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Autore: Kary91    02/05/2016    0 recensioni
[Pre-Saga | One-Shot | child!Bellamy/Octavia ]

Quando quella partita a nascondino fosse finita, si disse, non si sarebbe più lamentato del piccolo spazio sotto all’asse del pavimento: adesso ne era certo.
Perché era solo grazie a quello stupido pannello che presto avrebbe potuto riabbracciare sua sorella.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bellamy Blake, Octavia Blake
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bellamy si richiuse il pannello di assi che faceva da tetto al piccolo rifugio di sua sorella

Questa storia è stata scritta per un event del gruppo “We are out of prompts” con il prompt “Quando il nascondino sarebbe finito, Bellamy non si sarebbe lamentato del piccolo spazio sotto l'asse del pavimento” di Little Red Bird.

 

 

Hide and Seek;

 

 

Bellamy richiuse sopra di sé il pannello di assi che faceva da tetto al piccolo rifugio di sua sorella.

 

Granelli di polvere gli caddero in testa e il ragazzino tossì, strizzando gli occhi per scacciare quelli che vi erano caduti dentro.

 

“Non si respira, qua dentro” mormorò, stendendo le gambe sul sacco a pelo.

La luce filtrava a malapena attraverso le assi e non c’era spazio a sufficienza per alzarsi a sedere o giocare.

 

Bellamy detestava quella botola. Non gli piaceva l’idea di dover richiudere lì dentro Octavia ogni volta che le guardie bussavano alla loro unità per ispezionarla. Il rifugio era angusto e asfissiante perfino per lui, che aveva quasi undici anni, figurarsi come doveva essere spaventoso per una bambina che doveva ancora compierne cinque.

 

Sbuffò, facendo leva con le braccia per spostare le assi che gli precludevano la luce.

La prima cosa che vide, aggrottando le sopracciglia per difendersi dalla luminosità improvvisa, fu il visetto vispo di Octavia e i suoi lunghi capelli scuri che penzolavano oltre l’apertura.

 

“Buh!” esclamò la bimbetta, sollevando le mani.

 

Bellamy sorrise appena, prima di sgranare gli occhi e fingersi spaventato e tremante.

 

“Aiuto!” gracchiò, coprendosi il volto con le mani.

 

La piccola ridacchiò; si fece da parte per permettere al fratello di issarsi fuori dalla botola.

 

“Octavia…” la richiamò la madre, sfilandosi uno spillo dalla bocca per appuntarlo sul vestito a cui stava lavorando. “… Abbassa la voce.”

 

La bambina si coprì le labbra con le mani per soffocare la risata. Tuttavia, quando il fratello maggiore incominciò a farle il solletico sui fianchi, non riuscì più a trattenersi.

 

“Bellamy!” si lamentò ancora Aurora Blake, fissando esasperata il figlio. “Potrebbero sentirla!”

 

Il ragazzino smise di giocare e si lasciò cadere sul letto, il disappunto tratteggiato nel suo volto. Octavia lo imitò automaticamente e si allungò per recuperare il suo unico pupazzo, che aveva abbandonato sul cuscino poco prima.

 

 

“Là sotto mette un sacco paura, mamma” mormorò improvvisamente l’undicenne, permettendo alla sorellina di giocare con le sue dita. “A Octavia verranno gli incubi se continuiamo a chiudercela dentro.”

 

La madre sospirò, ma rimase concentrata sul suo lavoro.

 

“Non abbiamo scelta, Bell” ricordò al figlio, strappando il filo che pendeva dalla cruna dell’ ago. “Quella botola è l’unica possibilità che abbiamo per tenere al sicuro tua sorella.”

 

“Lo so, ma…”

 

“E poi mi avevi promesso che non ne avremmo più parlato” lo interruppe la donna, lasciando ricadere una mano sulla scrivania. Il rumore sordo fece sobbalzare Octavia, il cui sguardo preoccupato raggiunse subito la porta dell’unità. “Perché devi sempre contestare tutto quello che ti chiedo di fare?”

 

Bellamy chinò lo sguardo. L’occhiata severa rivoltagli dalla madre, tuttavia, non riuscì a scalfire la determinazione sul suo volto.

 

“Perché me l’hai detto tu” replicò infine, tornando a fissare la donna. “Mia la sorella, mia la responsabilità.”

 

Il senso di colpa velò per un istante lo sguardo di Aurora Blake.

 

“E non potresti essere stato un fratello migliore per Octavia: credimi, Bell. Ma a volte, quando si vuole davvero bene a una persona, bisogna prendere delle decisioni difficili. Decisioni che potrebbero ferirla, eppure necessarie per il suo bene.”

 

Sorrise con aria stanca ai due figli e accarezzò con gli occhi il visetto allegro di Octavia, che si stava divertendo a rimbalzare sul letto del fratello.

