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Autore: HermionTris_fangirl    05/05/2016    2 recensioni
Sherlock muore dopo che Mary gli ha sparato. John ne è rimasto devastato, ha lasciato la moglie e vive in una specie di coma, senza sentire niente, come se tutto fosse ovattato. Fino a quando, qualcuno non gli scrive.
[text!fic] [Johnlock] [Mystrade]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Stop Living
 

 “I'm breathing
We lost all feeling.
I'm barely breathing
Still holding on.“

-Bring Me Back To Life



-M...Mary...-
Se avesse saputo che erano le sue ultime parole, non le avrebbe certo sprecate con quel nome.
Ma non lo sapeva, quindi lo disse lo stesso.
Dietro di lei c'era Magnussen, le mani ancora sulla testa, gli occhi per la prima volta seriamente spaventati.
Sotto di loro, probabilmente preoccupato, c'era John. John. Il pensiero gli attraversò la mente così, all'improvviso, e si disse che semplicemente non poteva morire. Non sapendo che il suo John avrebbe sofferto. Non di nuovo.
···

Moriarty continuava a parlare nella sua mente, e lui da qualche parte ne era infastidito. Non voleva che l'ultima persona nei suoi occhi fosse quello psicopatico con manie di protagonismo ed un ego dieci volte più gande del suo (e questa è pesante). No, voleva vedere due occhi blu e dei capelli biondi, ancora col taglio vagamente militare, voleva vedere un cuore grande e gentile, voleva vedere...
«John Watson è definitivamente in pericolo.»
A quelle parole, ebbe un tremito. Non sarebbe morto, nossignore, non lo avrebbe lasciato in balia delle bugie di una pazza. Un'altra. Oh no, stavolta si sarebbe aggrappato alla vita con le unghie e coi denti, ma per farlo doveva uscire di lì.
C'era una stanza, in fondo al suo Palazzo Mentale, ancora più in fondo di quel sudicio buco imbottito, una stanza che non visitava mai. Era il 221B, quello del periodo in cui erano solo lui e John, contro il resto del mondo, quello del periodo prima di Moriarty, quello in cui si era accorto che un cuore ce l'aveva eccome. Lì, nascosto nel più recondito angolo della sua mente, Sherlock Holmes sognava il suo primo bacio, quello che avrebbe donato a John, e a John soltanto.[1] E si vergognava, Dio se si vergognava. Ogni volta, arrossiva come una dodicenne, e temeva sempre che Mycroft lo scoprisse in qualche modo. Avrebbe dovuto cambiare Sistema Solare, in quel caso.[2]
Spinse con forza sulla porta, mentre sentiva dei rumori in lontananza che non riusciva ad identificare, poi iniziò a salire quelle scale con sofferenza. Si aggrappava al corrimano, lottando per ogni scalino, e conquistandoli tutti, piano piano. Una parte alquanto maligna del suo cervello, gli ricordò che quelle scale erano le stesse del palazzo dove avevano trovato la "Signora in Rosa", ed un sentimentale, sentimentale, sentimentale gli rimbalzava in testa.
Non era abbastanza veloce. Sapeva quanto ci avrebbe messo a morire, e sapeva che non aveva tempo da perdere, doveva correre, ma non poteva. Non ci riusciva, e sentirsi impotente nel proprio corpo e nella propria mente era molto fastidioso. Troppo. Doveva riprendere il controllo, ma come? Il suo 221B, quello speciale, era lontano, e non poteva attraversare tutta la costruzione che aveva creato nella sua mente.
Devi, Sherlock, per John. Fallo.
E poi, improvvisamente, c'era, era lì. Ecco la sua poltrona nera, con quella rossa del medico davanti, ecco il cuscino con l'Union Jack stampata sopra, e lì accanto il suo teschio. Poteva vedere i suoi strumenti scientifici sul tavolo della cucina, i cartoni del take away buttati da qualche parte nel marasma là vicino, ed una faccina sorridente sulla carta da parati (perchè, Sherlock, i quadri astratti non vanno più bene? Aveva detto John appena l'aveva vista.) E poi, eccolo. Seduto al tavolo, col computer davanti ed una tazza di tea accanto, il suo blogger.
«Ehi, Sherlock. Sto aggiornando il blog, qualche nuovo caso?»
E solo in quella stanza metafisica di un palazzo metafisico poteva rispondergli sinceramente.
«Ti amo, John»
Per quanto sapesse che nessuno le avrebbe sentite, lui era contento di sapere che quelle erano state le sue ultime parole.



