Storie originali > Thriller
Segui la storia  |       
Autore: David89    08/04/2009    1 recensioni
...Era lì. Potevo ucciderlo, fargli saltare il cranio. Premere il grilletto. Si, era lontano, ma in Russia addestrano anche i migliori cecchini del pianeta. Dicono. Cosa, cosa m'ha spinto a non ucciderlo? La croce del mio M40 con la sua bella faccia in mezzo. Vento leggermente da Ovest. Stavo mirando alla donna a fianco a lui, sapendo che tanto avrei colpito la sua fronte, un buco in testa. PUM! Un lavoro pulito. Sarei ora in qualche isola del Pacifico. Sole, caldo, soldi e donne. Cosa potevo desiderare di più?...
Genere: Thriller, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Capitolo 14.




Parigi di notte era qualcosa di tetro e affascinante allo stesso tempo. Le strade principali erano ben illuminate da lampioni posti ai lati della strada, mentre molti dei vicoli interni erano illuminati solo tenuemente dai pochi raggi lunari che riuscivano ad entrare tra gli stretti spazi.
Avvertivo un senso di disagio stare lì, seduto in uno dei tavolini di un bar della zona. Non mi aveva interessato sapere il nome di quel locale. Era ad un chilometro dalla casa di Jean, il mio obiettivo. Quello era l'importante.
Avevo davanti a me un boccale di birra fresca, probabilmente una Carlsberg o una Heineken; sinceramente non mi interessava neanche sapere la marca.
Avevo cenato con una baguette al formaggio e insalata, presa in un chioschetto vicino all'Opèra.
Da lì avevo fatto una passeggiata tra le vie principali, soffermandomi di tanto in tanto a guardare i vestiti di moda appena usciti, o gli articoli di antiquariato che sembravano ogni giorno più vecchi.
Ero solo. Martin mi avrebbe raggiunto tra neanche un'ora. E io ero lì, seduto, a guardare la gente che passava, indaffarata com'era anche a mezzanotte. Africani, cinesi, indiani... Minchia, manco un francese doc che fosse uno. Mi aveva servito un pachistano. E il bar era colmo di ogni etnia possibile immaginabile. Solo qualche vecchio francese passava ancora in quel locale, ma stranamente si soffermava solo il tempo per vedere chi c'era all'interno, e poi andava via.
Vicino a me avevo adocchiato una coppietta francese, l'unica rimasta a mantenere viva la presenza locale in quel bar. Stavano parlando dei figli, del fatto che uno andasse male a scuola, e l'altro invece fosse il pupillo della famiglia, bravo e diligente. Lei carina, bionda, occhi neri. Portava un vestito casual grigio, e stivali neri da troia. Lui invece professionale, con giacca e cravatta. Non sembrava minimamente un dirigente o chissà cosa. Stonava come una nota di Mahler dentro una discoteca di finocchi, io escluso.
Avevano ordinato da bere una birra per lui, e un tè freddo per lei.
Più volte i loro discorsi sembravano interrompersi senza motivo, e un filo di silenzio passava tra di loro. Erano comunque tesi, come me. A disagio forse per stare in quella bettola, o magari era un bar che avevano frequentato da tempo, dove magari si erano anche conosciuti e incontrati per la prima volta. Già mi immaginavo la cenetta a lume di kebab.
Che squallore.
Guardai l'orologio. Mezzanotte e un quarto. Non volevo alzarmi, anche se sarebbe stata la prima cosa che avrei fatto, magari scappando a gambe levate da quel luogo di tossici.
Sembrava che potessi rimanere lì da solo, per poco ancora, ma giusto per passare il tempo senza annoiarmi ad andare a zonzo per la città. Mi ero sbagliato.
-Mi scusi... Signore?- mi girai a destra. Il maritino francese era leggermente proteso verso di me.
-Si?- risposi. Tono neutro, quasi menefreghista.
-Ascolti, sa per caso se hanno cambiato gestione di questo bar, recentemente?-
Cosa me ne importava?
