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Autore: LadyRoran    30/04/2016    0 recensioni
Durante le serate estive, Kim preferisce stare da sola e camminare per le strade silenziose, piuttosto che stare in mezzo ad altra gente.
Ma un incontro inaspettato le terrà compagnia per una notte intera.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Era una sera estiva come tante, afosa, appiccicosa e soprattutto noiosa. Noiosa perché passavo quell'unica settimana alla casa al mare sempre da sola; i miei genitori andavano a dormire presto, e mio fratello minore, aveva la sua cerchia di amici estivi, ma io non ero mai riucita a trovare qualcuno con cui giocare, da piccola. 

E ora, a ventidue anni, preferivo stare da sola, piuttosto che passare il tempo con i miei coetanei. 

Solitamente passavo le mie serate seduta sulla spiaggia, ad osservare il cielo ed il suo fondersi con il mare nell'oscurità, ma quella sera avevo voglia di camminare.

La nostra casa al mare era in un piccolo paesino, diviso in due zone: il centro, dove c'erano locali, pizzerie, e la movida, e la zona periferica, dove c'erano più case, nella desolazione e nel silenzio.

Camminai per le vie del paese, senza una vera meta, osservando le case che mi circondavano. Qualcuna era ancora illuminata, ma la maggior parte era sfitta o, semplicemente, i proprietari stavano già dormendo. 

Arrivai ad una piccola piazza, dove c'era una fermata dell'autobus, delle panchine, una fontanella, e oltre alle case che vi si affacciavano, c'era anche un bar, che stava per chiudere, accanto ad un distributore di sigarette, uno di snack e la macchinetta per fare i biglietti.

Non avevo soldi con me, così optai per bere dalla fontanella pubblica, per poi sedermi alla fermata dell'autobus, giusto per riposare un po'.

Dopo una decina di minuti di nulla, sentii un rumore provenire da lontano, che si faceva sempre più forte, avvicinandosi. Era un autobus, che si fermò proprio davanti a me.

C'era solo un passeggero, che scese. 

"Devi salire? E' l'ultima corsa", mi chiese l'autista.

"No, no. Buonanotte!" risposi io, scuotendo la testa. Dopo un cenno finale, l'autista riprese la sua corsa verso il capolinea.

Il ragazzo che era sceso si guardò intorno, forse un po' spaesato, e poi decise di sedersi accanto a me.

Mi sembrava di conoscerlo, ma non avevo idea di dove l'avessi visto. Cercavo di osservarlo con la coda dell'occhio, mentre guardava un punto fisso davanti a lui.

All'improvviso mi ricordai. Era un amico di mio fratello maggiore, e veniva spesso a casa nostra quando erano al liceo. L'avevo anche su facebook, ma vedendolo solo di sfuggita non mi ricordavo bene il suo aspetto, anche perché non lo vedevo dal vivo da più di quattro anni.

"Scusami..." dissi, un po' imbarazzata. Lui si voltò verso di me e sembrò illuminarsi. "Ma sei Ben? L'amico di Ronald? Sono Kimberly, sua sorella.". Lui mi sorrise, annuendo. 

"Sapevo di averti vista da qualche parte! Sembri un'altra persona, Kim", rispose lui. Erano passati circa cinque anni, l'ultima volta ero un ammasso di acne e apparecchio per i denti.

"Come mai sei qui? A quest'ora, soprattutto?", chiesi, un po' troppo ficcanaso.

"Potrei farti la stessa domanda", e non aveva tutti i torti. Io volevo del tempo per pensare, scappare dai miei problemi, e riflettere nel cuore della notte. Probabilmente era lo stesso anche per lui.

"Hai ragione, scusami. Ti va di fare una passeggiata?" 

"Mmh, non mi va di vedere gente, in realtà."  

"Oh, tranquillo, se stiamo lontani dal centro non ci sarà nessuno in giro. Almeno fino alle sette, possiamo stare tranquilli."

"Ottimo, perché alle sei e quarantacinque ho l'autobus per il ritorno." 

Volevo fargli un mucchio di domande, a partire dal fatto che, se non ci fossi stata io, sarebbe rimasto solo fino all'alba, e volevo capire cosa l'avesse spinto a tanto.

