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Autore: Lily97    13/04/2016    0 recensioni
Annie Cresta è una ragazza del Distretto 4, lo stesso dal quale proviene il bel Finnick Odair, il giovane affascinante mentore che, nei 65esimi Hunger Games, vinse all'età di 14 anni.
Lei lo ritiene un ragazzo superficiale, attaccato più alla fama e alla sua bellezza che alla vita, eppure quella è l'unica facciata che Odair lascia trasparire.
Capitol City non è un luogo che realmente assicura un totale cambio di vita ai vincitori; gli abitanti dei Distretti rimarranno sempre tali e la Capitale non mancherà mai di ricordarlo.
"Prima le signore.. Annie Cresta"
Il mondo si fermò per la ragazza. Sentiva il suo nome rimbombare nelle sue orecchie e nella bocca di tutti. Si voltò, incrociando lo guardo terrorizzato di sua sorella.
Non poteva scoppiare a piangere, non davanti a lei.
Quante possibilità aveva di vincere contro altre ventitré persone, molte delle quali letteralmente superiori a lei?
Zero.
Chi avrebbe potuto aiutarla?
Solo un nome.
Finnick Odair.
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Annie Cresta, Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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CIAO A TUTTI!
BEH, POSSO DIRE CHE, DOPO MILLENNI, QUESTO CAPITOLO CHIUDE I GIOCHI. LETTERALMENTE. 
LA STORIA NON FINIRA' QUI, PERCHE' HO BISOGNO DI SPIEGARE ALCUNE COSE DOPO L'USCITA DI ANNIE DAGLI HUNGER GAMES. 
FINALMENTE, ARRIVATI AL CAPITOLO 30, I GIOCHI SONO CONCLUSI.
DEVO RINGRAZIARE ALCUNE PERSONE CHE HANNO FATTO SI CHE IO RIPRENDESSI A SCRIVERE QUESTA STORIA PER DARLE (E DARVI) UN FINALE. 
CHE DIRE? 
BUONA LETTURA!
UN BACIO, 
LILY

BUONA LETTURA DEI 70esimi HUNGER GAMES E POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE


 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
 

Game over







Annie non riuscì a staccare gli occhi verdi dalla testa mozzata dell'amico, che le rotolò fino ai piedi, immersa in una pozzanghera di sangue carminio.
Nonostante ogni cellula del suo il suo corpo le stesse urlando di voltarsi e scappare da quella scena, le gambe non rispondevano ai comandi e fu obbligata da se stessa ad osservare il corpo mutilato di una delle persone che più aveva amato nella sua vita.
Avrebbe voluto urlare e piangere. Forse l'avebbe aiutata. Forse sarebbe riuscita ad espellere dal corpo il disgusto, il terrore ed il dolore che la stavano soffocando. 
Gli occhi azzurri di Euer la fissavano dal capo reciso, così vacui.. così spenti. 
Il viso dell'amico si sovrappose a quello di Shana e successivamente a quello di Christine. 
Tutte sue vittime
Era lei la responsabile delle loro morti. Il loro sangue l'avrebbe macchiata a vita.
Fu l'istinto di sopravvivenza a farle compiere un passo in avanti, evitando di un soffio la coltellata del tributo dai capelli rossi, che si era lanciato nella sua direzione con foga. 
Cosa le importava di vivere? Erano morti tutti.. 
Cadde a terra, inciampando in una roccia, sbucciandosi i gomiti. 
Non sentì dolore: era morta dentro. Non avrebbe fatto differenza essere uccisa. Anzi, forse desiderava solo che quel maledettissimo pugnale la colpisse al cuore. Sarebbe stata una benedizione. Non avrebbe avuto più sulle spalle il peso della morte di Euer, o sulle mani il sangue di Catherinne. Nessuno l'avrebbe guardata come un'assassina. Sarebbe stata solo una delle tante vittime degli Hunger Games. 
Una lacrima, unica stilla argentata, le rigò il volto sporco di terra. 
"Mi dispiace" sussurrò tra i denti, stringendo forte la ghiaia sotto le dita. 
Tutta Capitol City aveva gli occhi proiettati su quella scena, sul suo volto. 
Era sicura che Finnick la stesse guardando, da qualche parte là fuori. Avrebbe voluto morire con dignità, magari combattendo per sopravvivere, per fargli credere che ancora ci sperava. 
La verità era che era stanca. Stanca di lottare per la propria vita, dal momento in cui questa le era stata strappata via quando aveva ucciso Catherinne. 
Voleva solo chiudere gli occhi e lasciarsi andare. 
Le dispiaceva, certo. Pianse per l'unico ragazzo che mai aveva amato e che non avrebbe più rivisto. Pianse per l'ingiustizia della sorte, che l'aveva fatta innamorare senza concederle l'opportunità di vivere quel sentimento. Pianse per Ocean, per i suoi genitori, per Glauco e anche per Eliah. Tutte persone che, era sicura, l'avrebbero ricordata con un sorriso. 
Vide gli occhi del tributo illuminarsi di luce famelica e folle, quando alzò il braccio che impugnava il coltello. 
Riuscì a contare ogni singola ruga d'espressione sul suo volto, ogni lentiggine sul naso dritto. 
Il mondo si muoveva a rallentatore: non esisteva altro che lei ed il suo cuore che, paradossalmente, non aveva mai battuto così freneticamente prima di quel momento.. un istante prima di morire. 
La lama si abbassò lentamente, mirando alla sua testa.
Improvvisamente, gli occhi verdi di Annie furono attratti da qualcosa alle spalle del suo futuro assassino: la roccia nera si frantumò sotto il suo sguardo, sbriciolandosi come sabbia contro la furia dirompente delle tonnellate d'acqua che si riversarono lungo i pendii, dirigendosi in corsa folle verso i due tributi. 
Riuscì a contare solo due battiti del suo cuore, prima che l'onda travolgesse lei ed il rosso, strappandola ancora una volta alla morte tanto desiderata.
 
