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Autore: TheBarefootGirl    04/05/2016    0 recensioni
Alzo lo sguardo su di lui e quella è la mia resa. Sconfitta mi volto verso il suo viso. Per una frazione di secondo mi beo della tonalità della sua pelle, di quel color caramello chiaro, e di quell'accenno di barba nerissima e poi i miei occhi cadono nei suoi come se avessero trovato un nuovo centro gravitazionale. Mi perdo in un punto imprecisato tra la pupilla e l'iride verde e cerco di prendere fiato, a labbra socchiuse, mentre lui continua a guardarmi serio e impassibile.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Storico
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Note dell'Autrice:
Lo so, è la storia più vecchia del mondo: la studentessa con la cotta per il professore. Ora, sono consapevole del successo di altre storie, qui sul sito, con una trama simile, e per questo ho voluto dare alla storia un'impronta di mistero e originalità. La storia non parlerà di vampiri, licantropi, o cose simili, ma manterrà una nota soprannaturale. La storia di Elena e Stefano non sarà il solito amore tra alunna e professore, ma avrà radici profonde e antiche, che si perderanno negli stessi libri di greco su cui Elena sbatte la testa.

Vorrei inoltre precisare che ho deciso di inserire la storia nel genere romantico, benchè abbia del soprannaturale, perchè verterà essenzialmente intorno alla storia d'amore dei protagonisti.

Detto questo,
vi auguro una buona lettura,
TBG
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I
L'inizio di tutto

ELENA

 