-Direi di si. Un tempo lo gestiva una coppia francese, se non sbaglio.-
-Ah ecco, vedi Cécile? Te l'avevo detto... Qui lo gestivano i Renaud, ricordi?- si era voltato verso la moglie, che l'aveva guardato come per dire: - Va bene, c'hai ragione te.- rassegnata.
-Siete di qua?- chiesi, tanto per non farmi i cazzi miei.
-Siamo di Parigi si, abitiamo vicino alla Torre Eiffel...- Molto vaghi, in fondo stavano parlando con uno sconosciuto – Lei invece?-
-Uh, abito qua vicino, sono andato a trovare un mio vecchio amico. Sto da lui per adesso.-
-Ahh... Vecchi amici ritrovati... - aveva aggiunto lui, quasi con il tono di chi capiva la mia situazione.
-Eh già... - lasciai il discorso incompleto, mentre distoglievo l'attenzione su un vecchio che stava passando. Presi alcune monete dal portafoglio, mentre facevo mente locale su quanto sarebbe costata quella dannata birra. Buttai giù sul tavolo qualche euro. Sarebbero bastati, e anche per un'eventuale mancia.
Guardai di nuovo l'orologio: mezzanotte e ventitré.
Il tempo sembrava non passare mai. Volevo fare una passeggiata per strada: ormai mi stavo stufando a stare lì seduto. Presi la giacca che avevo appoggiato sullo schienale di una sedia a fianco alla mia.
-Buona serata – sorrisi, mentre me la riabbottonavo, iniziando ad allontanarmi.
-A.. Arrivederci... - sentii di sfuggita, mentre ormai ero lontano. Li avevo salutati per educazione, non volevo sembrare troppo scortese.
Martin sarebbe venuto tra una mezz'oretta. E io non sapevo come passare il tempo.
Camminavo, con le mani nelle tasche della giacca, soffermandomi sui palazzi alti e sulla gente che camminava ancora, nonostante la tarda ora. C'era comunque poca gente, e di rado qualche macchina passava per la strada. Ero veramente uno stupido. Se Jean fosse uscito di casa, chissà per quale strano motivo, mi avrebbe visto, e io sarei stato nella merda più assoluta. Ma era strano, perché non me ne curavo affatto. Non pensavo minimamente ad una possibilità del genere. Me lo immaginavo già a letto, o magari in sala a guardare un film, sperando che non finisse troppo tardi.
Non erano passati neanche cinque minuti. E io stavo per strada, come un vagabondo, a camminare per strada senza meta. Negozi chiusi, qualche vetrina illuminata solo per proteggersi da eventuali ladri. La casa di Jean era solo due palazzi oltre quello che stavo guardando. C'era un po' di vento, e non volevo ammalarmi: abbottonai anche i primi bottoni della giacca, a protezione del collo come se avessi avuto una sciarpa. L'aria era fredda, e si mischiava con il caldo che proveniva dalle grate poste sul marciapiede, o da qualche tombino che emanava odori di fogne. Parigi era tetra anche in quell'ora della notte. Mi meravigliai nel non vedere persone fuori da pochi bar aperti. C'era una strana desolazione. Probabilmente da altre parti era diverso. Non me ne fregava niente.
Attaccati a dei muri, alcuni manifesti elettorali, e qualche pubblicità di intimo. Ragazze praticamente nude, vestite solo da un fazzoletto di tessuto a proteggere le tette e la parte sotto. Cazzo, alcune di quelle erano proprio fighe.
Pensai a Sarah, ma non riuscivo ad immaginarla come volevo. Era così come l'avevo lasciata all'aeroporto. E non mi venivano altre sue immagini, nonostante mi sforzassi con la memoria.
Sarah... Appena finito qui a Parigi, verrò a trovarti, e a capire chi ti ha ucciso. Dovevo vendicarla, o almeno capire chi era stato ad ucciderla. La polizia? Qualche cosca mafiosa? Mafia cinese?
Qualsiasi cosa andava bene, e qualsiasi supposizione era peggio di quella di prima.
