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Autore: Alaska24    21/04/2016    0 recensioni
L' amore è quel sentimento egoista, lasci che una persona ti condizioni la tua vita, il tuo stato emotivo. Cominci sempre più a pensare a quella persona in cambio di felicità. I sospironi che fai quando hai una cotta, cambiano e diventano leggeri e gioiosi. Cambia anche il senso delle parole che dici, se dici ti voglio bene ad un'amico non succede nulla di che ma se lo dici alla persona che ami diventa estremamente più profondo. E il desiderio di voler stare a tutti i costi con una persona.
Non puoi fidarti di chi ti innamori perché è destino che se ne vada e nel farlo, ti spezzerà il cuore nei modi peggiori, rendondoti cattiva e miscredente per una prossima storia.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Capitolo 1

 

Neve

 

 

Dicembre stava bussando intrepido alle porte, era il mio mese preferito per moltissime ragioni, come per esempio, il fattore freddo. Adoravo quando lo sentivi fin dentro le ossa, dava quella sensazione di tempi passati e ormai dimenticati.

Ma soprattutto, mi piaceva Dicembre perché il più delle volte, nevicava, la purezza dei fiocchi che cadono dal cielo è ammaliante sotto certi punti, e quando creano il manto bianco per le strade, ma bastava un nulla per sciogliere quella “magia”

Danielle Williams, odiavo il mio cognome per via di mio padre, fin da ragazzo abbiamo avuto le nostre divergenze, ho passato innumerevoli giorni a urlargli dietro per via della sua dipendenza dal gioco d'azzardo. All'inizio era qualcosa di gestibile, per quanto malsano era. Fino a che, non si giocò la sua casa, dove io e mia mamma abitavamo. La ricordo ancora incazzata a morte e se ne andò da lui, portandomi via con lei. Avevo degli amici dov'eravamo prima, avevo una vera e propria vita lì.

Quello e magari un amore che non c'era più spinse mia madre a divorziare da lui, dopo il divorzio, non lo vidi più ed eravamo estremamente felici per questo, nonostante abbia dovuto abbandonare tutto quanto.

All'età dei miei diciottanni, mi ritrovai completamente da solo, il lavoro di mamma, la portò a muoversi ben più lontano da dov'ero, dovette andare nelle città del nord e mi chiese se volevo andare con lei e sinceramente, le risposi di no. Non avevo voglia di rifarmi una terza vita, ancora più sperduto, nuovamente senza amici.

Lei capì la mia posizione, ma non voleva lasciarmi per strada, così, prima di partire, anticipò ben cinque mesi d'affitto per la casa dove vivevo, per aiutarmi e mi disse << Tranquillo, non sarà una cosa permanente >> ma lo era. I mesi passarono e ci scrivevemmo via mail. In alcune di queste mi spronò a cercarmi un'entrata da solo, non poteva sempre versare lei, di tasca sua, insomma, mi stava responsabilizzando piano per piano.

I miei capelli potevano dire molto di me, erano lasciati li, senza una cura adeguata, con un castano più simile al nero e tanto lunghi. Motivo? Non avevo tutta questa voglia di farmeli o tagliarmeli. Sembravano di vivere di vita loro. Ero uno di quelli che veniva chiamato spilungone, essere alti dava un certa sensazione di maestosità verso quelli più bassi di te.

Vivevo una vita? Forse, era troppo normale, per qualche mese cercai di frequentare qualcosa nella ridente cittadella di Buckenville. E la cosa funzionò, anche se per poco, ma conobbi due ragazzi dei quali, non avevo la minima idea di diventarli amico.

Jeremy non portava nessun taglio eccetto il crestone tinto di vari colori, era basso difatti nel gruppo era quello più sfottuto da me per via dell'altezza, ma dopo me ne pentivo sempre, perché testava su di me l'ultima mossa scoperta nel campo della lotta, ne era davvero patito, e dai suoi capelli, si poteva capire che era mezzo punk, ascoltava il tipo di musica che ti faceva venire voglia di scatenarti, che ti faceva infuriare l'anima e ti faceva venire voglia di ballare. Io preferivo qualcosa di più tranquillo, forse anche qualcosa di sentimentale. Dei tre, era quello più vivace, più scemo direi anche, ma erano risate assicurate con la sua presenza.

Quando decisi di frequentare qualcosa, dovetti prima compilare delle scartoffie in comune e mi ricordo che lo vidi sedersi di fianco a me e mi disse se poteva copiare quello che scrivevo. Quasi oltraggiato da quella stupidità superficiale, gli spiegai tutto e lui cadde in una esclamazione cosi sincera, che risi di gusto. Una volta compilate, lo rincontrai, parlammo e straparlammo e da quel giorno, diventò mio amico

L'altro, che si chiama Kevin, invece era fissato con i libri e l'arte. Aveva un'aspetto normale, statura media, capelli ricci e lenti a contatto (non sopportava gli occhiali).

