«E
così siamo compagni di classe, Eiko-cchi (-cchi
è il suffisso che Kise utilizza per rivolgersi a tutte le
persone per cui nutre rispetto o che considera amici)».
Il
largo sorriso che accompagna il mio nome sulle labbra del
ragazzo tradisce una natura da esperto dongiovanni. Tra le tante voci
che
corrono sul conto di Kise, molte lo definiscono come un inguaribile
donnaiolo,
sempre a caccia di nuove conquiste romantiche. E stando sempre ai
pettegolezzi,
pare che il giovanissimo modello possa vantare già una ricca
collezione alle
spalle. Finire nel suo mirino non rientra affatto nei miei piani per il
nuovo
anno.
«Posso
sapere come fai a conoscere il mio nome?», domando facendomi
coraggio e sforzandomi di ignorare la pressione esercitata dal suo
profondo
sguardo ambrato.
«È
più che naturale che una ragazza carina come te sia una
celebrità».
La
sua testa è ora elegantemente appoggiata sulla sua mano,
mentre i suoi occhi sono ancora posati su di me in
un’espressione allusiva.
Notando probabilmente lo smarrimento sul mio volto, le sue parole
diventano
improvvisamente più esplicite.
«Il
tuo nome è famoso quanto quello di Akashi-cchi. Ma forse tu
non sei consapevole», le sue labbra curvano allora in un
sorriso
compassionevole.
«Ma
io e Akashi non abbiamo nulla in comune», la mia voce
è ora
ridotta ad un soffio impercettibile.
Essere
paragonata al rampollo della famiglia Akashi non produce
altro effetto se non quello di ricordarmi quanto manchevole sia il mio
ruolo
all’interno del casato dei Wadsworth. A dispetto dei miei
fratelli e dei miei
cugini, le mie abilità e i miei talenti sono ben lontani dal
definirsi tali e
l’unico modo in cui una ragazza ordinaria come me possa
contribuire positivamente
a mantenere alto il nome della famiglia è cercare di
mantenere un profilo basso
per non causare problemi.
«Esattamente»,
l’assoluta affermazione di Mayumi riesce in
qualche modo ad attirare la curiosità di Kise.
«È impossibile che una ragazza
timida e impacciata come Eiko abbia qualcosa in comune con Akashi.
Dico, l’hai
guardata bene?», le sue mani afferrano il mio volto per
avvicinarlo a quello
del ragazzo, senza lasciarmi alcuna possibilità di
ribellione.
«Certo
che l’ho guardata bene. A dire la verità la
osservo da un
bel po’ di tempo e non mi sbagliavo: è proprio
carina».
Forse
è per colpa della distanza ridottissima che mi separa da
Kise, o forse è per colpa della forza esercitata dalle mani
di Mayumi sulle mie
tempie, ma un intenso calore divampa rapidamente sulle mie guance
colorandole
quasi certamente di rosso. Imprigionata tra lo sguardo ammiccante di
Kise e la
morsa ferrea di Mayumi, sento la testa improvvisamente più
leggera del solito,
e un senso di spossatezza invade tutto il mio corpo. Le mie palpebre
sono
pesanti e lottano contro il mio volere per calare sui miei occhi. I
miei sensi
si sono inspiegabilmente affievoliti provocandomi allucinazioni. Sposto
lo
sguardo oltre il viso di Kise focalizzando la mia attenzione sui banchi
alle
sue spalle e li vedo ondeggiare prima a destra, poi a sinistra. Solo
quando
iniziano a muoversi nella mia direzione nel tentativo di raggiungermi,
con un
gesto istintivo ritraggo la testa liberandomi così dalla
presa di Mayumi e allontanandomi
da Kise. Inspiro profondamente mentre mi riapproprio di tutte le mia
capacità
sensoriali e percettive. Non credo affatto che svenire in aula il primo
giorno
di scuola possa aiutarmi a passare inosservata.
«Va
tutto bene, Eiko?», si informa Mayumi, sinceramente
preoccupata. «Sei pallida».
Scuoto
la testa in segno di negazione per rassicurarla. «Si
è
trattato solo un piccolo giramento di testa, ma ora è
passato».