Fu come se l'acqua avesse risvegliato in Annie lo spirito marino del Distretto 4. 
Venne spinta violentemente indietro, mentre alberi, sassi e qualsiasi forma di vita veniva strappata dal luogo d'origine per essere rivoltata su se stessa più e più volte. 
L'acqua le filtrò all'interno del corpo trasformandosi in adrenalina pura, che le donò la forza di reagire a contatto con il suo elemento. 
Non era più la morte che cercava: lei voleva aria. Voleva la vita.. il suo Distretto la stava chiamando, attraverso le onde. 
Aprì gli occhi e i volti dei suoi amici le comparvero davanti, tendendole le mani. 
"Non mollare, Annie" le sussurrò Ocean, seriamente. 
"Torna da me". La voce di Finnick le rimbombò nelle orecchie, o forse fu il frastuono del mare intorno a lei. 
Non faceva differenza. Amava il mare, così come amava Finnick. La voce del ragazzo era il suono del mare, la melodia più dolce che avrebbe mai voluto ascoltare.
Vide l'Arena sfrecciarle di fianco: alberi, oggetti, massi, animali.. tutto le scorreva di fianco senza riuscire ad opporsi alla forza distruttrice dell'acqua. 
Si accorse di star rotolando su sè stessa, cosa molto pericolosa in un momento simile: era fondamentale riuscire ad individuare la superficie, per evitare di nuotare inutilmente e stancarsi. 
Si guardò intorno ed iniziò a percepire la spiacevole sensazione di bruciore al petto, segno che l'ossigeno stava per finire. 
Quando ormai stava per rinunciare, un luccichio dorato attirò il suo sguardo: il sole! 
Con le poche energie che le rimanevano, nuotò faticosamente verso l'alto, tenendo ben fisso il suo obiettivo. 
Ringraziò mentalmente le interminabili giornate passate alla Piattaforma a cercare perle. Molte volte le era capitato di immergersi durante il mare-mosso. La situazione era molto più drastica, ma almeno sapeva cosa fare per risparmiare energie. 
A qualche metro dalla sua salvezza -o quelli che le sembrarono pochi- cominciò a boccheggiare e l'ultima bolla d'aria le scappò perfida dalle labbra serrate. 
Quella era la fine.
Si accorse, nell'intorpidimento dell'affogare, che l'acqua aveva smesso di tuffarsi su se stessa, probabilmente perché aveva finalmente raggiunto una pianura. 
Distingueva ancora la superficie, ma la sua vista cominciò a riempirsi di macchie più o meno grandi. Diede ancora qualche bracciata, stringendo i denti e pregando che mancasse poco.
A sorpresa, dal suono ovattato dell'acqua che le premeva contro i timpani, si levò un rumore diverso, molto simile a...
Lo sparo di un cannone.
Annie si guardò freneticamente intorno, annaspando, con la vista sempre più offuscata e confusa. 
In lontananza, distinse una strana macchia rossa, che fluttuava sempre più in profondità, trasportata con delicatezza dalle onde del mare.
Quando questa fu più vicina, la ragazza non poté che sgranare gli occhi: davanti a lei stava affondando l'ultimo Tributo dell'Arena. 
Come se qualcuno avesse aperto lo scarico di una vasca da bagno, il livello del mare cominciò a scendere drasticamente, ritirandosi con la stessa velocità con la quale aveva invaso l'Arena. 
I polmoni di Annie si riempirono d'ossigeno ancora prima che lei potesse comandare al cervello di respirare e fece male. 
L'aria venne spinta prepotentemente nel suo corpo, graffiandole la gola e bruciandole la cassa toracica. 
Rimase sdraiata a terra, bagnata fino alle ossa, ad osservare il cielo limpido senza una nuvola e ad ingerire famelicamente tutto l'ossigeno che le era mancato in quei pochi minuti. 
Non si mosse. Non osò muoversi. 
Non aveva idea di quello che sarebbe successo da lì a poco. 
Iniziò a ripetere a bassa voce sempre la stessa frase, che divenne pian piano una cantilena distorta ed inquietante. 
"Ho vinto". 


