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Autore: _Emanuela_3    14/04/2016    2 recensioni
«Aspetti che l’aiuto..»
Una voce familiare mi sorprende di spalle facendomi voltare. Davanti a me l’oggetto della mia più stupida cotta adolescenziale: Marcus Brown, di origini italiane, professore di storia e filosofia e moderatore del corso di poesia. Mi schiarisco la voce, consapevole di essere diventata un tutt’uno con il mio vestito rosso.
« Professor Brown ..? »
«Rebecca? »
Parliamo nello stesso momento, entrambi sorpresi. Lui non dovrebbe essere qui, vive dall’altra parte del mare sul “continente” con la sua splendida e biondissima moglie. Mi sento stupida come la prima volta che l’ho visto, al primo anno. Da quel giorno ho sempre avuto una sorta di cotta / venerazione per lui e in modo particolare per la sua voce. Ci studiamo per quella che sembra un eternità mentre il suo sguardo corre velocemente lungo il mio corpo. Facendomi sentire d’improvviso nuda. […] Fino a cinque secondi fa mi sentivo carina, ma ora sotto il suo sguardo indecifrabile mi sento un piccolo anatroccolo nero.
«Anche tu vivi qui?» chiede interrompendo il silenzio, mentre si avvicina allungando una mano per prendermi le buste.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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6. Una svolta inaspettata

