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Autore: James Potter II    16/04/2016    1 recensioni
Orion era un ragazzo normale. Cioè, viveva in un mondo normale. Solo che lui non aveva niente di normale. Riusciva a prevedere che tempo avrebbe fatto solo sentendo il vento, conosceva tutte le costellazioni, per non parlare di quella misteriosa ragazza che incontrava dappertutto, e da cui riceveva sempre aiuto e parole gentili. Poi tutto finì. Vide sua madre uccisa da una donna con i capelli di serpenti, sua sorella maggiore andarsene via nei boschi, lui e la sua gemella lasciati in fin di vita. Ma chi ha perduto tutto, può solo guadagnare...
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi dirigevo verso un corridoio illuminato da una fredda luce innaturale. Sembrava di essere in carcere. Ma, aspettate, stavo per finirci. Tutto perché la mia gemella era infastidita da un poliziotto, e io con quella mazza potrei aver colpito più forte del necessario... insomma, alla fine, sono qui, in centrale, con un grasso agente affianco a me, e pronto per quello che mia madre avrebbe detto. Entrai in una stanza, con le sbarre, di quelle dove stai quando hai fatto qualcosa che non dovevi e bisogna decidere cosa fare con te. Mi avevano preso il cellulare, e stavo li ad aspettare. O a proposito, credo di non essermi ancora presentato. Mi chiamo Orion Grace, ho i capelli biondi, gli occhi azzurri, e amo lo sport e scatenare risse. Veramente non è che mi piaccia scatenare risse, ma non so tenere a freno la lingua, e con il mio carattere arrogante e temerario, bhe... diciamo che non riesco a farne a meno. Conosco a memoria il cielo notturno, so riconoscere le costellazioni, conosco il nome delle stelle, e sono una specie di metereologo. Si, perché solo sentendo il vento, riesco a intuire che tempo farà. Mia madre dice sempre che è grazie a mio padre se ci riesco, che tipo poteva farlo anche lui. Ma di lui non mi interessa un bel niente: è scappato via appena siamo nati io e Liliana, la mia gemella. Sono iperattivo e ho un deficit dell'attenzione, come mia sorella, che è pure dislessica.
Sentì qualcuno che mi chiamava da fuori la mia cella. Mi voltai. Affianco alle sbarre, vidi una ragazzina di circa dodici anni, due in meno di me, con i capelli ramati, e con un giubbotto argentato. L'avevo vista spesso nella mia vita. Era sempre quella gentile fanciulla del parco, quella babysitter che mamma assumeva quando doveva uscire e la mia sorella maggiore non si trovava, quella scout che vendeva i biscotti.
«Orion, ma cosa mi combini?» chiese lei, con una voce gentile, ma con una certa freddezza. Io la guardai, inespressivo «non sono sicuro di conoscerti, anche se ti vedo spesso. Ma come sai il mio nome» «quelli come me sanno molte cose. Chi sei, qual'è il tuo cibo preferito, perché ti chiami Orion...». Continuavo a guardarla, avvicinandomi alle sbarre «chi sei?» chiesi. Lei mi sorrise «cosa mi stai chiedendo esattamente? Quel chi sei era solo un modo per chiedermi il nome, o vuoi sapere da dove vengo, come so tutte queste cose e perché mi incontri ovunque?» io non feci in tempo a rispondere «perché, se è solo il mio nome che chiedi, sappi che mi chiamo Artemide, il resto, bhe... c'è tempo per scoprirlo» si fece pensierosa «forse poi non così tanto». Si sentirono dei passi. La ragazza saltò dalla finestra, e la porta si aprì. Erano mia madre, Beryl Grace, Liliana e la mia sorella maggiore, Juno Grace. Erano accompagnate dal poliziotto grasso. Mia madre si avvicinò alle sbarre «Orion! Oddio Orion, non sai quanto mi hai fatta preoccupare» decisi di non dire niente di quella misteriosa Artemide. «Mamma, è tutto apposto. Ho solo steso un pubblico ufficiale che credeva che "fare il suo lavoro" volesse dire molestare le quattordicenni. C'è una cauzione che devi pagare oppure... » Liliana venne vicino a mia madre. Come me me, aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi, ma non aveva le mie lentiggini, prese da mia madre, e portava l'apparecchio. «mi vuoi dire che cazzo fai? Potevo cavarmela anche da sola» «non usare questo linguaggio» la ammonì mia madre «la centrale dovrà darci non poche spiegazioni per il comportamento di quel poliziotto» guardò torva il grassone, che si fece piccolo piccolo «ma ora portiamo a casa Orion, che domani dovete andare a scuola. Manca appena un mese e mezzo, e poi sarete salvi. Non fatevi cacciare» il fatto e che io e Liliana eravamo dei veri ribelli. Facevamo scherzi, rispondevamo male ai prof, combinavamo marachelle, come quando abbiamo intasato i water e l'intero bagno dei ragazzi si era allagato. Quando nostra madre ci aveva iscritto alla nostra ottava scuola, in altrettanti anni, la Aftermoor High School, le avevamo promesso che avremo fatto i bravi. Fino a quel momento c'eravamo quasi riusciti, tralasciando qualche nota e le mie risse, ma non sapevo ancora come sarebbero andate le cose.