 

Bellamy lasciò ciondolare il capo per qualche istante, rimuginando sulle parole della madre.

 

Infine, si trascinò Octavia sulle ginocchia.

 

“Allora, vuoi fare un gioco, nanerottola?”

 

La bambina ci rimuginò su mentre giocherellava con le orecchie del suo pupazzo.

 

“No, voglio che mi racconti una storia” replicò infine, accoccolandosi contro il suo petto. “Una storia nuova.”

 

Bellamy fece mente locale, sforzandosi di farsi venire qualche idea.

 

“Molto bene! Allora…” incominciò infine, mentre Octavia sgusciava via dalla sua presa per sedersi a gambe incrociate sul materasso. “C’era una volta una principessa, una principessa molto coraggiosa. Si chiamava…”

 

“… Mamma?” azzardò la piccola, sorridendo ammirata in direzione della donna.

 

Bellamy scosse la testa.

 

“Octavia: si chiamava Octavia come te.”

 

Lo sguardo della bambina si illuminò.

 

“E c’era anche un principe di nome Bellamy nella storia…” asserì poi con decisione, appoggiando la testa al torace del fratello. “… Ed era il più bello e il più forte di tutti i principi.”

 

Il fratello maggiore sorrise.

 

“Bellamy e Octavia erano due principi guerrieri, ma non vivevano nell’Arca” proseguì, catturando l’attenzione della madre.

 

Anche la sorellina sgranò gli occhi, sorpresa.

 

“E dove stavano, allora?”

 

Bellamy le rivolse un’occhiata complice.

 

“Nello stesso posto in cui vivevano l’imperatore Augusto e sua sorella Ottavia…” mormorò, appoggiando il mento ai capelli della bambina: odorava di buono, sua sorella. Il suo profumo assomigliava a quello della mamma. “… La Terra.”

 

Lo stupore nel volto della bambina si accentuò. Fece per chiedergli qualcosa, ma un rumore affrettato di passi catturò la sua attenzione.

 

Anche Bellamy lo sentì. Quando la voce dell’ispettore di settore li raggiunse dal corridoio, scattò in piedi e scoccò alla madre un’occhiata allarmata.

 

“Non mi hai detto che ce ne sarebbe stata una oggi” sibilò, stringendo il polso di Octavia.

 

Aurora fissò la porta con occhi atterriti.

 

“Infatti non ne avevo idea…” farfugliò, lasciando andare il vestito.

 

Lo smarrimento di entrambi durò solo qualche secondo. Dopodiché, Bellamy guidò Octavia verso l’asse ancora sollevato e la madre si preparò a coprire l’apertura con la scrivania.

 

“Giochiamo a nascondino, ‘Tavia” bisbigliò docile, ma fermo, il ragazzino.

 

La bambina scosse categorica la testa.

 

“No, non ci voglio andare!”

 

“Octavia” madre e fratello l’esortarono all’unisono, le orecchie tese a captare quei passi sempre più vicini alla loro porta.

 

“Voglio ascoltare la tua storia, Bell!”

 

La bambina si aggrappò alla maglietta del fratello, ma Aurora la prese in braccio e la depositò nell’apertura.

 

“Se vinci la partita te ne racconterò altre due” promise in fretta Bellamy, porgendole il pupazzo. “E saranno le più belle che tu abbia mai ascoltato. Promesso!”

 

Octavia era ormai in lacrime, le braccia avvolte attorno al peluche per farsi coraggio.

 

“Voglio che vieni con me, Bell” mugugnò la bambina, rannicchiandosi su un lato.

 

Due colpi sordi risuonarono alla porta.

 

Bellamy inspirò con forza, prima di premersi l’indice sulle labbra.

 

Assieme alla madre richiuse l’asse e spostò la scrivania, assicurandosi che nulla rimanesse impigliato nella botola.

 

 

*

 

L’ispezione, quel pomeriggio, durò più tempo rispetto al solito.

 

O forse fu solo l’impressione di Bellamy, che dovette impegnarsi a fondo per evitare di fissare il punto sotto il quale si nascondeva sua sorella.

 

Come sempre sua madre fece la splendida con il capo ispettore, rendendo quella situazione ancora più difficile da sostenere.

 

Per fortuna Octavia non fiatò e, ancora una volta, le guardie abbandonarono l’unità a mani vuote, senza aver trovato nulla da segnalare.

 

Mentre il capo ispettore si congedava in maniera fin troppo amichevole con sua madre, Bellamy sentì la tensione scemare.

 

Quando quella partita a nascondino fosse finita, si disse, non si sarebbe più lamentato del piccolo spazio sotto all’asse del pavimento: adesso ne era certo.

 

Perché era solo grazie a quello stupido pannello che presto avrebbe potuto riabbracciare sua sorella.

 

 

 

   
 
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