Era successo tutto così in fretta, che quasi non mi pareva vero. Schiacciai una lattina di aranciata per terra, facendo uscire il residuo che era dentro. Avrei potuto sparare a quel cazzone. Ucciderlo e poi andare via, assieme a Sarah. Invece non l'avevo fatto, sebbene sarebbe costato solo qualche secondo. Ma forse avrei commesso il mio errore, o forse no.
Non sapevo cosa pensare; farmi seghe mentali su cosa era andato storto non avrebbe portato a niente. Ora qui a Parigi ero al sicuro, momentaneamente. Era questione di poco. Forse ancora qualche giorno e sarei apparso su tutti i tabloid e i quotidiani francesi. Speravo che Martin avesse progettato una fuga, e si fosse messo in contatto con l'Agenzia a Berlino. Da lì sarei potuto partire per Los Angeles, e cercare qualche informazione in più. Per ora ero un fuggitivo, che doveva impadronirsi di una pistola lasciata a casa di un francesino del cavolo.
La mia Glock, la mia inseparabile arma. Non ne toccavo una già da troppe settimane. Ero disarmato, completamente nudo, invulnerabile. Potevo comunque far sfoggio della mia abilità con il Ninjutsu,un'arte marziale giapponese che avevo avuto modo di studiare con cura in Russia con il maestro Komoto Shingai. Era praticata essenzialmente dai Ninja, e avevo avuto modo di studiarla in completamento con delle basi di Judo e Aikido. Ma raramente l'avevo usata, e nonostante mi tenessi comunque in allenamento, mi ricordavo solo qualche mossa e qualche parata. L'essenziale comunque per fronteggiare un nemico a mani nude. Preferivo di gran lunga usare pistole, o fucili, se ne avevo uno sotto mano.
Calciai un foglietto di assicurazioni che mi capitò tra i piedi. Alzai lo sguardo al cielo. Qualche nuvola, per il resto sereno. Non vedevo la luna, e difficilmente riuscivo ad intravedere le stelle. Chissà che cappa di smog c'era a Parigi. Quanto volevo farmi una dormita su in Canada, nel mio chalet. Boschi, natura, isolamento totale. Era una cosa che desideravo da troppo tempo.
Senza volerlo, attraversai la strada, non curante del semaforo e del fatto che potesse passare una macchina o meno. Ma c'era così poca gente e poco traffico, che sarebbe stato il colmo essere investiti da una macchina.
Mi stavo avvicinando alla casa di Jean. Misi una mano nella tasca interna della giacca. Una scatoletta dove solitamente tenevo le sigarette e gli attrezzi per scasso. Ancora non avevo fumato una sigaretta da quando ero arrivato qui a Parigi. Mi stavo seriamente preoccupando. Presi la scatola, aprendola. Dieci sigarette intatte, quasi messe lì ad ammuffire. Attaccate sotto il coperchio, delle pinzette, e delle forcine per scassinare le serrature. Era un peccato fumarsi adesso una sigaretta. Ero anche calmo, nonostante sperassi vivamente che Jean dormisse come un orso, e non si accorgesse del mio tentativo di entrare a casa sua. Non mi aveva dato le sue chiavi di casa; sinceramente non ne avevo avuto il tempo. Ero un perfetto estraneo. E la situazione non era delle migliori.
Guardai per l'ennesima volta l'orologio. Mancavano cinque minuti all'una. Entrai quindi nella viuzza che dava all'abitazione. Non mi ero accorto dell'arrivo di Martin. La sua macchina era parcheggiata sotto uno degli alberi del piccolo cortile. Finestrino abbassato per metà, giusto per far uscire il fumo di sigaretta. Cercai di farmi sentire accentuando i passi sulla ghiaia. Notai il suo sguardo sullo specchietto laterale. Non mi fermai a guardarlo, perché in quel momento stava uscendo dal palazzo un'altra coppietta. Non volevo correre rischi. Appena gli passai a fianco, potei sentire sottovoce: - Ti aspetto con il motore acceso. Se non arrivi tra un quarto d'ora, vengo su.-
Annui con la testa, mentre acceleravo il passo, alzando una mano per farmi vedere dai due francesi. Avevano intuito la mia richiesta, ed accostarono il portone, senza chiuderlo.