 
 
"Forza Annie" sibilò Finnick tra i denti, seduto sul divano.
Osservò la ragazza nuotare tra le onde, con la stessa eleganza che l'aveva colpito uno dei primi giorni che l'aveva vista.
I suoi capelli ramati ondeggiarono intorno al viso pallido, intorno agli occhi verde mare così profondi e così determinati. 
Aveva seriamente pensato di assistere alla sua morte di diretta, qualche istante prima. Aveva letto in quelle iridi la voglia di arrendersi ed il desiderio di morte. 
Non l'avrebbe mai lasciato da solo. Non l'avrebbe mai abbandonato senza prima dirgli addio. 
"Ti prego, continua a nuotare".
La sua diventò una litania disperata, credendo che in quel modo Annie avrebbe avuto la forza di non mollare, nonostante fosse sommersa da troppo tempo per riuscire effettivamente a raggiungere la superficie. 
Era troppo lontana. 
L'unica opportunità che aveva, era che l'altro tributo morisse in quei pochi attimi.
Le telecamere lo stavano inquadrando, concentrandosi sul volto paonazzo del ragazzo che agitava freneticamente le braccia intorno a sé per sbucare in superficie. 
Inaspettatamente, ci riuscì.
Finnick fissò senza parole il tributo che qualche minuto prima avrebbe potuto uccidere Annie, uscire con la testa e prendere una profonda boccata.
Non aveva senso. Non poteva sopravvivere.
L'acqua era l'elemento di Annie.. quella era una prova. Era lei che doveva uscirne vincitrice. 
"No!" urlò fuori di sé, afferrando il televisore con entrambe le mani, iniziando a scuoterlo. 
"Finnick!" gridò Typhlos.
Mags si precipitò alle sue spalle, accarezzandogli una guancia per tranquillizzarlo. 
"Non può farlo!!" ringhiò. "Non può vincere!". 
Come se qualcuno avesse ascoltato le sue preghiere, osservò il volto del rosso contorcersi in una smorfia di dolore. Il corpo venne immediatamente circondato da un alone rosso vermiglio. Sangue. 
L'inquadratura riprese ciò che stava accadendo sott'acqua: un tronco spezzato aveva perforato il buso del tributo, squartandolo in due. 
Nella sala piombò il silenzio più assoluto. 
Lo schermo mostro l'Arena svuotarsi di colpo e subito dopo la telecamera si spostò sul corpo di Annie Cresta, distesa a terra a braccia aperte, che respirava affannosamente.
Successivi battiti di Finnick furono dolorosi: cannonate nel petto, che lo scaldavano come lava bollente e al tempo stesso lo scuotevano di brividi. 
Ci impiegò qualche secondo a realizzare l'accaduto. 
Era morto il 23esimo tributo nell'Arena e Annie respirava ancora, davanti ai suoi occhi. 
"Ce la fatta" sussurrò, con voce spezzata. 
Non si preoccupò di nascondere le lacrime che iniziarono a scorrergli lungo le guance o dei singhiozzi che gli scossero la schiena. 
Rimase davanti allo schermo a piangere come un bambino, ringraziando il cielo di aver risparmiato la sua unica ragione d'esistenza. 
Mags gli toccò delicatamente la schiena, per avvertirlo che sarebbero dovuti partire da lì a poco per andare a recuperare la ragazza.
Non se lo fece ripetere due volte. 
Salirono sull'hovercraft che si diresse fin troppo lentamente verso l'Arena.
Quando gli intimarono di rimanere a bordo, il Vincitore non volle sentire ragioni: nessuno gli avrebbe impedito di recuperare la sua donna. 
Scese con un salto agile e si mosse velocemente verso il corpo di Annie, quasi come se da un momento all'altro sarebbe potuta scomparire da davanti ai suoi occhi. 
Si chinò su di lei, accarezzandole le guance con amore.
"Annie" la chiamò piano. L'emozione gli si fermò in gola e fece male. Ma era un dolore piacevole.. il dolore di chi sa che è tutto finito. 
Lei sbatté le palpebre qualche volta, prima di aprirle ed incatenare i suoi occhi con quelli di Finnick. 
"Ehi" sussurrò, piegando le labbra in un sorriso. 
"Ehi" rispose lui. 
 