«Ma insomma, mi dici cosa diavolo ti è saltato in mente?» mia madre era davanti al divano dove ero steso a guardare il cellulare. Liliana era a farsi il bagno, e Juno era fuori con qualche teppista. Mi alzai di scatto «ho salvato mia sorella. Tu che avresti fatto, ti saresti nascosta dietro un cespuglio a guardare, o saresti scappata, come mio padre?» «non inseriamolo in questa storia ora! E non dico che non dovevi fare niente. Ma era davvero necessario colpirlo con una mazza fino a fargli perdere i sensi. E sei fortunato che a vederti è stato un altro poliziotto e non un cittadino, se no ora la faccenda sarebbe su tutti i giornali» «e ovviamente questo poliziotto che ha soccorso l'altro ha visto me stenderlo ma non lui infastidire mia sorella. Mamma, non farmi la predica, avrei voluti fargli anche di peggio» sbrattai. Odio le ingiustizie. Ecco perché mi creo da solo le regole da seguire, perché quelle scritte spesso non sono giusto. Sono un po' come Batman. Mia madre si portò una mano alla fronte «senti, non credo certo che la polizia sia formata da nobili paladini della giustizia, ma devi renderti conto che non puoi comportarti così. Ti ricordi quando andavi in seconda media? Tu e Liliana avevate nascosto delle bombe puzzolenti nell'ufficio del preside, e per questo vi hanno espulsi» io risi leggermente «o quando in prima media hai rovesciato una lattina di soda sulla testa di un prof che aveva ingiustamente sgridato un piccoletto. O quando l'anno scorso, in terza, avete liberato tutti i rospi nel laboratorio di scienze?» «dovevano essere sezionati. Abbiamo solo salvato un centinaio di vite» dissi io con un mezzo sorriso «il punto è» continuò «che non ti sono mai piaciute le regole, e questo lo so, hai sempre preferito creartele da solo, come tuo padre» fece una pausa «ma se continui così, cosa pensi di diventare? Cosa vuoi essere, un eroe greco che uccide mostri e salva città? Perché sappi che questi non sono più gli eroi. I veri eroi sono i cittadini onesti. Quelli con un lavoro, che si sposano, pagano le tasse, rispettano le regole e contribuiscono a mandare avanti lo stato» mi sedetti, con i gomiti appoggiati sulle gambe, guardando mia madre «mamma» cominciai «non è vero che chiunque è un eroe. Io non so se sono un eroe. Non so se eroe si nasce, o se si plasma con gli anni, o se lo si diventa dopo una disgrazia, come spesso si è visto» sospirai «ma un eroe è colui che interpone il bene degli altri al suo, colui che non si tira indietro davanti ad una sfida, che rischia istintivamente la vita per salvare quella di un altro. Prendi Leonida, con i suoi trecento spartani al passo delle Termopili, o Amelia Heart, per citare un esempio più moderno, che dimostrò come una donna fosse in grado di pilotare come un uomo, se non meglio. La società moderna ha un concetto distorto di eroe. Ora, se non ti dispiace, dovrei andare a letto, non vorrei fare tardi domani» detto questo, salii le scale. Avevo di nuovo lasciato senza parole mia madre con uno dei mie profondi discorsi. Mi sentivo un genio. 
Andai a letto, ignaro che la mattina dopo, sarebbe stata l'ultima passata con mia madre. 