La
debolezza nella mia voce probabilmente non ha convinto né
Mayumi né Kise, i cui sguardi apprensivi continuano a
sondare le mie condizioni
fisiche. Nell’intento di spostare il centro della
conversazione su un nuovo
soggetto, e anche nella speranza di soddisfare la mia
curiosità, mi rivolgo al
giovane modello al mio fianco.
«Posso
chiederti perché prima mi hai chiamata Eiko-cchi?».
L’espressione
allarmata sul volto del ragazzo muta
repentinamente in un sorriso accecante.
«Perché
è così che chiamo tutte le persone che
approvo».
«Ora
che ci penso, ricordo di averti sentito chiamare in questo
modo anche i titolari della squadra di basket. Però quella
volta hai usato solo
i loro cognomi», un’ombra di perplessità
si fa strada nello sguardo di Mayumi
mentre si impegna a ricordare l’episodio in questione.
Kise
incrocia le braccia sul petto, prendendo il mento tra
l’indice e il pollice, e, simulando lo stesso stato di
concentrazione di un
detective prossimo a risolvere il mistero più intricato
della storia, infine
annuncia: «L’ho fatto senza pensarci. Come posso
dire? Appena ti ho vista, il
tuo nome è uscito dalle mie labbra in modo del tutto
spontaneo». Le pupille
nere del ragazzo scorrono quindi sulla mia figura, dall’alto
verso il basso,
per un’attenta ispezione. «Hai una statura nella
media e di spalle sembri una
studentessa delle medie in tutto e per tutto. Direi che a questo punto
è per
via della tua faccia».
«Che
cos’ha la mia faccia che non va?», lo interrogo
abbassando
lo sguardo piena di vergogna.
La
reazione di Kise alla mia domanda è prontamente accompagnata
da ampi e confusi gesti di scuse.
«M-Mi
dispiace. Non stavo cercando di offenderti, devi credermi.
Non c’è bisogno che fai
quell’espressione triste e imbarazzata. Volevo solo
dire che il tuo viso è carino come quello di una bambina e
che la tua
goffaggine ti fa sembrare così indifesa che viene
istintivamente voglia di
proteggerti».
In
qualche modo la spiegazione di Kise alleggerisce il mio
cuore, liberandolo da ogni sentimento negativo. Non è la
prima volta che mi
viene fatta questa osservazione, ma devo credere a questo punto che il
mio viso
non sembri proprio quello di una ragazza delle scuole medie. In effetti
quando
ci si ritrova a parlare con i bambini viene naturale rivolgersi a loro
utilizzando i loro nomi.
«Capisco
perfettamente cosa vuoi dire», interviene Mayumi,
condividendo il punto di vista del ragazzo. «Anche io, la
prima volta che ho
visto Eiko, non ho potuto fare a meno di chiamarla per nome»
«Davvero?»,
probabilmente l’esaltazione che domina ora lo
sguardo di Kise è dovuto al fatto di avere appena trovato
qualcuno in grado di
comprendere la sua singolare logica.
Consapevole
di non avere più le attenzioni dei miei due compagni
di classe, li lascio al loro entusiastico scambio di opinioni, in
attesa che il
professore faccia la sua apparizione in aula. Il cielo di questa
mattinata che
si appresta a iniziare è terso e luminoso e limpidi sono
anche i miei pensieri.
Sono di nuovo nella stessa classe di Mayumi e Kise si è
rivelato essere un
ragazzo simpatico e socievole. Forse sarebbe meglio non farsi vedere in
giro
insieme a lui troppo spesso, per non attirare scomode gelosie. Tuttavia
credo
che non ci sia pericolo nello scambiarsi qualche parola mentre siamo in
classe.
Fino ad oggi non sono stata capace di costruirmi delle vere amicizie e
l’anno
scorso la mia relazione con Mayumi non si è mai estesa al di
fuori delle mura
scolastiche. Proverò ad accogliere questa seconda
opportunità che mi è stata
generosamente concessa e forse, al termine di quest’anno,
potrò dire anch’io di
avere un’amica. Incoraggiata da questo improvviso ottimismo,
sorrido tra me e
me quando la porta dell’aula si dischiude annunciando
l’arrivo del professore.