Annie scoppiò in lacrime di gioia e di dolore, di sconfitta, di liberazione e di sollievo tutto in una volta. 
Non riusciva nemmeno a capire cosa stesse provando in quel momento: aveva vinto. 
Finnick era davanti ai suoi occhi, ancora più bello di quanto ricordava. 
Così reale. 
Sollevò il braccio sano, affondando le dita magre nei capelli di grano del ragazzo, che chiuse gli occhi, assaporando fino in fondo quel contatto così desiderato. 
"Ho vinto" sussurrò con voce rauca, ignorando il dolore alla gola. 
"Sì, hai vinto" rispose lui, sorridendo. 
Annie si tastò i pantaloni, cercando di estrarne qualcosa dalla tasca. 
Con difficoltà, toccò un oggetto rotondo e liscio, bagnato e freddo. Lo estrasse e lo porse a Finnick. 
"Siamo noi" disse.
Era la schiacciante verità. 
Quel sassolino non rappresentava più solo Finnick, che da persona insensibile era rinato grazie ad Annie. 
Il sasso era la spiegazione della loro essenza, dell'essenza di ogni tributo uscito vivo dall'Arena. Nessuno entrava bianco e ne usciva dello stesso colore. 
Durante i giochi, la personalità delle persone veniva distorta e macchiata irrimediabilmente. Non esistevano degli innocenti
Erano menzogne, quelle che venivano raccontate; non esistevano vincitori, ma solo sopravvissuti, lasciati annegare nella dannazione delle loro colpe. 
Ma loro erano insieme, come dimostrava quel piccolo ed apparentemente banale sassolino: le loro due metà, buona e dannata, avrebbero dovuto convivere per l'eternità.. supportandosi però.
Finnick lesse negli occhi di Annie il suo stesso dolore, la sua identica colpa che non l'aveva più abbandonato da quando era uscito vivo dall'Arena. 
Non si trattenne più; pianse lacrime amare, perché mai avrebbe voluto condividere con lei quella sofferenza. 
"Sshhh" mormorò la ragazza, posandogli delicatamente un dito sulle labbra. 
Il Mentore sollevò il corpo martoriato e fin troppo magro della sopravvissuta, stringendola al petto come se fosse l'oggetto più prezioso al mondo. 
Quando dei soldati si avvicinarono per dargli una mano, si scostò. 
"Ce la faccio" disse. 
Nessuno l'avrebbe più toccata. Lui l'avrebbe protetta costantemente, a costo della sua stessa vita. 
La depositò dolcemente sul lettino, spostandole le ciocche di capelli ramati dal viso. 
Annie lo fissò ancora per qualche istante, prima di crollare nel sonno causato dalla morfina. 
   
 
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