Liceo Classico G. Cesare,
Roma,
3 Marzo, 10.30 am

È una brillante mattina di inizio Marzo, il sole brilla fuori dalla finestra, il cielo è terso e perfetto, gli uccellini cantano e io sono dell'umore più nero. Seduta al mio banco, il terzo della fila vicino alla finestra, cerco di guardare ovunque tranne che davanti a me, dove la Donati, professoressa di greco e latino e mio incubo personale, distribuisce le versioni di greco.
Ho sempre odiato il fatto che la Donati ami ordinare le versioni corrette dal voto più alto al più basso, così che tutti sanno i voti di tutti, in linea generale. Io, ovviamente, sono empre tra gli ultimi tre, in greco.
“Non preoccuparti.” Mi sussurra Gaia, sporgendosi sul mio banco.
La guardo, la lunga treccia le cade sulla spalla in modo perfetto. Gli occhi sono impeccabilmente truccati con sobria eleganza. La cura che mette nel vestirsi e prepararsi compensa i tratti duri del viso, rendendola carina. Anche da seduta risulta più alta di me di diversi centimetri, facendomi sentire una bambina. Siamo amiche dal primo anno: io ero la ragazzina goffa e brufolosa con cui nessuno voleva sedersi e lei quella estremamente timida che non parlava con nessuno: avevamo trovato compagnia l'una nell'altra.
“Tranquilla, su.” Aggiunge. “Dici sempre che va male e poi te la cavi sempre!”
“In latino, in inglese, in fisica...” Le rispondo, spostando lo sguardo da lei alla Donati, che con la sua carnagione abbronzata, quasi cotta dal sole, e i capelli corti, continua imperterrita a chiamare nomi. “Non in greco.”
Gaia non risponde: sa che ho ragione. Se riesco a mantenere una media più che dignitosa in tutte le materie, il greco per me è impossibile. Insomma, è la storia più vecchia del mondo: lo studente alle prese con la materia odiata. Non sono né la prima né l'ultima con questo problema, certo, ma per me è motivo di ansia costante. Ho sempre creduto che con una media alta nelle altre materie alla fine sarei dovuta obbligatoriamente passare, magari riuscendo anche ad evitare il debito. L'anno precedente, almeno, era andata così.
“Gaia.” Chiama la Donati. Ci chiama tutti per nome, come se fossimo amici o colleghi e ci tratta con una calda professionalità che va ora dal materno, ora al consiglio professionale.
Gaia si alza con passo tremante. Come me, anche lei teme sempre invano e benchè siamo ancora a metà del plico delle versioni corrette, lei esita davanti alla verifica che la professoressa le tende.
Solo dopo un interminabile momento si arrischia a guardare e la smorfia preoccupata si trasforma in sorriso. Tipico.
Davanti a me i miei compagni sillabano in silenzio la parola “Quanto?” e lei mostra sette lunghe dita raggianti.
Affondo la testa nel banco, mentre la mia compagna si siede accanto a me, tutta intenta a guardare la versione. Sono gelosa, ovviamente. Normalmente prendo i voti più alti e le ripetute sconfitte in greco, non solo da parte sua, ma di tutta la classe, sono un duro colpo. So di essere vagamente snob, la tipica secchioncella tutti otto e nove, ma studiare mi piace: sogno quel tipo di persona che sogna un master in lettere moderne o filosofia, punto in alto insomma, e l'umiliazione di essere l'ultima verifica del plico brucia sempre.
La Donati continua imperterrita a chiamare nomi e a consegnare compiti e presto, troppo presto, la pila si esaurisce e rimane solo un foglio.
“Elena.” Trasalisco di colpo nel sentirmi chiamare. Alzo la testa sulla Donati, che guarda sconsolata nella mia direzione. Un'altra peculiarità della Donati è che distribuisce le verifiche in modo molto freddo e impersonale, quindi, quando ti chiama in modo tanto affettato, è perché qualcosa di grave non funziona. Ovviamente riserva quel tono solo a me.
Mi alzo con l'espressione imperturbabile di chi cammina verso il patibolo. Sento gli occhi dei miei compagni scivolarmi addosso e il tragitto dal mio banco alla cattedra si trasforma egli ultimi passi di un condannato.
Arrivo davanti alla Donati e tendo la mano, rassegnata. La professoressa mi guarda a labbra serrate, gli occhi scuri circondati da rughe sottili che brillano dietro gli occhiali dalla montatura colorata. Mi porge la verifica con un gesto lento e io la prendo velocemente, prima di correre a posto, cercando di ignorare i miei compagni che continuano a sillabare i solo silenziosi “Quanto?” nella mia direzione.
Mi siedo e solo allora mi arrischio ad abbassare lo sguardo sul voto.
“Com'è andata?” Vanessa si volta verso di me, i grandi occhi turchesi incastonati sotto gli zigomi hanno un'espressione triste e contrita, che tuttavia tradisce la soddisfazione e la sicurezza di avere un bel voto sul banco. Al contrario di Gaia, Vanessa è di una bellezza delicata e sorprendente: capelli biondi, occhi azzurri e zigomi alti. Era stata fin dal primo anno amichevole con tutti e brava a scuola, modesta e simpatica. Il tipo di persona che sta antipatica perché troppo perfetta. Durante gli anni scorsi era passata dall'essere la fidanzata del rappresentante degli studenti a essere vittima di battute e scherzi odiosi innumerevoli volte. Gaia ed io eravamo state le uniche a trattarla sempre con il solito rispetto e tra noi l'affetto era sincero e reciproco.