«Rebecca, dacci un taglio!»
La vita e l’amore sono cose per coraggiosi. Mi alzai per fronteggiarlo.
«No daccelo tu un taglio! Mi vuoi? Allora dimmelo, sono qui. Ma se vuoi essere solo il mio professore non perseguitarmi, non venirmi a cercare sul luogo di lavoro e non arrabbiarti se non mi ci trovi. Ho avuto una cotta per te per tutti questi anni, sei stato quasi un ossessione per me. È stato anche grazie a questo se sono riuscita a fare progressi con la mia timidezza, perché c’eri tu a spronarmi. Il mio ragazzo era geloso di te e di quello che rappresentavi. Ma io, conscia del mio ruolo, non te l’avrei mai detto. Mai.» alzai una mano per interrompere sul nascere la sua risposta, non avevo finito. « Hai fatto tutto tu. Sei stato tu a rivoluzionare i nostri ruoli, a cominciare da quando mi hai invitato a vedere un film a casa tua quella sera. Questa settimana sei stato infantile e al culmine della tua infantilità mi hai baciata. Per poi rimangiarti tutto.»
Non ero in me, non ho mai avuto una reazione tanto agitata con nessuno. Posso affermare quasi con certezza che non ho mai discusso con nessuno in queato modo. Neanche dopo aver scoperto il “tradimento” di Paul. Mai. Sono sempre stata calma e riflessiva. O meglio, ero.
«Io non sono così, non urlo e non mi rivolgo agli altri in questo modo. Non sono una di quelle che se vuole un uomo va e se lo prende, sono riflessiva e indecisa. E tu questo lo sai. Sai che non avrei mai fatto un passo verso di te. Sei stato tu a decidere quando entrare e quando restare fuori. Certo, io te l’ho lasciato fare. E ne sono felice, perché non avevo mai parlato con nessuno come sono riuscita a parlare con te. Per fino il silenzio con te ha avuto un senso.  Nonostante questo non avrei fatto nulla, saresti rimasto solo il professor Brown» la voce mi tremava, io tremavo. Un po’ per il freddo, un po’ per la rabbia. Visto che continuava a restare in silenzio continuai.
«Hai detto delle cose, hai fatto delle cose e poi hai deciso che dovevi essere solo il mio professore. Bene. L’ho capito e l’ho accettato, dovresti farlo anche tu»
«Sei sincera?» chiese quasi in un sussurro.
«Che…?»
«Io… lascia perdere Rebecca, forse è meglio che torniamo a casa». Un passo avanti e cento indietro. Ma a che gioco sta giocando?
«Se vuole andare è liberissimo di farlo» ero stanca. Quella giornata sembrava non voler finire mai. Tutto quel discutere, quel rimuginare, quell’interrogarmi sui miei sentimenti mi aveva sfinito. Mia nonna diceva, tra le altre cose, che per le donne amare è più facile. Che lo capiscono prima, che lo accettano prima. Gli uomini, il più delle volte, faticano su quest’ultimo punto. Su questo non sono mai stata d’accordo con lei, ritengo che l’amore non possa essere inquadrato in uno schema di generi. Ci sono persone che faticano a rendersi conto di essere innamorate, altre che si buttano a capo fitto in ogni storia, altre ancora che amano, ma a modo loro. Io non so ancora a quale di queste categorie appartengo, ma oggi mi sono resa conto che potrei amarlo. A dispetto dei rischi e dei problemi, potrei amarlo veramente. Sento già un’affinità, un rispetto nei suoi confronti. Potrei, ma non è detto che me lo lasci fare.
Il suo sbuffo cattura la mia attenzione. «Non me ne voglio andare, ma…»
«Ma, se, però, forse…non sa dire altro? Se questo è tutto quello che ha da dire può prendere la sua macchina e tornare a casa. » lo interrompo, non voglio neanche sapere quale altra scusa sta per rifilarmi. Il sole è ormai calato e riesco a mala pena a vederlo. Ma sento il suo respiro e il calore del suo corpo così vicino al mio. Resta in silenzio per quella che sembra un’eternità, i pugni serrati lungo i fianchi e il respiro lento.
«Non sono mai stato bravo con i sentimenti Rebecca. E non sono cose che passano con l’età, anzi forse si peggiora». La sua voce è quasi un sussurro. «Mi piace parlare dell’amore dei miei, mi piace dire che mi sposerei qui, su questa spiaggia come hanno fatto loro. Ma al momento di mettermi in gioco mi tiro indietro. L’ho fatto anche con Scarlett, mi sono trascinato in un matrimonio in cui non credevo veramente perché era la scelta più facile» ammette amaramente. «Con questo non voglio rinnegarlo, dico solo che se fossi stato più coraggioso avrei fatto altre scelte. La scelta più facile sarebbe lasciarti qui, con questo orrendo vestito a meringa, andare a casa e dimenticare come hai detto tu. Per un po’ ci sono riuscito, sono scappato da questa attrazione, ma quando quel giorno ti ho vista con quel vestito rosso, i capelli arruffati e le scatole in mano ho sentito qualcosa. Se fossimo in un romanzo rosa ti direi di aver sentito il cuore perdere un battito, ma ti mentirei. Perché il mio cuore batteva a pieno ritmo. Adesso, qui davanti a te, dopo tutto quello che hai detto io…io sento il mio cuore battere come quel giorno» fa un passo verso di me, annullando la distanza tra i nostri corpi. «Con questo non voglio prometterti nulla, non voglio giurarti niente. Voglio solo dirti che sono dentro anche