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Autore: Sonia_DR    01/05/2016    1 recensioni
A volte, non si è certi di quello che incontri, fino a quando non ti cattura giorno dopo giorno. Coinvolgendoti in un turbinio senza fine.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Dolci Ricordi
La primavera era alle porte, strappando gli animi umani dalla gelida morsa invernale. Gli uccellini cinguettavano fuori dalla grande finestra. Si trattava di una giornata meravigliosa,soleggiata. Gli studenti di quell’edificio scolastico erano intenti a seguire la lezione, altri a chiacchierare a bassa voce o a schiacciare un pisolino. Tuttavia,in quella mattinata stavo presiedendo l’assemblea della mia classe, assieme all’altro rappresentante. L’argomento discusso era la gita. Ovviamente, c’era molto di cui parlare,così approfittammo delle due ore di un docente che, in quella giornata, era assente. Ogni cosa filò,in un certo senso, liscia,quando arrivò il supplente della seconda ora. Onestamente, mi sento un po’ sciocca a raccontare tutto ciò. A volte ci sembra che le cose abbiano un significato maggiore se sussurrate,mentre questo cala non appena le urliamo. Vergognandocene.  Un po’ come quando due teneri amanti si bisbigliano all’orecchio parole di miele. Mai lo farebbero alzando la voce, rendendo partecipe terzi.
L’amore è meraviglioso e sciocco allo stesso tempo.
Avevo diciassette anni, quando lo vidi per la prima volta. Lo sguardo fiero e deciso, il portamento orgoglioso, il passo sicuro.
Non so cosa mi abbia spinto ad iniziare una conversazione, né il motivo per il quale mi fu tanto gradita. In fondo, era solo un’ora.
Un’ora che passò troppo velocemente,rapida come un fuggitivo.
La discussione era terminata in anticipo,come avviene quasi solertemente.
Così, gli avanzai la richiesta di un consiglio. Forse l’ebbi fatto per gioco, per curiosità, per necessità.
Questo non saprei dirlo.
Tuttavia,passammo l’intera ora a scambiarci segreti.
Lui come insegnante, ed io….come studentessa.
Era un ragazzo di vent’otto anni a quei tempi.
Si trattava del primo anno in cui insegnava in quella scuola,si era trasferito. Proveniva da un luogo vicino alla terra che mi diede alla luce.
Trovammo parecchi punti d’incontro. Entrambi sapevamo cosa stesse provando l’altro, in quanto sperimentato sulla propria pelle.
Non si rivelarono pochi gli interessi in comune.
In quell’ora arrivai a conoscere il suo nome,cosa insegnava e cosa faceva la domenica.
Era strabiliante. Mai avrei pensato che di quel ragazzo,o meglio, uomo, sarei potuta arrivare a conoscere così tanto.
Quando la clessidra fece scorrere tutti i suoi fini granelli a nostra disposizione,ci salutammo. Gli strinsi la mano,in segno di rispetto.
Era grande e calda, avvolgeva la mia come a proteggerla, più adeguatamente di qualsiasi coperta.
Mi sentivo così felice,così spensierata…e non ne conoscevo neanche la ragione.
I giorni seguenti provai a cercarlo su face book,ma non lo trovai. Poi, preda dei molteplici impegni di cui mi  feci carico quell’anno,smisi.
Tuttavia,continuai a pensare a quell’ora,a lui. Ogni giorno sperai di incontrarlo  in mezzo ai corridoi.
Si trattava di un sogno. Ero chiusa dentro ad una bolla,intorpidita. Ancora non capii cosa  era successo,non avevo mai provato qualcosa di simile.
Come una favola raccontata di sera, il suo ricordo mi rendeva serena.
Come la nuova scoperta di un bambino,il suo ricordo mi incuriosiva,invogliandomi a cercare di più.
A quei tempi feci amicizia con un ragazzo,era nel mio stesso corso di teatro. Si chiamava Pablo,era spagnolo. In una conversazione scoprii che era un suo professore. Così,ne approfittai e conobbi il suo cognome.
Ero felice di avere un nuovo indizio con cui poterlo cercare.
Riprovai con face book,ma nulla.
Vidi nell’elenco dei professori,zero.
All’incirca due giorni dopo,lo vidi di sfuggita. Era troppo lontano per farmi notare, troppo lontano per salutarlo, seppur avrei potuto rincorrerlo. Lasciai perdere,pensando che avrei potuto rincontrarlo. Così, mi diressi verso la docente a cui dovevo dare i soldi della gita.
Quella stessa sera  volli ritentare. Richiesi il cognome a Pablo,pensando di aver capito male. Lui ne approfittò dicendomi che quel giorno era l’ultimo in cui insegnava. Dopo varie riflessioni, aveva deciso di intraprendere la carriera militare. Ciò equivaleva a non poterlo più vedere.
Mi cascò il mondo addosso e, oppressa dalle sue macerie, mi pareva di non poter più respirare.
Non sapevo il perché,d’altronde era solo un docente.
Non sapevo il motivo della mia tristezza, del mio malumore.
Non sapevo la ragione del mio atteggiamento.
Me ne accorsi troppo tardi.
Avevamo undici anni di differenza ed io non avevo ancora compiuto diciott’anni.
Io ero un’alunna e lui un professore.
Lui, molto probabilmente, mi vedeva come un’adolescente con cui aveva semplicemente parlato quel giorno lontano.
Molto probabilmente non si ricorderà nemmeno il mio nome.
Ed io non lo conoscevo così tanto.
Ma me ne innamorai.
È così brutto chiamare le cose col proprio nome.
Così sconvolgente.
Ora mi domando se,in quel giorno, l’avessi fermato,cosa sarebbe successo?
Sicuramente, non una scena di quei film strappalacrime. O un finale romantico in cui la protagonista riesce a conquistare il suo amore,superando grandi ostacoli.
Ed io non avrei chiesto nessuno dei due.
Se non il poterlo salutare un’ultima volta e sentire il suono melodioso della sua voce.
Solo per un istante.
   
 
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