Mi svegliai alle sette del mattino, come al solito. Presi velocemente la divisa scolastica dall'armadio, e corsi fuori. Il bagno era ancora libero. Ma proprio in quel momento, uscì mia sorella, che aveva la camera davanti la mia. Il bagno era tra le due. Ed ogni mattina era una battaglia su chi dovesse usarlo. Juno usava quello del piano di sotto, dove stava la sua camera. Corsi verso il bagno, io e Liliana ci prendemmo un po' a spintoni sulla porta, ma poi entrai per primo, anche se solo perché ero caduto in avanti. «Bhe cara sorella» la schernii «a quanto pare la dea bendata oggi era dalla mia parte. Scusami cara Lilith» e dicendo questo, mi chiusi la porta del bagno alle spalle, lasciandola fuori furiosa. Mi lavai i denti, mi radei la barba... si va bene, i baffetti, mi feci una rapida doccia, e poi mi vestii. La divisa era composta da una camicia bianca, un gilè blu e una cravatta scozzese. I pantaloni erano grigi, e sotto mi infilai le converse. In realtà il regolamento richiedeva scarpe formali, ma come ho già detto, non seguo mai le regole. Aprì la porta del bagno, e vidi Lilith che aspettava a braccia conserte «tutto tuo sorellona» dissi lanciandole la chiave del bagno.
Erano le sette e venti, secondo il mio cellulare, e considerato che per arrivare alle otto, sarei dovuto uscire alle sette e mezza, avevo tempo per la colazione. 
Mamma aveva preparato i pancake, la mia colazione preferita. Io e mia sorella li amavamo letteralmente. Scese anche lei. Juno era già seduta al tavolo con un bicchiere di succo davanti, e si stava versando lo sciroppo d'acero nel piatto. Quando mamma mi vide, non sorrise, e io capii che era ancora un po' scossa per ieri. Certo, l'avevo presa con leggerezza come mio solito, ma accidenti, ero stato arrestato. Me ne resi davvero conto solo in quel momento. Dunque ci sedemmo e mangiammo in silenzio. Poi ci accompagnò tutti e tra scuola. Juno frequentava il suo terzo anno alla Aftermoor High, e parlava già di una macchina nuova.
La BMW di nostra madre si fermo nel parcheggio della scuola. Scendemmo tutti e tre, e arrivammo giusto in tempo per il suono della campanella. 
Io e Lilith avevamo epica alla prima ora, e la materia la insegnava il professor Rhett Desmond, il nostro professore preferito. Desmond era un uomo sulla trentina, alto e muscoloso, con i capelli biondi lunghi fino alle spalle che teneva legati in un codino. Gli occhi erano verde smeraldo, portava la barba corta e indossava sempre una giacca di pelle nera sotto la t-shirt rossa e i pantaloni di pelle da motociclista, calzava spesso stivali da moto. Era un po' strano che insegnasse quella materia, ma era davvero bravo.
Quel giorno entrò in classe come al solito con gli occhiali da sole modello aviator, ma che si tolse appena entrato, appendendoli al collo della maglietta «buongiorno gentaglia» disse con il suo tono caldo «buongiorno professor Desmond» ripeté la classe. Lui aprì il suo libro, e lo fece aprire anche a loro alla pagina 130. Si parlava della dea Artemide «la casta Artemide» cominciò lui «è la personificazione della luna crescente, insieme a Selene, la luna piena, ed Ecate, la luna calante. Tuttavia, lei ha il dominio completo su questo splendido astro» parlava di tutti gli dei al presente, come se fossero presidenti o regnanti europei «dovete sapere che aveva fatto voto di castità, così come le sue ancelle, le cacciatrici. Nelle leggende, un solo uomo era riuscito a far breccia nel suo cuore, chi sa dirmi chi?» mi guardò «Orion, sai dirmelo tu? Ti do un indizio, avete qualcosa in comune» ci pensai un attimo «era per caso... ehm, Orione?» mi era sempre piaciuta la mitologia greca «esatto, il cacciatore dagli occhi azzurri. Sai anche la leggenda?» «vediamo» cominciai «allora, mi pare che fosse un gigante cacciatore. Sull'isola di... Chio se non sbaglio, corteggiò una certa principessa, Merope?» Desmond annuì, e io continuai «ma lei lo rifiutò e lo fece accecare. Poi su... sull'isola di... Lemno, credo, Efesto gli fece dei nuovi occhi, perfettamente somiglianti a dei veri occhi, azzurri come quelli vecchi. Qui sposò Eos, l'aurora. Era grande amico della dea Artemide» ripensò improvvisamente a quella ragazza nella cella «uno dei pochi maschi ammessi alla sua caccia. Poi qui il mito si divide. Secondo alcuni, Artemide si innamorò di lui, ma lui la rifiutò, in quanto sposato con Eos. Poi però Apollo mandò uno scorpione ad ucciderlo, geloso della sorella. Allora Zeus pose Orione e il suo cane, Sirio tra le stelle, come costellazioni, e da allora, Artemide, si allieta guardando Orione, il bel cacciatore. Lui, con corazza d'oro e spada d'oro, va per il cielo in traccia di favolose fiere, mentre Sirio, il suo cane fedele, lo segue traverso i campi turchini fioriti di stelle. In cielo fronteggia la carica del toro, e tramonta esattamente quando la costellazione dello scorpione sorge, in modo da non dover più affrontare quella minaccia. La seconda storia, decisamente più brutta, dice che Orione si era innamorato di Artemide, e non viceversa, e che la dea per difendersi lo uccise a colpi di frecce» accidenti se ero stato bravo.
«Non male» si complimento il professor Desmond «non hai tralasciato quasi niente, giusto la sua nascita. Era un figlio di Gea, la madre terra, come tutti i giganti. Ma comunque, Artemide è la dea della caccia, dei boschi, della luna e protettrice degli schiavi. Figlia del possente Zeus e di Latona dalla bella chioma. Nacque sull'isola di Delo, prima del suo gemello, Apollo, infatti aiutò la madre a farlo nascere. Trasporta la luna su un carro argenteo trainato da un cervo» qualcuno in classe disse oh-oh-oh, come Babbo Natale, e tutti scoppiarono a ridere. Il professore non se la prese, e si unì anche lui alle risate. Poi riprese «non aveva figli semidivini, come la maggior parte delle divinità, essendo una dea casta. Era una delle tre dee caste, insieme ad Atena, dea della saggezza, e ad Estia, dea del focolare. I romani le conoscevano come Diana, Minerva e Vesta, e dedicarono loro vari templi» un ragazzo dai capelli neri e gli occhi da folle alzò la mano, e Desmond gli diede la parola. Ma fu un errore. Era Jax Gordon. Guardò il professore con uno sguardo da pazzo, e chiese «lei preferirebbe farsela con Artemide vero?» il professore si alzò, si diresse verso di lui, e posò le mani sul suo banco. Non lo avevo notato prima, ma aveva i mezzi guanti «io preferirei che chiudessi quella boccaccia. Oppure preferisci essere appeso all'asta della bandiera per le mutande. Indossando solo le mutande» Jax abbassò la testa. «Domanda sbagliata caro Jax» dissi, lui si voltò verso di me «taci Grace» disse lui sotto voce «seccato per essere stato minacciato da un prof davanti a tutta la classe?» gli chiese Lilith «che cosa vuoi tu?» rispose «non parlare a mia sorella in questo modo» la difesi subito io. Lui rise di scherno «sennò che mi fai?» «non vorresti scoprirlo, credimi» risposi. Lui allora prese una penna da un banco a fianco, e la lanciò alla mia gemella. A quel punto mi arrabbiai sul serio. Non tanto perché l'aveva colpita, ma perché ero stato sfidato. Non è che ricordi molto. Mi pare di averlo spinta a terra e di avergli fatto cadere addosso il banco. Avevo un piede che gli spingeva il pesante banco contro il petto, mentre urlavo tipo «chiedile scusa bastardo!». Il professore si alzò subito, mi prese da dietro e mi allontanò da Jax, che si stava togliendo il banco di dosso. Finii inevitabilmente dalla preside. Entrai in un grande ufficio, con una grossa scrivania contro il muro centrale. La signorina Em era una donna di mezz'età. Portava sempre un cappello di lana giallo da donna, che le copriva completamente i capelli, una giacca di pelle nera, e un paio di occhiali da sole. Mi guardò entrare, poi mi fece accomodare, ed parlò con quella sua