io, che non voglio dimenticare. Che l’idea di tornare a vederti solo come una mia alunna mi fa impazzire». Conclude avvicinando la sua bocca alla mia e suggellando le sue parole con un bacio. Rispondo al suo bacio, passando le mani tra i suoi capelli morbidi. Le sue mani sui miei fianchi mi stringono a lui, diventiamo una cosa sola. Un groviglio di corpi che si cercano e si bramano. Le sue labbra morbide e calde, la sua stretta sui miei fianchi e il suo odore inebriante mi danno alla testa. Ci sdraiamo sulla spiaggia, poggia la sua giacca sotto di me così da non farmi stare a contatto con la sabbia umida. Con un braccio sorregge il suo corpo così da non pesare su di me, mentre con l’altra mano esplora le mie forme fino a giungere sotto l’orlo della gonna, affondando sulle mie cosce. Le sue carezze si fanno insistenti, impazienti quasi. Con una lentezza esasperante mi lascia baci su tutto il collo e sulle spalle, strappandomi dei sospiri di piacere. Affondo le dita sulla sua schiena, ne voglio di più.
«Rebecca…» la sua voce roca, soffiata sul mio collo, mi spiazza. Tanto da tirarmi leggermente su per fronteggiarlo, cogliendolo di sorpresa colgo l’occasione per tirarlo giù con me. E lo bacio, carezzando il suo corpo proprio come lui aveva fatto con me. Gli sbottono la camicia per sentire la sua pelle sotto le mie dita. Entrambi abbiamo il fiato corto, nel silenzio della spiaggia si sentono solo i nostri respiri. Con foga slaccia la cerniera del mio vestito.
Saremmo andati oltre, molto oltre se non avessimo sentito in lontananza un paio di cani abbaiare non troppo lontano da noi, accompagnati da due voci che chiacchieravano animatamente.
«Dannazione, dobbiamo andarcene» sbuffa, staccandosi delicatamente da me. Afferriamo velocemente le nostre cose e corriamo verso le macchine. Fortunatamente entrambi abbiamo parcheggiato lontano dalla spiaggia, possiamo quindi raggiungerle senza dare nell’occhio. Saliamo ognuno nella propria macchina e ci dirigiamo verso casa. Durante il viaggio prego con tutta me stessa che non cambi idea, che non si metta a razionalizzare su ogni nostro gesto. Come avrei fatto io d'altronde, se non fossi già immersa fino al collo in questa….tresca? relazione? In questo rapporto indefinito, almeno per il momento.
«Dimmi che non te ne sei pentito.. » Chiedo non appena entriamo nell’ascensore. Lui per tutta risposta mi bacia, riprendendo da dove siamo stati interrotti. Ricambio il suo bacio felice, intrecciando le braccia dietro il suo collo. 
«Fai la brava » sospira sulle mie labbra, facendomi impazzire.
«Come vuole lei, professore» sorrido maliziosa.
«Sei un serpente tentatore, ecco cosa sei». Si stacca da me lanciando un occhiata eloquente verso le porte. Siamo quasi arrivati al nostro piano e non sarebbe il caso che i miei mi trovassero avvinghiata al mio insegnante. Cerco di darmi una sistemata.
«A che ora ti aspettano i tuoi?» chiede
«Non prima delle dieci e mezza, il sabato solitamente mi fermo a mangiare qualcosa insieme a Emily e Dana»
«Sono ancora le otto, se non hai già preso impegni che ne dici di mangiare qualcosa da me?»
«Sono entrambe fuori città e non ho altri impegni, accetto volentieri » gli sorrido mentre si aprono le porte.
Fortunatamente il pianerottolo è libero e entriamo in casa senza imbatterci in incontri imbarazzanti.
Questa volta cuciniamo insieme, aiutandoci a vicenda e scherzando come se ci conoscessimo da sempre. Ora che la tensione tra noi è diminuita riesco a rilassarmi molto di più. A tratti sono impacciata e timida ma ci può stare, dopotutto fino a qualche ora f consideravo questo uomo sotto tutta un’altra luce. Non sono ancora riuscita a chiamarlo per nome, mentre lui fa un uso spropositato del mio. Cosa che a pensarci bene ha sempre ha sempre fatto, anche in classe.
«Ti va un film? Abbiamo ancora un po’ di tempo e non ho proprio voglia di mandarti via»
Dopo aver ricevuto il mio assenso mette un dvd e si sdraia sul divano, invitandomi a sdraiarmi vicino a lui, con la mia schiena sul suo petto. Mi stringe un braccio sotto il petto e poggia la sua testa sulla mia. Mi viene spontaneo posare il mio braccio sul suo.
Il suo respiro sul mio collo mi rilassa, stare qui abbracciati e sentire così tanta intimità spazza via ogni mia preoccupazione o dubbio. In questo momento non mi interessa dare un nome a questa cosa, non mi interessa neanche quanto durerà. Adesso sono qui tra le sue braccia, domani non lo so e mi va bene così. Non parliamo per il resto della serata, di parole ne abbiamo già dette tante. Ci siamo detti più cose noi in poche ore che coppie che stanno insieme da una vita.
Anche il nostro saluto è veloce, mi sussurra un dolce a domani prima di lasciarmi andare via e io gli rispondo con un sorriso. Domani è la promessa più bella che potesse farmi. Un giorno in più, un giorno in più per noi.
I miei fortunatamente sono già a letto, così posso chiudermi in camera. La mia mente, finalmente libera, mi dà tregua. Raggiungo presto Morfeo e la mattina dopo sono più energica che mai.