Era uno spirito affine al mio, apprezzavamo le stesse cose, avevamo quasi gli stessi gusti in musica ma allo stesso tempo, sembrava essere affine anche a Jeremy, e in quel caso, diventava la sua copia, un pochino più timida però. Era stranissimo vederlo trasformare dal topo di biblioteca allo scienziato pazzo.

Se non fosse stato per loro, il mio ambientamento a Buckenville, sarebbe stato assai peggiore, con il passare del tempo, il nostro legame diventò sempre più intenso come se ci conoscessimo da quando eravamo bambini.

Oltre a quello, la mia vita era fin troppo noiosa, nessuna emozione, niente di niente. Ma in fondo speravo che le cose cambiassero, per dirla tutta, speravo di provare sulla mia pelle l'amore, quello di cui si scrive e si canta. Non ho avuto molta fortuna nei miei anni, anzi, mai avuto la possibilità in tutto e per tutto. Nonostante la mia combriccola mi ripeteva spesso di non desiderarlo neanche, poiché è qualcosa che cambia tutto di te, ti altera, ti fa fare cose stupide e dire cose senza senso logico, erano soliti ripetermi, ma non li ascoltavo mai, era un po il mio sogno.

Da quando arrivai tre anni fa, una cosa cambiò e mia madre ne fu entusiasta quando lo venne a sapere, avevo trovato un lavoro. Facevo il barista al Monaco Ubriaco, uno spazioso e sgradevole bar in centro città, ricordo che quando mi presentai al proprietario, (il quale lavora con noi) sudavo freddo e balbettavo troppo, dand una brutta impressione. Ma nonostante quello, mi prese con loro.

Erano in due, lui si chiamava Ivan, aveva all'incirca una quarantina d'anni, il barbo da persona vissuta ma curato, da non farlo sembrare un poveraccio, la gestione del suo bar gli era stata tramandata dalla famiglia, e la prima cosa che chiesi era il motivo del nome << Ovviamente, i monaci sono una figura severa e rigorosa sulle loro abitudini >> cominciò a raccontare << Percui, a mio nonno piacque l'idea di prenderli in giro, e voleva che il suo bar dovesse avere un particolare, della quale ci si ricordava. Quindi, ecco il Monaco Ubriaco! >> mi spiegò. Il ragionamento era giusto e devo essere sincero, è un nome che fa parlare, sia nel bene che nel male. L'altro mio compagno di turni era Jason. Era un' armadio otto per otto dal cuore buono e grosso come una casa , con i suoi capelli lisci e biondissimi, non mi stupiva il fatto che fosse gay, e comunque, con il rugby nelle sue vene. Era solito salutarmi con una pacca cosi allegra da farmi quasi cadere ogni volta. Ovviamente, per me, all'inizio era difficile orientarmi dietro il bancone e tra i clienti. Jeremy e Kevin, sapendo del mio primo giorno di lavoro, si presentarono lì facendomi perdere tempo e Ivan, mi affidò il suo cliente peggiore, per scherzo. Il signor Lewis. Un'anziano reduce dal servizio militare, con una famiglia disastrata. Anche se veniva ogni giorno, non prendeva mai alcolici, si sedeva nel punto più isolato del bancone, ossia tutto a destra. Il quale toccò stranamente a me. Jason mi avvertì del suo atteggiamento scorbutico e burbero. Provai a parlargli << Vuole ordinare? >> gli domandai << No >> rispose velocemente e prima che potessi avere il tempo di imbarazzarmi, mi raccontò quasi tutta la sua vita, verso la fine, dovetti resistere a non addormentarmi ma per il resto, la trovai interessante, un po meno la parte della sua famiglia, che nonostante i loro problemi erano uniti. Ce l'avevo con tutti quelli che si lamentavano delle loro, se lo facevano, io cosa dovevo dire? Ma da quel giorno, sbalordendo Jason e Ivan, il signor Lewis si sedette sempre più volentieri nella zona dove servivo e io ne approfittai, raccontandogli, col tempo, anche la mia di storia. Sembrava essere il padre che non ho mai avuto.

Quando scrissi tutte queste cose per mail a mia madre, ne fu davvero felice, aveva paura che non sarei riuscito a farmi una vita ed onestamente, non so neanche come io ci sia riuscito.

Tutto sommato era una vita tranquilla, con i suoi alti e bassi, ma quando, l'uno dicembre, arrivò un temporale, non avrei mai immaginato quello che venne dopo.

   
 
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