«Sherlock, ti stiamo perdendo. Sherlock!»


La sala d'attesa dell'ospedale era il luogo più triste che avesse mai visto. Peggio ancora del cimitero, perchè quando qualcuno muore cerchi di fartene una ragione, più o meno. Ma nelle sale d'attesa, tutto è legato ad un filo, tu non hai una vera idea di cosa sta succedendo ai tuoi cari, puoi solo aspettare.

                                                                                        Ed aspettare.

                                                                                                          Ed aspettare ancora.

John tirò un calcio alla sedia, mentre Lestrade lo guardava.
«John, sta calmo.»
«Sta...Mi stai dicendo di stare calmo mentre il mio migliore amico è tra la vita e la morte per un proiettile sparato da un bastardo? Bastardo che, tra l'altro, dovrà sperare d non incontrarmi mai, altrimenti non ne uscirà vivo.»
«John capisco che...»
«No che non capisci!»
«E invece sì, perchè Sherlock è anche amico mio, ed io so cose che tu non sospetti nemmeno su di lui! Quindi non provare a dire che non capisco, perchè stiamo tutti fottutamente male per questo, e siamo tutti preoccupati a morte! Per una volta, smetti di fare l'egoista e stai calmo!» il D.I. stava quasi urlando, tanto che un'infermiera lo guardò male, sibilando un: "silenzio!" perfettamente udibile.
Incredibilmente, il medico rilassò le spalle, sciogliendo i pugni chiusi.
«D'accordo. D'accordo.»
Si misero a sedere, entrambi stanchi, stravolti, preoccupati.
«Cos'è che io non posso nemmeno sospettare?- chiese dopo un tempo indefinito John.»
«Non posso dirtelo io. Deve dirtelo Sherlock, e solo lui.»
«Ma...»
«Mi dispiace, è una cosa troppo personale.»
«Va bene, me lo dirà appena uscirà da lì. Deve uscire, deve. E' già scampato alla morte tante volte, questa non sarà diversa.»
«Lo spero, lo spero con tutto il cuore.»


Un'ora e cinquantasette minuti dopo, un chirurgo uscì finalmente dalla stanza.
«Dottore!» esclamò Lestrade. «Allora?»
Lui scosse la testa, chinando il capo.
«Ci dispiace molto, abbiamo fatto il possibile. Ha avuto un arresto cardiaco ma si era ripreso, poi però ha avuto una grave emorragia interna che non siamo riusciti ad arginare. Siamo veramente desolati.»
Greg cadde sulla sedia di plastrica, un' espressione stupita in volto. Si girò verso l'amico, e vide che il suo sguardo era completamente devastato.
«Non...No...non è possibile...Sherlock non può essere...non è possibile...» notando la difficile respirazione e l'aumento del volume della voce di John, il medico predette un imminente attacco di panico.
«Si calmi, per favore. »
«Io non...»
«Respiri lentamente. Tranquillo, può succedere. Di avere un attacco di panico, intendo.»
In quel momento, arrivò Mary.
«John, cos'è successo? Mi hai detto solo che gli hanno sparato, sta bene ora?»
«E'...è morto, Mary. Stavolta l'ho perso davvero.»
Lei improvvisamente perse tutto il colore dal viso.
«Cosa?! Ma...ma non può essere, quel colpo non avrebbe dovuto ucciderlo, ho mirato troppo bene...»
A quelle parole, John la fissò, improvvisamente con la gola secca.
«C...cosa hai detto? Gli hai...ma come è possibile? Oh Dio, gli hai sparato tu?»
«John, io...Magnussen aveva delle cose...non potevo fare altro...»
«Tu. Tu hai ucciso il mio...hai ucciso Sherlock. Cosa...cosa ho fatto di male, nella mia vita per meritare anche questo?»
«Ti posso assicurare che...»
«Era la prima volta?» la interruppe lui.
«La prima volta cosa?»
«Che uccidevi qualcuno. Hai già...?»
«Ero un sicario della CIA. John, ti giuro, ho chiuso con quella vita, io non»
«Non mi interessa. Hai ucciso Sherlock e mi hai mentito, mi basta e mi avanza. Vattene via, non posso...non posso nemmeno guardarti.»