La mattinata passa lenta, dopo l’energia iniziale cado ben presto in un mare di pensieri, dal quale fatico a riemergere. Potrà mai esserci un noi ? Potremo mai uscire alla luce del giorno? Sarò all’altezza di questa relazione? Queste e tante altre domande si susseguono come pugni nello stomaco. Di notte, con la luce delle stelle tutto sembra magico, possibile.
Lui è un uomo, è appena uscito da un matrimonio, è già “nel mondo dei grandi”. Io, nonostante la mia maturità, sono ancora una ragazzina, con i problemi tipici della mia età. Riusciremo a incontrarci a metà strada o i nostri mondi, così diversi, finiranno per dividerci?
Mi passo le mani tra i capelli, come a voler scacciare i  miei pensieri. Inutile pensarci adesso, inutile interrogarsi su un futuro così lontano e incerto, quando non so nemmeno quale sia il prossimo passo.
«Ei principessa ti va di andarci a fare un immersione?» la voce di mio padre mi desta dai miei pensieri. È domenica, il nostro giorno, le immersioni, i pranzi al molo e tutto il resto. Ha incassato un no dopo l’altro in questi mesi, ma non ha mai smesso di chiedermelo. Ogni domenica, con gli occhi pieni di speranza, incassa un altro no. Senza mai smettere di provarci. Lo guardo intensamente, nei suoi occhi non c’è più speranza, ma rassegnazione. È pronto per incassare un altro no. «Che ne dici se ti aiuto con le attrezzature?» rispondo incerta, so benissimo che non ha bisogno del mio aiuto ma è tutto quello che posso offrirgli. Il suo volto si illumina e le sue labbra si stendono in un bellissimo sorriso. «Dico che in questo momento sono l’uomo più felice del mondo, vestiti dai io ti aspetto giù». Annuisco e gli sorrido. Un piccolo passo.
Mi vesto di fretta e prendo la borsa, mentre mi avvicino alla porta sento delle voci parlottare sul pianerottolo. Apro la porta e resto gelata alla vista di mio padre che chiacchiera amabilmente con il professore.
«Rebecca che fai li impalata» mi esorta mio padre. «Stavo parlando con il tuo professore della valle dei coralli, pensa che non ne conosceva l’esistenza». La valle dei coralli è uno degli insediamenti più belli dell’isola, il mare li è ricco di coralli dalle forme sinuose, la spiaggia è arida e selvaggia. Leggenda vuole che li si andassero a riposare le anime dei marinai perduti in mare. Leggenda che si tramanda di generazione in generazione e che difficilmente esce dalle mura famigliari. Tanto da cambiare a seconda della persona che la narra. «Beh non è molto conosciuta nel continente » gli rispondo tentando di assumere un tono tranquillo. «Devo assolutamente rimediare» anche Marcus si comporta come niente fosse e devo dire che a lui riesce molto meglio. Chiacchieriamo ancora qualche minuto prima di salutarlo.
«Mi è sempre piaciuto quell’uomo, con te poi ha fatto un lavorone. Ne stavamo parlando con la mamma quando abbiamo scoperto che fosse il nostro vicino. Ti ha aiutata ad uscire dal tuo guscio e non lo ringrazieremo mai abbastanza» il suo tono è colmo di gratitudine. Chissà cosa ne penserebbe se sapesse che ho passato la serata tra le sue braccia. «Dove vuoi immergerti? » gli chiedo tentando di cambiare argomento. Mi lancia un’occhiata curiosa prima di rispondermi. La mattinata passa piacevolmente, alla fine non si è immerso neanche lui  e siamo stati in spiaggia a prendere il sole e a chiacchierare piacevolmente. «Che ne dici bimba bella se ci andiamo a mangiare una bella aragosta prima di tornare a casa?» mi chiede verso l’ora di pranzo.  Mangiamo di gusto prima di dividere le nostre strade. Mi accompagnò sotto casa prima di raggiungere la nonna di ritorno da New York.
Uscita dell’ascensore restai tra la mia porta e la sua, indecisa sul da farsi. Poi d’un tratto la sua porta si aprì e me lo ritrovai davanti con un sorriso malizioso stampato sulla faccia.
