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Autore: laNill    24/04/2016    1 recensioni
Seto lo aveva osservato in silenzio, inarcando un sopracciglio con sfrontatezza, mascherando la sua perplessità con mera superficialità. Eppure, nel momento in cui Yami si era voltato, un movimento lento e breve, solo il suo reclinare del viso sfiorato dal barlume chiaro dei raggi del sole e il posare le iridi ametista sulle proprie.
In quel momento, ci fu qualcosa. “Sono contento di averti incontrato, in questa vita che gli dei mi hanno offerto.”
Ed ebbe la certezza di vederli chiaramente, i tendaggi bianchi smossi dal vento tiepido, la corona dorata che baluginò in una punta di luce un riflesso del sole, il tintinnio dei pendagli di lapislazzuli e di preziosi a quel suo movimento lento.
' Perché devi farlo? '
[Prideshipping | Seto Pov]
| Partecipante al “YGO 20th anniversary contest”, indetto da Evee90 sul forum di EFP |
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dark/Yami Yuugi, Seto Kaiba
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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_Autore: Ladyrin_
_Titolo: Di rabbia e di rimpianto.
_Personaggi e pair: Seto Kaiba, Yami no Yugi, Yugi Mutou; Prideshipping.
_Prompt scelta: Millennium Ring.
_Avvertimenti: Missing Moment.
_Rating: Verde.
_Generi: Angst, Slice of Life.
_Note autore: Alur, faccio delle piccole premessine.
Il prompt, che era a mia discrezione se usare o meno, era sullo scrivere di un Villain. Ora: io non so se il caro Seto possa essere considerato un villain.. è un po’ schizoide, ma lo è in senso buono (?!) quindi forse sì/forse no; avrei voluto scrivere di Bakura ma pace ;;
Riguardo la storia, vorrei precisare una cosa per rendere la lettura più scorrevole: la ff è incentrata prevalentemente sul ‘dopo’ il manga, quindi riguarda un Seto mesi e mesi dopo che il Faraone se n’è andato, nonostante però il primo pezzo della storia ripercorra un momento che va posto durante l’ultima saga dell’antico Egitto dell’anime.
.. Cose contorte, I know. Se non mi complico la vita godo solo a metà (??)
Aniway, spero di non aver incasinato troppo il tutto e che piaccia ugualmente.
Enjoy;
 
 
 Di rabbia e di rimpianto
 
 

Ricordava bene l’ultima volta che erano stati solo loro due.
Lo ricordava come se fosse stato il giorno prima e avesse avuto ancora la possibilità di parlargli; lo ricordava come si ricorda il profumo di casa, così familiare da non riuscire a dimenticarlo neppure volendo, o il rumore della pioggia, la stretta di una mano tanto forte da sentirne il calore passare di pelle in pelle, il calore al cuore nel vedere un sorriso sul viso di suo fratello.
Seto ricordava quel momento come una parte segreta, intima della sua vita, seppur velata di quell’amara consapevolezza, di quella profonda malinconia che quel ricordo portava con sé.
E lo sognava spesso.
Non era stata l’ultima volta che l’aveva visto – quel momento, dentro quella stanza nelle profondità della roccia, vedendolo svanire al di là di una luce troppo accecante da sostenere, lo aveva rimosso dai propri pensieri, non lo aveva mai accettato del tutto, né probabilmente lo avrebbe mai fatto.
L’ultima volta che erano stati da soli, l’ultima volta che gli aveva parlato, era stato il giorno della sua partenza.
Si era annunciato alla sua segretaria come Yugi Mutou, come era solito fare, eppure aveva aperto le porte come Yami.
Non voleva ammettere ancora a sé stesso che ci fossero due persone con quell’aspetto ridicolo, ma dalla forma affilata dello sguardo, dai lineamenti severi ma delicati del viso e dal modo di porsi, deciso e sicuro di sé, aveva imparato a capire che Yami non aveva nulla a che spartire con il ragazzino timido, insicuro e con una scarsa capacità di articolare due parole in fila quale era Yugi.