“Tre.” Rispondo, laconica. “Che sorpresa.”
In tutta risposta si limita a darmi un tenero buffetto sul braccio. Apprezzo il veloce tentativo di conforto, sapendo che non appena la campanella suonerà, Vanessa e Gaia mi ascolteranno mentre impreco sulla Donati e sulla versione.
Nel frattempo la prof ha iniziato a correggere ad alta voce il compito, rispondendo a domande e parlando degli errori più comuni. Io non alzo mai la mano: ammettere che ancora mi confondo tra participio aoristo e participio presente è un'umiliazione troppo grande.
Ascolto dunque passivamente la correzione della verifica, capendo un quarto di quanto si discute, osservando le marcate sottolineature rosse sul mio foglio e cercando di non incrociare lo sguardo dei miei compagni. Solo quando la campanella suona tiro un sospiro di sollievo.
“Oh, Ele!” Fa subito Vanessa, tendendo le braccia verso di me per farsi abbracciare. Le sorrido, lasciandomi stringere in un abbraccio veloce. Intorno a noi, i nostri compagni si alzano, discutendo della versione. Sento qualcuno dire che a quanto pare il compito è stato un successo per tutti. Ovviamente io sono così abbonata all'insufficienza che nemmeno conto.
“Se prendi due otto puoi recuperare.” Tenta Gaia, scrutando il libretto dei voti che tengo sul banco. Sulla pagina di greco ho fatto alcuni calcoli: per recuperare tutte le mie insufficienze dovrei almeno prendere due otto nelle prossime versioni.
“Impossibile.” Gemo, digrignando i denti.
Vanessa scuote la testa. “Non pensarci ora.” Dice. “Andiamo, ti offro un caffè.”
Sospiro: pensarci non risolve nulla e mi mette solo di cattivo umore. Acconsento e mi lascio condurre fuori dall'aula. Se non altro a prendere brutti voti ci guadagno caffè gratis dalla macchinetta della scuola.
Sono ormai sulla porta quando la Donati mi chiama.
“Posso parlarti, Elena?” Chiede. È ancora seduta alla cattedra, il libro di greco da cui ha fotocopiato le versioni di verifica aperto e coperto di note e appunti. Il cuore mi balza nel petto e stringo involontariamente il braccio di Gaia.
“Certo.” Rispondo, con vece meccanica, mentre sento il volto colorarsi di rosso.
Vanessa mi dà una spintarella leggera e io faccio un passo verso la Donati. Tutti i miei compagni sono usciti dalla classe, solo le mie amiche si attardano sulla porta, in attesa. Faccio loro gesto di andare avanti senza di me, non volendo che sentano le lamentele che molto probabilmente la prof. sta per rifilarmi.
“Che succede, Elena?” Chiede la prof, una volta che sono abbastanza vicina.
Mi passo una mano nei capelli e mi guardo la punta delle scarpe da ginnastica senza rispondere.
“Nella versione di latino di ieri hai preso il voto più alto della classe.” Aggiunge e mio malgrado mi apro in un sorrisetto: so di essere stata brillante nella versione fatta solo il giorno prima: Sallustio è forse il mio autore preferito e mi ero esercitata così tanto…
“Per il compito di greco ho ripassato il perfetto come aveva suggerito.” Le rispondo, scuotendo la testa, fornendo quella magra giustificazione.
Lei annuisce. “Senti, a questo punto ti consiglierei di iniziare delle ripetizioni.”
Deglutisco. Le ripetizioni sono la mia più grande paura. Sono riuscita ad evitarle fino a questo momento, temendo le voci che sarebbero girate in classe. Immagino i commenti velenosi dei miei compagni, l'essere presa in scarsa considerazione e tutto ciò che, in una classe competitiva come la mia, ne conseguirebbe.
La Donati pare leggermi nel pensiero. “Non è una cosa così vergognosa chiedere aiuto.” Dice. “Ed è un tale peccato che la media che hai venga rovinata da greco come l'anno scorso.”
Mi mordo il labbro senza dire nulla, lo sguardo ancora fisso sulla punta delle scarpe.
“C'è questo professore...” Inizia, prendendo a frugare nella borsa che tiene sulla cattedra fino a trovarvi una piccola agendina rossa. “Stefano Grigori, si chiama. Dovresti considerarlo, è brillante e ha un costo modesto.”
Serro le labbra alle parole “costo modesto”. La Donati sa che la mia famiglia non naviga nell'oro: ho dovuto rinunciare alla gita a Madrid perché anche se la scuola si è offerta di pagarmi in venti percento della somma, il resto era comunque impossibile da recuperare.
“Quanto sarebbe?” Chiedo, incrociando le braccia al petto.
“Penso che chieda quindici euro a lezione.” Mi risponde. “Ti lascio il suo numero e ti consiglio caldamente di pensarci, Elena.”
Detto ciò scribacchia qualcosa su uno dei foglietti dell'agendina rossa e me lo porge.
“Siamo ancora in tempo per recuperare.” Continua la Donati con un sorriso materno, dandomi un buffetto sul braccio. “Ora vai, non voglio prenderti tutto l'intervallo.”
“Grazie, prof.” Sussurro, poco convinta prima di uscire dalla classe senza guardarmi indietro.