-Merci... - sorrisi, mentre accentuavo l'affanno della repentina corsa.
I due mi sorrisero, mentre si avvicinavano ad una delle macchine parcheggiate nello spiazzo.
Salii le scale, approfittando del buio che imperversava in tutto il palazzo. Non avevo fretta, ma dovevo andare a colpo sicuro. Cercavo di non far troppo rumore per salire, e una volta raggiunto il terzo piano, i miei occhi si erano ormai abituati all'oscurità.
Tirai fuori dalla scatoletta una sorta di uncino, una stecchetta di ferro a forma di L a punta di mezzo diamante, e una forcina, dritta e appuntita. Avevo imparato a scassinare serrature alcuni anni prima all'Agenzia a New York. Non ero eccellente come scassinatore, ma i miei tempi oscillavano tra i due e i tre minuti, in base anche al buio e alla difficoltà della serratura. Non era male, ma alcuni miei colleghi riuscivano anche in meno di un minuto.
Per fortuna mia, la porta non era blindata, e avevo solo da aprire due classiche serrature, poste una sopra all'altra.
Mi accostai alla porta. Nessun rumore sembrava provenire da dentro casa. Probabilmente stava dormendo.
Infilai la prima stecchetta piegata dentro, mentre con quell'altra cercavo di agire sui pistoncini, spostandoli sopra e sotto per simulare l'entrata della chiave. Era un lavoro di estrema precisione, e di silenzio assoluto. Ogni rumorino di contatto era essenziale per capire a che punto ero. Diedi un leggero colpo a destra, per poi in sincronia ruotare la stecchetta verso sinistra, aprendo così la prima serratura.
M'asciugai il viso, mentre dalla posizione inginocchiata, passavo a una in cui ero mezzo chino. Aspettai qualche secondo, portando l'orecchio sulla porta a sentir che magari non si fosse svegliato, o avesse sentito il rumore sulla porta.
Niente.
Avevo campo libero per la seconda serratura. Guardai il foro, infilandoci poi la forcina. Era leggermente più difficile da aprire. Presi quindi un grimaldello a forma di serpe. Era ondulata e, per il tipo di serratura, faceva al caso mio.
Iniziai quindi a premere il grimaldello, mentre con la forcina cercavo di sollevare i pistoncini. Erano molti di più questa volta, e difficili da sollevare. Premei un attimo di più, spingendo la forcina più in alto possibile. Ero arrivato al secondo, e probabilmente ne avevo ancora quattro davanti a me. Inclinai ancora di più il grimaldello, ma sentii una forza eccessiva premere sulla forcina.
La spostai quindi verso sinistra, ma la serratura mi fregò, per in quell'istante lasciai per un attimo il grimaldello, e la forcina si piegò fino a spezzarsi.
Cazzo. Un rumorino metallico di impatto sul suolo. Tin... Tin... Merda...
Per fortuna che l'altro pezzo non era rimasto troppo incastrato nella fessura.
Alzai il grimaldello, per poi tirarlo verso di me. Anche l'altro pezzettino uscì fuori, e misi la mano appena sotto la serratura per evitare che cadesse per terra.
Dovevo riiniziare da capo.
Presi velocemente un'altra forcina, questa volta un po' più grossa, ma che poteva starci dentro la fessura. Avevo capito come muovermi, quindi la prima fase non durò tantissimo. Poi capii il mio errore precedente, e agii di conseguenza. Girai quindi la mano verso sinistra, abbassando leggermente il grimaldello. Ruotai poi la stecchetta verso destra.
Clack. Rik-Clack.
Bingo! Rimisi celermente gli attrezzi in tasca, mentre piano aprivo la porta. In quel momento una luce si accese dalle scale, e io ne approfittai per sgattaiolare dentro, socchiudendo la porta. Non volevo perdere altro tempo, e quindi aver avuto una porta già aperta per un'eventuale fuga repentina era l'ideale.
Davanti a me la sala. Le finestre chiuse, la casa immersa nella più totale oscurità. Cercai di guardare meglio. Jean era sul divano, che stava dormendo, avvolto in due coperte. C'era caldo in casa, e mi chiedei se non stesse soffocando, così coperto. Ma non mi curai tanto di lui.