Aveva imparato a riconoscerlo da tempo, ormai.
Gli aveva detto che sarebbero partiti, lui e tutto il resto di quel ridicolo gruppo che si portava dietro per motivi che gli erano ancora ignoti: in Egitto, un viaggio che non aveva smosso troppo il suo stupore. Fissato com’era, se l’era aspettato.
Eppure a stupirlo fu la sua mesta e labile richiesta, nascosta tra le righe di una domanda che gli pose guardandolo con occhi accorti e velati di un qualcosa che, solo dopo, capì essere speranza: gli chiese di andare, di partire con loro.
E nonostante la sua negazione quasi irrisoria che gli uscì d’impulso, col senno di poi, rimpianse di avergli dato quell’ennesimo rifiuto.
Ciò che accadde gli istanti successivi fu ciò che ricordava di più.
Un ricordo disperso come una nuvola di fumo dai contorni sbiaditi, ma dalle immagini nitide che continuava a sognare, ancora e ancora.
Aveva allungato appena la mano esile, Yami, sfiorando impercettibilmente il vetro caldo per il sole che vi si rifletteva con i polpastrelli e, a seguire, con tutto il palmo.
Lo sguardo socchiuso sfiorò come una carezza, mesto e profondo quanto la sua stessa anima, il profilo delle case, dei palazzi, delle strade animate con una sorta di velata ed amara nostalgia, screziando l’iride ametista di un barlume più chiaro.
Non avrebbe mai creduto, Yami, di essersi tanto affezionato a quel posto, per quanto così diverso, così distante ed estraneo a quello che doveva essere il suo regno, sotto al sole cocente, in un Egitto ormai troppo lontano e ancora sconosciuto ai suoi pochi e radi ricordi.
“Sapevo di dover raggiungere presto il luogo dal quale provengo, è giusto così; la mia stessa anima lo richiede. Eppure...”
Seto lo aveva osservato in silenzio, inarcando un sopracciglio con sfrontatezza, mascherando la sua perplessità con mera superficialità. Eppure, nel momento in cui Yami si era voltato, un movimento lento e breve, solo il suo reclinare del viso sfiorato dal barlume chiaro dei raggi del sole e il posare le iridi ametista sulle proprie.
In quel momento, ci fu qualcosa. “Sono contento di averti incontrato, in questa vita che gli dei mi hanno offerto.”
La stessa immagine, lo stesso sole a bagnargli come una carezza il viso ambrato, gli stessi capelli, lo stesso sorriso dolce eppure così profondamente melanconico, ma in un tempo diverso, un luogo diverso; ed ebbe la certezza di vederli chiaramente, i tendaggi bianchi smossi dal vento tiepido, la corona dorata che baluginò in una punta di luce un riflesso del sole, il tintinnio, dei pendagli di lapislazzuli e di preziosi a quel suo movimento lento.
Perché devi farlo?
Si stupì a pensare a quella domanda quasi con rabbia, quasi come se non fosse lui ad averla ringhiata con disperazione, mentre agiva senza rendersene conto.
In un battito di ciglia, lo aveva raggiunto, afferrandogli l’avambraccio e stringendo, trattenendolo e tirandolo a sé con lo stesso stupore che lesse nei suoi occhi adamantini.
Si scoprì a trattenere il fiato, Seto, con lo sguardo fisso, dilatato e con un peso grave ad opprimergli il petto. Aveva stretto il braccio più forte, assottigliando gli occhi e indurendo i lineamenti.
“Parli come se non dovessi più tornare.”
Gli occhi ametista ebbero un fremito, un leggero barlume acqueo li attraversò solo per una frazione di secondo nello stesso momento in cui il viso si velava di un dolore troppo grande e troppo profondo mentre il respiro graffiava la gola. Seto osservò quel mutamento rapido da così vicino che sentì distintamente una spada trafiggergli il cuore seppur, sul viso del minore, ci fosse quel sorriso amaro e accorto.