 

Via G.Garibaldi
Roma,
3 Marzo, 5.30 pm

Fisso il dizionario di greco apero davanti a me con una smorfia. La frase della versione che tento di tradurre da ore continuava ad essere un'accozzaglia senza senso di parole sconnesse tra loro.
La mia scrivania è tappezzata di post-it gialli coperti di regole grammaticali che non ricordo e che non so applicare, il libro di grammatica del primo anno è aperto sulla pagina del futuro passivo, che tento di mandare a memoria per l'ennesima volta. Avrei voglia di sbattere la testa al muro.
Tengo il diario aperto all'angolo della scrivania, vicino alla tazza di tè ormai freddo che mi sono dimenticata di bere. Sotto la data di oggi, il bigliettino datomi dalla Donati mi fissa, incoraggiante. Mi mordo le labbra.
Con il lavoro alla gelateria di questa estate ho probabilmente guadagnato abbastanza di permettermi un buon numero di lezioni, al prezzo dettomi dalla Donati. Ovviamente non potrei chiedere a mia madre, che a stento riesce a pagare le bollette e in caso fossi al verde mio fratello potrebbe forse aiutarmi, dal momento che il lavoro da infermieri paga discretamente e ogni tanto aiuta la mamma.
Sposto lo sguardo sul cellulare, dove gli ultimi messaggi di Vanessa che mi racconta della litigata con Leonardo, rappresentante di istituto e suo ex storico. Li ho ignorati per studiare e il senso di colpa mi fa mordere il labbro.
Sbuffo e prendo in mano il telefono. Esito per un istante e poi inizio a comporre il numero che vedo sul biglietto: mi piace studiare, ma non voglio spendere ore infruttuore e inutili sui libri, mi serve un modo per ottimizzare il tempo. E poi, devo ammettere a me stessa, le continue insufficienze mi irritano, l'ansia mi attanaglia a ogni lezione: la Donati ha ragione, mi serve aiuto.
Guardo per un secondo il numero sullo schermo e quello sul biglietto per controllare che sia corretto. La Donati ha scritto solo il nome del professore ed io non ricordo il cognome. Arrossisco ancora prima di premere il verde: so già che chiamarlo per nome suonerà irrispettoso e immensamente imbarazzante.
Infine, con un sospiro, faccio partire la chiamata e porto il telefono all'orecchio.
Squilla per qualche secondo ed io mi ritrovo a sperare che nessuno risponda, ma poi, puntualmente, arriva una voce maschile.
“Pronto?”
Deglutisco. “Ehm, salve.” Esito. “Mi chiamo Elena, sarei interessata a delle ripetizioni di greco.”
Attendo la risposta, trattenendo il fiato. Parlare per telefono con sconosciuti mi rende sempre per qualche ragione nervosa, per di più sto discutendo un tema sensibile come la mia carriera scolastica.
Un secondo di silenzio dall'altra parte della cornetta. “Come ha avuto questo numero?” Il tono è duro e secco, piuttosto brusco.
Sento il volto infiammarsi. “La mia professoressa mi ha consigliato di provare con lei.”
“Chi è la tua professoressa?”
“Elisa Donati.”
Un altro momento di silenzio. “Sono quindici euro all'ora.”
“Lo so.”
Ancora silenzio. Mi tormento nervosamente una ciocca di capelli, in attesa, poi finalmente Stefano risponde: “Va bene martedì 4 alle tre?”
“Sì, certo.” Dico, anche se il 4 è domani e non mi apsettavo certo di iniziare tanto presto.
“Via delle Calendule, numero 9.” Risponde secco. “Porta il dizionario.”
“Ok...” Dico, scribacchiando in fretta l'indirizzo a margine sul dizionario di greco. “A presto.”
“Arrivederci.” Risponde secco, prima di chiudere la comunicazione, lasciandomi con un indirizzo e il rossore sulle guance.

 

 

   
 
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