voce suadente «signor Grace, stai avendo dei problemi in questo anno di scuola?» scossi leggermente la testa. Stavo mentendo. «Davvero? Perché, hai appena fatto cadere un banco addosso ad uno studente, e la settimana scorsa ne hai appeso alla lavagna un altro. E ancora il mese scorso, hai infilato la testa del signor Gordon in un secchio della spazzatura» poi avvicinò il suo viso al mio, e con un sussurro disse «io so chi sei, Orion Grace, ti ho cercato per parecchio tempo. Quando sei arrivato qui, aspettavo solo il momento più adatto» detto questo, si allontanò, si alzò in piedi, e si levò il cappello. Sbaglio, o aveva una chioma di serpenti? Si stava per levare gli occhiali, quando mia madre con il signor Desmond irruppero nell'ufficio. Desmond rovesciò la scrivania, e tutti e tre ci parammo dietro. «Che succede?!» urlai io. Non ottenni risposta. Desmond si strappò delle strisce dalla maglietta, e ne porse una a me, una a mia madre, e una se la legò come una benda sugli occhi. Mia madre fece lo stesso, e io gli imitai. Sentii un rumore metallico, poi qualcosa di forte mi afferrò, e poi il suono di vetri infranti. Stavo cadendo nel vuoto. Qualsiasi cosa mi stesse reggendo, atterrò, senza riportare apparentemente dei danni. Eppure stavamo al terzo piano. Mi sentii gettare da qualche parte. Mia madre mi disse di levarmi la benda, e io lo feci. Ero nella sua auto, seduto dietro con Lilith, non si vedeva Juno. «Qualcuno mi dice cosa succede?!» sbottai. Lei era sbigottita quanto me. Vicino alla nostra auto in corsa, c'era la moto del signor Desmond, un'Harley Davidson Street Glide, secondo quanto diceva lui. Aveva ancora la benda, eppure riusciva a guidare perfettamente. Mia madre ci disse di non guardare dietro per nessun motivo. «Un attimo» feci io «chioma di serpi, bende sugli occhi, signorina Em... emme...» «cosa cavolo stai dicendo?» chiese Lilith. «Ma andiamo, chi conosciamo che è stata trasformata in mostro da Atena? Per aver giaciuto con Poseidone in un tempio della dea?» «è Medusa!» sbottò mia madre. «Cosa? La gorgone?» fece Lilith. Arrivammo proprio in quel momento l'auto si fermò. Eravamo sotto una collina. «Dove siamo?» chiesi. «Long Island, vi trasferirete al campo» mi rispose mia madre. Non feci in tempo a chiedere spiegazioni, che ci ordinò di bendarci gli occhi. Vidi lei mettersi la benda rossa, invece Lilith usò la cravatta. Nostra madre ci fece scendere. Sentii i rumori di una lotta. Ero troppo curioso, allora mi tolsi la benda, girandomi verso l'auto, in modo da non guardare il mostro negli occhi. Presi il cellulare e lo usai come specchio, in modo da poter osservare la lotta rimanendo voltato. Mia madre aveva una spada in mano, e cercava di colpire Medusa, che però era troppo veloce. E brutta! Accidenti se lo era. Non si vedeva il signor Desmond. Poi, in quel momento persi tutto. Vidi mia madre scivolare. Ricordai di aver urlato. Medusa fermò a terra mia madre con un piede. Le tolse la benda. Allora si che urlai. Urlai verso Lilith, ancora bendata. Le urlai quello che era successo «mamma è stata pietrificata!» ero oramai fuori di me. Vidi Medusa correre verso di noi, e allora mi bendai di nuovo, e spinsi a terra mia sorella. Sentii delle mani viscide afferrarmi «tesoro» disse Medusa «oramai avete perso, arrenditi» «mai!» urlai. Ma era la cosa sbagliata da dire, a quanto pare. Mi spinse a terra, si accovacciò su di me per togliermi la benda. Dovetti pensare alla svelta. Tastai il suolo. Anche quella volta la dea bendata mi favorì. C'era una spada, probabilmente quella che usava mia madre. La presi. Era pesante, ma riuscii comunque a sollevarla. La conficcai nel fianco del mostro, che cadde a terra. Tastai il suo corpo, e trovai la testa. La tagliai con la spada, poi mi sfilai il gilè e gli lo misi sopra. Fu in quel momento che svenni per la stanchezza.
   
 
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