E in quel sorriso, in quello sguardo, c’era stata quella risposta che Yami non disse, non riuscì a dire, nella consapevolezza che il proprio destino non era altri che quello e che Seto avrebbe capito ciò che, fino a quel momento, per tutto quel tempo, si era impuntato a negare e ignorare.
E a Seto, quella verità che gli lesse nella profonda malinconia, lo scosse più di quanto si sarebbe aspettato.
La stretta si ridusse ad un mero contatto, mentre le iridi cerulee si dilatavano nell’assurda consapevolezza.
Davvero...? Sarebbe davvero andato via per mai più ritornare?
Di nuovo.
Aprì la bocca ignorando quel pensiero che gli attraversò la mente, ma il minore fu più rapido a protendersi quel poco che bastava verso di lui, per poi abbassare lo sguardo e deviare il viso mentre sgusciava via, lentamente, dalla sua presa ormai assente, lasciandolo con lo sguardo perso, attonito, mentre rimaneva solo quell’ultimo saluto sussurrato a fior di labbra.
“Addio Seto.”
Quando si voltò, di lui non era rimasto che l’odore di sole della sua pelle.
 
Si era svegliato poco prima dell’alba con gli occhi appiccicati e umidi.
Accadeva spesso, a qualsiasi ora della notte, da quasi un anno: sentiva il petto pesante, per un peso grave che non riusciva a togliersi e che probabilmente l’avrebbe oppresso per tutta la vita, e quel senso di disagio, di perdita che non si sarebbe colmato, non così in fretta.
Si passò una mano tra i capelli castani, seduto sui sedili posteriori della macchina, con lo sguardo assente verso il finestrino e verso le strade di Domino che scorrevano rapide, senza contorni, mentre un sospiro pesante gli sfiorava le labbra e socchiudeva gli occhi azzurri.
Era un sogno ricorrente, sembrava così vivido, così vero da fargli ricordare ogni particolare di quella scena accaduta mesi e mesi prima.
Gli sembrava ancora di rivedere quel viso che, in quel momento, avrebbe tanto voluto prendere a pugni anche solo perché non lo lasciava dormire decentemente.
Gli era sembrato tutto una cazzata che solo i film americani potevano inventarsi: il regno delle ombre, gli oggetti del millennio, spiriti rinchiusi e riportati in vita.. se non avesse avuto di fronte agli occhi tutto quello, in quel giorno in Egitto, probabilmente ancora avrebbe stentato a crederci –cosa che non gli riusciva comunque così bene anche in quel momento.
Eppure l’aveva visto andare via, aveva visto la sua titubanza e il suo rammarico bloccargli il passo prima di vederlo circondato dalla luce al di là delle lastre di pietra grezza che gli si erano rinchiuse dietro; la stessa luce che gli aveva sfiorato il viso, qualche giorno prima, quando era andato nel suo studio per dargli un ultimo saluto.
Un fitta al cuore gli disegnò una smorfia di fastidio sul viso al ricordo dell’espressione serena, quel sorriso che nascondeva una decisione dolente ma necessaria.
Strinse il pugno contro il la mandibola, affilando gli occhi ed indurendo lo sguardo.
Al solo pensiero, gli ribolliva il sangue di rabbia.
“Siamo arrivati signore.”
La voce di Roland, pacata e neutrale, lo portò a mettere a fuoco la struttura alla sua destra, dalle alte colonne d’entrata in una chiara ripresa di un tempio di epoche antiche, di quello che era il museo della città di Domino.
Aprì dalla portiera e uscì prima ancora che il suo maggiordomo lo facesse per lui, salendo la breve scalinata di mattoni per entrare nella struttura senza degnare di uno sguardo i vari turisti, osservatori o famiglie con bambini urlanti venuti a visitarlo.
Aveva la testa piena di quel progetto che stava vedendo pian piano la luce con fin troppa lentezza per i suoi gusti, gli scavi erano partiti già da qualche mese subito dopo aver ricevuto il via libera dai ministro dei beni egizio dopo ripetute e estenuanti trattative.