Cercando di non far troppo rumore, mi avviai verso quella che doveva essere la mia camera da letto temporanea. Sperai che non avesse rovistato tra le mie cose. Aprii piano la porta.
Tutto era come l'avevo lasciato l'ultima volta. Aveva un che di tetro, quasi Jean non fosse mai entrato lì dentro, o magari avesse dato una sbirciata, per poi pentirsi di averlo fatto.
La pistola l'avevo nascosta in fondo alla valigia grande. Misi la mano all'interno, rovistando la roba.
Niente.
Toccai il fondo plastificato, mentre stavo cercando di pensare a dove potevo averla messa. Doveva essere lì. Provai nelle tasche lateali. Evidentemente avevo una memoria corta. La trovai avvolta nel panno che avevo trovato nella valigia. Perfettamente integra,il caricatore pieno.
La mia Glock, la fedelissima Glock.
Una luce si accese nel corridoio. Merda.
Mi misi dietro la porta, mentre lentamente sentivo dei passi sul pavimento. La porta era a metà aperta. Mi ero dimenticato di chiuderla.
Non potevo farlo adesso. Aspettai alcuni secondi. Un rumore di una porta che si apriva. Probabilmente era entrato in bagno. La camera era praticamente di fronte. Sbirciai un attimo per vedere dove fosse.
Riaccostai il più possibile la porta. Era buio. Non avrebbe dovuto accorgersi di niente.
Stava pisciando.
Acqua che gorgogliava lungo lo scarico. Stava chiudendo la porta del bagno.
Silenzio.
Cercai di capire cosa stesse facendo, ma il vetro sulla porta mi avrebbe tradito. Sentii la sua mano posarsi sulla maniglia della mia camera. Merda.
Merda.
Un clic che fu imprevisto. Accese la luce.
Non potevo attendere oltre.
Mi lanciai verso di lui, portando il più possibile una mano per tappargli la bocca. Con l'altra spensi la luce, ma per la corsa persi l'equilibrio, facendolo cadere per terra. Un tonfo forte sul terreno. Aveva battuto la schiena sul pavimento.
Mugugnò qualcosa, mentre cercava di divincolarsi il più possibile, nonostante la botta.
-Ehi ehi! Jean! Jean sono io, sono George... - gli dissi sottovoce, guardandolo negli occhi.
Altri mugugni. Voleva scappare, ma con il mio corpo sopra il suo non gli lasciavo via d'uscita.
-Jean cazzo! Stammi a sentire!!- alzai un attimo la voce, prendendogli la testa e indirizzandola verso il mio viso.
I suoi occhi quasi si illuminarono. Mi aveva riconosciuto.
-Mhmhmmm-
-Si.. Adesso ti tolgo la mano, ma promettimi di non urlare, intesi?-
Annuì con la testa. Gli tolsi la mano.
-George! Cosa ci fai qui?? Pensavo fossi scomparso! Che fine hai fatto??-
-E' una lunga storia... Ascolta, ora devo andare via... Non preoccuparti per me. Sono venuto qui solo per prendere una cosa. Non voglio farti del male. Non avevo le chiavi, così ho scassinato la serratura... Ma ti darò i soldi per ripararla ok?-
-Ma cosa sta succedendo? George... Che cosa...-
-Ti prego... Non far domande. Di me non ti devi più preoccupare. Tutta quella roba me la porto via io adesso. Vado via di qua... Purtroppo sono successi dei casini che è meglio non ti dica...-
-Ma se sei appena arrivato!-
-Lascia perdere. Problemi miei intesi? Ora mi alzo. Promettimi che non avvertirai la polizia va bene? Sono qui solo di passaggio...
-Ma certo George... Va bene... - il suo tono era impaurito. Era quello che volevo. Non sembrava volesse fregarmi. Mi alzai, dandogli una mano per aiutarlo a tirarsi in piedi.
Iniziai quindi a mettere tutta la roba dentro la valigia alla rinfusa. Avevo poco tempo, e non volevo perderlo.
