quello che stava succedendo, e “a prenderti il caffè, no?” sbuffò ovvio, scrollando le spalle e alzando gli occhi al cielo. Derek aprì e richiuse più volte la bocca, come se volesse dire qualcosa ma non trovasse le parole, alzando di scatto alla fine le sopracciglia in un’espressione sorpresa.
“No!” esalò poi e “Non intendevo per me” cercò di spiegare con voce roca e seria in un modo che Stiles ritenne assurdamente attraente nonostante le circostanze.
“Intendevo noi, una giorno, da qualche parte…” e detto ciò, calò un’imbarazzante silenzio.

Poi Stiles rise davvero in modo piuttosto sguaiato e scoordinato.

“Sì, certo, come no” gli mollò un pugno sulla spalla, fintamente divertito “simpatico, attento che poi la tua Paige si arrabbia” e poi dovette schiarirsi la voce, che si era stupidamente incrinata a quell’affermazione vera. Ma Derek non parve dello stesso avviso: diamine, sembrava un cucciolo di lupo abbandonato vicino a una strada, pareva non sapere più dove si trovasse e cosa gli stesse succedendo.

“La mia…? Paige? Cosa?” tornò a fare quella buffa e allo stesso tempo fastidiosa espressione sorpresa “Paige è un’amica”

Perché poi si stesse difendendo, Stiles non riusciva a capirlo, in fondo non erano affari suoi.

“Sì, insomma, ti sto intorno da quando sono arrivato, mia madre e Laura mi avevano sempre parlato di te e poi, beh…” di sicuro era la frase più lunga che gli avesse mai sentito dire a quel musone, ma sembrava davvero stordito e carico d’adrenalina.
“Non puoi non esserti accorto…” balbettò quasi “Ti sono sempre intorno” ripeté, ed era vero, solo che Stiles aveva sempre maledetto malamente le sue stesse fantasie irrealizzabili e illusorie, azzardate nel provare a collegare a se stesso le frequenti apparizioni del capo nelle sue vicinanze, ma ora era decisamente allibito.

“Scherzi…”

Derek rimase con le labbra schiuse abbastanza da mostrare i suoi dolcissimi denti davanti, che tendevano a distrarre totalmente l'attenzione di Stiles, gli occhi leggermente sgranati e la mani sporte un po’ in avanti a mezz’aria: non sapeva nemmeno Derek come si fosse ritrovato in quella situazione immaginaria, perché lui mai avrebbe detto delle cose del genere.
Si era rammollito, probabilmente. O così avrebbero detto Laura e Paige nel vederlo e nel sentirlo.

“…Giusto?” aggiunse Stiles, non vedendolo dare segni di vita, ora anche lui titubante.

Derek scosse all’inizio leggermente la testa, poi la cosa successe decisamente troppo velocemente: come se qualcuno l’avesse spinto da dietro, si sporse sulle labbra dell'altro, finendo per intrappolarlo contro la porta dell’ufficio. Stiles strabuzzò gli occhi.

La prima cosa che pensò fu che , erano decisamente morbide quelle labbra, morbide come si era sempre immaginato nel fissarle distrattamente o nell'immaginarle, lo confermò mentalmente mentre si ritrovava a ricambiare in modo non del tutto inaspettato quel contatto, entrambi un po’ storditi.
Sì, aveva le labbra più morbide e calde di sempre e, come aveva sospettato, tutto nei suoi gesti era in contrasto con quello che dava a vedere di solito: delicato, un po’ incerto, ma ancora forte, tanto che Stiles sobbalzò nel sentirsi poggiare le mani sui fianchi e non riuscì a non poggiare le sue sulle sue guance coperte dalla barba, fino a farle passare poi sulla nuca e immergerle nei capelli corvini.
L’avrebbe trascinato fino alla scrivania giusto per trovare un appoggio migliore e gli avrebbe dato tutta la libertà del mondo su di sé, se solo Derek non si fosse improvvisamente interrotto, lasciandolo alla ricerca di nuovo di aria e di quelle labbra verso cui tentò di sporgersi senza neanche accorgersene, ma l'altro si mise a cercare qualcosa nel portafoglio, sotto il suo sguardo interrogativo che passava senza controllo dai suoi gesti alle sue labbra quasi in trance, desideroso di sentirle ancora su di sé.

Ne tirò fuori una piccola foto, la fissò un attimo con uno sguardo indecifrabile, e poi gliela mostrò.

“Era nel tuo fascicolo…” biascicò, massaggiandosi nervosamente la nuca, e “tu fai foto a tutti, ma di te è impossibile trovarne…” continuò un po’ corrucciato, passandosi velocemente la lingua sulle labbra per ravvivare il sapore del ragazzo che poco prima le aveva baciate.
Fu il turno di Stiles di aprire tre o quattro volte la bocca e alla fine non dire niente, di sicuro però avvampò fra l’imbarazzo e la sorpresa, anche il sollievo, prima di ridargli la foto e tirarselo addosso per baciarlo ancora.

“Allora?” gli fece Derek a un soffio dalle sue labbra, una mano sulla sua gola e l'altra intorno al suo fianco.

Lui inarcò un sopracciglio senza capire, fissando le sue ammaliato.

“Questo caffè?” chiarì, passandoci con fare provocatorio di nuovo la lingua, ora quasi del tutto più sicuro di sé e a suo agio in un modo che poche altre volte era stato palese fra loro.

Stiles ghignò fra sé e sé altrettanto confidente e borioso, avvicinandosi, e “se mi baci, ti concedo anche un’altra foto” lo tentò spudorato.

Derek non se lo fece ripetere due volte.





 


(La foto che Derek ha di Stiles)

  
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