Ora che era ad un passo dal ritrovarlo, non avrebbe aspettato un secondo di più.
“-to... Seto...? Seto!”
Ignorò totalmente i primi due richiami, sospirando stizzito a quel terzo che lo costrinse, suo malgrado, a fermarsi e voltarsi in direzione di quell’intralcio inutile.
Invero si ritrovò a tendere le spalle e i muscoli del viso, dilatando appena le iridi chiare, quando si trovò di fronte la figura con quell’orribile divisa scolastica e quei capelli a punta che conosceva ormai fin troppo bene da scorgerne persino le sfumature più infinitesime.
Erano diversi da quelli che conosceva, mancavano di quei ciuffi dorati che aveva imparato a riconoscere.
Ma ciò che lo portò a reagire in quel modo, fu vedere quanto somigliasse all’altro lui più di quello che avrebbe ammesso persino a sé stesso; una somiglia che prima non c’era mai stata, principalmente in quegli occhi, prima più tondi e infantili, ora appena affilati e maturi.
Come quelli di Yami.
“Yugi Mutou.” Principiò, pronunciandolo sprezzante, rigido nella postura  mentre lo squadrava con superficialità. “Vedo che tu e i tuoi amichetti continuate a riempire inutilmente le vostre giornate.”
Lanciò un’occhiata al manipolo di scolari del liceo, Joey sembrava già sul piede di guerra per non sapeva quale irrilevante motivo.
Il ragazzino sorrise, appena titubante.
“Sono felice di rivederti.” Affermò, continuando a guardarlo fisso. Un’altra cosa cambiata: non abbassava trenta volte lo sguardo come un bambino di due anni. “E’ da tanto che non ci vediamo. Da... quel giorno in Egitto.” E mentre parlava, notò quel cambiamento d’espressione, quasi dolente e nostalgica.
Si tese di nuovo, infastidito che un moccioso lo rendesse inquieto.
“Diversamente da te, vorrei dimenticarmi il più possibile di quel viaggio estenuante e privo persino di un tornaconto positivo.” Yugi parve dispiacersene, ma continuò ignorandolo. “Non per questo lo reputo totalmente inutile; a breve avrò dei riscontri interessanti su quella piccola gita e, se non ti dispiace, ho del lavoro che mi aspetta. Io ho un azienda da portare avanti.”
Scorse dello stupore interrogativo sulle iridi ametista del ragazzino, ma non gli diede neppure il tempo di tediarlo con altre sue inutili domande: alzò solo un istante lo sguardo verso la sala laterale di fronte alla quale stavano, puntando lo sguardo ghiacciato verso la sagoma della stele appena alla fine di questa, ricordandone le figure e le incisioni a memoria, prima di voltarsi e ritornare sui suoi passi.
Calpestando il marmo bianco come se volesse spaccarlo sotto la suola delle scarpe, si diresse verso i laboratori sotterranei al museo; un’équipe scelta e competente di linguisti e studiosi di archeologia stavano studiando immagini e geroglifici di quel luogo che andò distrutto mesi prima, dopo che quell’idiota se n’era andato.
Ma non tutto era andato perduto. Un oggetto come il puzzle, reale e concreto, doveva ancora essere da qualche parte; e trovato quello, avrebbe riportato indietro anche lui.
E mentre l’ombra gli velava il viso, nella sua discesa delle scale di servizio, con gli occhi come due schegge di gelido azzurro, più duri di un’intenzione e di un obbiettivo che non lo faceva dormire la notte, si disse che non si sarebbe dato pace fino a quando non lo avesse rivisto davanti ai propri occhi.
Perché quel ragazzino, Yugi, poteva fingere quanto voleva, ma non sarebbe mai stato come era stato Yami. 
Non sarebbe mai stato lui.
E l’avrebbe ritrovato; ad ogni costo.
  
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