Iniziammo a camminare, senza parlare. Si sentiva solo il suono dei nostri passi. A volte si voltava verso di me, senza dire nulla.

Spesso è nel silenzio che si dicono più cose, ed io ero certa che qualcosa non andasse.

Quando arrivammo alla riva, ci sedemmo con i piedi in acqua, che era caldissima.

Mi veniva voglia di fare il bagno, perché adoravo il mare delle notti estive.

In lontananza, ad almeno due chilometri da noi, si scorgevano le luci del centro, la musica e la frenesia. 

Io preferivo il silenzio. Ma venne interrotto.

"Vai all'università?" Mi chiede Ben, di punto in bianco.

"Terzo anno. In realtà dovrei laurearmi il prossimo semestre." Dissi, priva di entusiasmo.

"Ma..." Iniziò lui, come se avesse capito dove volessi andare a parare.

"Ma?" 

"Non c'è nessun ma?" Sospirai.

"Sì, c'è. La verità è che gli esami che mi mancano sono quelli che mi spaventano di più. Sono difficili, io non credo di avere la stoffa e ho paura di fallire. Non so se mi piaccia la piega che ha preso la mia vita." Mi confidai. Era difficile ammetterlo ad alta voce, ma lui era una sorta di estraneo, forse per questo riuscii ad aprirmi.

"Ti capisco, sai? Anch'io ho avuto una crisi, all'università. Dopo due anni di ingegneria, mi sono reso conto che non era ciò per cui ero portato. Ci ho riflettuto, e ho pensato "vuoi accontentarti e vivere da infelice, o ritardare un po' la laurea per fare qualcosa di bello?". E così ho mollato. Ho passato due anni viaggiando, sono finito anche a meditare in Tibet. Poi ho deciso di tornare qui, di iscrivermi a Lingue... E mi trovo di nuovo intrappolato."

"Cosa? Non ti piace nemmeno lingue?"

"No, non riguarda l'università. Riguarda la mia ragazza. Stiamo insieme da anni, ormai, ma mentre per lei tutto è normale, io mi sono stancato. Mi dà per scontato, ed io mi ritrovo spesso ad odiare certe sue abitudini, certi discorsi... Invece vorrei stare con qualcuno che apprezzo, e che apprezza me."

Lo guardai negli occhi per qualche momento. Le luci delle stelle si riflettevano nei suoi occhi, forse un po' lucidi, e mi venne ancora più voglia di conoscere le paure di quel ragazzo, per aiutarlo ad affrontarle e superarle.

"Io credo che... Ogni persona che incontriamo entra nella nostra vita per un motivo. Ci dà qualcosa, lascia la sua impronta, e poi magari va via. Ecco, se ti senti così, evidentemente lei non ha più nulla da darti, e nemmeno tu a lei. Ma bisogna sempre andare avanti."

Mi guardò, e sorrise.

"Sai, tu sembri una persona che ascolta, ascolta, ascolta, conforta e dà consigli, ma non pensa a sé stessa".

"Io penso a me stessa, solo secondariamente. E poi preferisco non parlare dei miei problemi."

"Eppure con me l'hai fatto".

Mi ammutolii, ma avevo una voglia matta di dargli uno schiaffo, giusto perché mi aveva colpito nell'orgoglio.

Ma invece, Ben si avvicinò e mi baciò. 

Mi allontanai velocemente e lo guardai stranita.

"Ma cosa fai?" 

"Scusa, io... Le tue parole...” non lo lasciai continuare, e lo baciai anch’io.

 

Restammo per ore sulla spiaggia a guardare le stelle, parlando di noi, dei nostri interessi, e evitando i nostri problemi.
Alle prime luci dell’alba, lo accompagnai alla fermata dell’autobus.
“Allora, ci rivediamo domani?” mi chiese mentre il suo autobus arrivava.
“Sì. Anche ad un orario normale, se vuoi”. Sorrise, e quando arrivò l’autobus mi salutò e salì a bordo.
Restai sola, e mi resi conto che era davvero ora di tornare a casa.
Le vie erano sempre silenziose, ma gli uccellini iniziavano a cantare, e la luce del sole colorava tutto.
Nemmeno i miei passi erano più silenziosi.

  
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