-Sei veramente strano George... Entri qui dentro senza neanche avvertire, come un ladro. Potevi citofonare... Ti avrei aperto... - mi rispose alle spalle.
-Hai ragione, perdonami. Ma pensavo non fossi in casa, e purtroppo devo partire stanotte stessa.-
-Ascolta, ti preparo qualcosa per il viaggio, che so... un panino?-
-Ma figurati! Troverò qualcosa all'aeroporto...-
-Insisto! Avrai fame immagino... E' questione di poco, non ti preoccupare.- uscì dalla camera con far frettoloso. Guardai dalla fessura della camera. Stava veramente andando in cucina.
Chiusi le borse con la zip. Ero pronto.
Alla fine volevo portarmi solo la Glock, ma per come l'avevo inscenata, dovevo portarmi anche tutto il resto.
Sentii la sua voce nella cucina, mentre aprivo la porta per venirgli incontro – Ecco i...-
Due colpi attutiti. Un forte tonfo sul terreno. Che cazzo era successo?
Uscii di colpo dalla camera, correndo verso la cucina con la Glock in mano.
Jean era a terra, supino. Una pozza di sangue all'altezza della testa. Voltai la pistola verso la figura che vidi con la coda dell'occhio.
Era Martin.
-Ti voleva sorprendere da dietro con un coltello-
Un coltello da carne appuntito era per terra, a fianco del cadavere. A destra invece dei panini vuoti.
-Ma che cazzo hai fatto??- rimasi lì sbalordito. Non credevo ai miei occhi.
-Ti voleva uccidere. Non vedi il coltello? Ringrazia che ti ho salvato la vita, George...-
-Mi stava preparando dei panini per il viaggio, stronzo bastardo che non sei altro! Perchè cazzo gli hai sparato in testa??- mi lanciai verso di lui, per poi prenderlo per il bavero della giacca.
-Avanti, dobbiamo andare... Prendi quello che dovevi prendere e andiamo...-
-E Jean?? Lo vuoi lasciare lì??-
-Hai idee migliori?-
Odiai Martin in quel frangente. Non potevo far altro che andare via. Se avessi avvertito l'ambulanza sarebbe stato peggio. C'erano impronte mie, sue e di Jean dappertutto. Peggio di così non poteva andare.
Mi lanciai verso la camera, prendendo le due valigie. Non potevo lasciarle lì.
Appena tornato, varie cose erano per terra, compresi molti vestiti e le coperte del letto del francese.
-Cosa stai facendo?-
-Ci son stati dei ladri qui. Che però non hanno trovato un cazzo, purtroppo- mi rispose Martin, quasi incazzato.
-Andiamo su...-
Mi seguii subito dopo, mentre scendevamo di gran fretta lungo le scale.
-Nessun problema dai vicini?- chiesi, con le borse in mano.
-No. Perchè cazzo ci hai messo così tanto?-
-Ho trovato Jean. E l'avevo assicurato che mi sarei tolto dalle palle subito. Ma ha insistito per farmi dei panini.-
-Quel coltello non era per tagliare i panini, idiota.-
-Credi che avesse voluto uccidermi?-
-Non credo niente. So solo che non voleva tagliare quei fottuti panini...-
Lasciai perdere, mentre sceso al piano terra, aprivo il portone, per poi dirigermi di fretta verso la macchina. Appena Martin aprì il bagagliaio, ci lanciai dentro le valigie.
-Ho parlato con l'Agenzia, George. Abbiamo via libera per Berlino. Ci hanno assicurato che non ci saranno problemi all'aeroporto. Due biglietti prenotati per sola andata. Parte tra quattro ore. Abbiamo tutto il tempo per fiondarci nell'aeroporto- chiuse quindi la sua portiera, entrando in macchina.
Feci lo stesso, mentre stava già ingranando la retromarcia.
-Ce ne andiamo da questo schifo di posto. A Berlino saremo al sicuro.-
-Lo saremo così come lo eravamo qui?- domandai, girandomi per guardarlo.
-Fidati.-
Uscì dalla strada a tutta velocità. Direzione Aeroporto Charles De Gaulle. Prossima meta Berlino.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: David89