«Visto che non ti decidevi a suonare ho pensato di aprire » ricambio il suo sorriso e annullo la distanza tra di noi, lui mi prende tra le braccia e mi bacia. Le sue labbra cercano avide le mie, mentre con una mossa repentina mi prende tra le braccia e mi porta dentro, chiudendo la porta con le gambe. Ci ritroviamo sul divano, desiderosi l’uno dell’altra. Le sue mani scorrono sul mio corpo morbide e calorose. Le mie lo stringono ancora più vicino. «Bentornata…»  mi sussurra roco «è tutto il giorno che ti aspetto». Dice prima di lasciarmi dolci baci sul collo e sulle spalle. Vorrei rispondergli  io è una vita che ti aspetto, ma mi limito a gemere sotto il fervore delle sue labbra. Si ferma per guardarmi negli occhi. «Dove sei stata tutto questo tempo?» mi chiede, i suoi occhi sono luminosi, felici. Mi sciolgo sotto il suo sguardo e lo attiro verso di me senza rispondergli, baciandolo e cercando di dirgli tutto con quel bacio. Tutta l’attesa, la confusione, le ore passate a pensare a lui, a cercarlo per la scuola, ad ascoltarlo rapita.
Non cerca di andare oltre, non mi forza. Mi guida in questa danza di labbra che si sfiorano, si catturano, si cercano e si perdono. Ci ritroviamo ansanti con le labbra gonfie e intorpidite. «Che ne dici di uscire a cena?» lo guardo confusa, ha dimenticato che sono una sua alunna ? «Non arricciare il tuo bel nasino, possiamo andare a mangiare qualcosa sul continente. Conosco un ristorantino all’entrata di Kennedy City, è intimo e non dovremmo incontrare nessuno. Se restiamo ancora a casa non rispondo di me» conclude schioccandomi un bacio e alzandosi. Il mio corpo reagisce alla sua assenza e brivido freddo mi passa lungo il corpo. «Va bene, però devo stare a casa per le dieci. Domani c’è scuola e i miei…» lascio cadere il discorso. Lui annuisce. «Ci vogliono due ore tra andata e ritorno, non preoccuparti».
Ci siamo dati appuntamento per le sei, così ho tutto il tempo di cambiarmi e avvertire i miei. Al momento di scegliere i vestiti entro in crisi. Non ho mai fatto caso a queste cose, ma questo è il nostro primo vero appuntamento, lontano da tutti, fuori dai nostri ruoli e soprattutto in pubblico. Non voglio sembrare una bambina la suo fianco, ma non voglio nemmeno rischiare di esagerare e finire nel ridicolo. Alla fine opto per un abitino nero taglio impero, con la gonna larga. Dei sandali in tinta e lascio i capelli sciolti. Mi trucco gli occhi con una sottile linea di eye-liner e sono pronta. Nel complesso sono soddisfatta del mio abbigliamento. Per non destare sospetti mi aspetta nel parcheggio sotterraneo al palazzo, così da non rischiare di farci vedere insieme. Proprio mentre sto per uscire rientra mia madre. «Becca?!» mi guarda con sorpresa dalla testa ai piedi. «Sto male vestita così?» gli chiedo tesa «No, assolutamente sei bellissima tesoro. Se ti vedesse tuo padre gli si prenderebbe un colpo» mi rassicura sorridendo. «Va e divertiti, era ora che ti trovassi un nuovo amore»  «Ma…ma, non c’è nessun ragazzo» balbetto «Rebecca, piccola mia, davvero vuoi farmi credere che ti sei messa tutta in tiro per uscire con le tue amiche? Su vai adesso, prima che rientri tuo padre» mi lascia un bacio sulla guancia prima di lasciare la stanza. La ringrazio mentalmente per non avermi fatto domande e filo via, sperando di non incontrare mio padre lungo il tragitto.
Lui mi aspetta appoggiato alla sua macchina con le braccia conserte e lo sguardo assorto. Non appena lo raggiungo alza gli occhi verso di me. «Wow sei bellissima…quasi mi pento di averti invitata a cena» il suo sguardo scorre lungo tutto il mio corpo facendo arrossire. Mi scorta alla portiera e me la apre, aspettando che mi metta comoda sul sedile prima di chiuderla. Il viaggio trascorre piacevole e chiacchieriamo di tutto, film e libri preferiti, aneddoti e quant’altro ci passa per la testa. Il localino dove mi porta è elegante e intimo, la serata sembra volare tra chiacchiere e sguardi languidi. Il ritorno è più lento, prende tutte le strade più lunghe come a voler ritardare il momento dei saluti. Prima di scendere dalla macchina mi chiede il numero, vuole potermi sentire anche quando siamo lontani e non dover affidare i nostri incontri al caso.
Torno a casa con un sorriso enorme e un senso di euforia senza precedenti, i miei sono già a letto ma in camera trovo un bigliettino di mia madre “Spero sia stata una bella serata, quando sarai pronta per parlarne sono qui. Ti voglio bene, Mamma.” . Non posso fare a meno di sorridere, adoro il nostro rapporto e adoro il fatto cha sappia sempre lasciarmi il mio spazio.
Sto quasi per addormentarmi quando mi arriva un messaggio:

-Con quel vestito ho faticato a non saltarti a dosso. Domani sarà molto dura fare lezione…buona notte Becca, spero proprio di sognarti.-

Un sorriso mi nasce sponaneo sulle labbra. 

-Domani sarà molto dura prestare attenzione alla lezione…Buona notte professore, perché sognarmi quando puoi avermi?-

Scrivo velocemente e affondo la testa sul cuscino. Spero proprio di non aver esagerato, non sono proprio capace a flirtare  e per rispondergli mi sono ispirata a Emily e al suo modo di fare.

­-Così mi uccidi Rebecca…-

Non gli rispondo per lasciarlo “cuocere nel suo brodo”; come direbbe mia nonna. Mi addormento sorridendo serena, come non mi capitava da tempo. 







NOTE:

Ci tengo innanzitutto a scusarmi per questa lunga attesa,  prima di tutto sono anche io una lettrice e so quanto è brutto affezionarsi a una storia e non vederne mai la fine.
Mi è già successo con “Ricordati di me”, più scrivevo e più sentivo che quella storia e quei personaggi non mi appartenevano più.  Marcus e Rebecca tornavano sempre nella mia mente, immaginavo dialoghi, attimi di vita. Più cercavo di allontanarli più tornavano a galla. Così eccomi di nuovo qui, forte di una nuova ispirazione e finalmente ho chiaro davanti ai miei occhi il finale di questa storia. Ho già pronto un altro capitolo e un altro è in stesura. Non voglio promettervi nulla, ma cercherò di non lasciarli più. Spero che apprezziate questo capito e che valga l’attesa.
Rebecca e Marcus fanno passi da giganti in questo capitolo, ed’è proprio così che ho sempre immaginato la loro storia. Come un incendio che divampa veloce. Rebecca si allontana sempre di più da me, dal mio carattere e comincia ad assumere un identità sua. La sua storia non è più la mia storia e quello che ci accumunava all’inizio adesso ci divide. Così riesco finalmente a raccontare la sua storia e quella di Marcus.
La storia si conclude a giugno, ma ogni capitolo non rispetterà la durata di un mese, il tutto sarà conforme alle esigenze della trama. Ci saranno capitoli che prenderanno un giorno, altri una settimana e altri alcuni mesi. Gli altri personaggi cominceranno presto a intromettersi nella trama principale e la influenzeranno, in positivo e in negativo.

Vi lascio e vi ringrazio per essere tornati qui, Emanuela!

 
   
 
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