Era passato un giorno. 24 fottute ore, una più dolorosa dell'altra. 24 ore senza Sherlock, senza nessun Consulente Investigativo al mondo, e stavolta per davvero. John era rimasto insieme a Lestrade, entrambi nell'appartamento del secondo, da quando Mary era stata arrestata (tra l'altro, Mary Morstan non era il suo nome. Si chiamava Ana Gordana Radoslav Aleksandriovic, ed era serba.). Non sarebbe riuscito a tornare al 221B, non dopo tutto quello che era successo.
Non avrebbe mai dimenticato la faccia di Mycroft quando l'aveva saputo. Era livido, sembrava troppo sconvolto anche per respirare. Appena aveva visto Mary, le era passato accanto sussurrando: -Non si aspetti uno sconto di pena per la gravidanza. Mio fratello non sarà insultato in questo modo.-
Faceva paura. Appena aveva visto il corpo, poi, aveva avuto la stessa reazione di John: si era accasciato sopra quello che era Sherlock, piangendo in silenzio, per poi accarezzargli delicatamente i capelli.
«Buonanotte, fratellino.»

Due giorni dopo, lui e John avevano parlato. Mycroft voleva metterlo al corrente delle torture e di ciò che lui aveva dovuto sopportare nei due anni "da morto", e di ciò che aveva fatto per lui. Era l'unico modo che avevano per parlarne senza scoppiare entrambi in singhiozzi (separatamente, non erano così intimi).

I primi giorni erano passati, così come le settimane, ovattati, solo un pulsante dolore all'altezza del petto a rassicurare di essere ancora vivi. La monotonia della vita-senza-Sherlock era disarmante, ed assolutamente insopportabile, ma era l'unica rimasta.


Dopo un mese aveva deciso di restare comunque a Baker Street. Era una delle poche cose che lo legavano ancora all'amico (anche se lui gli aveva lasciato quasi tutto ciò che possedeva). E non poteva lasciare sola la signora Hudson, non quando aveva passato i primi tempi a piangere con la signora Turner.


Dopo due mesi aveva iniziato a uscire solo per il lavoro.


Dopo tre, sembrava ingrigito.


Dopo sei mesi dalla morte di Sherlock (Dio, era già passato tutto quel tempo? Non ricordava niente di importante.), la zoppia era tornata, insieme alle sedute di psicanalisi con Ella. Aveva smesso di mettere i maglioni (quante volte li aveva criticati?) ed aveva ripreso il bastone (abbandonato dopo mezz'ora in sua compagnia.)


Dopo un altro mese, la sua vita era ancora più patetica del periodo pre-Sherlock.


Il terzultimo giorno di quell'ulteriore settimana da schifo, un trillo del cellulare attirò la sua attenzione.

John, torna a vivere. Ti prego. SH









[1] In questa storia Janine non c'è, non c'è mai stata e mai ci sarà. Per quel che serve, Sherlock è entrato nell'ufficio di CAM a bordo di un unicorno, o sulla slitta di Babbo Natale, o come vi pare.

[2] Riferimento alla meravigliosa Sex, Drugs and Sherlock Holmes
   
 
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